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Cancellazione della causa dal ruolo ed estinzione del processo: riflessioni sugli artt. 181 e 309 c.p.c. - Judicium

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Emilio Norelli

Cancellazione della causa dal ruolo ed estinzione del processo: riflessioni sugli artt. 181 e 309 c.p.c.

1. L’art. 181, primo comma, c.p.c., come modificato nel 2008 (dall’art. 50, comma 1, del decreto- legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, nella legga 6 agosto 2008, n. 133), stabilisce: «Se nessuna delle parti compare alla prima udienza, il giudice fissa un'udienza successiva, di cui il cancelliere dà comunicazione alle parti costituite. Se nessuna delle parti compare alla nuova udienza, il giudice ordina che la causa sia cancellata dal ruolo e dichiara l'estinzione del processo».

A sua volta l’art. 309 c.p.c. stabilisce: «Se nel corso del processo nessuna delle parti si presenta all'udienza, il giudice provvede a norma del primo comma dell' art. 181».

2. E’ appena il caso di precisare sùbito che gli articoli citati fanno parte della disciplina del processo ordinario di cognizione (di primo grado), contenuta nel libro II del codice di rito1, e perciò non si applicano al processo di esecuzione (libro III)2, né ai “procedimenti speciali” disciplinati nel libro IV del codice (o da leggi speciali)3; in particolare, non si applicano ai procedimenti cautelari, né ai

1 A norma dell’art. 1, comma 1, del d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell'articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69), ai fini dello stesso decreto, si intende per «a) rito ordinario di cognizione: il procedimento regolato dalle norme del titolo I e del titolo III del libro secondo del codice di procedura civile; b) rito del lavoro: il procedimento regolato dalle norme della sezione II del capo I del titolo IV del libro secondo del codice di procedura civile; c) rito sommario di cognizione: il procedimento regolato dalle norme del capo III bis del titolo I del libro quarto del codice di procedura civile».

Sono trattate con il rito ordinario di cognizione tutte le controversie per le quali non sia previsto un rito speciale o un procedimento speciale, nonché, per espresse disposizioni di legge, quelle elencate negli artt.

31-33 del cit. d.lgs. n. 150/2011, ossia le controversie in materia di: rettificazione di attribuzione di sesso, di cui all'art. 1 della legge 14 aprile 1982, n. 164; opposizione a procedura coattiva per la riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato e degli altri enti pubblici, di cui all'art. 3 del testo unico approvato con regio decreto 14 aprile 1910, n. 639; liquidazione degli usi civici (appello contro le decisioni dei commissari regionali di cui all'art. 32 della legge 16 giugno 1927, n. 1766).

2 Per il processo esecutivo è dettata una norma analoga per il caso di mancata comparizione delle parti all’udienza. L’art. 631 c.p.c., infatti, stabilisce che «se nel corso del processo esecutivo nessuna delle parti si presenta all'udienza, fatta eccezione per quella in cui ha luogo la vendita, il giudice dell'esecuzione fissa una udienza successiva di cui il cancelliere dà comunicazione alle parti» (primo comma) e che «se nessuna delle parti si presenta alla nuova udienza, il giudice dichiara con ordinanza l'estinzione del processo esecutivo»

(secondo comma). In tal caso, la norma (a differenza dell’art. 181 c.p.c.) prevede espressamente che la forma del provvedimento dichiarativo dell’estinzione è quella dell’ordinanza, il che ben si spiega perché: a) nel processo esecutivo il giudice dell’esecuzione provvede sempre con ordinanza («salvo che la legge disponga altrimenti»: art. 487 c.p.c.), mai con sentenza (che è forma propria ed esclusiva dei provvedimenti di cognizione); b) avverso l’ordinanza del giudice dell’esecuzione (che dichiara l’estinzione del processo) è proponibile (per espressa previsione normativa: artt. 630, terzo comma, 631, terzo comma, c.p.c.) reclamo davanti al collegio, il quale «provvede in camera di consiglio con sentenza», a sua volta appellabile (art. 130 disp. att. c.p.c.). Siffatta disciplina, specificamente dettata per il processo esecutivo, è, ovviamente, inestensibile al processo di cognizione, né può servire ad integrare (nemmeno per via di analogia) la disciplina dettata per il processo di cognizione, stante la totale diversità di natura fra i due processi.

3 Le norme de quibus sembrano, invece, applicabili anche al procedimento sommario di cognizione di cui agli artt. 702-bis ss. (capo III-bis del titolo I del libro quarto) c.p.c., benché questo sia collocato fra i

“procedimenti speciali” del libro IV, atteso che il d.lgs. n. 150/2011 considera tale procedimento come un “rito speciale” rispetto al «rito ordinario di cognizione», al pari del «rito del lavoro» (art. 1), e prevede il passaggio da un rito all’altro («mutamento del rito»: art. 4).

Ai sensi del citato d.lgs. n. 150/2011, sono regolate dal «rito sommario di cognizione», ossia devono svolgersi secondo il detto procedimento sommario, le controversie in materia di (artt. 14-30): liquidazione

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procedimenti in camera di consiglio, nemmeno laddove questi ultimi siano previsti per la risoluzione di controversie su diritti soggettivi (ed abbiano perciò carattere contenzioso e non di

“volontaria giurisdizione”). La C. S., infatti, ha più volte affermato che ai procedimenti camerali non sono immediatamente trasponibili le regole dettate per il processo ordinario di cognizione, salvo che sia espressamente disposto in modo diverso4; e, segnatamente, che, in caso di mancata comparizione delle parti all’udienza, non sono applicabili gli artt. 181 e 309 c.p.c., norme che sono proprie del processo di cognizione ordinario e non sono richiamate per i procedimenti in camera di consiglio5.

Al contrario, le norme citate trovano applicazione anche nel processo del lavoro e nei processi ad esso assimilati (come quello per le controversie in materia di locazioni: art. 447-bis c.p.c., e per le controversie agrarie: art. 47 legge 3-5-1982, n. 203)6, essendo questi (non già “procedimenti

degli onorari e dei diritti di avvocato, di cui all'art. 28 della legge 13 giugno 1942, n. 794 (nonché l'opposizione proposta a norma dell'art. 645 c.p.c. contro il decreto ingiuntivo riguardante onorari, diritti o spese spettanti ad avvocati per prestazioni giudiziali); opposizione a decreto di pagamento di spese di giustizia, di cui all'art. 170 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115; mancato riconoscimento del diritto di soggiorno sul territorio nazionale in favore dei cittadini degli altri Stati membri dell'Unione europea o dei loro familiari, di cui all'art. 8 del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30;

allontanamento dei cittadini degli altri Stati membri dell'Unione europea o dei loro familiari per motivi imperativi di pubblica sicurezza e per altri motivi di pubblica sicurezza, di cui agli artt. 20 e 21 del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30; espulsione dei cittadini di Stati che non sono membri dell'Unione europea ai sensi del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286; riconoscimento della protezione internazionale, di cui all'art. 35 del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25; opposizione al diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari, nonché agli altri provvedimenti dell'autorità amministrativa in materia di diritto all'unità familiare, di cui all'art. 30, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286; opposizione alla convalida del trattamento sanitario obbligatorio, di cui all'art. 5 della legge 13 maggio 1978, n. 180; eleggibilità, decadenza ed incompatibilità nelle elezioni comunali, provinciali e regionali, di cui all'art. 82, primo e secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570, all'art. 7, secondo comma, della legge 23 dicembre 1966, n. 1147, all'art. 19 della legge 17 febbraio 1968, n. 108, ed all'art. 70 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267;

opposizione alla stima nelle espropriazioni per pubblica utilità, di cui all'art. 54 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 327; discriminazione, di cui all'art. 44 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, all'art. 4 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, all'art. 4 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, all'art. 3 della legge 1° marzo 2006, n. 67, ed all'art. 55-quinquies del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198;

impugnazione dei provvedimenti disciplinari e delle misure cautelari a carico dei notai, di cui agli artt 158 e 158-novies della legge 16 febbraio 1913, n. 89; riparazione a seguito di illecita diffusione del contenuto di intercettazioni telefoniche, di cui all'art. 4 del decreto-legge 22 settembre 2006, n. 259, convertito, con modificazioni, nella legge 20 novembre 2006, n. 281; impugnazione delle decisioni della Commissione elettorale circondariale in tema di elettorato attivo, di cui all'art. 42 del decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 1967, n. 223; eleggibilità e incompatibilità nelle elezioni per il Parlamento europeo, di cui all'art. 44 della legge 24 gennaio 1979, n. 18; impugnazione delle deliberazioni del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti, di cui all'art. 63 della legge 2 febbraio 1963, n. 69; attuazione di sentenze e provvedimenti stranieri di giurisdizione volontaria e contestazione del riconoscimento, di cui all'art. 67 della legge 31 maggio 1995, n. 218.

