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STEFANO ERZEGOVESI Medico psichiatra e nutrizionista, è primario del Centro per i Disturbi Alimentari dell Ospedale San Raffaele di Milano.

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Academic year: 2022

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STEFANO ERZEGOVESI Medico psichiatra e nutrizionista, è primario del Centro per i Disturbi Alimentari dell’Ospedale San Raffaele di Milano. È uno degli esperti del Forum Salute del

«Corriere della Sera» e della Fondazione Veronesi. Con Vallardi ha

pubblicato il bestseller Il digiuno per tutti, vincitore del Premio

Bancarella della Cucina 2019.

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www.vallardi.it

facebook.com/vallardi

@VallardiEditore

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Antonio Vallardi Editore s.u.r.l.

Gruppo editoriale Mauri Spagnol

Copyright © 2020 Antonio Vallardi Editore, Milano Cura redazionale di Laura De Tomasi

Realizzazione editoriale di Alessio Scordamaglia

L’Editore ringrazia Gilda Nappo per la consulenza scientifica.

Foto dell’autore: © Thomas Lui ReflexStudio Foto di copertina: © Joris van Velzen

Progetto grafico: Giovanna Ferraris / theWorldofDOT ISBN 978-88-5505-275-7

Prima edizione digitale: maggio 2020

Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore.

È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.

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Sommario

PROLOGO. Dove eravamo rimasti?

«UN’ONCIA DI PREVENZIONE, UNA LIBBRA DI CURA»

Atto primo. I NOSTRI BISOGNI

– 1 – LA PAROLA A MARCELLO, IL NOSTRO CERVELLO I bisogni del cervello a tavola

– 2 – LA PAROLA A PASQUALILLO, IL NOSTRO BACILLO I bisogni del microbiota intestinale amico

Atto secondo. COSA DICONO LA STORIA E LA SCIENZA – 3 – C’È DEL GENIO NELLA CACCA DI UCCELLO Metchnikoff e la nascita dei probiotici

– 4 – UNGHIE NERE O SAPONE DISINFETTANTE?

La sporcizia buona dei batteri amici

– 5 – ASSI, AUTOSTRADE, SENTIERI NEL BOSCO Cervello, sistema gastrointestinale e microbiota

– 6 – DALL’ALTO IN BASSO, DAL BASSO IN ALTO Depressione, ansia, infiammazione e microbiota

Atto terzo. APPRECCHIAMO UNA TAVOLA AMICA DEL CERVELLO

– 7 – PRIMA DI ENTRARE IN CUCINA: CQCQ Quattro lettere per cominciare bene

– 8 – SI FA PRESTO A DIRE FIBRE

Impariamo a conoscere le fibre, amiche dei nostri batteri e del

buonumore

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– 9 – L’ANIMA SI LIBRA CON UN PO’ DI FIBRA Quanta, quando sì, quando no

– 10 – LA MENTE SVETTA CON LA PUZZETTA Fenomenologia dei gas intestinali

– 11 – VUOI AVERE SEMPRE VOGLIA? MANGIA SPESSO TANTA FOGLIA

I superpoteri delle foglie verdi

– 12 – BENVENUTI A BROCCOLINO I superpoteri delle Brassicaceae

– 13 – BUONUMORE SPINTO A MOLLA CON UN PIATTO DI CIPOLLA

I superpoteri delle Liliaceae

– 14 – I PENSIERI SON FELICI CON UN PIATTO DI RADICI I superpoteri delle Radici e dei Tuberi (patata esclusa)

– 15 – ALL’UMORE DAI L’ALLUNGO SE NEL PIATTO METTI IL FUNGO

I superpoteri dei Funghi e di tutte le altre verdure

– 16 – INTELLETTO ACUTO E RICCO SE NEL PIATTO METTI IL CHICCO

I superpoteri dei Cereali Integrali in chicco

– 17 – SE DI MENTE VUOI L’ACUME TUTTI I GIORNI C’È IL LEGUME

I superpoteri dei Legumi

– 18 – PER L’UMORE SEMPRE ARZILLO METTI IN TAVOLA IL MIRTILLO

I superpoteri della Frutta

– 19 – MENTE ALLEGRA, UN PO’ GIULIVA, LUCIDISSIMA E VELOCE, SE EXTRAVERGINE È L’OLIVA ED IN TAZZA C’È LA NOCE

I superpoteri dei grassi buoni

– 20 – LA VECCHIAIA SI ALLONTANA CON DUE TAZZE DI TISANA

I superpoteri dell’acqua e delle tisane

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– 21 – BASTA UN PIZZICO, UN’INEZIA, PER LA FORZA DELLA SPEZIA

I superpoteri delle spezie e delle erbe aromatiche

– 22 – BUONUMORE ASSICURATO CON IL CIBO FERMENTATO

I superpoteri degli alimenti fermentati – 23 – GLI EROI MUOIONO GIOVANI

«Eroica forza di volontà» oppure «cambiamo l’ambiente un pezzetto alla volta?»

– 24 – A TAVOLA!

Facciamo la rivoluzione con Varieté, Qualité, Quantité: non Ghigliottina, ma Coltello da Cucina!

