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IL NUOVO DANNO NON PATRIMONIALE NEL SISTEMA DELLA R.C. AUTO: LE DIFFICOLTÀ DI ACCETTARE LA SVOLTA

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THE NEW NON PATRIMONIAL DAMAGE IN THE COMPENSATION PROCESS FOR CAR ACCIDENT: A TURNING POINT HARD TO BE

ACCEPTED

IL NUOVO DANNO NON PATRIMONIALE NEL SISTEMA DELLA R.C. AUTO: LE DIFFICOLTÀ DI ACCETTARE LA SVOLTA

Avv. Maurizio Hazan*

ABSTRACT

The author analyzes three recent court pronunciations where the judge hasn’t applied the indications contained in the pronunciation of the Court of Cassation of the 11 november 2008. In particular the judge has stated a compensation for the moral damage separated from the compensation of the biological damage.

* Avvocato, Milano

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“È TALVOLTA NECESSARIO SEGUIRE OPINIONI CHE SAPPIAMO INCERTISSIME, COME SE FOSSERO INDUBITABILI”1. Questa semplice, diremmo elementare, regola cartesiana dovrebbe integrare e completare un principio, quello della certezza del diritto, la cui dirompente forza ideale rischierebbe altrimenti di esser sistematicamente annichilita al cospetto della naturale relatività delle “cose” dell’essere umano.

Non può, invero, dubitarsi che un diritto che realizzi pienamente il valore della certezza costituisce un obiettivo teorico ed astratto al quale le esperienze positive possono soltanto tentare di approssimarsi, rinunziando in partenza all’illusoria pretesa di poterlo realizzare. E lo stridente contrasto tra ciò a cui si tende e ciò che in natura è, o dovrebbe essere, si pone, a maggior ragione, ogni qualvolta si tratta di normare situazioni e valori percepiti dalle singole coscienze individuali in modo ancor meno condiviso e più incerto di quanto già normalmente non avvenga per ciascun bene della vita.

Ebbene, non vi è dubbio che l’individuazione dei pregiudizi non patrimoniali meritevoli di tutela e, prima ancora, la loro stessa profilazione in concreto, rappresenti uno dei più paradigmatici esempi dell’inadeguatezza del linguaggio giuridico ad affrontare, e tradurre in coordinate operative, questioni- afferenti il valore dell’uomo e dell’esistenza - che per loro stessa natura implicano e presuppongono scelte etiche e riflessioni

1 R. Descartes, Discorso sul metodo.

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542 filosofiche.

La stessa regola equitativa, posta a presidio della liquidazione dei danni non patrimoniali, postula l’abdicazione a qualsiasi pretesa di universale predeterminazione di principi risarcitori che possano apparire, sul piano teorico, insuperabili e certi.

Sennonchè, una volta ammessa la risarcibilità dei danni morali (latu sensu intesi) - all’esito di un percorso storico niente affatto pacifico, ed anzi assai travagliato - la necessità di definirne i contorni in termini il più possibile sicuri, ha costituito l’asse portante di un dibattito che ancora oggi, nonostante l’intervento delle Sezioni Unite, non accenna a sopirsi.

Ben si poteva, del resto, immaginare, senza soverchi sforzi di fantasia, che le febbrili e palpabili aspettative riposte nell’intervento degli Ermellini, sarebbero state, a conti fatti, sostanzialmente deluse.

Ciò, sia chiaro, non per il contenuto – importante, esemplare e, per certi versi, dirimente - delle quattro sentenze dell’11 novembre 2008 (nn. 26972 e ss), che forniscono una mappatura aggiornata e convincente del “nuovo” danno non patrimoniale.

E’ altrove che va ricercato il sostanziale tradimento delle attese della vigilia, e cioè nello stesso atteggiamento assunto, sin dal giorno successivo al deposito delle già storiche pronunzie, da buona parte di coloro che tali attese alimentavano.

Ciò che si reclamava, in principio, era una risistemazione, in termini auspicabilmente

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definitivi, delle coordinate del danno non patrimoniale, sì da pacificare - e compattare attorno a risultati finali – le posizioni, spesso contrapposte, espresse nell’ambito di zigzaganti percorsi dottrinali e giurisprudenziali.

Tuttavia, il fatto stesso di affidare la “parola finale” alle Sezioni Unite significava - oltre

che surrogare un parziale deficit legislativo2 - accettare implicitamente il rischio di non finalizzare alcunché, e di trasformare quello che avrebbe dovuto essere un punto di approdo, in un semplice momento di ulteriore transizione.

L’irrefrenabile bisogno di sfuggire ad una serena presa d’atto del punto di svolta marcato dalla Suprema Corte, ha infatti dato corso, nel nome di una contrapposizione ideologica talvolta forzosa e sterile, a profluvi di nuovi dibattiti; tali e tanti da rischiare di confondere e ricoprire di coltri fumose alcuni dei solidi risultati cui la Cassazione è oggi pervenuta, portando a compimento un percorso già tratteggiato, nei suoi elementi salienti, tanto dalle (altrettanto storiche) sentenze gemelle del 2003, quanto – come detto - dal Codice delle Assicurazioni.

Così, tra le pieghe delle ampie argomentazioni svolte negli arresti dell’11 novembre, alcuni tra gli interpreti più attivi e fantasiosi hanno, sin da subito, dato libero sfogo a creative attività di ritaglio, dissezione, ricomposizione ed ingrandimento di singoli passi,

2 Parziale, in quanto nel campo della Rc auto il legislatore, come vedremo, aveva già fornito indicazioni sostanzialmente dirimenti in seno al Codice delle Assicurazioni.

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544 stralciati ad arte dalle motivazioni, ed utilizzati al fine di avvalorare questa o quella tesi, nel segno di una accentuata disomogeneità ermeneutica e di una, conseguente, incertezza applicativa diffusa a tutti i livelli (tra le Corti di merito, i professionisti del diritto e le imprese assicuratrici) .

Sintomatico – e nevralgico - esempio di tale imbarazzo risiede in quella che potremmo definire la “questione morale”, incentrata attorno al problema del ruolo da attribuire al danno morale nell’ambito del più ampio danno non patrimoniale derivante dalla lesione del diritto alla salute; danno che, secondo taluni, avrebbe perso, giusto l’insegnamento della Suprema Corte, qualsiasi autonomia al cospetto del biologico, finendo per esser inevitabilmente assorbito/ricompreso in quest’ultimo. Secondo altri, invece, nulla sarebbe cambiato rispetto al passato, dovendo il danno morale continuare ad esser separatamente liquidato, per di più in via ancora autonoma ed automatica (calcolandolo come quota proporzionale del danno biologico). E quest’ultima posizione si trova sostenuta, sia pur con argomentazioni diverse, nelle tre pronunzie di merito in commento.

Non era di tale perdurante incertezza che si avvertiva il bisogno.

Tutto al contrario, tornando al principio cartesiano indicato in apertura, vi era - e vi è oggi ancor più che in passato - l’esigenza di fissare regole che, per quanto inevitabilmente discutibili sul piano metagiuridico, costituissero il punto di approdo finale

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545 del ragionamento, sì da individuare, tra le varie posizioni astrattamente sostenibili (tutte degne di eguale apprezzamento, sotto il profilo della elaborazione fine) quella meritevole di essere definitivamente accreditata ed assunta quale base per un corretto funzionamento degli apparati risarcitori.

Ciò soprattutto in un campo, quello della Rc auto, che da anni vive (anche) di regole proprie e riveste, in proiezione macroenomica, importanza centrale e probabilmente prioritaria rispetto al più vasto insieme della sinistrosità “comune”. E’ proprio in tale settore, più che in ogni altro, che viene avvertita la necessità di assicurare il giusto contemperamento tra l’esigenza di garantire al danneggiato un pronto e satisfattivo risarcimento del danno e l’obiettivo di addivenire ad una razionale e corretta ridistribuzione, sul piano macro economico, delle risorse. Il tutto tenendo conto del non trascurabile impatto del costo dei sinistri sull’andamento dei premi assicurativi: premi costantemente aumentati, a far data dalla liberalizzazione tariffaria, proprio per effetto del precario andamento tecnico del ramo auto (spesso correlato a tentativi di frode e/o di speculazione risarcitoria che sul suolo italico hanno trovato terreno particolarmente fertile).