4 Cass.-s.u. 29-4-1997, n. 3670.

5 Cass. 9-1-2009, n. 284; Cass. 3-8-2010, n. 18043; Cass. 7-12-2005, n. 27080.

6 Ai sensi del cit. d.lgs. n. 150/2011, sono regolate dal rito del lavoro le controversie in materia di (artt. 6-13):

opposizione ad ordinanza-ingiunzione, di cui all'art. 22 della legge 24 novembre 1981, n. 689; opposizione al verbale di accertamento di violazione del codice della strada, di cui all'art. 204-bis del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285; opposizione a sanzione amministrativa in materia di stupefacenti, di cui all'art. 75, comma 9, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309; opposizione ai provvedimenti di recupero di aiuti di Stato, di cui all'art. 1 del decreto-legge 8 aprile 2008, n. 59, convertito, con modificazioni, nella legge 6 giugno 2008, n. 101; applicazione delle disposizioni del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui all'art. 152 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196; contratti agrari o conseguenti alla conversione dei contratti associativi in affitto (per le quali sono competenti le sezioni specializzate agrarie di cui alla legge 2 marzo 1963, n. 320); impugnazione dei provvedimenti in materia di registro dei protesti (impugnazione dei provvedimenti di rigetto delle istanze previste dall'art. 4 della legge 12

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speciali”, bensì) processi ordinari di cognizione a rito speciale (arg. ex art. 40 c.p.c.). Infatti, la giurisprudenza di legittimità è da tempo consolidata nel senso che «la disciplina dell'inattività delle parti dettata dal codice di procedura civile, con riguardo sia al giudizio di primo grado che a quello di appello, si applica anche alle controversie di lavoro, non ostandovi la specialità del rito nè i principi cui essa si ispira»7.

Come pure le stesse norme trovano applicazione nei giudizi di opposizione che insorgono nel corso del processo esecutivo (artt. 615 ss. c.p.c.) e che sono anch’essi giudizi di cognizione8.

3. Nei processi di cognizione (di rito ordinario o di rito speciale), dunque, per disposto degli artt.

181 e 309 c.p.c., sia alla prima udienza, sia nel corso del giudizio, in caso di doppia diserzione dell’udienza, il giudice è tenuto provvedere così: «ordina che la causa sia cancellata dal ruolo e dichiara l'estinzione del processo».

Dal tenore letterale della norma (in particolare dalla congiuntiva «e») emerge che le pronunce da emettere sono due: a) l’ordine di cancellazione dalla causa dal ruolo; b) la dichiarazione di estinzione del processo.

Tali pronunce devono evidentemente essere emesse d’ufficio, senza alcuna sollecitazione di parte.

Non è detto dalla norma che esse debbono essere contenute in un unico provvedimento, né che debbano essere rivestite della medesima forma9.

Va notato che in altri casi il codice prevede che il giudice disponga soltanto la cancellazione dalla causa dal ruolo, alla quale consegue come effetto automatico ex lege la estinzione del processo.

Così, per es., nel caso dell’art. 290 c.p.c. («Nel dichiarare la contumacia dell'attore a norma dell' art.

171 ultimo comma, il giudice istruttore, se il convenuto ne fa richiesta, ordina che sia proseguito il giudizio e dà le disposizioni previste nell' art. 187, altrimenti dispone che la causa sia cancellata dal ruolo, e il processo si estingue»), o nel caso dell’art. 291, terzo comma, c.p.c. («Se l'ordine di rinnovazione della citazione di cui al primo comma non è eseguito, il giudice ordina la cancellazione della causa dal ruolo e il processo si estingue a norma dell' art. 307, comma terzo»).

Tuttavia, pur in tali casi, in cui la norma non prevede espressamente che all’ordine di cancellazione della causa faccia seguito una pronuncia dichiarativa dell’estinzione del processo, sembra plausibile ritenere che, nondimeno, debba, ordinata la cancellazione, altresì dichiararsi, d’ufficio, l’estinzione del processo, ai sensi dell’art. 307, quarto comma, c.p.c., come riformulato nel 2009 («L'estinzione opera di diritto ed è dichiarata, anche d'ufficio, con ordinanza del giudice istruttore ovvero con sentenza del collegio»).

febbraio 1955, n. 77, e mancata decisione sulle medesime istanze); opposizione ai provvedimenti in materia di riabilitazione del debitore protestato (diniego di riabilitazione di cui all'art. 17, comma 3, della legge 7 marzo 1996, n. 108, ovvero decreto di riabilitazione ai sensi del comma 4 del medesimo articolo).

7 Cass. 9-3-2009, n. 5643; Cass.-s.u. 25-5-1993, n. 5839.

8 Cfr.: per l’opposizione all’esecuzione, Cass. 22-6-2007, n. 14592 («[…] un processo di cognizione ordinario, quale è quello di opposizione all'esecuzione secondo il combinato disposto degli artt. 615 e 616 c.p.c. […]»);

per l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 616 c.p.c., Cass. 27-10-2011, n. 22451 («la proposizione di un'opposizione agli atti esecutivi apre un procedimento che deve essere necessariamente svolto in forma contenziosa e deve altresì concludersi con sentenza»).

9 Nell’ordinamento processuale si rinvengono altri casi di pronunce contestuali che debbono essere date – all’esito del medesimo procedimento – con provvedimenti distinti e aventi forma diversa: v., per es., artt. 162, 173, 179, 180 l. fall., i quali prevedono la contestuale pronuncia di un «decreto» (di reiezione della domanda di concordato preventivo) e di una «sentenza» (dichiarativa del fallimento). Nello stesso processo ordinario di cognizione l’art. 279 c.p.c. prevede la possibilità che sia pronunciata una «sentenza» non definitiva (con cui sono decise «questioni» di rito o di merito, senza definire il giudizio), accompagnata da una «separata ordinanza» («per l'ulteriore istruzione della causa»).

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4. Anteriormente alla modifica del 2008, l’art. 181 c.p.c. stabiliva che «se nessuna delle parti comparisce alla nuova udienza, il giudice, con ordinanza non impugnabile, dispone la cancellazione della causa dal ruolo». Non era, dunque, prevista l’estinzione immediata del processo: il giudice doveva limitarsi a ordinare la cancellazione; ciascuna parte poteva, poi, riassumere la causa nel termine perentorio di un anno; in mancanza di riassunzione tempestiva, si verificava l’estinzione del processo, ai sensi dell’art. 307, primo comma, c.p.c. Pertanto, con la cancellazione il processo non veniva subito definito, ma rimaneva pendente, sia pure in stato di quiescenza, nell’attesa della riassunzione ad iniziativa di una delle parti ovvero della estinzione, decorso il termine di un anno.

