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Le nostre fiabe CLASSE QUARTA DELLA SCUOLA MERIGHI DI NOVAGLIE

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Academic year: 2022

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CLASSE QUARTA

DELLA SCUOLA MERIGHI DI NOVAGLIE

Le nostre fiabe

Ci siamo lasciati ispirare dal video “L’Orco Giorgione”

e abbiamo provato, anche noi, a scrivere una fiaba per ciascuno

Ecco, quindi, le fiabe della quarta in quarantena

Buona lettura!

Anno scolastico 2019-2020

Attività didattica a distanza, ma non troppo

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HARRY E DANNY A CACCIA DI FANTASMI

Alessandro

C’era una volta un ragazzo di nome Harry: era magro e alto cir- ca un metro e sessantacinque centimetri con i capelli biondi e gli occhi verdi ed aveva sedici anni.

Harry di solito indossava jeans e maglietta; era un ragazzo gen- tile con tutti e intelligente. Harry era diverso dagli altri, infatti gli piaceva starsene da solo a cercare nuove avventure e aveva pochi amici.

Un giorno Harry, tornò a casa sua a New York dopo una giorna- ta faticosa di scuola.

Lui pensò: “Cosa potrei fare oggi?”.

Dopo un po’, decise di prendere il suo skate-board e andare dal suo caro vecchio amico Danny.

L’amico di Harry era uno scienziato e lui arrivò al suo laborato- rio.

Anno scolastico 2019-2020

Attività didattica a distanza, ma non troppo

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Anno scolastico 2019-2020

Attività didattica a distanza, ma non troppo

Il laboratorio di Danny era pieno di strane cose: provette, bottigliette e macchinari vari. Il laboratorio si trovava nel garage in fianco alla casa dove viveva Danny. Harry amava andare a trovare Danny e guardare ciò che faceva, anche lui avrebbe voluto avere un labora- torio tutto suo!

Danny disse: ”Ciao Harry, ieri ho visto un fantasma che entrava dentro a una nave al porto e la nave partirà questa notte. Ho inven- tato un mantello dell’invisibilità per acciuffare il fantasma”.

Poi Danny continuò: “Se vuoi stasera puoi venire con me sulla nave per cercare il fantasma. Ti va?”

Harry rispose: ”Si certo, facciamo questa missione!”

Così i due amici si incamminarono verso il porto con addosso il mantello dell’invisibilità perché loro non avevano il permesso di en- trare in quella nave.

Mentre erano all’interno della nave, essa partì.

I ragazzi videro il fantasma dietro a un comodino.

Il fantasma aveva un telo tutto bianco e allora Harry. Gli diede un nome: Ghery.

Danny e Harry crearono una trappola per il fantasma che era fatta con un laser: quando veniva puntato sul fantasma lo faceva scom- parire per sempre. Ma non funzionò perché il sensore che avrebbe dovuto puntare il fantasma si bruciò e colpì il pavimento invece del fantasma.

Harry e Danny decisero di non arrendersi. Così lo scienziato aggiu- stò il sensore di mira e il laser fu di nuovo pronto; lo mise nel corri-

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Attività didattica a distanza, ma non troppo

doio e Danny sapeva che avrebbe attaccato il fantasma.

Il fantasma era nel corridoio, come calcolato, Harry e Danny erano lì con addosso il mantello dell’invisibilità.

Ghery corse via perché si accorse che c’era qualcuno e Harry dis- se: “Veramente quel fantasma fa venire i brividi!! Riposiamo e do- mani ci penseremo!”.

Il giorno dopo, Danny aveva calcolato che a mezzogiorno il fanta- sma sarebbe andato sul ponte della nave, che a quell’ora sarebbe stato libero perché era ora di pranzo.

Danny creò una gabbia le cui sbarre erano fatte con un campo di forza con quattro laser agli angoli.

Ghery cadde nella trappola, però un attimo prima di farlo sparire Danny si accorse che, in realtà, il fantasma era buono.

Allora i due amici si misero d’accordo con Ghery che lo avrebbero liberato se non avesse più dato fastidio a nessuno.

Alla fine Harry e Danny ricevettero un regalo dagli ospiti della nave perché li avevano salvati.

Il regalo consisteva in un viaggio ad Honolulu alle Hawaii: Danny e Harry tornarono così a casa abbronzati e ricevettero anche una me- daglia dal Presidente degli Stati Uniti!

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ANNY E LA RICONQUISTA DEL TERRITORIO

Anna

C’era una volta, tanto tempo fa, in un bosco fatato, una casa in cui viveva una ragazza.

La ragazza si chiamava ANNY.

Era alta un metro e settanta.

Indossava di solito una tuta nera bordata di rosa. In alto a destra c’era uno stemma con la scritta A.J e portava sempre un anello dorato.

Passava le sue giornate nel suo laboratorio, dove cucinava fan- tastici piatti per le creature del bosco fatato. Aveva molta fanta- sia e creatività, ma era tremendamente disordinata, tanto che alcune volte non riusciva più a trovare le pentole per cucinare.

Il bosco era circondato da un fossato, che veniva chiamato il La- go delle acque Lucenti, dove vivevano i delfini azzurri.

La foresta di Anny, era a forma di stella e, su ogni punta, c’era una quercia secolare.

Nella parte più a nord della foresta si estendeva un territorio ari- do e desertico dove abitava la strega malvagia del Nord.

La strega voleva espandere il suo territorio, eliminando il bosco fatato di Anny. Perciò inviò i suoi draghi sputafuoco per inceneri- re la foresta.

Ma Anny conquistò i draghi con un succulento piatto di pesce, e loro divennero i suoi animali domestici.

La strega, non vedendo ritornare a casa i draghi, andò nel bosco a cercarli.

Arrivò a casa di Anny e lì trovò una tavola apparecchiata con ogni delizia.