– 25 – SE LA PANCIA È DELICATA LA FARINA È ABBURATTATA

Controindicazioni e piacevoli effetti collaterali alla Tavola della Mente Felice

– 26 – SE L’UMORE SA DI AGRO FA’ CHE UN GIORNO SIA DI MAGRO

Gli effetti benefici del digiuno per l’umore e per il cervello

– 27 – DOPO IL CIBO E LA BEVANDA, SEGUI BENE IL DOTTOR PANDA

Sincronizziamo gli orologi biologici e salviamo il buonumore

– 28 – CHE SIA SOLA O ACCOMPAGNATA, FA’ UNA BELLA CAMMINATA

Gli effetti naturalmente antidepressivi dell’attività fisica

– 29 – QUANDO LA TRISTEZZA TI STRINGE LA COLLOTTOLA, PROVA UNA CAREZZA CON LA DIETA DELLA TROTTOLA

Gli effetti rigeneranti della mindfulness EPILOGO

APPENDICE.

I CINQUE ELEMENTI IN CUCINA

Dall’Oriente all’Occidente e ritorno

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

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Ai miei allievi e ai miei pazienti, da cui imparo ogni giorno.

Ai miei genitori:

Grazie Pippo, per avermi insegnato a conoscere e rispettare i limiti, miei e delle altre persone;

Grazie Lina, per avermi insegnato

la curiosità e la visione dei problemi

da prospettive differenti.

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AVVERTENZA

È stato fatto tutto il possibile per garantire che le informazioni presenti in questo volume, anche a contenuto divulgativo, fossero accurate e aggiornate al momento della pubblicazione. L’autore e l’editore non possono essere ritenuti responsabili per eventuali errori o omissioni, o per l’eventuale uso improprio ed errata comprensione delle informazioni fornite in questo volume, o per qualsiasi danno o lesione alla salute, alle finanze o di altro genere, subiti da qualsiasi individuo o gruppo che ritenga di aver agito in base a dette informazioni. Nessun suggerimento o opinione forniti in questo volume intende sostituire il parere medico. Se il lettore nutre preoccupazione per il proprio stato di salute deve rivolgersi alla consulenza medica professionale. Tutte le scelte e le decisioni terapeutiche devono essere prese con l’aiuto del medico curante, che dispone delle conoscenze e delle competenze necessarie allo scopo, incluse le fondamentali informazioni relative al singolo paziente. Questo libro ha finalità divulgative e in nessun caso deve essere utilizzato come riferimento per modificare di propria iniziativa la terapia prescritta dal medico.

Le informazioni sui medicinali e/o componenti affini, sul loro uso e

sulla loro sicurezza sono in continua evoluzione, sono soggette a

interpretazione e devono essere valutate in relazione all’unicità di

ogni paziente e di ogni situazione clinica.

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PROLOGO

Dove eravamo rimasti?

Ci siamo salutati, alla fine del mio libro precedente, Il digiuno per tutti, sulle parole di Artemio, manager che si era presentato da me sfinito dalle diete, con troppi chili da perdere e tanti problemi di salute.

Con un giorno di magro alla settimana e un regime alimentare mediterraneo a base vegetale, Artemio poteva ritenersi molto soddisfatto: il peso era sceso pian piano ma in maniera continua, la pressione alta era sempre più bassa, il livello energetico era forte e stabile e, per ultimo ma non ultimo, il suo «apparato riproduttivo» – per usare un eufemismo medico – era decisamente «in tiro». C’era però una cosa, sopra a tutte, che aveva colpito la mia attenzione: un uomo «rabbioso e impaziente di carattere» – così dicevano tutti di lui –, che spesso scaricava nella rabbia anche la tristezza e la noia, ora mi raccontava, senza alcun clamore, di come la sua vita fosse cambiata, con più buonumore, calma e tranquillità.

E ancor più sorprendente era il modo in cui raccontava il cambiamento: senza i suoi soliti termini iperbolici – «che strafigata»,

«muovo il culo dalla sedia come un razzo» o «ce l’ho duro come il bastone per far polenta» – ma con un tono pacifico, naturale:

«Adesso sono così», come se fosse da sempre stato così.

In medicina si dice giustamente che un singolo caso non fa una teoria scientifica; ma un singolo caso può essere uno stimolo formidabile a «unire i puntini» delle conoscenze.

Perché questo libro?

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I miei «puntini» sono stati una serie di grandi punti di domanda, apparentemente lontani tra loro, su cui ho iniziato a ragionare e studiare.

Nelle cosiddette «zone blu», le aree del Pianeta in cui la gente vive a lungo e con una bassissima incidenza di malattie croniche, i livelli di depressione, ansia e stress sono decisamente bassi. Può esserci un legame con l’alimentazione e lo stile di vita?

Le ipotesi scientifiche più moderne dimostrano che un’infiammazione, lieve ma persistente, del sistema nervoso centrale risulta correlata a depressione, ansia e stress. C’è qualcosa che possiamo fare, con l’alimentazione e lo stile di vita, per tenere bassa l’infiammazione del corpo e del cervello?

Un altro moderno filone di ricerca, che sta letteralmente

«esplodendo» per numero di pubblicazioni scientifiche, studia i meccanismi del cosiddetto «asse intestino-cervello», ovvero di come i nostri batteri intestinali – il microbiota – possano influenzare, in maniera diretta e specifica, il funzionamento del cervello, la regolazione dell’umore, dell’ansia e dello stress. C’è qualcosa che possiamo fare per far crescere al meglio i batteri intestinali più amici del cervello?

Ho unito i puntini e ne è venuta fuori…

La dieta della mente felice Opera in tre atti

Riassumo qui la trama.