La norma stabiliva, altresì, espressamente la forma del provvedimento di cancellazione: «ordinanza non impugnabile», in ogni caso (sia nei processi a decisione monocratica che nei processi a decisione collegiale, sia che dovesse provvedere il giudice istruttore, sia che dovesse provvedere il collegio). La forma dell’ordinanza era del tutto coerente con la funzione del provvedimento, che non poneva termine al processo e disponeva soltanto circa il suo svolgimento (provvedimento meramente ordinatorio, non decisorio). La non impugnabilità dell’ordinanza non poneva problemi di tutela delle parti, appunto perché essa non chiudeva il processo: attraverso la riassunzione ciascuna parte poteva riattivare il processo e farlo giungere così alla decisione di merito, senza subire alcun pregiudizio per eventuali errori in cui fosse incorso il giudice nell’ordinare la cancellazione.

5. Nella formulazione attuale dell’art. 181 c.p.c. l’espressa previsione della dichiarazione di estinzione del processo, come pronuncia immediatamente conseguente all’ordine di cancellazione dalla causa dal ruolo, comporta che non è più possibile la riassunzione del processo ai sensi dell’art.

307, primo comma, c.p.c.: la doppia diserzione delle parti provoca la immediata chiusura del processo, senza passare attraverso alcuna fase di quiescenza. Non è più espressamente prevista la forma con cui va ordinata la cancellazione; né è prevista espressamente la forma della pronuncia di estinzione del processo.

Quanto alla cancellazione, non è dubbio che – pur nella nuova formulazione della norma – essa debba essere ancora disposta con ordinanza, in quanto provvedimento meramente ordinatorio, che di per sé non pone fine al processo.

Quanto alla dichiarazione di estinzione, poiché il nuovo art. 181 c.p.c. nulla dice circa la forma del provvedimento, si pone il problema se essa debba essere pronunciata con ordinanza ovvero con sentenza10.

10 MANDRIOLI-CARRATTA, Come cambia il processo civile, Torino, 2009, 44-45, affermano che «il testo integrato di questo primo comma aggiunge che, con la stessa ordinanza, il giudice dichiara l’estinzione del processo»; e che «poiché l’intervento legislativo ha lasciato immutato il disposto che il provvedimento del giudice, ancorché includente la dichiarazione di estinzione del processo, consiste in un’ordinanza non impugnabile, se ne deve desumere che avverso tale provvedimento non è ammesso neppure il reclamo nei modi di cui all’art. 178, commi 3°, 4° e 5° , reclamo che l’art. 308 c.p.c. prevede nei confronti dell’ordinanza che dichiara l’estinzione del processo». Tali affermazioni sono, palesemente, erronee, sotto più profili. A) Nel testo vigente dell’art. 181, primo comma, c.p.c. non si trova alcuna traccia dell’«ordinanza non impugnabile»

che figurava nel testo precedente. B) Non è vero che il giudice dichiara l’estinzione del processo «con la stessa ordinanza»: la nuova disposizione dice che il giudice emette due pronunce (l’ordine di cancellazione dalla causa dal ruolo «e» la dichiarazione di estinzione del processo), ma non dice che devono essere contenute nello stesso provvedimento, né dice che tale provvedimento è un’ordinanza. C) La eliminazione dal testo normativo delle parole «con ordinanza non impugnabile» non è casuale, né imputabile ad una svista del legislatore, ma è conseguenza di ciò, che la (nuova) prescrizione dell’immediata dichiarazione di estinzione impedisce la riassunzione della causa ex art. 307 c.p.c.: la non impugnabilità dell’ordinanza con cui si ordina la cancellazione della causa si giustificava, nella previgente disciplina, proprio perché il processo poteva proseguire con la riassunzione, sicché un eventuale errore nel disporre la cancellazione non poteva procurare pregiudizio ad alcuna delle parti. D) Avendo la nuova disposizione prescritto l’immediata dichiarazione di estinzione come conseguenza della cancellazione della causa dal ruolo, si pone

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6. L’art. 131, primo comma, c.p.c. pone il principio generale per il quale «la legge prescrive in quali casi il giudice pronuncia sentenza, ordinanza o decreto». Il principio generale, dunque, non è quello della libertà di forma, essendo il giudice vincolato alla forma prescritta di volta in volta dalla norma di legge da applicare. Ciò ben si spiega, giacché alla «forma» del provvedimento è collegato il regime da cui esso è retto, quanto a effetti, stabilità e impugnative. Come la C. S. ha avuto occasione di osservare, «nella logica di tutto il nostro sistema processuale i nomi attribuiti ai provvedimenti presi dal giudice non servono soltanto a far sì che essi rivestano una determinata forma esteriore, ma ad indicare, con una sola parola, un’intera disciplina diversa, che si estende a regolare i loro effetti e il loro modo di impugnazione in correlazione con la loro diversa intrinseca natura»; sicché il sistema creato dal legislatore «correla funzionalmente l’uso di determinati nomi a determinati concetti e a determinate discipline». Nel nostro sistema, vige, dunque, il «principio secondo cui ad un determinato nomen iuris deve seguire la disciplina relativa»11. Così, per es., solo le «sentenze», non anche le «ordinanze», possono essere impugnate con l’appello (artt. 279, quarto comma, 323 e 339 c.p.c.)12.

E’ solo quando manchi del tutto la prescrizione di una determinata forma che la scelta della forma del provvedimento è rimessa al giudice, con il limite, però, che la forma da adottare sia «idonea al raggiungimento dello scopo» del provvedimento, ossia alla funzione che esso deve assolvere (art.

131, secondo comma, c.p.c.: «In mancanza di tali prescrizioni, i provvedimenti sono dati in qualsiasi forma idonea al raggiungimento del loro scopo»).

7. Ciò posto, occorre fare una prima distinzione, nell’ambito del processo di cognizione di primo grado (svolgentesi col rito ordinario), a seconda che la causa debba essere decisa dal tribunale in

composizione collegiale (art. 50-bis c.p.c.) ovvero in composizione monocratica (art. 50-ter c.p.c.).

Com’è noto, la disciplina del processo ordinario di cognizione di primo grado è formulata con riferimento al procedimento davanti al tribunale in composizione collegiale, giacché originariamente (prima della riforma del 199013) il tribunale era per antonomasia organo collegiale:

l’esigenza di un controllo del provvedimento dichiarativo dell’estinzione, poiché esso pone fine al processo e non si può escludere che il giudice incorra in errore sull’esistenza dei presupposti di legge per provvedere in tal senso (es.: mancata comunicazione della fissazione della nuova udienza). Perciò, non è ammissibile (e, infatti, non è previsto dalla norma) che l’estinzione del processo sia dichiarata con «ordinanza non impugnabile». In ogni altro caso di estinzione del processo, il provvedimento che la dichiara è suscettibile di controllo mediante un’impugnazione. Non vi è alcuna ragione per la quale nel caso de quo il provvedimento debba essere esente da ogni controllo. E) Se un’impugnazione deve esserci, allora non è vero che

«avverso tale provvedimento non è ammesso neppure il reclamo nei modi di cui all’art. 178»: se il provvedimento che dichiara l’estinzione è emesso dal giudice istruttore nel procedimento davanti al tribunale in composizione collegiale, esso ha la forma dell’ordinanza ed è impugnabile con il reclamo al collegio ex artt.

178-308 c.p.c., che è previsto per tutti i casi in cui, in detto procedimento collegiale, il giudice istruttore dichiara l’estinzione del processo. F) Ma nel procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, mancando il collegio, tale reclamo non è esperibile; ragion per cui il provvedimento dichiarativo dell’estinzione emesso in questo procedimento dal giudice unico non può mai essere un’ordinanza, atteso che essa non sarebbe impugnabile: escluso il reclamo, contro di essa non sarebbe ammissibile nemmeno l’appello, che è dato contro le «sentenze» (artt. 323 e 339 c.p.c.), in mancanza di una espressa disposizione di legge che preveda l’appellabilità della supposta ordinanza.