La strega era molto golosa e, vedendo tutto quelle bontà, si se- dette e mangiò.

Ma le pietanze di Anny erano magiche: chi le mangiava riacqui- stava la bontà d’animo.

Per la prima volta la strega riuscì a vedere le bellezze che la cir- condavano e ringraziò Anny di questo prezioso dono.

E infine le chiese di aiutarla a costruire una foresta nel suo arido deserto. Anny le risposte che avrebbe potuto, ma in cambio la strega sarebbe dovuta diventare la sua aiutante in cucina.

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UNA STREGA PASTICCIONA

Clara

Tanto tanto tempo fa, viveva una strega di nome Esmeralda, che amava cucinare e, per farlo, usava la magia.

Era molto alta e magra, aveva degli occhi favolosi di colore az- zurro e una bocca piccola e rosa. Indossava sempre dei bellissi- mi vestiti dai colori chiari.

Era una strega buona e aveva una caratteristica particolare: ogni volta che cucinava, lei faceva sempre qualche pasticcio.

La strega Esmeralda viveva in un castello grande, circondato da fiori e alberi enormi, soprattutto da frutto: durante l'estate faceva con la frutta squisite marmellate, che usava per le sue buonissi- me torte. Esmeralda aveva un libro di ricette magiche, che le aveva regalato la nonna e a cui teneva tantissimo.

Un giorno, lo sfogliò e preparò dei cupcakes con la marmellata di ciliegie ricoperti di cioccolato fondente: li fece cuocere con la magia, poi andò a fare la doccia perché era sudata, ma i cupca- kes si erano bruciati.

Un altro giorno, cucinò i tortellini fritti con il ripieno di marmellata di albicocche: anche questi li fece cuocere con la magia, ma an- dò in camera sua ad ascoltare una canzone con le cuffie e, an- cora una volta, i tortellini fritti si bruciarono.

Lei pensava che, con i suoi poteri magici, non si bruciasse nien- te come diceva il libro di ricette, ma non era così, infatti combi- nava un sacco di pasticci.

Un giorno, bussò alla sua porta una strega cattiva che si chia- mava Agata, che le rubò il libro di ricette e le prese anche i suoi poteri magici. Esmeralda si sentiva triste e dispiaciuta e sperava che qualcuno venisse ad aiutarla. Mentre pensava che fare, arri- vò in suo aiuto lo stregone buono amico di sua nonna: Ambro- gio. Lui era alto e magro, con un abito e un cappello azzurro scuro e usava sempre una scopa magica che andava velocissi- ma: egli era lo stregone più potente del mondo perché aveva salvato la Terra da un meteorite.

Lo stregone, grazie a una “pozione di localizzazione”, che gli permise di sapere dove si trovava Agata, riprese il libro di ricette di Esmeralda e i suoi poteri magici.

Poi li rese anche più forti, dando a Esmeralda i poteri di Agata.

Dopo aver sconfitto Agata, Ambrogio, Esmeralda e tutti i maghi e le streghe buone del paese fecero una grande festa: Esmeral- da cucinò in quantità industriali e ringraziò con tutto il suo cuore lo stregone. E infine vissero per sempre felici e contenti, a parte Agata che era stata intrappolata dallo stregone all’interno di un quadro per l'eternità.

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IL FANTASMA E IL GUFO

Cristian

Tanto tempo fa, in un castello antico, viveva un fantasma senza nome.

Era tutto bianco, con due occhi azzurri come il cielo, il suo unico amico era un gufo con cui giocava a nascondino.

Il castello si trovava in cima ad una montagna, circondato da al- tissimi alberi. Era di colore grigio e fatto di pietra. Al suo interno c’erano tantissime stanze piene di quadri che raffiguravano dei re e delle regine, armature di cavalieri usate durante le battaglie e un orologio tutto d’oro che suonava sempre a mezzanotte.

Il desiderio più grande del fantasma senza nome era però di ve- dere il giorno e il sole, ma lui non poteva perché, quando arriva- va l’alba, doveva andare a dormire nella sua cassaforte.

Un giorno, quando arrivò la mezzanotte, andò dal suo amico gu- fo e gli disse: “Perché non posso vedere il giorno?

E il gufo rispose: “Perché sei un fantasma e i fantasmi sono sve- gli solo di notte”.

Così il fantasma senza nome preparò un piano: decise di rubare l’orologio più antico e più bello del castello e gli cambiò l’ora per svegliarsi a mezzogiorno.

Quando finalmente l’orologio cominciò a suonare, il fantasma senza nome si svegliò e vide il giorno per la prima volta.

Da quanto era felice si mise a cantare all’infinito.

All’improvviso, però, vide delle persone dentro il suo castello: un poliziotto e il proprietario.

Tutti e due erano lì per cercare l’orologio scomparso, ma il fanta- sma senza nome, che era molto intelligente, l’aveva nascosto nella sua cassaforte, in una stanza segreta, dove non esisteva- no chiavi per entrare.

Mentre il fantasma senza nome correva agitato, spostò un vaso che cadde a terra.

Così il poliziotto e il proprietario lo scoprirono e cominciarono a inseguirlo.

Ad un certo punto, arrivò il suo amico gufo che, con un battito magico delle sue ali, creò un vortice altissimo che fece rotolare fuori dal castello i due uomini.

L’orologio era salvo.

Il fantasma senza nome ringraziò molto il suo amico gufo per l’aiuto.

Infine decisero di vivere insieme per sempre e di non combinare più guai.

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E’ MEGLIO UNA FESTA O LA PACE?

Diego

In mezzo all’Oceano Grandioso c’era una isola, con tantissime piante di tutti i generi, animali di ogni specie e colore, fiumi az- zurrissimi e laghi limpidissimi, dal clima tropicale.