L’esigenza di un intervento deciso si è sentita, peraltro, soprattutto in relazione a quella tipologia di incidenti stradali che, più di ogni altra, ha negativamente impattato sugli assetti dell’assicurazione obbligatoria della Rc auto: quella dei sinistri con lesioni di

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modesta entità (così dette micropermanenti), la cui inflazionata produzione nell’ultimo ventennio ha indotto costi spesso non controllabili, inficiando di rimbalzo, a parere di chi scrive, anche la corretta gestione dei casi – più gravi – che ben avrebbero meritato migliori attenzioni liquidative. E’ in quest’ottica che vanno lette, in modo tra loro combinato, le riforme introdotte dal nuovo Codice delle Assicurazioni Private.

Mi riferisco, in primis, a quanto stabilito negli artt. 139 e 138 del Cod. ass. , che – rispettivamente dedicati alle lesioni di lieve e non lieve entità, hanno recepito, completandole, le scelte e le indicazioni fornite da precedenti esperienze normative di

settore3. Ma anche alla radicale innovazione attuata con il così detto indennizzo diretto, ossia con l’introduzione di una particolare procedura liquidativa espressamente riservata ai danni a cose ed ai danni alla persona di lieve entità, così come dimensionalmente definiti dal menzionato art. 139 del Cod. ass.

L’urgenza di definire ogni questione correlata, soprattutto, al risarcimento dei danni micro permanenti, è stata ulteriormente confermata dalla scelta legislativa di porre a carico dell’assicuratore nuovi obblighi ed incombenze sostanzialmente estranei alle prestazioni tipiche di un’impresa assicuratrice della responsabilità civile. Mi riferisco al dovere, imposto alle imprese, di fornire ai propri clienti, “nell’adempimento degli

3 L. 5 marzo 2001 n. 57; L. 12 dicembre 2002 n. 273.

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547 obblighi contrattuali di correttezza e buona fede” un servizio di assistenza tecnica ed informativa finalizzato al conseguimento della “migliore prestazione del servizio e la piena realizzazione del diritto al risarcimento del danno” (art. 9 DPR 254/2006). “Piena realizzazione” che in tanto può essere utilmente conseguita, in quanto siano aprioristicamente conosciuti i criteri – certi - di valutazione del danno risarcibile.

In questa prospettiva la correlazione stretta tra la disciplina dell’indennizzo diretto e l’art.

139 del Cod. ass., avrebbe dovuto/potuto esser letta, sin da subito, come una dimostrazione della volontà del legislatore di fornire in termini definitivi le coordinate di liquidazione del danno da lesione (specie se non grave).

Qui risiede, a nostro parere, la grande lezione fornita dalle Sezioni Unite, le quali – sia pure tra le righe di motivazioni forse troppo diffuse – hanno saputo, non soltanto fornire alcuni chiari elementi cardinali attorno ai quali definitivamente fondare la teoria del danno non patrimoniale, ma anche comprendere appieno e fare proprio l’insegnamento, in qualche modo rivoluzionario, del Codice delle Assicurazioni.

Orbene, scopo di questo lavoro è proprio quello di evidenziare la sostanziale assonanza tra i precetti del Cod. ass. (artt. 138 e 139) e l’impianto motivazionale delle Sezioni Unite: assonanza tale da consentirci di sottolineare come, nel settore della responsabilità derivante dalla circolazione di veicoli, i riferimenti di diritto positivo, letti al filtro dei principi espressi della Suprema Corte, forniscano risposte, se non definitive e complete,

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548 certamente meno dubitative e contraddittorie di quelle rese da coloro i quali – e sono molti – non sembrano disposti ad accettare di buon grado il cambiamento.

Tra questi gli estensori delle pronunzie di merito qui commentate, tutte invariabilmente tese a mantenere in vita una prassi liquidativa consolidatasi negli ultimi trent’anni, ma oggi ripudiata - a chiare lettere - dagli Ermellini.

Categorie e duplicazioni: danno biologico e danno morale

Il principio della necessaria riconduzione di ogni danno non patrimoniale entro la categoria unitaria di cui all’art. 2059 c.c., sancito a chiare lettere dalle Sezioni Unite, è valso, certamente, a respingere le tautologie esistenzialiste e soprattutto, come acutamente rilevato dalla migliore dottrina, a contrastare le sempre più diffuse tendenze ad una magmatica commistione tra danni patrimoniali e non patrimoniali all’interno

della categoria generale dell’art. 2043 c.c.4.

Sennonché, la riconduzione del danno non patrimoniale, unitariamente inteso, entro

4 F.D. BUSNELLI, “...E venne l’estate di San Martino”; in Il danno non patrimoniale; guida commentata alle decisioni delle S.U. 11 novembre 2008, nn 26972/3/4/5; Milano 2009. p. 91 ss.

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l’alveo dell’art. 2059 c.c. non pare dover implicare, di necessità, il rifiuto di ogni attività di ulteriore specificazione, all’interno della macro-categoria unitaria, delle poste di danno in concreto risarcibili. Al contrario, il divieto di porre in essere indebite duplicazioni risarcitorie, sancito con altrettanta perentorietà dalle sentenze gemelle, postula, ai fini della sua effettiva messa in opera, una preventiva attività di selezione ed individuazione delle singole poste di danno, sì da comprendere se possano, o meno, utilmente distinguersi – e dunque convivere sotto il profilo liquidativo. Di più. Non pare azzardato sostenere che per non moltiplicare il risarcimento di pregiudizi in realtà sovrapponibili sia necessario, in via preliminare, svolgere una accurata operazione di categorizzazione distintiva degli stessi, difettando la quale non sarebbe agevole comprendere in che termini il ristoro dell’uno soddisfi anche l’altro.

Operazione che, a voler ben vedere, è fatta propria dalla stessa Suprema Corte, che non esita, da un lato, a considerare il danno morale come un vero e proprio “tipo di pregiudizio” e, dall’altro, a fare propria la definizione normativa del danno biologico:

definizione i cui contenuti integrano una figura di danno affatto specifica e tale da connotarsi, anche dal punto di vista probatorio, in termini ben distinti dalle “perdite” di tipo morale5. Pertanto, al di là della pervicace e reiterata riaffermazione dell’unità

5 si vedano ancora, sul punto, le acute riflessioni di F.D. BUSNELLI, op cit. pag. 101 e ss.

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550 categorica del danno non patrimoniale (valida sì, ma ai limitati fini di cui si è detto), potrebbe tornare utile una mappatura aggiornata del nuovo sistema, ricostruito nelle varie articolazioni che lo compongono. Articolazioni o sottocategorie che ben possono definirsi “descrittive”, dal momento che ogni operazione descrittiva implica, ove svolta in termini generali, una sostanziale specificazione categorica.

Potremmo, dunque, sintetizzare lo status quo sostenendo che la macro categoria (unitaria) del danno non patrimoniale si consolidi interamente nell’alveo dell’art. 2059 c.c., all’interno del quale va poi articolandosi nelle due sottovoci bipartite del danno biologico e del danno morale. Quest’ultimo, a sua volta suddivisibile in danno morale soggettivo e danno così detto esistenziale, a seconda che la sofferenza soggettiva sia aggravata o meno dal pregiudizio dello stile di vita. Si ricordi, invero, come il nuovo sistema del danno non patrimoniale sia stato corroborato ed ulteriormente completato, nel volgere di pochi mesi, da una nuova pronunzia delle Sezioni Unite (la n. 3677 del 6 febbraio 2009), che ha avuto il pregio di affermare, in termini icastici e perentori, che “il danno cosi detto esistenziale non costituendo una categoria autonoma di pregiudizio, ma rientrando nel danno morale, non può essere liquidato separatamente solo perché diversamente denominato”.