11 Così, in motivazione, Cass. 13-10-1986, n. 5980, Giust. civ., 1987, I, 582; Dir. fam., 1987, I, 102.

12 Solo in casi eccezionali, espressamente previsti da norme di legge e insuscettibili di analogia (art. 14 preleggi), è proponible l’appello avverso provvedimenti in forma di ordinanza: v., per es., art. 186-quater, commi terzo e quarto, c.p.c. (“ordinanza post-istruttoria”); art. 702-quater c.p.c. (ordinanza definitiva del procedimento sommario di cognizione).

13 Legge 26-11-1990, n. 353, il cui art. 88, sostituendo l’art. 48 dell’ordinamento giudiziario, stabilì che «fuori dei casi riservati dal secondo comma alla decisione collegiale, nelle materie civili il tribunale decide in persona del giudice istruttore o del giudice dell’esecuzione in funzione di giudice unico con tutti i poteri del

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tale disciplina si basa sulla ripartizione di poteri fra collegio e giudice istruttore (che è membro del collegio), spettando al primo il potere di decidere la causa, al secondo il potere di istruire, ossia di raccogliere gli elementi per poter decidere la causa. A questa ripartizione di poteri corrisponde un’articolazione del procedimento in fasi distinte: a) la fase introduttiva (o preparatoria) e b) la fase istruttoria, affidate entrambe al giudice istruttore; c) la fase decisoria, governata dal collegio. Il passaggio dalla fase istruttoria (o, come pure è possibile, ove non vi sia istruttoria da espletare, direttamente dalla fase introduttiva) alla fase decisoria è ben marcato e segnato dall’invito a precisare le conclusioni che il giudice istruttore rivolge alle parti (art. 189 c.p.c.), solitamente fissando all’uopo un’apposita udienza di precisazione delle conclusioni (ma tale udienza non è strettamente necessaria, giacché la rimessione al collegio può essere fatta anche nella prima udienza di comparizione delle parti: artt. 187 c.p.c. e 80-bis disp. att. c.p.c.); una volta precisate le conclusioni, il giudice istruttore si spoglia della causa, che da quel momento pende davanti al collegio.

7.1. Nel procedimento (di rito ordinario) in cui il tribunale giudica in composizione collegiale (art.

50-bis c.p.c.), il provvedimento con cui si dichiara l’estinzione del processo (quale che ne sia la causa) è sempre l’ordinanza, se è emesso dal giudice istruttore; è sempre la sentenza, se è adottato dal collegio. Ciò risulta da espresse disposizioni di legge, le quali sono: a) l’art. 176, primo comma, c.p.c. («Tutti i provvedimenti del giudice istruttore, salvo che la legge disponga altrimenti, hanno la forma dell'ordinanza»); b) l’art. 178, secondo comma, c.p.c. («L'ordinanza del giudice istruttore, che non operi in funzione di giudice unico, quando dichiara l'estinzione del processo è impugnabile dalle parti con reclamo immediato al collegio»); c) l’art. 279, primo comma, c.p.c. («Il collegio pronuncia ordinanza quando provvede soltanto su questioni relative all'istruzione della causa, senza definire il giudizio, nonché quando decide soltanto questioni di competenza»); d) l’art. 279, secondo comma, c.p.c. («Il collegio pronuncia sentenza: 2) quando definisce il giudizio, decidendo questioni pregiudiziali attinenti al processo o questioni preliminari di merito»); e) l’art. 307, quarto comma, c.p.c. («L'estinzione opera di diritto ed è dichiarata, anche d'ufficio, con ordinanza del giudice istruttore ovvero con sentenza del collegio»); f) l’art. 308 c.p.c., commi primo («L'ordinanza che dichiara l'estinzione è comunicata a cura del cancelliere se è pronunciata fuori della udienza. Contro di essa è ammesso reclamo nei modi di cui all' art. 178, commi terzo, quarto e quinto») e secondo («Il collegio provvede in camera di consiglio con sentenza, se respinge il reclamo, e con ordinanza non impugnabile, se l'accoglie»).

Tali disposizioni sono formulate – giova ribadirlo – con riferimento al procedimento collegiale, come risulta dal loro tenore letterale e dalla sistematica del codice di rito, il quale (come si è già notato) disciplina tutto il processo di cognizione di primo grado avendo riguardo al procedimento davanti al tribunale in composizione collegiale e detta solo poche specifiche disposizioni per il procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica (artt. da 281-ter a 281-sexies c.p.c.), al quale poi estende le disposizioni del procedimento collegiale «in quanto applicabili» (art.

281-bis c.p.c.).

Va, altresì, evidenziato che le disposizioni sopra richiamate vanno applicate ad ogni ipotesi di estinzione del processo, non distinguendo esse fra le varie ipotesi, e, quindi, anche alla estinzione conseguente alla cancellazione per mancata comparizione delle parti di cui agli artt. 181 e 309 c.p.c., fattispecie per la quale non sono dettate specifiche disposizioni (limitandosi, come si è visto, l’art. 181, primo comma, c.p.c. a dire che «il giudice […] dichiara l'estinzione del processo»).

collegio» (così il terzo comma dell’art. 48). Col d.lgs. 19-2-1998, n. 51, l’art. 48 cit. è stato ulteriormente modificato ed è stata introdotta nel c.p.c. la sezione VI-bis (Della composizione del tribunale) del titolo I, libro I, il cui art. 50-ter così recita: «Fuori dei casi previsti dall’art. 50-bis il tribunale giudica in composizione monocratica».

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A conferma di ciò va rilevato che: a) l’art. 178 c.p.c. (cui si coordina l’art. 308 c.p.c.) prevede in generale l’ordinanza con cui il giudice istruttore dichiara l’estinzione del processo, senza fare alcun riferimento a specifiche fattispecie estintive; b) l’art. 307 c.p.c. prevede varie ipotesi di estinzione per «inattività delle parti» e la mancata comparizione in udienza altro non è che un caso di

«inattività delle parti» (ossia un mero comportamento omissivo delle parti)14; c) l’art. 279, secondo comma, n. 2, c.p.c. prevede che il giudice pronuncia sentenza «quando definisce il giudizio, decidendo questioni pregiudiziali attinenti al processo», e ogni ipotesi di estinzione integra, per l’appunto, una «questione pregiudiziale attinente al processo», la quale comporta la definizione (ossia la chiusura) del processo15.

7.2. Nel procedimento (di rito ordinario) davanti al tribunale in composizione collegiale, la diversità di forma, quella dell’ordinanza, per il caso che l’estinzione sia dichiarata dal giudice istruttore, e quella della sentenza, per il caso che l’estinzione sia dichiarata dal collegio (a seconda che la causa estintiva del processo si verifichi e sia rilevata nelle fasi in cui il processo pende davanti al giudice istruttore oppure si verifichi e/o sia rilevata nella fase in cui il processo pende davanti al collegio), ben si spiega ed è del tutto coerente con il sistema.

Quando provvede il giudice istruttore, la tutela delle parti è assicurata dal reclamo ex art. 178 c.p.c.

(e passa necessariamente attraverso questo rimedio): l’ordinanza del giudice istruttore (che appunto perché «ordinanza» non è appellabile) è impugnabile (solo) con il reclamo al collegio (art. 178 c.p.c.); il collegio, a sua volta, provvede con ordinanza, se accoglie il reclamo, con sentenza, se invece lo rigetta (art. 308, secondo comma, c.p.c.). Infatti, se il reclamo è accolto (e quindi è revocata la dichiarazione di estinzione), il processo prosegue davanti al tribunale; se il reclamo è respinto (e quindi è confermata la dichiarazione di estinzione), il processo si chiude davanti al tribunale; ma contro la sentenza (del collegio) potrà poi essere proposto appello (artt. 323 e 339 c.p.c.); ove l’appello sia accolto, alla riforma della sentenza di primo grado (che abbia confermato la dichiarazione di estinzione) consegue la rimessione della causa al primo giudice (art. 354, secondo comma, c.p.c.) e, quindi, la prosecuzione del processo in primo grado. Naturalmente, se la parte interessata non si avvale del rimedio del reclamo, non vi è più alcun problema di tutela:

scaduto il termine perentorio (di dieci giorni) per proporlo (art. 178, terzo comma, c.p.c.), l’ordinanza (dichiarativa dell’estinzione) si consolida e non può più essere revocata, con il che il processo si chiude definitivamente davanti al tribunale.