Al centro dell’isola, sulle rive del Lago Cascas, viveva un popolo di giganti, che si chiama “Granduom”. I giganti abitavano in gran- dissime capanne di paglia di colore rosso e sempre addobbate a festa.

Il capo del popolo dei giganti si chiamava Cesarone.

Cesarone era alto nove metri e mezzo, era di corporatura robu- sta, aveva capelli lunghi neri, e grandi occhi azzurri e pelle ab- bronzata. Aveva un carattere allegro e socievole, ed era rispetta- to dal suo popolo per la sua intelligenza, la sua saggezza e la sua forza. Come tutto il popolo dei giganti adorava la musica, divertirsi e mangiare.

Il costume tipico dei Graduom era composto da un gonnellino di paglia e una collana di fiori freschi. Cesarone, come capo dei giganti, indossava anche una corona di alloro profumato.

I giganti, però, non erano i soli abitanti dell’isola.

Sul lato est, viveva un piccolo, ma forte uomo, che faceva il pe- scatore.

Il suo nome era Carletto, ed era arrivato sull’isola a nuoto, dopo che la sua barca era naufragata.

Carletto era uomo a cui piacevano il silenzio, la pace e la tran- quillità, ed apprezzava tantissimo la solitudine della sua parte di isola.

Purtroppo, però, Carletto era disturbato dalla musica che arriva- va dal centro dell’isola, vicino al Lago Cascas.

Un giorno, curioso di capire da dove arrivava quella musica, de- cise di partire alla scoperta dell’altra parte dell’isola.

Dopo un cammino di due giorni, in mezzo a piante verdissime, animali coloratissimi e una musica assordante, Carletto final- mente arrivò al villaggio dei Granduom.

Rimase davvero impressionato.

Tutto quello che riusciva a vedere era di dimensioni grandissime e la musica era ad altissimo volume. Degli spiedi enormi stavano cucinando varie specie di cibo.

I giganti, ballavano rumorosamente intorno ad un fuoco.

Carletto, che non amava tutte queste cose, decise di affrontare il capo dei giganti, per farli smettere subito.

A quel punto, comparve Cesarone e i due iniziarono a litigare.

Carletto voleva godersi il suo silenzio sull’isola, mentre Cesaro-

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ne voleva divertirsi con la tribù.

Il litigio tra i due durò parecchie ore, perché Cesarone, dall’altezza dei sui nove metri pensava di riuscir a far paura a Carletto, ma il pic- colo uomo era molto forte e non si faceva spaventare dal gigante.

Alla fine nessuno dei due litiganti riuscì a imporre le sue idee all’al- tro.

A quel punto, Cesarone, che era saggio e che aveva apprezzato la forza di Carletto, decise di fare una proposta al piccolo, ma forte uo- mo. Il gigante propose a Carletto di rimanere con loro: insieme avrebbe- ro deciso i periodi di silenzio, tanto amati da Carletto, e quelli di fe- sta che piacevano tanto a al popolo di Cesarone.

Carletto, convinto dalle parole del gigante, decise allora di rimanere nel loro villaggio.

La convivenza tra il popolo di Cesarone e Carletto, con le regole de- cise dai due, durò pacificamente per sempre.

E vissero tutti felici e contenti.

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IL NOBILE GNOMO SET

Esther

C’era una volta uno gnomo di nome Set.

Indossava delle buffe scarpe a punta, dei pantaloni di velluto verdi con le bretelle, una camicia a scacchi, una giacchetta rossa ed un cappello a forma di pigna.

Era un po’ paffutello, aveva folti capelli rossi e ricci ed era molto gentile e generoso, sempre pronto ad aiutare gli altri.

Questo era un aspetto del suo carattere che lo distingueva dagli altri gnomi del villaggio.

Viveva nel tronco di una quercia, in cui aveva ricavato una graziosa ed accogliente stanzetta, scavando e scavando con tanta pazienza.

Si trovava proprio nel cuore della foresta, che in estate era ricca di funghi, nocciole e frutti di bosco, di cui gli gnomi andavano ghiotti e di cui facevano scorta per l’inverno.

Fu proprio in una fresca mattina di estate, che Set si mise sulle spalle il suo cesto e andò per il bosco a fare provviste.

Quando lo ebbe riempito di ogni ghiottoneria, si sentì stanco per- ché aveva camminato per ore e ore, allora decise di riposarsi vicino al ruscello, all’ombra di un grande salice piangente, prima di tornare nella sua casa per il pranzo.

Si sdraiò, si abbassò il cappello sugli occhi, incrociò le mani sotto la testa e si addormentò.

Dopo un po', sentì una voce profonda chiamarlo: ”Set, Set, sve- gliati, presto!”. Era la voce del salice, che in realtà era un albero magico. Lo gnomo si alzò in piedi di scatto e il salice gli disse:

”Lo scoiattolo Choppy ti ha rubato il cibo!”.

Neanche il tempo di guardare in su, che lo scoiattolo di- spettoso stava già saltando di ramo in ramo per allonta- narsi velocemente con il bottino.

Lo gnomo, ottimo arrampicatore, lo inseguì e quasi lo raggiunse quando il ramo in cui si trovava Choppy si spezzò lasciandolo precipitare dritto dritto nel ruscello.

“Aiuto, annego!” - disse lo scoiattolo Choppy - “Ti prego, aiutami piccolo gnomo!”

Set, che era appunto buono e generoso, pensò di salvarlo tuf- fandosi, perché era anche un buon nuotatore, ma il ruscello era troppo agitato e rischiava di annegare anche lui.

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Allora il salice, che era magico, gli disse: ”Non ti preoccupare Set, ti aiuterò io a salvare Choppy!”.

E con le sue radici costruì un ponte che andava da una riva all’altra del ruscello. Set corse sul ponte e, afferrato Choppy che veniva tra- scinato dalla corrente, lo salvò.