Ciò posto, possiamo progressivamente avvicinarci a quello che risulta essere il cuore del problema di cui ci stiamo occupando, ovvero il rapporto di correlazione tra quelle due

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551 poste di danno laddove le stesse, almeno potenzialmente, coesistano.

Ed invero, la nuova definizione codicistica del danno biologico, nella sua veste sostanzialmente disfunzionale ed onnicomprensiva, sembra assorbire al suo interno ogni pregiudizio di carattere morale/esistenziale derivante dalla lesione (della salute) patita dal danneggiato.

In questo senso le Sezioni Unite hanno affermato l’inammissibilità di una “congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale, sovente liquidato in percentuale (da un terzo alla metà) del primo”.

A fortiori non parrebbe ammissibile una separata liquidazione del pregiudizio esistenziale (dinamico relazionale) il quale già viene in rilievo come componente connaturata alla stessa definizione codicistica di danno biologico (si ricordi che, ai sensi degli artt. 138 e 139 del Cod. ass. è danno biologico la …"lesione temporanea o permanente all'integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di reddito..."”.)

Per quel che attiene danno biologico, pertanto, l’unitarietà della categoria del danno non patrimoniale sembrerebbe affermarsi in termini assoluti, annichilendo la stessa possibilità di accordare autonoma rilevanza ai pregiudizi di ordine morale soggettivo o

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552 dinamico relazionale.

Ma è veramente così?

E’ effettivamente sostenibile l’affermazione secondo la quale in presenza di un danno biologico il danno morale/esistenziale sia nello stesso sempre ricompreso?

A questo quesito cercheremo di dare, per quanto possibile, una soluzione, tenendo conto della necessità di diversificare la risposta a seconda che ci si occupi di r.c.

generale, ovvero di r.c. auto.

La pretesa omnicomprensività del danno biologico

Quanto alla verifica circa l’omnicomprensività del danno biologico, occorre muovere, ancora una volta dalla definizione contenuta negli artt. 138 e 139 del Cod. ass., la cui portata generale, in quanto tale valida anche al di fuori dell’ambito di operatività della specifica disciplina dell’assicurazione della r.c. auto, è stata affermata - senza incertezze

- dalle Sezioni Unite6.

Il fatto che il danno biologico si sostanzi non in qualsiasi lesione (permanente o temporanea) dell’integrità psico-fisica, ma soltanto in una lesione particolarmente

6 V. infra § 2.13

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553 qualificata (perché incidente sulle “attività quotidiane e sugli aspetti dinamico relazionali della vita del danneggiato”) integra, chiaramente, un rinvio al concetto (non alla categoria…) del c.d. danno esistenziale, come fino ad oggi inteso dalla giurisprudenza:

si tratta delle conseguenze della lesione sul “fare” dell’individuo, ergo la compromissione del suo stile di vita.

Il che equivale a dire che la nozione di danno biologico assorbe in sé ogni riferimento esistenziale che potremmo definire “medio”, cioè comune a tutti, nel senso che tale pregiudizio assume rilevanza se e in quanto possa sostenersi - sulla scorta di una disamina esperienziale della realtà - che una determinata lesione incida, in modo permanente o anche solo temporaneo, sul normale svolgimento delle attività quotidiane e sul naturale sviluppo della sfera dinamico relazionale del danneggiato.

Peraltro, a corredo di tale “inglobamento” degli aspetti dinamico relazionali “medi”

(secondo comma, artt. 138 e 139), il Codice delle Assicurazioni recepisce l’istanza, da sempre declamata in dottrina e giurisprudenza, di contemperare le necessarie esigenze di uniformità nella valutazione dei danni alla salute con una altrettanto indispensabile elasticità di sistema, utile a personalizzare, ricorrendone i presupposti, i compendi risarcitori in concreto liquidati.

Così, al terzo comma di entrambe le sopra citate norme, vengono introdotti due diversi criteri di adeguamento personalizzato del risarcimento, entrambi recepiti – sotto il profilo

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554 metodologico - da precedenti esperienze normative di settore, e pertanto: quanto al caso delle lesioni eccedenti la soglia del 9%, nell’ipotesi in cui la menomazione incida in maniera particolarmente rilevante su specifici aspetti dinamico relazionali personali (ergo: non riferibili ad un soggetto “medio”), “l’ammontare del danno determinato ai sensi della tabella unica nazionale può essere aumentato dal giudice sino al trenta per cento, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato.

Nel caso, invece, delle così dette micropermanenti (al di sotto della soglia del 9%) “ L'ammontare del danno biologico liquidato ai sensi del comma 1 può essere aumentato dal giudice in misura non superiore ad un quinto, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato.”.

Torneremo più avanti sulla non trascurabile importanza che, riteniamo, debba accordarsi alla sottile, ma rilevante, diversificazione delle due formule personalizzanti (giacché nell’ambito delle lesioni minori nessuno specifico riferimento viene fatto agli aspetti dinamico relazionali).

Per quel che subito interessa, è fondamentale osservare come accanto agli aspetti dinamico relazionali medi (inglobati nella definizione di danno biologico), il codice delle assicurazioni – espressamente - ammetta la risarcibilità di un pregiudizio ulteriore, che potremmo definire specifico, e che si sostanzia nella personalissima compromissione di tipo dinamico relazionale patita dal danneggiato a seguito delle lesioni subite.

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Il fatto che tale ulteriore aspetto pregiudizievole, del tutto sovrapponibile a quella

“lesione” dello stile di vita” tanto propugnata dalla dottrina esistenzialista, sia considerato come misura aggiuntiva del danno biologico (e non come danno esistenziale in sé e per sé considerato), non muta alcunché sul piano del compendio in concreto liquidato, ma dimostra, in termini difficilmente refutabili, come il legislatore ritenga il danno biologico un pregiudizio comprensivo di ogni conseguenza dinamico relazionale derivante dalla lesione fisica.

Il che ci consente di affermare che in presenza di un danno biologico, il danno

“esistenziale” – che pure potrebbe prodursi in fattispecie non connotate da alcuna compromissione psico fisica di carattere patologico (si pensi alla diffamazione od alla grave offesa reputazionale a cui non ha fatto seguito alcuna patologia psicologica) – viene da quello assorbito, perdendo qualsiasi possibilità di essere separatamente individuato, valorizzato e risarcito.

Ora, sappiamo, come poc’anzi ricordato, che secondo le Sezioni Unite il danno

esistenziale “fa parte” nella più ampia “categoria” (descrittiva…) del danno morale.7 Possiamo, dunque, estendere il ragionamento sin qui svolto all’intera formula del danno morale, senza limitarla ai soli aspetti dinamico relazionali?

7 Cass. civ. S.U. 6 febbraio 2009 n. 3677.

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556 Possiamo sostenere, perciò, che il biologico inglobi ogni danno “morale” derivante dalla menomazione fisica?

Occorre, a nostro parere, porre alcuni distinguo.

Al di là degli enunciati teorici, si tratta di comprendere se, al verificarsi di determinate lesioni psicofisiche, sia possibile individuare, in modo utile e concreto, un danno morale soggettivo distinto da quella componente esistenziale (e cioè dinamico relazionale) che costituisce intrinseco e naturale elemento del danno biologico.

Sotto un primo punto di vista ci pare difficilmente enucleabile, in aggiunta al dolore che si prova “per non poter più fare” quanto si faceva prima di aver una lesione, un’ulteriore - e diversa - sofferenza per il fatto in sé di aver subito una diminuzione della propria integrità fisica,

L’offesa alla persona, potenzialmente insita in ogni compromissione dell’integrità psicofisica, coinvolge, in modo naturale, non tanto il dolore per la perdita di tale integrità in sé e per sé considerata quanto per le conseguenze dinamico relazionali di quel pregiudizio.

E non valga a sostenere il contrario l’affermazione secondo la quale la percezione della propria diminuita efficienza fisica integri, di per sé sola, una fonte di turbamento soggettivo, non potendosi realmente astrarre ed estrapolare quella componente meramente ideale dalla sfera concretamente dinamica entro la quale il soggetto leso

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557 esprime la propria personalità (giacchè è proprio in quella sfera che può essere effettivamente apprezzato l’impatto della perdita di determinate utilità psicofisiche).