Quando è il collegio a dichiarare l’estinzione (il che si verifica evidentemente quando la causa gli è già stata rimessa dal giudice istruttore e, quindi, nella fase decisoria, successiva all’udienza di precisazione delle conclusioni: art. 189 c.p.c.), la sentenza, da esso pronunciata (art. 307, quarto comma, c.p.c.), chiude il processo davanti al tribunale e contro di essa non c’è altro rimedio che l’appello (immediato); ma, in tal caso, ove il gravame sia accolto, il giudice di appello non può rimettere la causa al giudice di primo grado, dovendo, invece, pronunciare nel merito (art. 354, commi primo e secondo, c.p.c.).

La diversità di regime (rimessione al primo giudice ovvero decisione nel merito del giudice di appello) è collegata, appunto, alla diversità di fase (del processo di primo grado) in cui è pronunciata la sentenza appellata: la sentenza emessa (dal collegio) sul reclamo avverso l’ordinanza di estinzione (del giudice istruttore) ex artt. 178 e 308 c.p.c. è pronunciata nel corso della fase istruttoria (prima che la causa sia rimessa dal giudice istruttore al collegio ex art. 189 c.p.c.); la

14 Infatti, la C. S. parla di «disciplina dell'inattività delle parti dettata dal codice di procedura civile» facendo riferimento proprio agli artt. 181 e 309 c.p.c. (Cass. 9-3-2009, n. 5643; Cass.-s.u. 25-5-1993, n. 5839).

15 In tal senso: Cass. 11-11-2010, n. 22917; Cass. 3-7-2008, n. 18242. Conf. PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, 3^ ed., Napoli, 1999, 211: «Quale che sia il motivo che ne è alla base (rinuncia agli atti del giudizio, inattività semplice, inattività qualificata), l’estinzione sul piano tecnico è una questione pregiudiziale di rito idonea a definire il giudizio».

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sentenza con cui il collegio dichiara l’estinzione del processo ex art. 307 c.p.c. è pronunciata nel corso della fase decisoria (dopo che la causa sia stata rimessa al collegio per la decisione).

Infatti, è da notare che la sentenza con cui il collegio, provvedendo sul reclamo ex art. 178 c.p.c., conferma la dichiarazione di estinzione del processo (resa dal giudice istruttore con ordinanza), è pronunciata «in camera di consiglio» (art. 308, secondo comma, c.p.c.), senza essere preceduta dalla precisazione delle conclusioni e dallo scambio di comparse conclusionali e repliche, ma dopo la semplice comunicazione di memoria e di replica o di memoria di risposta, ai sensi dell’art. 178, quinto comma, c.p.c.; invece, la sentenza con cui il collegio dichiara l’estinzione del processo ex art. 307 c.p.c. è pronunciata dopo la precisazione delle conclusioni e all’esito dello scambio di comparse conclusionali e repliche (art. 190 c.p.c.): essa non si distingue da ogni altra sentenza con cui il collegio «definisce il giudizio, decidendo questioni pregiudiziali attinenti al processo o questioni preliminari di merito» (art. 279, secondo comma, n. 2, c.p.c.), giacché l’estinzione del processo è, per l’appunto, una «questione pregiudiziale attinente al processo».

7.3. A completare il quadro va ulteriormente osservato che, proprio per essere l’estinzione del processo una «questione pregiudiziale attinente al processo», la cui decisione può definire il giudizio, il giudice istruttore, nel rilevare, su eccezione di parte o d’ufficio, tale questione, ben potrebbe provvedere ai sensi dell’art. 187, terzo comma, c.p.c., e cioè rimettere le parti al collegio per la decisione (art. 187, secondo comma, c.p.c.), invitando le stesse parti a precisare le conclusioni davanti a lui (art. 189, primo comma, c.p.c.), e così investendo il collegio di tutta la causa (art. 189, secondo comma, c.p.c.); il che potrebbe egli fare in qualunque momento della fase introduttiva e istruttoria, anche nell’udienza di prima comparizione (art. 80-bis disp. att. c.p.c.). In altri termini, il giudice istruttore ha l’alternativa fra la pronuncia dell’ordinanza dichiarativa dell’estinzione, ai sensi degli artt. 178, secondo comma, e 308, primo comma, c.p.c., e la rimessione al collegio della decisione sulla questione dell’estinzione del processo, nel qual caso, il collegio, ove ritenga di dichiarare estinto il processo, pronuncia sentenza ai sensi degli artt. 279, secondo comma, e 307, quarto comma, c.p.c. (e non già 308, secondo comma, c.p.c.). E’ da ritenere che il giudice istruttore debba optare per la rimessione al collegio, laddove insorga contrasto fra le parti in ordine all’avvenuta estinzione del processo16, salvo che «la questione sia di pronta e facile soluzione»17; per la (immediata) pronuncia con ordinanza, invece, laddove contrasto non vi sia, e dunque anche quando all’udienza sia comparsa una sola parte. L’alternativa non si può porre, allora, quando nessuna delle parti sia comparsa all’udienza e si debba provvedere ai sensi dell’art. 181 c.p.c.

16 Cfr. Cass. 27-6-2005, n. 13736, secondo cui «il principio fissato dall'art. 310, ultimo comma, cod. proc. civ.

(secondo cui le spese del processo sono a carico delle parti che le hanno anticipate) non trova applicazione quando insorga controversia in ordine alla estinzione del processo stesso e tale controversia venga decisa con sentenza; in quest'ultima ipotesi riprendono vigore i principi posti dagli articoli 91 e 92 cod. proc. civ., e, quindi, innanzitutto il criterio della soccombenza, limitatamente, però, alle spese causate dalla trattazione della questione relativa alla estinzione, non potendo detti principi estendersi anche alle spese della fase processuale precedente al verificarsi della estinzione, rispetto alla quale non può configurarsi la soccombenza». In senso conf.: Cass. 26-1-2006, n. 1513, secondo cui, in tal caso, «la soccombenza costituisce un'applicazione del principio di causalità, che pone le spese a carico della parte che, col comportamento tenuto fuori del processo, ovvero col darvi inizio o resistervi in forme e con argomenti non rispondenti al diritto, ha dato causa al processo stesso e al suo protrarsi»; Cass. 14-10-1993, n. 10173; Cass.

16-6-1988, n. 4097, Arch. civ., 1988, 1173; Cass. 5-5-1975, n. 1718; Cass. 20-11-1970, n. 2454; Cass. 18-5- 1967, n. 1065.

17 Così Cass. 5-6-1976, n. 2042, secondo la cui massima «la disciplina della declaratoria di estinzione del processo mediante ordinanza dell'istruttore (artt. 307 e 308 c.p.c.) non esclude che, quando insorga controversia fra le parti, e la questione non sia di pronta e facile soluzione, il giudice istruttore possa rimettere al collegio la relativa decisione».