“Grazie infinite per avermi salvato la vita! Ti chiedo scusa per averti derubato, ti prometto che non lo farò mai più con nessuno!” esclamò Choppy e, per mostrare a Set la sua gratitudine, gli regalò metà del- le sue ghiande che aveva raccolto come provviste per l’inverno.

Quando Set arrivò al villaggio, raccontò agli amici quello che era accaduto e condivise le ghiande con tutti gli altri gnomi.

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LA GUERRA DEL VIDEOGIOCO

Fabio

Nell’anno 12.000, in una vecchia città ai margini di un canyon, viveva Jai insieme ai suoi amici Cai e Cool; Jai era alto un metro e mezzo, indossava una felpa nera con cappuccio e stelle bian- che e grigie disegnate, dei pantaloncini neri lunghi da arrivargli un po’ sopra le caviglie, calze bianche che gli salivano fin sopra le ginocchia e scarponcini neri e bianchi. Aveva occhi blu come il mare profondo e capelli biondi come l’oro. Aveva un carattere pacifico, ma quando si arrabbiava era meglio stargli lontano an- che perché, se si fossero messi a correre, non avrebbero avuto scampo. Era veloce, era il più intelligente del gruppo, era anche il più furbo, scaltro.

Jai, Cai e Cool erano lì per vincere una guerra!!! Dovevano attra- versare un deserto, l’oceano e un castello diroccato: tutto in un videogioco.

Se avessero vinto loro, la loro popolazione si sarebbe salvata, se invece avessero perso, il videogioco, per magia, sarebbe di- ventato la realtà!!!

Tutto era nato da uno scienziato pazzo.

A quel tempo, la loro popolazione era la più forte al mondo. Po- tete bene immaginare le tecnologie super avanzate che avevano sviluppato. Nel canyon, che era tenuto insieme da un laccio ma- gico, tutti vivevano con armonia e con felicità. Un giorno però, lo scienziato pazzo inventò una macchina (oggi conosciutissima) che ti faceva imparare ogni cosa in qualche minuto. Lo scienzia- to inventò anche questo videogioco. Ci lavorò otto anni per mo- dificare e migliorare quel programma.

Un giorno, le guardie vennero a sapere quello che stava facendo e andarono ad arrestarlo. Il vecchio scienziato scappò prima che le guardie lo catturassero. Allora le guardie rubarono il suo vi- deogioco e lo portarono in tribunale per distruggerlo.

Ma la folla, troppo curiosa, ruppe i cancelli ed entrò in tribunale;

presero il videogioco e se ne andarono, distruggendo il tribunale.

Molta, troppa gente entrò nel videogioco e non è ancora uscita.

Un giorno, il vecchio scienziato pazzo costruì un immenso robot e lo mandò alla città sul canyon per distruggerla!!!

Intanto la città di Jai si era rafforzata con fiumi e laghi, mari e oceani, palazzi, case, biblioteche che non contenevano veri e propri libri, ma bensì memorie che mettevi nel computer e ti compariva, nella app woit (word avanzato), il contenuto della memoria (proprio tutto quello che c’era dentro). Infine c’erano le farmacie (le cose più importanti), perché contenevano pillole co-

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sì avanzate, ma così avanzate che ti curavano da qualunque cosa;

tipo da: Coronavirus, pestios, rabbia, asma e tutte quelle malattie, compresa la più letale, la Watacombis. La Watacombis era una ma- lattia molto brutta e che causava grandi sofferenze. Te la trasmette- va un serpente ben conosciuto, il watacom. Infatti il nome Wata- combis derivava proprio dal nome del serpente. Il watacombis, co- me ho detto prima, era una malattia paralizzante, che ti bloccava i polmoni e così soffocavi in meno di tre secondi.

Ma ritorniamo a noi, il robot si era già messo in viaggio ed era arri- vato a un kv3 (un chilometro) dalla città. Percorse quel kv3 in moda- lità invisibile e, quando arrivò alle porte della città, cambiò modalità e mise la modalità distruggi e incominciò a distruggere la capitale.

La spaccò e seminò terrore e morte: prendeva le case e le lanciava, alcune le teneva come campione da portare al suo padrone, altre invece le masticava come se stesse mangiando i pop corn. Uccise intere famiglie, distrusse le case, le ville, e i grattacieli.

Ad un certo punto la città sembrava perduta, ma qualche genio staccò le corde che tenevano attaccato il canyon e una voragine (che prima non c’era) si aprì, così il robot non poté attraversarla. Gli abitanti che si erano salvati guardavano la loro città cadere a pezzi.

Tutti piangevano pensando ai loro cari; alcuni per la disperazione si buttarono giù dal canyon, altri invece presero armi e spararono ver- so il robot, ma essendo troppo potente non si fece niente.

Quando il mega gigante super galattico robot ebbe finito di distrug- gere la popolazione, saltò. Ma saltò così, ma così in alto, che arrivò dall’altra parte (dove c’era la popolazione salva). Il robot, pesando troppo, ruppe il terreno sotto di lui che crollò e, con esso, anche il robot.

Gli abitanti, frustrati, si buttarono giù e andarono a colpire il robot.

Dopo due anni la crepa era diventata un cimitero. Non era molto bello perché, passando, vedevi scheletri sopra un robot pieno di topi e di scorpioni.

Un giorno Graigin, il cugino di Cool, vide una famiglia di Watacom e allora la folla chiamò le guardie che accorsero.

Circa dopo un’ora, il popolo si riunì per protestare con il sindaco. Il sindaco si chiamava Salvin Woscel.

Salvin Woscel non voleva bene al suo popolo, cioè gli voleva un po’

bene, ma se avesse potuto scegliere di diventare re del mondo o sfamare tutti i poveri, beh, avrebbe di sicuro scelto di diventare re;

questo è certo!!!