Ma nemmeno sembra convincente una riemersione del danno morale (a fianco del danno esistenziale) correlata a fattispecie e patimenti di particolare gravità. Ci riferiamo alla possibilità, da taluni sostenuta, di poter separatamente risarcire, quale danno morale a sé stante, l’ansia da guarigione (o da mancata guarigione), la preoccupazione correlata al timore di dover rinunziare a determinate attività, il dolore connesso alla sofferenza ed alla prostrazione dei propri cari. Ebbene, non ci pare che tali ipotesi, pur se connotate da particolare gravità, finiscano per integrare un tipo di pregiudizio diverso dalla sofferenza esistenziale (quest’ultima da considerarsi, all’evidenza, come di massima intensità). O quantomeno, risulta difficile individuare una linea di demarcazione tanto netta e chiara da poter condurre ad un utile e motivata liquidazione separata – ma simultanea – delle due diverse poste di danno.

Entia non sunt multiplicanda, praeter necessitatem: questa la nota regola del “rasoio di Occam”, ben recepita dalle Sezioni Unite e tradotta nel principio della non duplicazione delle poste risarcibili.

E per non duplicare occorre prima poter distinguere, in modo utile e convincente.

Operazione, tale ultima, che davvero risulta difficile ove si tratti di dover sezionare, discriminare e distinguere le (asseritamente diverse) sofferenze derivanti da un medesimo

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danno biologico; tanto più nella sua attuale dimensione normativa, necessariamente disfunzionale, e quindi incidente sulla sfera dinamico relazionale del soggetto leso. E proprio in tale sua veste disfunzionale, il danno biologico sottende in sé sia la sofferenza dell’individuo per “non poter essere” più come prima, sia quella per “non poter più fare”, ed anzi si potrebbe sostenere che la liquidazione della posta biologica in tanto sia possibile, in quanto il danneggiato, se lucido e cosciente, sia in grado di apprezzare, in

negativo, l’entità e l’impatto dinamico della propria compromissione psico-fisica8.

Un autonomo e separato risarcimento della sofferenza morale, come sopra intesa, si risolverebbe quindi in una sicura duplicazione, che è quanto la Suprema Corte intende evitare.

Occorre, peraltro, comprendere se vi siano altre poste “sofferenziali” correlate alla lesione fisica, ma idonee ad esser separatamente considerate, in quanto non pienamente riconducibili entro la sfera del “non poter più essere” o del “non poter più fare”.

Entrano qui in linea di conto le sofferenze causate dal dolore fisico patito dal

8 E laddove il danneggiato sia ridotto, a seguito del sinistro, in stato incoscienza, il riconoscimento del suo diritto ad ugualmente esser risarcito, sotto il profilo del danno biologico, non vale a confutare la tesi in parola, dovendosi piuttosto sostenere che lo stato di procurata incoscienza vada inteso come pregiudizio della sfera biologica/esistenziale al massimo livello. Più complessa l’ipotesi i cui il danno sia arrecato ad un soggetto che già incosciente, prima dell’offesa. Non è questa, peraltro, la sede per approfondire la questione.

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559 danneggiato a seguito delle lesioni (o dei conseguenti interventi medico chirurgici). E in quest’ottica potrebbero pure esser presi in considerazione lo spavento subito dal soggetto leso e, forse, in casi particolarmente gravi, la paura di affrontare nuovi interventi o di porre a rischio la propria sopravvivenza (ma in quest’ultimo caso i confini, già labili, con le componenti dinamico relazionali si assottigliano ancora di più) .

Ebbene, tali aspetti sofferenziali non sembrano esser stati presi in specifica considerazione dalle Sezioni Unite; né, per quanto attiene - in particolare - al danno da dolore fisico, lo stesso risulta esser stato adeguatamente valutato in sede di redazione delle note tabelle.

Senza volersi in alcun modo confrontare su questioni di carattere squisitamente medico/legale, esorbitanti le competenze di chi scrive, si noti come paiono ipotizzabili casi in cui, applicando la criteriologia tabellare, all’accertamento di postumi permanenti di lieve o lievissima entità (ad esempio, una semplice ferita infetta) si accompagnino conseguenze dolorose di forte intensità; in altre ipotesi, invece, l’esistenza di postumi invalidanti di una certa importanza potrebbe non implicare analoghe sofferenze dolorose.

L’attuale definizione di danno biologico non soccorre alla soluzione del problema, dal momento che la connotazione disfunzionale/esistenziale voluta dal legislatore non sembra coprire l’area del dolore fisico.

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560 Area che, dunque, potrebbe costituire terreno di coltura per un ulteriore e separato risarcimento del danno “strictu sensu” morale, in aggiunta al danno biologico (ancorché in via niente affatto automatica e previa dimostrazione del danno in concreto patito).

D’altra parte è proprio in quel genere di pregiudizi (spavento e dolore fisico) - evidentemente non patrimoniali e per lo più transitori - che avrebbe potuto individuarsi quel danno morale soggettivo “transeunte” indicato dalla Consulta quale elemento strutturale di quella tripartizione categorica del danno non patrimoniale che aveva

tenuto banco sino alla pronunzia delle sentenze gemelle9.

Vi, è, peraltro un altro spazio aperto, entro il quale poter affermare l’autonoma (e, a nostro avviso sicura) risarcibilità di danni morali non compresi nella nozione di danno biologico.

La sussistenza di un turbamento morale soggettivo diverso ed ulteriore rispetto al dolore causato dalla consapevolezza della propria diminuita integrità psicofisica (nella sua componente dinamico relazionale personale) potrà infatti essere ravvisata, e separatamente valorizzata, in tutti i casi in cui le modalità di causazione dell’offesa, od altre circostanze correlate alla condotta del danneggiante, integrino diverse ed ulteriori

9 Non casualmente, peraltro, la Resolution 7-75 del 14 marzo 1975 adottata del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa (Resolution (75) 7 relative à la réparation des dommages en cas de lésion corporellese ed de décès), richiamata da Cass. 11 aprile 1997 n. 3170, ha separatamente considerato la douleur phisique quale posta di danno risarcibile).

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ragioni di pregiudizio.

Si pensi alla diversa offensività, sul piano morale, di un danno da sinistro stradale piuttosto che da una lesione inferta da violente percosse. In quest’ultimo caso, alla sofferenza intimamente connaturata al pregiudizio fisico patito, si aggiungerà il turbamento indotto dall’aver subito una odiosa aggressione, di per sé fonte di diverso ed ulteriore disagio (pretium laesae dignitatis).

Nel caso della persona colpita dal pugno di un assalitore, la rabbia per l’ingiusta aggressione (i.e. la sofferenza morale) può rilevare in via autonoma, sia pur accanto ad un pregiudizio senz’altro di tipo biologico (la lesione). In questa ipotesi i confini dei due pregiudizi sono netti, così come ben distinti sono gli elementi della loro autonoma risarcibilità.

La rilevanza delle circostanze attinenti alla condotta dell’autore dell’illecito (ai fini della valutazione equitativa del danno ingiusto non patrimoniale) è stata del resto recentemente ribadita dalla stessa Suprema Corte, in una pronunzia successiva alle

sentenze quadrigemine dell’11 novembre 200810.

Il tutto senza contare come, nel caso di specie, l’offesa alla dignità personale insita nell’aggressione subita integri la lesione di un diritto costituzionalmente garantito

10 Cass. civ. 13 gennaio 2009 n. 479.

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562 ulteriore e diverso da quello alla salute (ex artt. 2 e 3 della Carta Costituzionale).

A ben voler vedere, dunque, tali ulteriori poste di danno (morale), pur condividendo con il danno biologico la medesima fonte causale (l’evento di danno), chiedono di esser risarcite a diverso titolo, e proprio perché non inglobate nel danno biologico e non strettamente correlate alla lesione del diritto alla salute.