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7.4. In ogni caso, la sentenza del collegio (sia quella resa su reclamo ex artt. 178 e 308 c.p.c., sia quella resa ex artt. 279 e 307 c.p.c.) è una sentenza definitiva (perché chiude il processo davanti al giudice che la emette: il tribunale) e di mero rito, non di merito (perché pronuncia solo sul rapporto processuale, non anche sul rapporto sostanziale dedotto in giudizio). Ed è comunque un provvedimento “decisorio”, poiché decide sulla domanda giudiziale, negando (per ragioni processuali, perciò “in rito”) la tutela giurisdizionale chiesta dalla parte. Coerentemente, per siffatto provvedimento la legge prescrive la forma della «sentenza», che è la forma tipica del provvedimento decisorio del processo di cognizione ordinario (art. 279 c.p.c.), forma corrispondente alla “funzione” (dunque, congruente con la “sostanza”) del provvedimento, ed alla quale si coordina il sistema delle impugnazioni (art. 323 c.p.c.).

Peraltro, va pure osservato che, a seguito della riforma del 1990, che ha abolito, in via generale, l’udienza di discussione dinanzi al collegio, la eventualità che si verifichi una doppia mancata comparizione delle parti dinanzi al collegio, con la conseguenza che il collegio stesso debba disporre la cancellazione della causa dal ruolo e dichiarare l’estinzione del processo ex artt. 181 e 309 c.p.c., può aversi, oggi, solo nel caso in cui sia chiesta la fissazione dell’udienza di discussione dinanzi al collegio ex art. 275, secondo comma, c.p.c. (udienza che si tiene dopo la precisazione delle conclusioni e lo scambio di comparse conclusionali e repliche), nel qual caso la doppia diserzione di tale udienza non può che dar luogo alla pronuncia dei provvedimenti di cui agli artt.

181 e 309 c.p.c. da parte del collegio.

8. Nel procedimento (di rito ordinario) davanti al tribunale in composizione monocratica (art. 50-ter c.p.c.), il giudice (unico) designato cumula le funzioni del giudice istruttore e quelle del collegio.

Infatti, ai sensi dell’art. 281-quater c.p.c., «le cause nelle quali il tribunale giudica in composizione monocratica sono decise, con tutti i poteri del collegio, dal giudice designato a norma dell'articolo 168-bis o dell' articolo 484, secondo comma»18.

Anche in tale procedimento, però, vi è una netta distinzione tra la fase preparatoria/istruttoria (in cui il giudice unico esercita le funzioni di giudice istruttore) e la fase decisoria (in cui il giudice unico esercita i poteri del collegio): il passaggio fra l’una e l’altra è segnato dall’invito a precisare le conclusioni, che il giudice rivolge alle parti; il che può avvenire con la fissazione di un’apposita udienza di precisazione delle conclusioni (come avviene, di solito, nel procedimento collegiale), ovvero direttamente alla prima udienza o in un’udienza successiva, ogni qual volta il giudice ritenga la causa matura per la decisione; alla precisazione delle conclusioni, poi, può far seguito lo scambio di comparse e repliche (art. 281-quinquies, primo comma, c.p.c.: “trattazione scritta”), o lo scambio delle sole comparse seguito da un’udienza di discussione orale (art. 281-quinquies, secondo comma, c.p.c.: “trattazione mista”), oppure ancora (senza alcuno scritto difensivo) direttamente la discussione orale nella stessa udienza o in un’udienza successiva (art. 281-sexies c.p.c.: “trattazione orale”).

Ciò posto, anche nel procedimento monocratico una doppia mancata comparizione delle parti in udienza può verificarsi sia in fase preparatoria/istruttoria sia in fase decisoria: la prima ipotesi si ha quando tutte le parti non compaiano a due udienze successive, prima che siano state (da almeno una delle parti) precisate le conclusioni; la seconda ipotesi si ha quando tutte le parti non compaiano a due udienze successive, dopo che siano state (da almeno una delle parti) precisate le conclusioni, ossia quando la doppia diserzione si verifichi all’udienza di discussione fissata ai sensi dell’art. 281- quinquies, secondo comma, c.p.c. (“trattazione mista”), oppure ai sensi dell’art. 281-sexies c.p.c.

(“trattazione orale”: quando la discussione sia rinviata ad un’apposita udienza successiva alla

18 Cfr. Cass. 27-10-2011, n. 22451 (nella cui motivazione si afferma che al giudice monocratico di primo grado «la legge conferisce il potere di emettere provvedimenti definitivi di chiusura del processo contenzioso»).

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precisazione delle conclusioni). Non può, allora, aversi doppia diserzione in fase decisoria quando non sia fissata un’apposita udienza di discussione (vale a dire: in caso di trattazione scritta, quando è disposto lo scambio di comparse conclusionali e repliche ex art. 281-quinquies, primo comma, c.p.c.; oppure in caso di trattazione orale, quando, precisate le conclusioni, viene rdinata la discusione orale nella stessa udienza ex art. 281-sexies c.p.c.). E così, in particolare, ove la parti non compaiano alla prima udienza, né a quella successiva, fissata ex art. 181, primo comma, c.p.c., la doppia diserzione non può mai considerarsi avvenuta in fase decisioria, giacché le parti, se non compaiono all’udienza, non possono precisare le conclusioni, né essere invitate a farlo.

8.1. Per il procedimento monocratico (di rito ordinario) il codice di rito non detta specifiche disposizioni circa l’estinzione del processo.

L’art. 281-bis c.p.c. stabilisce che «nel procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni dei capi precedenti, ove non derogate dalle disposizioni del presente capo» (capo III-bis del titolo I – Del procedimento davanti al tribunale, del libro II).

Non v’è dubbio, perciò, che gli artt. 181 e 309 c.p.c. si applicano anche nel procedimento monocratico. Come non v’è dubbio che debbono osservarsi in esso «in quanto applicabili» le altre disposizioni concernenti l’estinzione del processo dettate per il procedimento davanti al tribunale in composizione collegiale.

Si è già rilevato per il procedimento collegiale e si deve ribadire ora per il procedimento monocratico che, riguardo alla dichiarazione di estinzione del processo conseguente alla cancellazione per mancata comparzione delle parti di cui agli artt. 181 e 309 c.p.c., il codice non detta specifiche disposizioni (limitandosi, come si è visto, l’art. 181, primo comma, c.p.c. a dire semplicemente che «il giudice […] dichiara l'estinzione del processo»). Pertanto, anche a tale fattispecie estintiva devono applicarsi le disposizioni dettate in generale per tutti i casi di estinzione del processo con riferimento al procedimento collegiale e, quindi, con i necessari adattamenti quanto al procedimento monocratico.

8.2. Orbene, riprendendo la distinzione tra fase decisoria e fase preparatoria/istruttoria e cominciando da quest’ultima, va osservato che, nel procedimento monocratico, mancando il collegio, non può trovare applicazione l’art. 178 c.p.c., laddove esso prevede la reclamabilità al collegio dell’ordinanza del giudice istruttore che dichiari l’estinzione del processo. Infatti, lo stesso art. 178, secondo comma, c.p.c. prevede espressamente che è impugnabile con il reclamo al collegio

«l’ordinanza del giudice istruttore che non operi in funzione di giudice unico», per cui a contrario non è impugnabile con il reclamo il provvedimento dichiarativo dell’estinzione emesso dal

«giudice istruttore che operi in funzione di giudice unico». D’altro canto, non è immaginabile che possa proporsi reclamo davanti allo stesso giudice unico che abbia emesso il provvedimento reclamato, giacché per principio generale le impugnazioni si propongono davanti a un giudice diverso (e, di regola, superiore) rispetto a quello che ha emesso il provvedimento impugnato, salvo che sia diversamente disposto (e qui non si rinvengono norme derogatorie): il controllo del provvedimento non può essere affidato allo stesso giudice che lo ha emanato.

Va segnalato che la tesi della inammissibilità del reclamo avverso il provvedimento dichiarativo dell’estinzione del processo emesso dal giudice unico (nel procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica) è condivisa unanimemente da tutta la dottrina processualcivilistica19.

19 SATTA-PUNZI, Diritto processuale civile, 13^ ed., Padova, 2000, 410: «Qualora la causa debba essere decisa dal tribunale in composizione monocratica, il giudice che ne è stato investito dichiarerà l’estinzione con sentenza, mentre provvederà con ordinanza (ovviamente non reclamabile) ove ritenga non verificatasi l’estinzione».