Salvin Woscel, impaurito dalla folla, chiamò il suo consigliere Cont de Cont che parlottò un pochino con il suo capo (Salvin Woscel) e infine decisero che avrebbero detto al popolo che ci avrebbe pensa- to su.

Intanto, Jai ed i suoi amici, avevano superato le guardie ed erano arrivati al videogioco, lo presero e si misero a correre, saltarono mu- ri e case e arrivarono alla loro casa che era in mezzo al deserto.

Entrarono e chiusero la porta col catenaccio di Cai.

Aprirono il videogioco e ci entrarono.

Ogni cosa sembrava reale, erano armati di ogni genere di arma dal- la bomba a gas alle spade in diamante, pistole a nove bocchette, mitragliatrici a sessantasei colpi per canna, cecchini che riuscivano

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a sparare fino a cento kv3 (chilometri), coltelli da esplosione, asce da guerra ridotte (asce che avevano il manico più piccolo del nor- male).

La prima prova consisteva nell’attraversare tutto il deserto.

Ad un certo punto Cool e Jai caddero in una fossa e persero una vita. “Strano” dissero in coro; poi Jai ripeté: “Strano” e disse che non era possibile che avessero perso una vita e che gliene rimanessero solo due poiché quando avevano aperto il gioco ne avevano ben dieci.

Cai si alzò, si massaggiò un po’ il fondo schiena, e disse che aveva- no solo tre vite perché il pazzo scienziato voleva farli perdere e così sarebbe stato ‘game over’. Infine Jai e Cai presero il rampino e risa- lirono tutta la fossa. Appena uscirono, la fossa si riempì d’oro e d’ar- gento, mentre ai lati c’erano piccole lastre di quarzo verde, bianco e rosa! Abbagliati da tutto quello splendore si tuffarono di nuovo nella fossa, pronti a fare un bel bagno nella ricchezza! Non l’avessero mai fatto! Il terreno tremò e caddero nel castello diroccato!

Superare la prova del castello diroccato non fu tanto difficile perché trovarono una discesa. Dopo più di centomila scalini erano stanchi morti.

Allora, a Jai venne l’idea di contare gli scalini, così iniziarono... uno, due, tre, quattro... …centonove, centodieci…, (e ancora)… quattor- dicimilaseicento, settantaseimilionidimiliardi!

Alla fine trovarono una porta e la oltrepassarono.

Non l’avessero mai fatto! Sopra Jai, Cai e a Cool cadde una immen- sa valanga di oro e pietruzze preziosissime… ed in quel momento la terra tremò e passarono alla prova dell’oceano!!!

Trovarono un sottomarino e ci entrarono.

Pronti, partenza, via!!! Dovevano sbrigarsi perché il tempo vola e avevano ancora quattro ore e cinquantasei minuti. A voi sembrerà tanto, ma, quando giochi, il tempo vola.

Erano già a metà strada e gli mancava poco per arrivare alla prova degli indovinelli. Ecco che arrivarono ed entrarono con le mute da sub nel tempio in fondo al mare. I giocatori dissero che quel posto era stregato e che c’erano esseri malefici!

Dentro il tempio non c’era una persona ma, bensì, un immenso libro parlante che ti proponeva indovinelli che non potevi sbagliare, altri- menti avresti perso, e barzellette, alle quali non dovevi ridere.

Il primo indovinello fu: “Ha quattro gambe da bambino, due da adul- to e tre da vecchio che cos’è?”

Cool indovinò al primo colpo e il libro passò al secondo indovinello.

Questa volta fu il turno di Cai, e, anche lui, indovinò al primo colpo.

L’ultimo non era un indovinello ma, bensì, una barzelletta!!!

Jai non rise con gran successo sui suoi compagni che invece, risero a crepapelle.

Il libro urlò: “ACCIDENTI”!!! e scomparve lasciando oro, brillanti, zaffiri, diamanti e ogni minerale e gemme preziose e tutte quelle co- se lì.

Toccarono tutte quelle ricchezze: non l’avessero mai fatto! La stan- za, piano piano, iniziò a riempirsi d’acqua.

Loro cercarono le mute, ma senza successo, perché l’acqua le ave- va portate a galla. Pieni di ansia e di sudore, (perché l’acqua ribolli-

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va e perché vedevano il loro popolo morire) sentivano il loro cuore che batteva all’impazzata e, alla fine, Jai si tuffò in acqua e Cai e Cool lo seguirono visto che era lui il Capo.

Arrivarono nel sottomarino quasi morti e sputarono spruzzi d’acqua altissimi. Avevano il cuore in gola e gli occhi rossi, ma ce l’avevano fatta!!!

Volarono fino al loro paese come degli eroi e, non solo avevano sal- vato il popolo, ma avevano persino preso lo scienziato pazzo (perché lo scienziato pazzo si trovava al termine del videogioco;

uscendo lo videro, gli spararono un sonnifero e se lo caricarono in spalla).

Due anni dopo, riuscirono a liberare le persone dal videogioco e gli scheletri dei morti vennero sotterrati in un terreno di nome Duoit. Il terreno Duoit era un terreno elettrico che ti dava scosse talmente forti che il morto risorgeva!!! Riuscirono a scacciare il Watacom e Salvin Woscel, insieme al suo fedele Cont de Cont, scapparono lon- tanissimo e non tornarono mai più.

Allora il sindaco diventò Jai e i suoi fedelissimi consiglieri erano Cai e Cool!

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BLU CITY

Giacomo

C'era una volta, una città sommersa chiamata Blu City, in cui abitava Jack.

Jack era un militare ed era a capo di una squadra speciale.

Era di altezza media, abbastanza muscoloso, i suoi occhi erano di colore verde acqua.

Aveva il viso allungato, la bocca piccola e infine aveva i capelli corti di un castano scuro.