Atto Primo. I nostri bisogni

Per capire cosa mangiare, dobbiamo capire al meglio di cosa ha bisogno il nostro cervello: gli daremo allora direttamente la parola, perché ci spieghi, in diretta, i cibi che aiutano meglio la sua salute.

Lo stesso faremo poi con i batteri intestinali, cercando di

comprendere da loro cosa fare a tavola per farceli amici e aiutarli a

prosperare.

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Atto Secondo. Cosa dicono la storia e la scienza

Quando si vuole guardare avanti, è sempre utile iniziare voltandosi indietro e vedendo cosa hanno fatto le persone che ci hanno preceduto. Scopriremo allora insieme cosa dicono la storia e la letteratura scientifica più aggiornate a proposito del legame tra cibo, infiammazione, salute del microbiota e funzionamento del cervello.

Atto terzo. Apparecchiamo una tavola amica del cervello

L’ultimo atto è quello che mi piace di più: metteremo in pratica le conoscenze dei primi due atti e torneremo insieme in cucina a preparare cibo sano, gustoso, amico del buonumore e del cervello.

Quindi, la dieta della mente felice.

Visto che non di solo pane vivrà l’uomo (Mt 4,4), parleremo anche, in pratica, di alcuni stili di vita – ad esempio la mindfulness, un buon sonno, una gratificante rete sociale – amici di un cervello sano, pacifico e di buonumore.

E allora tutti seduti, cellulari spenti, e che si alzi il sipario!

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«UN’ONCIA DI PREVENZIONE, UNA LIBBRA DI CURA»

Benjamin Franklin, il noto scienziato e politico statunitense, diceva che «an ounce of prevention is worth a pound of cure», ovvero «30 grammi di prevenzione valgono come mezzo chilo di cura». Il detto si riferiva originariamente alla sicurezza antincendio, ma si applica bene anche alla salute.

Cosa c’entrano libbre e once con il nostro libro? C’entrano molto, perché la sana alimentazione è uno strumento decisamente potente per prevenire moltissime patologie croniche dell’epoca attuale, comprese le patologie mentali; ma, come diceva Benjamin Franklin, la sana alimentazione da sola non ha sempre il «peso» sufficiente per cambiare una situazione di patologia già avviata e conclamata.

Una premessa indispensabile

Quindi, se soffrite di una malattia mentale, sia essa una malattia di tipo depressivo, oppure ansioso o da stress, continuate RIGOROSAMENTE a seguire le prescrizioni del vostro medico. I disturbi ansiosi e depressivi sono disturbi seri e cronici, che affliggono un’ampia percentuale della popolazione mondiale e hanno un impatto enorme sulla collettività in termini di costi di cura e, soprattutto, di peggioramento della qualità di vita sociale e lavorativa delle persone che ne sono affette. Quindi non banalizziamoli e non illudiamoci di poterli curare con un piatto di riso integrale, per quanto buono e salutare sia il riso integrale.

I consigli di questo libro vi aiuteranno certamente a migliorare

l’efficacia e a ridurre gli effetti collaterali delle vostre cure, ma non

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potranno IN ALCUN MODO, da soli, curare una malattia.

Se invece, come buona parte della popolazione, soffrite di quella che Freud chiamava la psicopatologia della vita quotidiana – ad esempio periodici e lievi cali dell’umore, perdita di lucidità e

concentrazione in momenti di particolare stress, stanchezza

e malavoglia nel fare le cose, disturbi psicosomatici a livello intestinale – questo libro vi potrà aiutare molto.

Con un’oncia di prevenzione potrete migliorare la vostra qualità di

vita energetica, umorale e, perché no, anche spirituale.

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ATTO PRIMO

I nostri bisogni

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LA PAROLA A MARCELLO, IL NOSTRO CERVELLO

I bisogni del cervello a tavola

In questo capitolo, come in altri, lascerò la parola ai diretti interessati che animano il nostro corpo e la nostra mente. Vi sapranno spiegare, molto meglio di me, il loro complesso funzionamento e, soprattutto, i loro bisogni a tavola.

Buongiorno a tutti, sono Marcello, per gli amici Lello, il vostro cervello.

Non fatevi ingannare dal mio aspetto viscido e molliccio, che una volta faceva bella mostra di sé, in versione bovina, sui banchi delle macellerie.

Nonostante l’aspetto per nulla dinamico, sono un vero campione di potenza: pensate che il mio peso è solo il 2% del vostro peso corporeo totale, ma ricevo e utilizzo, io da solo, il 15% del flusso sanguigno che, a ogni battito, esce dal cuore. Di più ancora, consumo il 20% dell’ossigeno e delle energie totali del vostro corpo:

la potenza di un aeroplano non mi fa neanche il solletico.

Certo, sulle fonti energetiche sono un po’ schizzinosetto. Il mio carburante preferito è il glucosio: senza un apporto energetico costante di glucosio, divento una pappetta di carne morta nel giro di pochi minuti e, poco dopo, lo diventate voi con me.

Giusto in caso di emergenza, se proprio siete in mezzo al nulla in piena carestia, posso accontentarmi di pezzettini per nulla gustosi, anzi un po’ puzzolenti, che si chiamano corpi chetonici. Me li prepara dal basso il mio amico Fegato, dopo aver sbruciacchiato i grassi.

Ma torniamo alla mia potenza, che mi rende tanto bisognoso.

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Ecco i 4 bisogni di Lello per funzionare come si deve:

1. circolazione pulita ed efficiente. Se no, come farei a far scorrere il 15% della circolazione sanguigna che mi serve?