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La giurisprudenza di legittimità è orientata nel medesimo senso. Infatti, la C. S. ha affermato che nei procedimenti che si svolgono davanti al giudice unico di primo grado «non v'è spazio per una contrapposizione del giudice unico al collegio», di tal ché «l'art. 308, comma 1°, c.p.c., secondo il quale contro l'ordinanza che dichiara l'estinzione è ammesso il reclamo al collegio, non trova spazio nei procedimenti che si svolgono davanti al giudice unico di primo grado»20. Ed ancora che

«dall'art. 178, comma 2°, c.p.c. si trae che solo quando il giudice istruttore non opera come giudice monocratico l'ordinanza con cui è dichiarata l'estinzione del processo è soggetta a reclamo»; perciò e per converso, «quando il giudice istruttore opera come giudice monocratico, il provvedimento, con cui dichiara che il processo si è estinto, non è soggetto a reclamo»21.

Ciò posto, se si deve escludere che, nel procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, in fase preparatoria/istruttoria, il provvedimento, con cui il giudice unico dichiara l’estinzione del processo (quale che ne sia la causa), sia impugnabile con il reclamo ex artt. 178-308 c.p.c., tale provvedimento (dichiarativo dell’estinzione) non può avere la forma dell’ordinanza, poiché altrimenti esso, da un lato, non sarebbe impugnabile con il reclamo, e, dall’altro, non sarebbe impugnabile nemmeno con l’appello, atteso che le ordinanze non sono appellabili (artt. 279, quarto comma, 323 e 339 c.p.c.), salvo espresse disposizioni di legge che stabiliscano diversamente (e che nel caso non si rinvengono). Né, d’altro canto ancora, simile provvedimento sarebbe impugnabile con ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., dal momento che esso, in quanto contiene una decisione di mero rito (sul rapporto processuale e non sul rapporto sostanziale dedotto in giudizio), non è idoneo a produrre cosa giudicata sostanziale (art. 2909 c.c.)22.

SASSANI, Lineamenti del processo civile italiano, Milano, 2008, 424-425: «Struttura monocratica: nella forma dell’ordinanza sarà reso il solo rigetto dell’eccezione di estinzione in fase istruttoria. L’accoglimento dell’eccezione di estinzione assume invece sempre forma di sentenza: essendo importante che il provvedimento (che chiude il processo davanti al giudice) sia controllabile da un diverso giudice, e non essendo possibile il reclamo, occorre che l’estinzione sia dichiarata in un provvedimento impugnabile. La sentenza, che è appellabile per regola generale, si presta perfettamente allo scopo. Se però il giudice di fronte a cui è sollevata l’eccezione di estinzione la rigetta, la forma di tale rigetto resta quella dell’ordinanza (in tal caso il giudice non si spoglia del processo, che prosegue invece di fronte a lui). In tale caso l’ordinanza che rigetta l’eccezione di estinzione non è autonomamente impugnabile: se la parte interessata a far dichiarare l’estinzione vuole insistere, deve ripropore la propria eccezione in sede di precisazione dlele conclusioni. Se l’eccezione è sollevata ad istruttoria conclusa (cioè, in sede di precisazione delle conclusioni) la pronuncia del giudice istruttore che decide in veste di giudice monocratico, rivestirà sempre la forma di sentenza, sia che rigetti l’eccezione di estinzione decidendo il merito della causa, sia che l’accolga e declini quindi di decidere nel merito: in ambedue i casi la questione sarà riproponibile con l’appello».

Per ulteriori riferimenti v. Codice di procedura civile commentato, dir. da CONSOLO, IV ed., Milano, 2010, sub art. 178.

20 Cass. 22-6-2007, n. 14592.

21 Cass. 3-7-2008, n. 18242. In senso conf.: Cass. 11-11-2010, n. 22917; Cass.-s.u. 2-7-2010, n. 15688;

Cass. 2-4-2009, n. 8002; Cass. 23-9-2004, n. 19124; Cass. 25-2-2004, n. 3733.

22 Per consolidata giurisprudenza di legittimità «il ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost., è proponibile avverso provvedimenti giurisdizionali emessi in forma di ordinanza o di decreto solo quando essi siano definitivi e abbiano carattere decisorio, cioè siano in grado di incidere con efficacia di giudicato su situazioni soggettive di natura sostanziale» (così ex plurimis: Cass. 15-12-2008, n. 29338; Cass.

23-5-2006, n. 12115). Invece, «quando il provvedimento impugnato sia privo dei caratteri della decisorietà in senso sostanziale, il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost. non è ammissibile neppure se il ricorrente lamenti la lesione di situazioni aventi rilievo processuale, quali espressione del diritto di azione, atteso che la pronuncia sull'osservanza delle norme che regolano il processo, disciplinando i presupposti, i modi ed i tempi con i quali la domanda può essere portata all'esame del giudice, ha necessariamente la medesima natura dell'atto giurisdizionale cui il processo è preordinato, e non può pertanto avere autonoma valenza di provvedimento decisorio, se di tale carattere detto atto sia privo, stante la strumentalità della problematica processuale e la sua idoneità a costituire oggetto di dibattito soltanto nella sede, e nei limiti, in cui sia aperta o possa essere riaperta la discussione nel merito» (Cass.-s.u. 3-3-2003, n. 3073; conf.: Cass.- s.u. 15-7-2003, n. 11026; Cass. 14-5-2010, n. 11756). Da ultimo cfr. Cass. 15-4-2011, n. 8768 («Perché il decreto del tribunale fallimentare reso in sede di reclamo avverso il provvedimento del giudice delegato di

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Ma non è concepibile che un provvedimento che determina la chiusura del processo non sia suscettibile di alcuna impugnazione per rimediare ad eventuali errori del giudice: è ipotizzabile, per es., che il processo sia dichiarato estinto, benché la fissazione della nuova udienza (dopo la prima mancata comparizione delle parti) non sia stata comunicata alle parti.

Si deve, allora, concludere che la forma appropriata che il provvedimento in questione deve assumere non è quella della ordinanza, ma quella della sentenza: invero, è la sentenza l’unica forma

«idonea al raggiungimento dello scopo» del provvedimento (art. 131, secondo comma, c.p.c.), giacché esso definisce il processo (davanti al giudice che lo emette) con una decisione in rito, che deve essere suscettibile di impugnazione, la quale non può essere altra che l’appello, mezzo generale di impugnazione delle «sentenze» (artt. 323 e 339 c.pc.)23.

Più precisamente, in fase preparatoria/istruttoria, il giudice monocratico deve dichiarare l’estinzione del processo (quale che ne sia la causa) con quella stessa sentenza che – nel procedimento dinanzi al tribunale in composizione collegiale – pronuncerebbe il collegio sul reclamo avverso l’ordinanza del giudice istruttore dichiarativa dell’estinzione, ossia con la sentenza «in camera di consiglio» ex art. 308, secondo comma, c.p.c., non preceduta, perciò, da precisazione delle conclusioni, né da scambio di comparse conclusionali e memorie di replica ex art. 190 c.p.c. Tale sentenza deve essere pronunciata d’ufficio, senza alcuna sollecitazione di parte, essendo questa la regola generale ora vigente per la dicharazione di estinzione (art. 307, quarto comma, c.p.c.), e, non essendo pronunciata su reclamo di parte, nemmeno deve essere preceduta da comunicazioni di memorie e repliche ex art. 178, quinto comma, c.p.c.