Indossava una maglietta a strisce nere e arancioni, i pantaloni grigi e un paio di stivali neri. Quando era in servizio portava un'armatura tutta nera con la visiera gialla, aveva una pistola, un lanciagranate e un fucile che sparava palle verdi.

Jack difendeva la città da White Mask, che voleva rubare la cu- pola protettiva della città e distruggere Blu City per poter diven- tare il capo della sua città.

Oltre alla sua dotazione, Jack poteva contare, in caso di neces- sità, sul suo potere di creare il ghiaccio.

Blu City era stata costruita nel 2050, in fondo al mare, per fuggi- re all'esplosione del vulcano King Blu, ai piedi del quale sorgeva la vecchia città.

Blu City era stata costruita su una piattaforma rocciosa naturale con, alle spalle, un pendio roccioso ricoperto da alghe e qualche piccolo pezzo di corallo che stava ricrescendo.

La città era formata da alti palazzi dalle forme snelle, fatti con un nuovo materiale ultra resistente, molto simile al vetro, che per- metteva il passaggio della luce solare, ma impediva di vedere all'interno.

Per spostarsi in città si usava una monorotaia che collegava tutti i quartieri.

Nella piazza principale, circondato da un grande parco con albe- ri e aiuole fiorite, sorgeva il Palazzo del Governo, un edificio im- ponente, massiccio, che faceva quasi paura, di colore grigio con finestre piccole e una scalinata dai gradini squadrati.

Nei sotterranei di questo palazzo, in un bunker molto protetto, era custodito il cuore della cupola di Blu City, la macchina che le dava origine.

Jack e la sua squadra erano incaricati di proteggere il bunker.

La squadra Wolf, di cui Jack era il comandante, era formata da altri tre elementi: Frank, più basso di Jack, di corporatura mas- siccia, era esperto nella preparazione di fumogeni, ed esplosivi.

Mario, magro e slanciato, era maestro della mimetizzazione.

Luigi, il più giovane del gruppo, sapeva maneggiare e controllare

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il fuoco.

Una notte, White Mask e i suoi uomini, controllando la mente del pilota di una nave da trasporto merci, riuscirono ad entrare in città.

Con lo stesso sistema e travestendosi da operai della manutenzio- ne raggiunsero il Palazzo del Governo, superarono i controlli e tro- varono il sotterraneo.

Una volta scesi si liberarono dei travestimenti e, armati, si diressero verso il bunker.

Nascosto nel condotto di aerazione del sotterraneo, Mario vide gli intrusi e diede l'allarme alla squadra Wolf, che si preparò alla difesa.

Nel frattempo, White Mask e i suoi, avevano raggiunto il portone del bunker.

Avevano appena finito di sistemare degli esplosivi, quando l'unità Wolf arrivò. Jack ordinò a Frank di lanciare dei fumogeni, per di- strarre il nemico, e di disinnescare le bombe.

Nel frattempo, il resto della squadra impegnò gli avversari in com- battimento.

Luigi bloccò le vie di fuga creando delle barriere di fuoco, Mario gra- zie al fumo dei fuochi e dei lacrimogeni e alle sue doti mimetiche, riuscì a bloccare gli scagnozzi di White Mask.

Jack si occupò di White Mask e lo affrontò in una sparatoria, riu- scendo a evitare di essere controllato da White Mask grazie alla sua visiera gialla che gli nascondeva completamente gli occhi. Jack ferì White Mask e lo bloccò a terra congelandolo.

Blu City era salva!!!

Il giorno dopo Jack ed i Wolf vennero festeggiati e decorati alla pre- senza di tutte le autorità e tutti i cittadini di Blu City.

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GIADA E LA PIETRA DI LUNA

Martina

C’era una volta, tanto tempo, un mare vicino al meridiano di Greenwich.

Era un mare celeste e calmo, in fondo al mare c’era un piccolo villaggio con piccole case di corallo e di sabbia.

In quel mare viveva Giada, una sirena.

Giada aveva i capelli azzurri come il cielo, gli occhi erano color smeraldo e la coda era viola come la galassia.

Giada viveva col papà Tolomeo, la mamma Alice e con il suo pesce unicorno Marlo.

All’alba di un giorno d’estate, Giada, vagando nella sua soffitta, trova un oggetto dal valore inestimabile: la pietra di luna.

Giada, contentissima, va da suo padre Tolomeo e gli dice:

”Papà, guarda cosa ho trovato! Ci faremo un sacco di soldi!”.

Ma il papà non sembra felice e le risponde:

“Giada, devi sapere che nel nostro mare vive una strega fanta- sma assai potente: Trixi Strenge. Da anni Trixi cerca disperata- mente quella pietra.

Lei ha occhi dappertutto, quindi probabilmente saprà già che hai la pietra di luna.

Ma se ti chiedi perché la vuole, ho la risposta alla tua domanda.

Sai, ha un valore inestimabile, perché con questa pietra qualun- que cosa chiedi apparirà. Trixi desidera la pietra per poter di- struggere la nostra famiglia e tutto quello che ci sta più a cuore.

Ti conviene essere pronta. Buona fortuna!”

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Dopo il discorso, Giada e Marlo vanno silenziosamente in un vec- chio relitto, dove Trixi vive.

Giada a bassa voce sussurra: “Desidero….”

Ma non fa in tempo a finire la frase che, quella brutta strega di Trixi, con i capelli neri e ricci e la voce gracchiante, dice:” Ti ho beccata!”

Trixi prova a prendere la pietra a Giada, ci prova e ci riprova però non ci riesce e nel frattempo, mentre Giada nuota, sussurra:

“Desidero….”

Ma la strega le toglie la voce.

Marlo è proprio dietro Trixi e la rinchiude in una prigione di corallo per avere il tempo di trovare una pozione per ridare la voce a Gia- da.