2. abbondanti quantità di antiossidanti. Se no, come farei a gestire tutto quel 20% di ossigeno senza arrugginirmi e bruciarmi nel giro di qualche ora?

3. apporto di glucosio continuo e stabile, senza sbalzi. Se no, senza quel 20% di glucosio totale che vi brucio, come farei a stare sempre acceso 24 ore su 24?

4. rete Intestino-Microbiota-Cervello rapida ed efficiente.

Senza l’aiuto di Pasqualillo detto Lillo, il bacillo intestinale mio migliore amico, non ce la farei a regolarmi da solo, sarei sempre di malumore e mi sarei estinto già da qualche millennio.

Per spiegarmi meglio vi racconto la storia di Donatello, un mio amico cervello che abita qui, al piano di sotto. Mi raccontava ieri del menu- tipo che gli arriva tutti i giorni dal suo stomaco cinquantenne; uno stomaco che si vanta sui social network WhatsApp-sistema nervoso periferico, Twitter-circolazione e Instagram-sistema immunitario – noi organi interni siamo molto social, da parecchio tempo prima di voi – di un’«alimentazione molto sana e attenta».

In effetti, il menu-tipo giornaliero aveva un’apparenza piuttosto tranquilla: colazione con cappuccino di soia e brioche vegana;

pranzo, panino con prosciutto, mozzarella, 2 fettine di pomodoro e una foglia di insalata; cena, petto di pollo, un piattino di insalata, 4 fette di pan carré e uno yogurt alla frutta.

Donatello mi diceva che, pur andando fiero di una dieta così

«sana», era sempre stanco morto: giù di tono sin dal mattino, poco concentrato, con la memoria un po’ svanita e un sottofondo di tensione, come una corda sempre tesa.

Io so perché. Vediamo, punto per punto, cosa dicono gli organi interni sui loro social network.

1. Circolazione pulita ed efficiente

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Le amiche arterie, che portano i preziosi nutrienti di cui io, Donatello e tutti noi cervelli abbiamo bisogno in ogni singolo istante, sono già piuttosto irritate. «Facciamo di tutto per portare in giro da mangiare il meglio, ma quello che arriva è davvero scarso. Le proteine animali sono troppe e i grassi sono praticamente tutti saturi, quindi di bassa qualità: sono appiccicosi e si attaccano all’endotelio, la nostra meravigliosa e finissima piastrellatura che deve essere sempre tirata a lucido con la cera per far scorrere il sangue senza intoppi; creano dei piccoli mucchietti – le placche ateromatose – sulle nostre pareti, che cominciano a mandare messaggi di odio sui social. Figurati come se la prendono quelli del sistema immunitario, ad esempio i macrofagi, già suscettibili di loro, quando trovano sulle placche messaggi del tipo bastardo macrofago, finirai nel sarcofago, oppure fottuta citochina, la tua fine si avvicina… Tempo qualche minuto e ci zompano addosso: infiammano le placche, le rendono ancora più ingombranti e, soprattutto, fragili. Noi facciamo di tutto per rimanere aperte, ma le placche più grosse ci fanno da tappo e, peggio ancora, le placche fragili e infiammate sparano in giro dei pezzettini che, per quanto ci impegniamo a ripulire, ogni tanto chiudono una strada.

Non sarà necessariamente un ictus, cioè quando si chiude un’arteria più grossa, ma bastano piccolissime zone di scarso apporto di sangue per far funzionare male gli organi vitali».

In più tutta questa infiammazione, anche senza pezzettini di placche in giro, manda in tilt il mio buonumore.

Ecco quindi i miei primi bisogni a tavola, l’ABC per una circolazione pulita ed efficiente.

A. Pochi grassi saturi, quindi evitate un eccesso di prodotti animali.

Nel box Tra il niente e il tutto cerchiamo di dare un significato ben preciso, scientificamente quantificabile e senza gli estremismi che demonizzano certi cibi, al concetto di «evitare l’eccesso».

A proposito di non demonizzare certi cibi: il mio amico Yuk, un cervello eschimese, reclama giustamente grandi quantità di grassi saturi e prodotti animali, se no morirebbe di freddo!

Io e Donatello, che abbiamo la fortuna di vivere in un clima

temperato, abbiamo invece bisogno di tutti i nutrienti vegetali che

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troverete in questo libro. Se vivete al Polo Nord o, più semplicemente, in una casa di montagna con la stufa in una stanza e un freddo boia in tutte le altre, chiedete a Yuk tutto quello che vi serve.

TRA IL NIENTE E IL TUTTO

Come orientarci tra «alla larga, è un cibo-veleno» e «fai come ti pare»

Rivedendo le pubblicità degli anni Sessanta sul fumo di sigaretta c’è da rimanere

sbalorditi: il messaggio diceva che un «uso moderato» di sigarette non faceva male, anzi faceva quasi bene «per tenersi svegli di mente e snelli di corpo».

Quindi attenzione al concetto generico di «uso moderato» che, molto spesso, assume il significato di «ne mangio un po’ ogni tanto» – che può voler dire tutti i giorni – «e faccio un po’ come mi pare».

Dall’altra parte c’è il terroristico «Attenzione, quel pugno di farina bianca o quel

cucchiaino di zucchero sono veleno puro!», che ci porta a una visione del cibo ossessiva e autopunitiva, quindi tutto tranne che salutare.