Conferma di ciò si trae dall’art. 130 disp. att. c.p.c., ai sensi del quale «nel giudizio d'appello contro la sentenza che ha dichiarato l'estinzione del processo a norma dell'articolo 308 del codice o che ha provveduto sul reclamo previsto nell' articolo 630 del codice stesso, il collegio, quando è necessario, autorizza le parti a presentare memorie, fissando i rispettivi termini, e provvede in camera di consiglio con sentenza». E’ evidente che tale «sentenza» è sia quella emessa dal collegio respingendo il reclamo contro l’ordinanza del giudice istruttore (così confermando la dichiarazione di estinzione del processo), sia quella emessa dal giudice monocratico per dichiarare l’estinzione del processo, giacché non può esserci diversità di tutela a seconda che la pronuncia sia emessa nel procedimento davanti al tribunale in composizione collegiale oppure nel procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica.

Nell’uno come nell’altro caso, il giudice di appello, ove riformi la sentenza, deve rimettere la causa al primo giudice (art. 354, secondo comma, c.p.c.: «Il giudice d'appello rimette la causa al primo giudice anche nel caso di riforma della sentenza che ha pronunciato sull'estinzione del processo a norma e nelle forme dell' art. 308»).

In senso conforme è l’insegnamento della C. S., la quale ha affermato: «Il provvedimento emanato dal tribunale in composizione monocratica, che dichiara l'estinzione del processo, è assimilabile (quale ne sia la forma) alla sentenza del tribunale che in composizione collegiale ai sensi dell'art.

308, 2° comma, c.p.c. respinge il reclamo contro l'ordinanza di estinzione del giudice istruttore»24.

autorizzazione alla vendita abbia carattere decisorio e sia suscettibile di ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., occorre che esso provveda su contestazioni in ordine alla legittimità di provvedimenti del giudice delegato incidenti su diritti soggettivi di natura sostanziale (nella specie, attinenti all'accertamento di proprietà ostative alla vendita), e non meramente processuale, connessi alla regolarità procedurale della liquidazione dell'attivo»).

23 Ai sensi dell’art. 279, quarto comma, c.p.c., i provvedimenti del collegio che hanno forma di ordinanza, comunque motivati, «non sono soggetti ai mezzi di impugnazione previsti per le sentenze». Lo stesso è a dirsi per gli omologhi provvedimenti del giudice monocratico, adottati con i poteri del collegio (art. 281- quater c.p.c.).

24 Cass. 25-2-2004, n. 3733.

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Ed ancora: «L'estinzione di un processo di cognizione ordinario, quale è quello di opposizione all'esecuzione secondo il combinato disposto degli artt. 615 e 616 c.p.c., per quanto interessa in questa sede, è regolata dalle disposizioni contenute nell'art. 307 c.p.c., comma 4°, e negli artt. 308 e 309 c.p.c. Queste norme debbono essere lette collegandole all'art. 178 c.p.c., comma 2°, il quale dispone che l'ordinanza del giudice istruttore, che non operi in funzione di giudice unico, quando dichiara l'estinzione del processo, è impugnabile dalle parti con reclamo immediato al collegio. Il combinato disposto delle norme ora indicate non indica espressamente la forma (e, quindi, il regime) del provvedimento di estinzione del processo di cognizione adottato dal giudice unico;

nondimeno, nel sistema anteriore alla istituzione del giudice unico di primo grado, avutasi con il d.lgs. 19 febbraio 1998, n. 5125, la dottrina prevalente26 e la giurisprudenza di questa Corte ritenevano che la estinzione del processo di cognizione doveva essere dichiarata dal giudice monocratico con la forma della sentenza27 e, se adottato con sentenza, era soggetto al regime ordinario delle impugnazioni. Queste regole valgono anche quando l'estinzione del processo è dichiarata dal giudice unico di primo grado, poiché nei procedimenti che si svolgono davanti a detto giudice non v'è spazio per una contrapposizione del giudice unico al collegio. Se ne ricava che l'art.

308 citato, comma 1°, secondo il quale contro l'ordinanza che dichiara l'estinzione è ammesso il reclamo al collegio, non trova spazio nei procedimenti che si svolgono davanti al giudice unico di primo grado. In altri termini, in questi procedimenti l'estinzione del processo deve essere dichiarata con sentenza28, la quale è soggetta ai mezzi di impugnazione ordinari propri delle sentenze»29.

25 In realtà, già da prima, con la riforma di cui alla legge n. 353/1990, che introdusse la regola generale della decisione del giudice istruttore (del tribunale) in funzione di giudice unico (art. 48 ord. giud.).

26 Cfr. CONSOLO-LUISO-SASSANI, Commentario alla riforma del processo civile, Milano, 1996, 114 s.

27 Cfr.: Cass. 13-8-1987, n. 6924 («Secondo l'espressa previsione dell'art. 317 c.p.c., le disposizioni dei commi secondo e seguenti dell'art. 178 dello stesso codice non si applicano nei procedimenti davanti al pretore ed al conciliatore; pertanto, nei procedimenti davanti al pretore o al conciliatore l'estinzione deve essere sempre dichiarata con sentenza e, se dichiarata con provvedimento definito ordinanza, questo ha natura di sentenza e, come tale, è impugnabile con i normali mezzi di gravame»); Cass. 3-9-1993, n. 9279 («È inammissibile il ricorso per cassazione avverso l'ordinanza del pretore che dichiari l'estinzione del processo, in quanto tale provvedimento - assimilabile alla sentenza del tribunale che, ai sensi dell'art. 308, secondo comma, c.p.c., respinge il reclamo contro l'ordinanza di estinzione del giudice istruttore -, avendo natura sostanziale di sentenza, deve essere impugnato con l'appello davanti al tribunale»); Cass. 22-10- 2002, n. 14889 («L'ordinanza emanata dal tribunale in composizione monocratica, che dichiara l'estinzione del processo, è assimilabile alla sentenza del tribunale che, in composizione collegiale ai sensi dell'art. 308, secondo comma cod. proc. civ., respinge il reclamo contro l'ordinanza di estinzione del giudice istruttore; tale provvedimento, pertanto, ha natura sostanziale di sentenza e deve essere impugnato con l'appello»); Cass.

28-4-2004, n. 8092 («Quando l'organo investito della decisione della causa ha struttura monocratica, la pronuncia di estinzione del processo ha natura sostanziale di sentenza e, come tale, è appellabile anche se emessa in forma di ordinanza; la pronuncia conserva, invece, la sua natura di ordinanza reclamabile avanti al collegio se emessa dal giudice istruttore nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione collegiale»);

Cass. 7-10-2011, n. 20631 («L'ordinanza emanata dal tribunale in composizione monocratica, che dichiara l'estinzione del processo, è assimilabile alla sentenza del tribunale che, in composizione collegiale e ai sensi dell'art. 308, secondo comma, c.p.c., respinge il reclamo contro l'ordinanza di estinzione del giudice istruttore;

tale provvedimento, pertanto, ha natura sostanziale di sentenza e deve essere impugnato con l'appello; la pronuncia conserva invece la natura di ordinanza reclamabile avanti al collegio se emessa dal giudice istruttore nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione collegiale»).

28 Cfr.: Cass. 15-3-2007, n. 6023 («Il provvedimento dichiarativo dell'estinzione del processo adottato dal giudice monocratico del tribunale ha natura sostanziale di sentenza, ancorché sia pronunciato in forma di decreto; pertanto, quando sia stato pronunciato in primo grado, è impugnabile con l'appello»); Cass. 18-1- 2005, n. 950 («In tema di conclusione del processo civile, il provvedimento di estinzione del giudizio, adottato dal tribunale in composizione unipersonale o monocratica, ai sensi dell'art. 305 c.p.c., ha il contenuto sostanziale di una sentenza, in quanto contiene una pronuncia definitiva sui presupposti e condizioni processuali della domanda giudiziale. Infatti, posto che, al fine di stabilire se un provvedimento abbia o meno carattere di ordinanza o di sentenza, deve darsi prevalenza alla sostanza più che alla forma della decisione, si è in presenza di un'ordinanza quando il provvedimento dispone circa il contenuto formale

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