Marlo corre in soffitta, quella in cui Giada aveva trovato la pietra di luna, cerca il libro di pozioni della mamma Alice, lo trova.

A pagina 57 c’è la ricetta per ridarle la voce: un petalo di girasole marino, un’alga micerina e acqua marina.

Marlo nuota all’impazzata alla ricerca degli ingredienti e prepara l’in- truglio.

L’intruglio, da viola, diventa ben presto arancio e sul libro di pozioni è scritto che quando diventa arancione è pronta la pozione.

La strega, intanto, riesce ad uscire dalla prigione facendo il solletico al corallo, ma Marlo arriva in tempo con la pozione e ridà la voce a Giada che così, finalmente, dice: ”Desidero che Trixi sparisca per sempre!”

Detto fatto, la strega sparì e tutti fecero una grande festa.

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NEMICI AMICI PER SEMPRE!

Matilde

In un’isola chiamata Madagascar viveva un leone di nome Felix.

Felix era un leone molto alto, con zampe enormi e degli artigli molto affilati, indossava sempre dei pantaloni corti blu e una ma- glietta a maniche corte rossa; lui era un leone aggressivo perché non aveva amici, perciò agli altri animali e agli sconosciuti, era molto antipatico.

La sua caratteristica, che lo distingueva dagli altri leoni, era che sapeva parlare e camminare su due zampe.

Felix viveva in Madagascar perché, un’inondazione dell’isola do- ve viveva prima, lo aveva trascinato fin lì.

Il Madagascar è un’enorme isola, in cui si trovano tantissime specie di animali e, soprattutto, ci sono tantissime piante da frut- ta.

La nuova isola che aveva adottato Felix, essendo in mezzo al mare era ricca di acqua, ma non solo salata, c’erano anche tan- tissimi torrenti, delle cascate e dei piccoli laghi… insomma Felix poteva vivere in mezzo al verde.

Ovunque c’erano piante di ogni tipo: anche delle rarissime pian- te altissime, con dei fiori anche carnivori.

Tutto accadde cento anni fa, in una giornata di piena estate, quando Felix venne trascinato sull’isola di Madagascar da un’on- da che travolse la sua città.

Arrivato sulla terraferma, Felix incontrò Tyler, un elefantino che divenne subito suo amico perché era tanto piccolo e doveva es- sere difeso.

In quel caldo pomeriggio d’estate, però, i due amici vennero sor- presi a giocare sotto una cascata, da qualcuno che stava gettan- do dei sassi nel lago in fondo al torrente.

Si avvicinarono lentamente e videro, dietro le foglie gigantesche, una specie di strega, della quale avevano sentito parlare da al- cuni uccellini dell’isola e che veniva chiamata Drusilla.

Drusilla, vedendo i due amici giocare nella sua cascata, decise che doveva spaventarli per farli allontanare dal suo posto magi- co preferito. Lei, infatti, tutte le sere voleva andare alla cascata per scivolare dalle grandi foglie degli alberi, tuffandosi nell’ac- qua.

Felix e Tyler rimasero fermi per vedere se Drusilla si fosse allon- tanata, ma lei, invece, si era nascosta sotto a delle grandi foglie e si avvicinò lentamente ai due amici.

Loro, vedendo le foglie muoversi, pensando che fossero carnivo- re, scapparono di corsa “a zampe levate”… Felix addirittura su

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due zampe.

Allora Drusilla, vedendoli scappare, li rincorse e cercò di fermarli per far capire loro che non era cattiva, ma che voleva solo la cascata tutta per lei.

Decise così di mettere un tronco lungo il sentiero, così Felix e Tyler inciamparono e lei finalmente si avvicinò e spiegò che la cascata serviva a lei per giocare.

I tre nuovi amici cominciarono, tutti assieme, a fare delle scivolate sulle grandi foglie ed altri amici si unirono a loro.

Da quel giorno, in Madagascar, tutti capirono che Felix non era un leone aggressivo, che Drusilla non era una strega e che tutti pote- vano scivolare dalle foglie nelle cascate.

I “Nemici” erano diventati “Amici per sempre”.

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IL TESORO DELLA GIUNGLA SELVAGGIA

Pietro

In una casa c’era una famiglia molto povera con quattro figli, due genitori e poco da mangiare.

Il padre era un uomo muscoloso e atletico che si chiamava Con- dor.

Condor indossava dei pantaloncini strappati e una maglietta a maniche corte, anche quella strappata.

Si comportava bene, era gentile, prestava le cose agli altri ed era affettuoso.

Condor aveva una caratteristica che lo differenziava dagli altri:

una cicatrice sul naso molto grossa.

Abitava in una casa, in un deserto molto caldo, con la sua fami- glia.

Un giorno era seduto in un angolo della sua casa a pensare che voleva uscire da quella povertà.

Improvvisamente sentì arrivare una bufera di sabbia proveniente dal deserto.

A Condor venne un’idea: pensò di partire con un cammello, una spada gialla e un barattolo per attraversare il deserto e andare nella giungla selvaggia dove era nascosto un tesoro.

Il tesoro gli serviva per poter avere la possibilità di mangiare di più e comprare una casa più bella e accogliente per la sua fami- glia.

Dopo un po’ di tempo trascorso nel deserto, arrivò un uomo di nome Sprindor, che iniziò a trasformarsi in tantissime cose.

Sprindor era un uomo cattivo, iniziò a lottare e trasformarsi in cose malvagie.

Condor lottava contro di lui con la spada finchè tutti e due arriva- rono alla giungla selvaggia.

Anche Sprindor voleva il tesoro.

A un certo punto, videro una scia di monete, la seguirono sem- pre lottando e videro il tesoro.

Allora Sprindor si trasformò in acqua per sprofondare nella terra, poi aveva intenzione di trasformarsi in talpa e sbucare sotto il tesoro.