Fidatevi di Lello: per il cervello non sono tossici solo l’hamburger del fast-food o la bevanda zuccherata, ma anche la condizione di ossessione e angoscia cronica del doversi preoccupare tutto il giorno dei «veleni» del cibo.

Quindi come possiamo fare?

Proviamo a evitare l’eccesso di cibi animali con la Regola del 4 su 21: inseriamo cibi animali, quindi carne, pesce, uova, formaggi e loro derivati, per 4 pasti sui 21 della nostra settimana (3 pasti al giorno per 7 giorni fa 21); lasciamo invece spazio, per gli altri 17 pasti, a prodotti del mondo vegetale.

Un altro consiglio pratico: mangiamo meno prodotti animali ma mangiamoli meglio, cercando altissima qualità da allevamenti rispettosi dell’animale e sostenibili per l’ambiente.

Un po’ come si faceva, e si fa, nelle «zone blu», in cui si rimane longevi, attivi di corpo e vispi di mente fino a 90 e passa anni: si usano i prodotti animali come insaporitori più che come abbondanti piatti principali, ad esempio un pezzo di carne nel ragù della domenica o mezzo uovo insieme all’insalata.

Cosa fare, invece, per i prodotti industriali raffinati come merendine confezionate, dolci da bar, spuntini da macchinetta? A tutti noi può piacere un giro sulla giostra o

sull’ottovolante, ma andarci tre volte al giorno sarebbe certamente noioso e stucchevole.

Usiamo quindi la Regola della giostra: prodotti industriali raffinati solo nei giorni di festa, massimo una o due volte alla settimana se proprio siamo dei giocherelloni.

A proposito di cibi-giostra: quando parlo con i miei pazienti, preferisco non parlare mai di

«cibo spazzatura»; nessun cibo, per quanto malsano, merita – secondo me – un appellativo così svalutante. In più, l’idea di mangiare «spazzatura» può evocare

un’ambivalente emozione di colpa e allo stesso tempo attrazione per il proibito che, alla fine, ci porta a mangiarne ancora di più. Preferisco parlare di «cibo giocattolo», perché a tutte le età abbiamo diritto, ogni tanto, al nostro giocattolo preferito; ma giocare tutto il giorno ci lascerà annoiati e sicuramente più affamati.

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B. Poca infiammazione, quindi evitate un eccesso di prodotti industriali raffinati.

Cosa c’entrano i prodotti industriali raffinati con l’infiammazione?

C’entrano molto: fanno oscillare troppo il glucosio (vedi il punto 3), gettano scompiglio tra i miei amici batteri intestinali (come vi racconterà più avanti Pasqualillo il bacillo) e aumentano la produzione di sostanze pro-infiammatorie.

Quindi seguite la «regola della giostra» del box Tra il niente e il tutto.

C. Tenete in ordine le «piastrelle tirate a lucido con la cera» del vostro endotelio, quindi:

mangiate grassi buoni e «ammorbidenti» (olio extravergine di oliva italiano, frutta a guscio, semi oleosi ecc.);

muovetevi: basta un minuto ogni ora di un semplice «cammino e mi sgranchisco un attimo» per tenere più in forma l’endotelio, quindi non trovate scuse tipo che non avete tempo;

bevete acqua in abbondanza: basta una lieve disidratazione per farmi perdere colpi;

last but not least, scordatevi delle sigarette e, se non ce la fate da soli, chiedete un aiuto per farlo.

2. Abbondanti quantità di antiossidanti

Con tutta l’energia e l’ossigeno che consumo, qualche elettrone spaiato scappa sempre. Da ogni elettrone spaiato nasce una catena di ossidazioni che, senza antiossidanti a far da pompieri, mi stressa e mi fa venire ruggine tra un neurone e l’altro. Ruggine vuol dire più infiammazione, memoria che perde colpi, scarsa attenzione e umore molto fiacco; quindi dateci dentro con gli antiossidanti che la Natura ci dona in abbondanza.

Dove stanno gli antiossidanti? Quasi zero nel mondo animale e

quasi tutti nel mondo vegetale: verdura, frutta, cereali integrali,

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legumi, frutta a guscio, semi oleosi, erbe e spezie.

Troverete tutte le cose da sapere – e da fare – nell’Atto Terzo del libro.

3. Apporto di glucosio continuo e stabile, senza sbalzi

Datemi da mangiare una ciotola di riso integrale: il chicco, ricco di fibre e di antiossidanti, viene lavorato pian piano da stomaco e intestino e comincia a rilasciare amido. L’amido viene quindi diviso lentamente in molecole di glucosio che, senza fretta e in maniera costante, prendono la strada delle arterie e arrivano a nutrire con gusto tutte le mie cellule. Quindi umore stabile e alta energia, tranquilla e concentrata.

Datemi invece da mangiare una merendina di farina bianca, ma anche una sedicente «dietetica» galletta di riso bianco: dopo una ventina di minuti, wow!, mi gaso al massimo per il glucosio a fiumi che mi arriva.

Dopo un po’, però, l’amico pancreas e i suoi ormoni cominciano ad agitarsi: tutto quel glucosio in giro non fa bene a nessuno; quindi si scatenano a mandare in giro insulina che, da brava soldatessa, fa entrare in fretta il glucosio nelle cellule, lo imballa in prodotti di riserva – glicogeno, ma anche ciccia di scorta – e, sull’onda dell’entusiasmo, ne toglie anche un po’ troppo dal circolo.