Allo stesso modo, e sotto altro punto di vista, il danno morale da diffamazione potrà, in taluni casi, essere ristorato sotto il profilo dell’offesa alla dignità personale a prescindere dalle altre eventuali conseguenze (anche dinamico relazionali) dell’illecito; si pensi al caso in cui a seguito di una campagna diffamatoria un soggetto si trovi ad essere escluso o comunque messo ai margini dell’associazione culturale che frequentava quotidianamente, ed alla quale tanto teneva. In tale ipotesi la persona lesa dovrebbe poter separatamente invocare il ristoro di entrambe le poste in cui il danno morale si articola: quella della sofferenza soggettiva (per l’offesa subita) in sé considerata e quella della compromissione esistenziale derivante da situazioni e circostanze indipendenti dalla reazione soggettiva del danneggiato a fronte dell’offesa medesima.

Quid iuris, però, nell’ipotesi in cui un danno inizialmente manifestatosi in forma strictu sensu morale, cioè come mero disagio dell’animo a fronte di una determinata offesa ricevuta (ingiuria, diffamazione, offesa alla reputazione), si trasformi, nel corso del tempo ed a seguito di un processo di degenerazione patologica, in un vero e proprio

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563 danno psichico (e pertanto biologico)?

Vale, anche qui, la regola dell’assorbimento (di ogni posta non patrimoniale all’interno del pregiudizio biologico, nella sua attuale dimensione esistenzializzata)?

Il danno biologico di carattere psichico quale degenerazione di una sofferenza morale preesistente

Quest’ultima notazione ci consente di considerare un ulteriore aspetto del problema.

Sin qui ci siamo occupati del caso in cui un determinato illecito si sia immediatamente sostanziato in una offesa alla salute, dalla quale siano poi derivate conseguenze pregiudizievoli di vario genere.

E in questa fattispecie, certamente la più ricorrente, abbiamo verificato la portata della nozione codicistica del danno biologico, alla luce dell’interpretazione onnicomprensiva delle Sezioni Unite: siamo dunque giunti a sostenere che a fronte di un danno alla salute, il risarcimento del danno biologico (da liquidarsi secondo il metodo tabellare, se del caso adeguatamente personalizzato) esclude il novero delle poste non patrimoniali risarcibili, eccezion fatta – forse – per il danno da dolore fisico e per i danni non strettamente inerenti alla lesione alla salute bensì derivanti dalla particolare offensività,

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564 sul piano della dignità personale, del gesto/condotta dell’autore dell’illecito.

Non abbiamo invece preso in esame la diversa ipotesi in cui il pregiudizio patito dal soggetto leso non si manifesti, sin da subito, nelle forme del danno biologico, bensì assuma i connotati del danno alla salute soltanto a seguito di un processo di graduale degenerazione dell’iniziale sofferenza morale.

E’ proprio questo il caso in cui l’offesa patita a seguito di una diffamazione dia luogo, inizialmente, soltanto ad un disagio morale; disagio, peraltro, tanto intenso e duraturo da alterare patologicamente, nel corso del tempo, la sfera psichica del soggetto leso, sino ad indurre uno stato di depressione od altre malattie della mente.

In tale ipotesi la componente biologica si pone come posterius rispetto alla mera sofferenza morale interiore non patologica. Ebbene, in tale situazione, può ancora sostenersi che il danno biologico conglobi ed assorba in sé ogni posta pregiudizievole di tipo non patrimoniale, ed anche le sofferenze patite prima del suo conclamarsi?

La risposta non pare agevole, per quanto la Suprema Corte sembri aver optato per una soluzione affermativa laddove – occupandosi della risarcibilità del danno morale - precisa che “deve tuttavia trattarsi di sofferenza soggettiva in sé considerata, non come componente di più complesso pregiudizio non patrimoniale. Ricorre il primo caso ove sia allegato il turbamento dell'animo, il dolore intimo sofferti, ad esempio, dalla persona diffamata o lesa nella identità personale, senza lamentare degenerazioni patologiche

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565 della sofferenza. Ove siano dedotte siffatte conseguenze, si rientra nell'area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente”.

Trattasi di passaggio che, nell’ambito dell’ampia motivazione della pronunzia delle Sezioni Unite, assume valore nevralgico, in quanto estrapolato ad arte e sovente fatto oggetto di lettura parziale e di comodo dai sostenitori di questa o quella interpretazione della pronunzia.

Così, coloro i quali hanno ritenuto di poter affermare la teoria dell’assoluta omnicomprensività del danno biologico ne hanno valorizzato la seconda parte, ove si dice che l’area del danno biologico racchiude in sé ogni sofferenza fisica o psichica, intese quest’ultime quali componenti naturali del pregiudizio alla salute, anche quando quest’ultimo sia derivato da una degenerazione patologica di un iniziale turbamento dell’animo.

Viceversa, coloro i quali vorrebbero lasciare il più possibile immutato lo status quo ante ed affermare la autonoma risarcibilità del danno morale in aggiunta al biologico, tendono ad utilizzare tale passaggio argomentativi per sostenere che il danno alla salute sia onnicomprensivo solo nell’ipotesi in cui lo stesso si manifesti sotto forma di degenerazione patologica di una precedente sofferenza morale; sofferenza che – soltanto in questo caso – non dovrebbe formare oggetto di separato ristoro, essendo

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566 stata assorbita dalla successiva patologia di carattere psichico.

A noi pare che il passo in questione debba essere letto cum grano salis, secondo un’interpretazione – sì - coerente con il principio della non duplicazione delle poste, ma non tale da voler attribuire alle parole usate dalle Sezioni Unite significati che non potrebbero in alcun modo essere condivisi.

Il principio dell’assorbimento delle componenti sofferenziali nel più ampio contenitore del danno biologico vale, lo abbiamo visto (sia pur con i limiti di cui si è fatto cenno), nell’ipotesi in cui le due poste coesistano e siano conseguenza di una medesima offesa alla salute.

Ove invece il danno biologico si presenti in una fase successiva, quale conseguenza della degenerazione patologica, sotto il profilo psichico, di una sofferenza morale, risulta davvero arduo negarne una sorta di autonomia rispetto all’iniziale turbamento dell’animo. Sovente, infatti, le degenerazioni della sfera psichica si presentano sotto forma di condotte non sempre consapevoli e, comunque, non sempre percepite dal soggetto leso come conseguenze patologiche della propria iniziale sofferenza morale.

Si pensi al caso di chi, profondamente turbato da una grave offesa alla reputazione, si chiuda progressivamente in se stesso, isolandosi dal contesto sociale sino a soffrire di veri e propri incontrollati attacchi di panico. Orbene, ha senso affermare che la malattia degenerativa psichica (sovente non percepita con coscienza) assorba la sofferenza

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567 morale (questa invece vissuta consapevolmente) provata dal danneggiato a fronte dell’offesa ricevuta?

No, a mio parere. Ci troviamo, probabilmente, in uno dei pochi casi in cui il biologico (psichico) si pone come danno ulteriore rispetto alla sofferenza morale, pur ritraendo da questa la propria origine etiologica .

Se così non fosse, la scure delle Sezioni Unite avrebbe colpito troppo in profondità.

Si consideri, dipoi, l’eventualità, tutt’altro che rara, in cui la perdita del rapporto con il congiunto defunto o gravemente leso all’esito del sinistro dia luogo ad una sofferenza suscettibile, con il passare del tempo, di evoluzione tale da degenerare in una vera e propria patologia psichica. In questo caso non dovrebbe essere corretto ritenere che tale patologia, valutabile sotto il profilo biologico, faccia venir meno, assorbendolo, il pregiudizio di tipo “morale” conseguente alla perdita del rapporto. Si tratta invece, e a ben vedere, di una conseguenza-limite di tale sofferenza morale, capace di divenire essa stessa danno, trasmutando in danno biologico autonomamente valutabile (e se del caso ulteriormente personalizzabile a norma dell’art. 138 cod. ass. priv., ove gli aspetti dinamico-relazionali del danneggiato siano lesi su fronti diversi da quello del rapporto parentale perduto).