Condor si ricordò di avere il barattolo e, mentre Sprindor si tra- sformava in acqua, lo intrappolò nel barattolo.

Così Condor portò il tesoro a casa e fece felice la sua famiglia.

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IL CAVALIERE ADORATO

Rayan

C'era una volta un povero uomo di nome Cristoforo, che era odiato da tutti perché era fuori legge Non lavorava e non aveva uno spicciolo.

Visto che era forte, decise di diventare un cavaliere; ma con la fortuna che aveva, sappiamo come potrebbe andare a finire.

Allora andò dal re Archie a chiedere di diventare un cavaliere; il re non accettò e disse: <Non sei abbastanza forte>.

Cristoforo si allenò per giorni e giorni e, dopo, fu il più forte del popolo. Tornò dal re e gli disse: <Adesso sono pronto>.

Il re rispose: <Ok, devo metterti in prova>.

Allora diventò cavaliere.

Ma in quel mese non c’era nessuna missione.

Un giorno dopo era arrivato un Drago, aveva cominciato a spu- tare il fuoco e a distruggere tutto quello che gli veniva davanti.

L’unica cosa che era rimasta intatta era il castello.

Il re aveva suggerito al capitano di combattere contro il Drago.

Ma non l’aveva visto finora nessuno.

L’unica cosa che sapevano era che viveva in un’isola rocciosa in mezzo al mare.

Allora, il giorno dopo, l'esercito del Regno era partito sulle navi verso l'isola, dove pensavano di trovare il Drago.

Appena erano arrivati, dovevano controllare la grotta dell’isola per vedere se c’era dentro il Drago, ma nessuno aveva il corag- gio di entrare, l’unico che l’aveva era il povero cavaliere Cristofo- ro.

Egli andò e non trovò nessuno dentro perché il Drago era più furbo e, sapendo che lo stavano seguendo, a questo punto il Drago si era messo sopra la grotta.

Il cavaliere Cristoforo si era perso nella grotta. Mentre cercava la via d’uscita, il Drago si era messo davanti all’uscita.

Ore dopo, Cristoforo trovò l'uscita della caverna.

Egli ebbe un’idea: di intrappolare il Drago dentro e aprire un bu- co nell'acqua.

Ma il Drago, in fondo, non aveva tanta memoria, allora anche lui non ricordò dove si trovava la via di fuga.

Quando trovò l’uscita era tutto pieno d’acqua.

Quella fu la fine della creatura.

Cristoforo tornò vittorioso e fu nominato uno dei cavalieri più im- portanti del regno.

Da quel momento cambiò la sua vita per sempre.

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LA GUERRA DELLA REPUBBLICA

Tommaso

Un giorno la repubblica romana avvertì un pericolo che veniva verso Roma.

Volevano fermarlo a tutti i costi, ma quando lo videro ebbero paura.

Mandarono cinquanta legioni per fermarlo.

Ad un tratto arrivammo in una pianura e vedemmo la loro armata che avanzava verso di noi.

Poi si sentì un grosso terremo- to e uscirono dal terreno i man- gia-terra.

Che la battaglia abbia inizio!

Poi i mangia-terra iniziarono a mangiare i giganti che dopo riu- scirono a attaccare.

E noi attaccammo loro.

Poi riuscirono a staccare la testa al re e così loro persero la bat- taglia e li facemmo schiavi tutti quanti.

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L’UNIONE FA LA FORZA.

Zeno

C’era una volta, in un paesino con tante case colorate e un vec- chio castello, un calzolaio di nome Jack, che lavorava tante ore al giorno nel suo negozietto.

Di sera, quando era stanchissimo, arrivavano due suoi amici elfi che lo aiutavano a finire il lavoro.

Jack era un po’ cicciotto, abbronzatissimo e alto.

Aveva occhi verdi, capelli castani e la barba corta.

Portava sempre le stesse cose: una maglia grigia a maniche corte, un paio di jeans e delle scarpe vecchie.

Lo notavano tutti perchè indossava vestiti anni ottanta.

Era gentile con tutti, anche con chi non conosceva.

Un giorno, nel paese, arrivò un signore di nome Giorgio che aprì un negozio di scarpe nuove e tutti andavano a comprarle da lui.

Da Jack non andava più nessuno.

Un giorno sfortunato, a tutti gli abitanti, si ruppero le scarpe.

Andarono da Giorgio e gli chiesero:

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”Scusi, ci può aggiustare le scarpe?”

Giorgio rispose:

”Non posso, mi dispiace. Io vendo scarpe, ma non le aggiusto.”

Così tutti gli abitanti andarono da Jack e gli chiesero:

”Scusi, ci può aggiustare le scarpe?”

Jack rispose:

”Consideratelo fatto.”

Poi arrivò il signor Giorgio e chiese a Jack:

”Vuoi essere mio amico?”

Jack rispose:

”Certo, potremmo iniziare a collaborare!”

Da quel giorno, il signor Giorgio e Jack andarono d’accordo.

Fine

Riferimenti

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In 1920, he became con- sultant orthopedic surgeon to Lancashire County Council and surgical director of the Agnes Hunt Orthopaedic Hospital, Oswestry, and in 1932 orthopedic surgeon

ni il brano in un registro più grave, o lo declami in modo sussurrato. Il testo della Tosto fornisce, a questo proposito, numerose varianti relati- ve a possibili esecuzioni.

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There were major areas of difference across trials on brain metastases regarding the evaluation of response to treatment: definition of a target lesion (not defined, ≥1 cm); number

Il carattere egizio del complesso è confermato dai risultati di una ricerca sul luogo di provenienza delle sculture di soggetto egizio rinvenute nel Settecento a Villa Adriana,

Immagini tratte dai lavori di Nicoletta Costa (http://www.nicolettacosta.it) secondo la seguente