Ecco che, dopo un’oretta, comincio a sentire lo zucchero che cala:

bottarella di sonno, meno attenzione e concentrazione, umore fiacco e irritabile, ormoni dello stress – cortisolo per primo – che fanno risalire gli zuccheri ma creano quel sottofondo ansioso del tipo «c’è qualcosa che non va, non sono tranquillo» e, infine, ormoni della fame che mi fanno desiderare altro cibo.

Quindi altra merendina o altra galletta, altro calcio nel sedere da zucchero, altro scherzo dell’insulina che mi tira via la sedia da sotto il sedere, altra voglia di cibi densi e così via.

Tutto questo ballo del can-can mi rende, con il tempo, più svogliato

e, soprattutto, più infiammato. Dalle mie parti, l’infiammazione

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cronica è una delle più grandi nemiche del buonumore, non dimenticatelo mai!

Ecco spiegato il mistero del malumore del mio amico Donatello:

nonostante l’apparenza salutare, il suo stomaco vanitoso mangiava in realtà troppi cibi di origine animale, troppa farina bianca raffinata, troppe poche fibre e troppi pochi vegetali antiossidanti.

4. Rete Intestino-Microbiota-Cervello

Gli scienziati stanno studiando l’asse intestino-cervello da qualche anno, ma gli amici batteri intestinali vivono con me e si sono evoluti con me da qualche MILIONE di anni. Ci parliamo in continuazione e, grazie a loro, riesco a regolare in maniera perfetta i 3 cardini del mio benessere:

a. l’infiammazione che, come abbiamo appena ricordato, deve essere bassa, se no prima mi rattristo e poi mi brucio;

b. i livelli di neurotrasmettitori, che mi danno la carica o mi mettono tranquillo secondo il bisogno;

c. i livelli di fattori di crescita neuronale e di altre molecole di segnale, che tengono in perfetta efficienza i neuroni che regolano ansia, depressione e ringiovanimento cellulare.

Ma su questo punto 4) del racconto cedo la parola al mio amico

Pasqualillo detto Lillo, il bacillo più intelligente che ci sia, che ci

racconterà di sé nel prossimo capitolo. Una storia d’amore così, che

dura da milioni di anni, merita il giusto spazio.

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– 2 –

LA PAROLA A PASQUALILLO, IL NOSTRO BACILLO

I bisogni del microbiota intestinale amico

Buongiorno, sono Pasquale, Pasqualillo per mamma e papà, Lillo per gli amici. Sono uno dei governatori del vostro microbiota intestinale e, come già sapete, qui sotto siamo davvero in tanti.

Parlarvi nei dettagli di noi, 100.000 miliardi e passa, sarebbe impossibile. Ci tengo però a dirvi poche cose ma chiare, perché noi bacilli siamo gente di poche parole, gente abituata a capirsi in fretta.

Né buoni né cattivi. Nell’intestino, come nella vita, non ci sono

«buoni» e «cattivi» in assoluto: secondo i bisogni, saranno necessari i miei compari biondi e pallidi, così come quelli ricci e neri. Tenete a mente questa parola, BIODIVERSITÀ, e cercate di coltivare la massima varietà di noi microbi, cercando di mangiare la massima varietà di cibi disponibili.

In questo modo, i pochi cattivi veri, ovvero i microrganismi patogeni per voialtri umani, saranno tenuti al loro posto.

Contatto, contatto, contatto. Altra parola chiave: CONTATTO, con

gli altri esseri umani e con il mondo in generale. Per aumentare la

nostra biodiversità, mettete le mani nella terra, abbracciate un albero

nel bosco, stringetevi tra voi umani e, se vi piace, baciatevi e

leccatevi. Se vi scandalizzate, è perché non ricordate quello che

avete fatto mentre stavate venendo al mondo, quando avete dato la

prima leccata dentro la vagina della vostra mamma. In quella leccata

ci stavano milioni dei miei compari lattobacilli e bifidobatteri, pronti

ad abitare nel vostro intestino fino a quel momento disabitato.

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Niente paura se siete nati con il parto cesareo: attraverso giri avventurosi, portati a spasso dalle cellule del sistema immunitario, i miei compari lattobacilli e bifidobatteri riescono ad arrivare anche nel latte materno, latte ricco, tra l’altro, anche di Galatto-Oligo-Saccaridi (GOS), zuccheri indigeribili appartenenti alla famiglia delle fibre, di cui noi batteri amici siamo molto golosi.

Fibre, fibre e ancora fibre. È un argomento troppo importante per parlarne solo qui; per questo troverete ben due capitoli dedicati alle fibre.

In questa sede mi preme solo lasciarvi un piccolo promemoria:

ricordarvi di cosa sono fatti i coproliti, ovvero i resti fossili – in pratica paleo-cacche – delle feci dei nostri antenati. Dentro i coproliti gli studiosi hanno trovato un’enorme quantità di fibra, corrispondente ad almeno 100 g di fibra ingerita ogni giorno, segno diretto dell’enorme quantità di vegetali che i nostri antenati mangiavano. Una cifra vertiginosa se pensate alle cacchine asfittiche di voi occidentali che, quando siete bravi, arrivate a mangiare 25 g al giorno di fibre.

Comunque sia, scordatevi di poter essere miei amici se mangiate, come raccontava il povero cervello Donatello, solo una mini-dose di insalata e pomodoro nel panino del pranzo e una misera lattughina a cena: io e i miei amici abbiamo bisogno di ben altre quantità e ben altre varietà.