In altre parole, il danno biologico da morte o lesione grave del congiunto, può emergere su due piani distinti (senza che ciò si traduca in duplicazione, anzi), potendo

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568 derivare sia dalla compromissione dell’aspetto dinamico-relazionale dell’integrità biologica dell’individuo, sia, e in aggiunta, dalla degenerazione dell’iniziale sofferenza morale connessa alla perdita del rapporto.

Diversamente opinando, ci troveremmo innanzi a situazioni davvero incongrue:

nell’ipotesi in cui si ritenesse che il danno biologico (di natura psichica) derivante alla madre per la perdita del figlio assorbisse ogni possibile ulteriore risarcimento della sofferenza morale, rischieremmo di veder liquidare in suo favore somme, calcolate in applicazione del metodo tabellare a punto, di gran lunga inferiori a quelle che potrebbero spettarle in applicazione dei parametri forfettari in uso presso i tribunali.

* * * *

In conclusione ci sembra di poter affermare, in modo plausibile e con il conforto delle Sezioni Unite, che :

- il danno biologico, nella sua dimensione disfunzionale ed esistenzializzata, assorbe ed ingloba in sé ogni pregiudizio di tipo non patrimoniale derivante dalla lesione della salute (eccezion fatta, forse, per alcuni aspetti sofferenziali specifici, quali il dolore fisico e lo spavento); in particolare, i pregiudizi di ordine morale/esistenziale (specifico) trovano posto all’interno della componente

“personalizzata” del danno biologico.

- Il danno biologico non assorbe, nemmeno nella sua forma personalizzata, le

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569 sofferenze morali derivanti da pregiudizi non correlati alla lesione psicofisica in sé, ma al particolare grado di offensività della condotta illecita del danneggiante (pretium laesae dignitatis). Pregiudizi i quali, ove allegati e provati, potrebbero essere separatamente risarciti.

- Parimenti il danno biologico non assorbe – o, almeno, non assorbe necessariamente - altri pregiudizi di tipo non patrimoniale ove lo stesso si manifesti (quale conseguenza dannosa ulteriore e posteriore) nella forma di degenerazione psicologica di una sofferenza morale non derivante da un offesa alla salute.

Enunciati tali principi, tenteremo di comprendere se e in che termini la rivisitazione del sistema del danno non patrimoniale operata dalle Sezioni Unite modifichi in concreto i precedenti confini risarcitori del danno alla salute, restringendone – come da più parti si è affermato - l’ambito e sacrificando, rispetto al passato, la posizione delle parti lese.

Tale verifica dovrà essere condotta, a nostro avviso, distinguendo, in modo netto, il danno alla persona nell’area della RCA dal danno alla persona nell’area dei così detti

“sinistri di diritto comune”.

Il tutto senza dimenticare come uno tra i principali problemi di partenza risiedesse nella necessità di comprendere se, nell’ambito dei sinistri della circolazione stradale, il sistema risarcitorio tradizionale - invalso nella prassi liquidativa delle Corti ed incentrato

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570 sull’utilizzo dei parametri tabellari, eventualmente personalizzati e maggiorati, in via automatica, di una quota parte di risarcimento a titolo di danno morale – legittimasse l’ulteriore ristoro di altre voci di pregiudizio, di tipo “esistenziale” .

Il problema di fondo era dunque quello di risolvere, una volta, per tutte la “questione esistenziale”, giunta alla ribalta a fronte dell’incontrollato moltiplicarsi delle pretese risarcitorie – spesso etichettate proprio come esistenziali – avanzate dai soggetti lesi in modo sovente indiscriminato e in aggiunta delle poste di danno loro tradizionalmente riconosciute.

Evidente che le Sezioni Unite siano andate oltre, non accontentandosi di risolvere l’affaire esistentielle e avendo invece optato per una più netta e drastica rivisitazione dell’intero sistema del danno non patrimoniale. E ciò hanno fatto mettendo in discussione quelle che sino ad ieri erano considerate le regole di base del risarcimento del danno da lesioni personali, soprattutto per quel che attiene al – già esaminato – assorbimento, entro l’ampio contenitore del danno biologico, non solo di ogni pregiudizio esistenziale, ma anche del danno morale (eccezion fatta per le specifiche ipotesi che potrebbero – ma il condizionale è d’obbligo- continuare ad esser ristorate anche nel nuovo corso).

Un siffatto argomentare, checchè se ne dica e per quanto si cerchi di ridimensionarne l’impatto, rivoluziona ogni precedente assetto. Ciò, nell’ambito della RCA.

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571 Non invece al di fuori del settore della responsabilità derivante dalla circolazione dei veicoli.

Vediamo perché.

Le nuove regole ed i sinistri di “diritto comune”

Per quel che attiene ai sinistri di diritto comune, va anzitutto ribadito che le SS.UU.

hanno sottolineato come gli artt. 138 e 139 del Codice della Assicurazioni diano una definizione del danno biologico “suscettiva di generale applicazione, in quanto recepisce i risultati ormai definitivamente acquisiti di una lunga elaborazione dottrinale e

giurisprudenziale.”11

Ciò, peraltro, non pare avallare nessuna altra operazione di transfert della disciplina codicistica agli illeciti di diritto comune. Il che equivale a dire che la limitazione prevista dalle norme del codice a proposito della valorizzazione degli eventuali pregiudizi dinamico-relazionali (liquidabili entro il tetto del 20 o del 30%, a seconda si tratti di

11 V. nota 6.

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572 lesione di modesta o non lieve entità) rimane confinata nel solo ambito della RCA, non propagando alcuna influenza al di fuori di esso.

Quanto sopra, a nostro parere restituisce (o meglio: ribadisce) in ambito di diritto comune (no-RCA) il potere in capo al giudice sovrano di liquidare il danno non patrimoniale, nella sua componente dinamico relazionale personalizzata, senza alcun limite prefissato, fermo restando l’obbligo di congruamente motivare le proprie scelte.

Fuori dalle strettoie assicurative, pertanto, la “riespansione” del potere equitativo del giudice consentirà di relegare nella sostanziale irrilevanza ogni discussione relativa alla teorica radiazione del “vecchio” danno morale dall’ambito delle poste di pregiudizio risarcibili in caso di danno alla salute: la riconduzione di ogni pregiudizio non patrimoniale derivante dalla lesione alla salute (sia esso di tipo morale od esistenziale) entro la componente personalizzata del danno biologico, non dovrebbe condurre, a problemi di sorta e, di fatto, ad alcun cambiamento rispetto al passato. Ed invero, in assenza di qualsiasi limite normativo, tale operazione di personalizzazione del biologico potrà essere condotta dal Giudicante con massima libertà e senza alcuna necessità di liquidare a tale titolo importi espressi in quota percentuale del danno biologico di base.

Al contrario, la componente personalizzata potrebbe essere addirittura risarcita in misura pari, o anche (perché no?) superiore a quanto riconosciuto in applicazione dei criteri di

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calcolo tabellari12.

Ferma restando la necessità di non duplicare le poste risarcibili, l’unico limite a cui le Corti continueranno ad esser sottoposte sarà quello di adeguatamente motivare le proprie scelte e, pertanto, di utilmente spiegare a che titolo e per quali ragioni (tra loro non sovrapponibili) si è addivenuto alla liquidazione di una data componente personalizzata. In sostanza, dunque, il danno morale potrebbe continuare a trovare, rispetto al passato, il medesimo (ed anche maggiore) spazio nell’ambito della personalizzazione del biologico, a condizione – però – che la sua liquidazione non avvenga, come in passato, in via sostanzialmente automatica, bensì in forza di una congrua e complessiva valorizzazione della sofferenza patita dal soggetto leso (nella sua nuova veste morale/esistenziale).

Valorizzazione insindacabile in sede di legittimità, ove supportata da adeguata motivazione.

Ma vi è di più: in assenza di limiti di legge, la componente personalizzata potrà essere

12 Si registrano numerose pronunzi che – di recente – hanno correttamente rilevato la (almeno) pari dignità dei pregiudizi di ordine morale/esistenziale rispetto al danno biologico strettamente inteso (Cass.

civ. n. 29191/08; Cass. civ. n. 20438/08; Cass. civ. n. 15029/08; Cass. civ. n. 6288/08; Cass. civ. n.