Sono quantità raggiungibili anche al giorno d’oggi? Certamente sì, con una sapiente miscela di cereali integrali, legumi, tante verdure diverse tra loro, frutta fresca o disidratata, frutta a guscio e semi oleosi. Troverete tutti i trucchi nei capitoli più avanti.

I nomi dei miei amici. Non voglio confondervi con troppi nomi e cognomi dei miei amici, ma qualcuno ve lo cito. Certamente lattobacilli e bifidobatteri sono particolarmente amici di Lello il cervello, ma anche akkermansia – il bacillo di chi mangia a orari precisi e lascia riposare la digestione con qualche digiuno –, prevotella – il bacillo di chi mangia molti vegetali – e l’intera famiglia dei bacteroidetes sono tutti amici carissimi.

Non facciamo però di ogni erba un fascio: nella famiglia dei

firmicutes, collegati a obesità, infiammazione cronica e a una dieta

occidentale ricca di grassi saturi e proteine, ci sono anche i preziosi

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amici lattobacilli, gemellati ai bifidobatteri da un antico patto di mutuo soccorso; nella famiglia degli streptococchi, che collegate a brutti mal di gola con le placche, o delle escherichie, che associate alla diarrea del viaggiatore, ci possono essere preziosi alleati miei e della vostra salute. Questo perché, essendo molto simili ma non identici ai bacilli patogeni, escherichie e streptococchi – per dirne solo alcuni – rubano il cibo ai cattivi e mantengono un equilibrio pacifico in quel mondo multicolore e multirazziale che è il vostro intestino.

A proposito di multirazziale: proprio perché siamo un mondo così affollato, non pensate di poter sistemare tutto mandando giù da noi qualche pillola di fermenti probiotici, per quanto buoni possano essere i selezionati amici che ci mandate. Sarebbe come mandare una brava persona da sola a sistemare un quartiere popolato da mille delinquenti.

Se invece, mentre ci mandate giù brave persone, vi occupate anche della classe politica, delle scuole e delle cucine, ovvero rivedete interamente la vostra alimentazione e il vostro stile di vita, l’effetto positivo sarà assicurato per lungo tempo. Garantito da Lillo!

Per far prosperare al meglio noi bacilli

Noi bacilli siamo portati all’azione immediata e non stiamo troppo a perdere tempo in ragionamenti contorti. Per questo vi lascio un elenco di cose da NON fare, o da fare il meno possibile, seguite da un altro elenco di cose da fare per aiutarci a prosperare al meglio, quindi mantenerci biodiversi, resilienti, utili alla salute e naturalmente anche amici del cervello.

Cose da non fare

a. Mangiare troppi zuccheri raffinati, proteine animali e grassi saturi.

Sono i cibi preferiti dai bacilli bulletti e delinquenti, che non

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vedono l’ora di farsi strada attraverso la parete intestinale e raggiungere la circolazione sanguigna. Questo non vuol dire necessariamente infezione, perché il sistema immunitario è un tipo tostissimo e sempre all’erta, ma vuol dire certamente infiammazione cronica, invecchiamento, ansia e depressione.

Se proprio vi va di mangiare merendine e bistecche con il grasso, fatemi almeno il favore di mangiarne PICCOLE QUANTITÀ: una modesta quantità, ad esempio un pezzo di bistecca da 80 g a crudo, viene tutta digerita più in alto, a livello dell’intestino tenue, quindi manda meno scarti in basso da noi, nel colon, a far prosperare i bulletti delinquenti.

b. Mangiare troppi dolcificanti.

Oltre che ingannare i recettori per il dolce, che popolano tutto l’intestino e non solo le papille gustative della bocca, i dolcificanti sballano anche noialtri bacilli, facendo proliferare i nostri coinquilini golosi di zucchero. Sembra un’ironia della sorte: mangiate e bevete cose dolcificate, senza calorie e senza zucchero, ma il dolcificante trasforma noi bacilli in un gruppo risparmioso e goloso di zucchero vero, che vi mette a rischio per sindrome metabolica, diabete e obesità.

c. Bere troppi alcolici.

Troppi alcolici fanno scompiglio nel nostro popolo multicolore, facendo prosperare i più risparmiosi di noi – quindi con maggior rischio di obesità e sindrome metabolica –, riducendo i più anti- infiammatori di noi e, peggio del peggio, aumentando la permeabilità della parete intestinale alle sostanze tossiche e batteriche (il cosiddetto leaky gut, l’intestino che sgocciola).

Seguiamo quindi il concetto di Unità Alcolica (UA), per cui una UA corrisponde a un calice di vino a gradazione media (125 ml a 12 gradi), a una lattina di birra a bassa gradazione (330 ml a 4,5 gradi) o a un bicchierino di superalcolico (40 ml a 40 gradi).

Se siete maschi, non bevete più di 2 UA al giorno, se siete

femmine solo 1 UA. Oltre queste quantità, i possibili svantaggi,

per noialtri bacilli amici, supereranno i possibili benefici. Così

come dicevamo al punto a) sui cibi sgraditi a noi microbi buoni,

anche per l’alcol è la dose che fa il veleno: piccole dosi –

corrispondenti a 1 UA al giorno – aumentano gli amici lattobacilli

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e bifidobatteri, come un vero prebiotico naturale, probabilmente per le buone quantità di antiossidanti che ci sono in alcuni alcolici come il vino rosso. Alte dosi fanno esattamente il contrario e danno gas ai più bulletti e delinquenti di noi.

d. Dormire poco o avere orari sballati per il sonno e per i pasti.