5795/08).

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574 ulteriormente maggiorata tenendo conto, se del caso, delle sofferenze derivanti da dolore fisico od anche da spavento.

Il dubbio che tali poste rientrino, o meno, nella ampia nozione di danno biologico, diviene qui sostanzialmente irrilevante, potendo le stesse trovare eguale valorizzazione all’interno della posta “specifica” ovvero all’esterno di essa, quale autonoma voce di danno non patrimoniale.

Senza dubbi di sorta, poi, il Giudicante potrà separatamente riconoscere il diritto del soggetto leso a conseguire il pretium laesae dignitatis, ove allegato e dimostrato (si ripensi al caso della lesione fisica derivante da percosse, magari inferte in situazioni pubbliche, alla presenza di soggetti terzi).

Le nuove regole in ambito R.c. auto

Tutt’altro tipo di ragionamento deve essere svolto per quel che attiene ai sinistri della circolazione stradale. In argomento reputiamo necessario separare la questione relativa al risarcimento dei danni “di non lieve entità” da quella afferente le così dette

“micropermanenti”. Ciò in quanto le due discipline divergono non soltanto per quanto attiene al differente limite di personalizzazione del biologico (30% nelle prime e 20%

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575 nelle seconde), ma anche per quel che riguarda l’oggetto della personalizzazione medesima (limitato, nelle macropermanenti, ai soli “specifici aspetti dinamico relazionali personali”).

Quest’ultimo distinguo, a mio parere non sufficientemente apprezzato né in dottrina né in giurisprudenza, sembra invece tutt’altro che trascurabile, potendo contribuire a tracciare in termini definitivi – almeno per le lesioni lievi – le coordinate del danno in concreto risarcibile.

Muoviamo, dunque, dalle lesioni di non lieve entità, e cioè superiori alla soglia del 9%.

Il principio dell’assorbimento del danno morale, quanto meno nella sua componente esistenziale, all’interno del biologico – vuoi nel suo aspetto “medio” che in quello personalizzato – va applicato tenendo conto del limite legislativo di cui all’art. 138 comma 3 del Cod. ass. In forza di tale disposizione, la liquidazione della componente morale/esistenziale dovrà essere effettuata applicando al danno biologico di base (quello calcolato sulla base dei parametri tabellari) una maggiorazione percentuale non superiore al 30%.

Il potere di valutazione equitativa del giudice non è dunque pieno ed assoluto, ma contenuto dal legislatore entro un tetto massimo prefissato. Ed entro quel tetto, secondo l’insegnamento della Suprema Corte, l’aumento percentuale non dovrà avvenire in modo automatico, bensì sulla scorta di una precisa individuazione – in concreto – del

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576 maggior danno effettivamente patito.

Vi è da chiedersi se, tornando a quanto sopra argomentato, residuino spazi per accordare il risarcimento a poste di danno non patrimoniale (strictu sensu morale) che non rientrano nella nozione di danno biologico personalizzato di cui al menzionato art.

138. In linea di principio potremmo, infatti, sostenere che tale norma, circoscrivendo il perimetro della personalizzazione ai soli aspetti dinamico relazionali personali, si riferisca alle sole poste di tipo morale/esistenziale, lasciando aperta la possibilità di un separato ristoro di altri pregiudizi sofferenziali di tipo più strettamente morale. Ci riferiamo, ancora una volta ed innanzi tutto, al danno da dolore fisico o al danno da spavento. Ma nulla impedisce di opinare che, almeno in linea teorica, altre poste morali possano essere astrattamente ristorate. Tuttavia, spostandoci dal piano ideale a quello pratico, varranno le considerazioni già svolte in precedenza a proposito dell’estrema difficoltà di utilmente distinguere, e conseguentemente risarcire, pregiudizi morali che – diversi dal dolore fisico e dallo spavento – non “anneghino” nella più generale ed ampia sofferenza (morale/esistenziale) derivante dalla percezione della propria diminuità integrità ed utilità psicofisica.

A chiudere ogni questione potrebbe, peraltro sostenersi che la stessa impostazione codicistica, omettendo qualsiasi riferimento alla autonoma risarcibilità del danno morale, profili un sistema risarcitorio totalmente esaurito entro le coordinate dell’art.

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138, senza possibilità alcuna di dar corso ad addenda estranei al dettato legislativo13. Naturalmente, quale che sia la soluzione da accordare al problema, rimarrà, per il soggetto che ne invoca il ristoro, la necessità di allegare, e rigorosamente dimostrare, le sofferenze di cui si afferma la non riconducibilità all’interno del danno biologico – medio e personalizzato – di cui all’art. 138. Il tutto avendo cura di evitare duplicazioni e, quindi, di specificare, in modo utile e concretamente afferrabile, in che termini tali poste divergano da quelle già rientranti nella componente personalizzata del biologico.

Mai, in ogni caso, giusta la lezione delle Sezioni Unite, potrà replicarsi il metodo sin qui utilizzato nella prassi e fondato sulla automatica attribuzione di (altre) poste risarcitorie liquidate, del tutto apoditticamente, a titolo di “danno morale” e calcolate in modo automatico attraverso una maggiorazione percentuale del compendio riconosciuto a titolo di danno biologico.

Difficile, poi, sostenere che nell’ambito dei sinistri stradali trovi autonomo spazio il risarcimento di quei diversi pregiudizi a cui abbiamo fatto cenno riferendoci al così detto pretium laesae dignitatis.

La possibilità di riconoscere autonoma dignità risarcitoria al – differente – turbamento

13 In questo senso, ci sia concesso di richiamare quanto a suo tempo espresso in M. HAZAN, La nuova assicurazione della RCA nell’era dell’indennizzo diretto; Milano, 2006, pagg. 164-5.

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578 dell’animo causato non dal danno alla salute in sé ma dalla particolare gravità dell’azione illecita può, in concreto, porsi in fattispecie in cui il disvalore della condotta dell’agente viene percepito, dal soggetto leso, in modo più profondo - tautologicamente, più “personale” - rispetto a quanto può accadere nell’ambito dell’infortunistica stradale. Nell’ipotesi di lesioni a seguito di aggressioni fisiche (specie se in un contesto pubblico), l’offesa è specificamente diretta ad un determinato soggetto.

La lesione all’identità, alla dignità ed alla reputazione personale di un individuo è arrecata a quel particolare individuo. In questi casi chi colpisce lo fa perché vuole danneggiare proprio quella persona, e non altri. Qui, il turbamento nell’animo della vittima scaturisce dal dolore di esser stato “preso di mira” ingiustamente; i confini dei due pregiudizi – dignità e reputazione, da un lato, salute, dall’altro - sono netti, così come ben distinti sono gli elementi della loro autonoma risarcibilità.

Nel sinistro stradale, invece, l’elemento psicologico nella sfera del danneggiante è affievolito non soltanto nel contenuto (è necessaria e sufficiente la colpa, anche se soltanto presunta), ma anche sul piano soggettivo, nel senso che - eccettuati casi limite - egli non agisce a fine di nuocere ad una specifica persona: più semplicemente, paga ad una vittima del tutto “casuale” le conseguenze di una sua negligenza, imprudenza, o imperizia.

Anche qui, certo, chi subisce il sinistro rimane turbato nell’animo.

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579 Ci si deve tuttavia chiedere quale sia la fonte di questo turbamento, perché appare subito evidente che essa non dovrebbe essere, come invece è sicuramente negli esempi sopra considerati, la percezione di aver subito un’offesa diretta e personale: nel sinistro stradale manca, ripetiamo, una specifica volontà lesiva dell’agente, e pertanto il danneggiato dovrebbe, nella normalità dei casi, ritenere d’esser stato vittima di circostanze avverse, più che il bersaglio di un’azione mirata.

Si potrebbe allora pensare che la sofferenza morale della vittima della strada, o dei suoi superstiti, possa derivare dalla percezione della riprovevolezza sul piano sociale della condotta del responsabile: condotta che, seppur (normalmente) non dolosa, e nemmeno mirata, rimane comunque “odiosa” perché frutto di un sostanziale inosservanza, da parte dell’agente, delle più comuni regole del vivere civile.

In effetti, è ben vero che le cronache quotidiane riferiscono sempre più spesso di sinistri stradali provocati da conducenti - per lo più giovani italiani ed extracomunitari, stando ai resoconti giornalistici - in stato di alterazione psichica dovuta all’uso di sostanze alcooliche e/o stupefacenti, ciò che rende particolarmente esecrabile la loro condotta.

Ma a ben vedere la maggiore carica emotiva che questa tipologia di sinistri porta con sé, nel sentire comune, altro non è se non l’eccezione che conferma la regola: gli incidenti stradali turbano la coscienza sociale in quanto tali, e infatti come tali fanno notizia, solo se particolarmente gravi ovvero, come le cronache hanno rivelato

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580 ultimamente, se provocati da sconsiderati. Altrimenti, l’infortunato in un sinistro non va considerato in altro modo se non come una delle tante vittime dell’era moderna. Non solo, una delle tante vittime del concretarsi di un rischio, quello della circolazione, accettato e condiviso sul piano sociale.

Il danneggiato in un sinistro stradale deriva quindi la sua sofferenza interiore essenzialmente dalla percezione della propria diminuita integrità psico-fisica: a causa dell’incidente l’infortunato sa che “non è più” quello di prima, e che “non può più fare”

quello che faceva prima.

Soffre dunque per questo e, se le sopraestese osservazioni sono esatte, solo per questo.

Segue: il danno non patrimoniale nelle lesioni di non grave entità

A ben più sicure, e definitive, conclusioni può approdarsi, a nostro parere, nel campo delle così dette “micropermanenti”, ossia delle lesioni di lieve entità disciplinate dall’art.

139 del CAP.

Tale norma, come poc’anzi accennato, non circoscrive in alcun modo l’ambito di applicazione dell’eventuale personalizzazione del danno biologico, il quale può essere

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581 qui aumentato, nella misura massima di un quinto, non soltanto con riferimento a specifici aspetti dinamico relazionali del leso bensì, assai più genericamente e – direi onnicomprensivamente – avendo riguardo alle “condizioni soggettive” del danneggiato.

Pare dunque potersi affermare che ogni aspetto non patrimoniale, sia esso morale/esistenziale, o da dolore fisico o di qualsiasi altro genere purchè riconducibile alla lesione fisica, concorra alla liquidazione della maggiorazione prevista dalla legge, sempre e soltanto entro il limite del 20%. Nessuno spazio, dunque, neppure teorico può essere accordato al separato riconoscimento di altre voci di danno ed in nessun modo, a nostro parere, il tetto legale potrà essere superato. Manca, qui, dunque, la possibilità, invero assai astratta, di operare quel distinguo (tra le componenti esistenziali e le altre poste morali) che era parso, almeno a livello semantico e letterale, possibile per l’art.

138 cap. Né la scelta del legislatore può sembrare casuale o, peggio, figlia di un acritico recepimento di vecchie formule normative, qui riproposte in assenza di qualsivoglia coordinamento; risulta, al contrario, assai ragionevole che la liquidazione del danno da micropermanenti incontri limiti più stringenti rispetto a quelli previsti per lesioni eccedenti la soglia del 9%.

L’unico spazio residuo di teorica risarcibilità di altre poste di danno non patrimoniale riguarda, ancora, una volta, gli aspetti sofferenziali non correlati alla lesione fisica, ma alla particolare offensività dell’azione lesiva. Ma valgano, qui, a maggior ragione le

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582 perplessità poco sopra sollevate sul punto.

Prospettive punitive?

Non sono state prese in esame, naturalmente, le ulteriori possibilità di risarcimento invocate da coloro i quali ritengano privilegiare gli aspetti non riparatori, ma sanzionatori della responsabilità civile.

In questa prospettiva, si potrebbe sostenere la risarcibilità di un danno morale “da reato”, ogni qualvolta la fattispecie ne presentasse le caratteristiche strutturali (per il fatto in sé di esser qualificato come reato e non per il contenuto oggettivo e soggettivo della condotta delittuosa).

Se si volesse dare evidenza e ruolo al reato, in tal senso inteso, come fonte di risarcimento di altri danni morali, dovrebbe ipotizzarsi, al di fuori di ogni logica, che il fatto stesso che una determinata fattispecie abbia penale rilevanza implichi ex se una maggiore sofferenza in capo al soggetto leso. E ciò davvero non sembra sostenibile, giacché l’intensità di un dato dolore/turbamento è e rimane tale, a prescindere dalla qualificazione, penale o meno, riservata all’illecito.

Alternativamente, se non si volesse correre il rischio di cadere nell’assurdo, dovrebbe definitivamente sdoganarsi la categoria dei così detti “danni punitivi”, seguendo un

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percorso inverso a quello indicato invece dalle Sezioni Unite, le quali hanno (senza esitazioni) affermato che la concessione di un risarcimento quale pena privata per un comportamento lesivo snaturerebbe la funzione del risarcimento, che verrebbe concesso non in conseguenza dell'effettivo accertamento di un danno.

Ora, non pare, secondo chi scrive, che un tale “sdoganamento”, in guisa di autentico ritorno alle origini (stante la funzione – se non integralmente, almeno parzialmente - repressiva inizialmente accordata all’art. 2059 c.c.), sia così sconveniente. La figura del danno punitivo (nella sua ossimorale ed intrinseca dicotomia letterale) non pare poi così

estranea ai principi fondanti il nostro ordinamento14. Senonché una tale operazione pare davvero non appropriata in un settore, quello della RC auto, in cui si è seguita, nel corso degli anni, una strada sostanzialmente antitetica, volta a progressivamente erodere il vincolo asseritamente necessitato tra il ristoro del danno non patrimoniale e la riconduzione del fattispecie entro categorie penalisticamente rilevanti. Né sembrerebbe congruo, sotto altro punto di vista, ampliare lo spettro di operatività della garanzia assicurativa obbligatoria ad ipotesi non risarcitorie, ma meramente sanzionatorie.

De iure condendo, proprio a fronte del frequente ripetersi di sinistri della circolazione

14 Si veda da ultimo: D. CERINI, La condanna per lite temeraria é una condanna per punitive damages?

Una conferma dal Tribunale di Milano, sezione V , sentenza del 26.10.2006, in Riv. D.E.A. n. 1/2008.

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TAGETE 3-2009 Year XV

584 dipendenti dall’abuso di droghe o di alcolici, o dalla commissione di altre gravi nefandezze (incidente provocato dal malvivente durante la fuga, etc.), potrebbero ipotizzarsi l’introduzione di norme specifiche, volte a porre – magari direttamente in capo al responsabile - misure sanzionatorie e pecuniarie accessorie ed ulteriori rispetto alla mera riparazione del danno. Trattasi, peraltro, di scenari puramente suggestivi ed oggi non meritevoli di alcuna considerazione pratica.

* * *

Se le coordinate sin qui tracciate non fossero frutto di mero azzardo ermeneutico ma si rivelassero, come ci sia consentito di auspicare, corrette, avremmo dunque risolto uno dei più importanti problemi interpretativi rimasti sin qui insoluti.

I dubbi e le difficoltà con le quali si misurano quotidianamente le unità liquidative delle compagnie assicuratrici sarebbero così superati, quantomeno in relazione alla gestione dei numerosissimi sinistri con lesioni personali lievi, di cui l’italica tradizione è fiorente produttrice.

Ciò consentirebbe, peraltro, una gestione più razionale del rapporto con il cliente nell’ambito dell’indennizzo diretto (anch’esso applicabile ai sinistri con lesioni di lieve entità), permettendo alle imprese assicuratrici di fornire - senza incertezza - quella attività di assistenza informativa e tecnica di cui si è fatto cenno in apertura e che, prevista

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