Anche noi bacilli, come ogni cellula umana, abbiamo un orologio biologico da trattare con cura. Se ci fate confondere il giorno con la notte, non capiamo più nulla e cominciamo a fare il contrario di quello che serve alla vostra salute e, se la confusione dura a lungo, cominciamo a mandare in alto, a Lello il cervello, segnali di malumore, ansia e depressione.

e. Usare troppi antibiotici e disinfettanti.

Gli antibiotici, preziosi alleati di noi bacilli amici quando siamo allo stremo contro i patogeni, hanno salvato milioni di vite umane e continueranno a farlo. Ricordate però che, per qualche migliaio di patogeni distrutti, gli antibiotici distruggono anche, qualche miliardo alla volta, noi batteri amici. Quindi usate antibiotici e disinfettanti con parsimonia, sempre e solo dietro prescrizione medica.

Cose da fare

a. Mangiare cibi prevalentemente vegetali, con grande varietà.

Le fibre, di cui noi batteri amici siamo golosi, non sono tutte uguali; quindi seguite alla lettera quanto abbiamo detto prima a proposito di «fibre, fibre e ancora fibre» e, soprattutto, seguite alla lettera i consigli e le ricette della sezione Facciamo 13 al Totocalcio, a partire da qui, in cui sentirete parlare dal vivo i miei amici vegetali.

b. Mangiare alimenti fermentati.

Molti miei amici microbi, lasciati liberi di prosperare in certi cibi,

si moltiplicano a dismisura e rimangono vivi e vitali nel cibo

appena fermentato. Mi dispiace deludervi, ma non lo facciamo

per servire i vostri comodi: lo facciamo perché, in questo modo,

possiamo crescere e moltiplicarci negli ambienti più favorevoli

alla nostra sopravvivenza (e uno degli ambienti più favorevoli

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per noi è il vostro intestino). Quindi aiutiamoci a vicenda: noi fermentiamo alcuni cibi – pensate allo yogurt, al kefir, ai crauti o alle verdure lattofermentate –, voi li mangiate e ripopolate, a costo quasi zero, il vostro intestino di preziosissimi batteri amici.

Vedremo tutto nel capitolo Buonumore assicurato con il cibo fermentato.

c. Avere ritmi, di pasti e di vita, regolari.

Non mi dilungo su questo punto, che troverete ben dettagliato nel capitolo Dopo il cibo e la bevanda, segui bene il dottor Panda. Mi limito a ricordarvi che gli orologi biologici non sono solo nel cervello o nelle cellule più specializzate del vostro organismo; sono anche in noi piccoli e, apparentemente, stupidi microrganismi. Presi a uno a uno sembriamo stupidi, ma tutti insieme, migliaia di miliardi, siamo decisamente furbi, veloci e intelligenti nel cambiare strategia secondo il bisogno.

d. Controllate lo stress.

Certamente, da quaggiù, noi batteri amici facciamo un sacco di cose che possono cambiare in meglio il vostro umore, calmare le vostre ansie e rafforzare la vostra resistenza allo stress. È però vero anche il contrario: se siete molto stressati, diventiamo stressati anche noi, con il rischio che prendano il sopravvento le popolazioni più bullette e delinquenti. Quindi praticate meditazione, preghiera o mindfulness; fate delle belle camminate all’aria aperta, meglio se nel bosco. Vedrete che, in ogni modo, anche noi ne trarremo grande giovamento.

e. «Last but not least»: ascoltateci di più!

Se cominciate ad avere voglie matte di certi cibi, i cosiddetti craving, non pensate subito a cose complicate come le carenze affettive o le merende che vi preparava la vostra mamma.

Potremmo essere noi che, dal basso, siamo particolarmente in

tanti e golosi di specifiche sostanze, ad esempio certi

aminoacidi o certi grassi e zuccheri. La scienza ha già

dimostrato che, nel nostro piccolo, influenziamo le scelte

alimentari di piccoli animali come i moscerini della frutta; magari

tra non molto si scoprirà la stessa cosa per voi umani. Nel

frattempo, quando passate lunghi periodi a impazzire per certi

dolci, formaggi o carni, fate un pensiero anche su di noi: magari

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stiamo cercando, in ogni modo, di farvi capire che certi bulletti tra noi stanno aumentando a dismisura e che, mai come ora, c’è bisogno di cambiare alimentazione e stile di vita per far sparire quelle strane voglie.

Ringraziamo Lello e Lillo per averci raccontato cosa, nelle nostre

scelte alimentari e non solo, aiuta la nostra freschezza mentale, il

nostro umore, la nostra memoria e la nostra capacità di sostenere lo

stress. Pronti per l’Atto Secondo? O magari prima ci alziamo dalla

poltrona, andiamo a bere un bicchier d’acqua e ci sgranchiamo le

gambe?

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ATTO SECONDO

Cosa dicono la storia e la scienza

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C’È DEL GENIO NELLA CACCA DI UCCELLO Metchnikoff e la nascita dei probiotici

Ogni volta che vedo una cacchetta di uccello sul terrazzo, mi viene in mente il genio di Elie Metchnikoff. Scienziato poliedrico, grande studioso e naturalista, agli inizi del Novecento si pone il problema della longevità in un’ottica che risulta intrigante ancora oggi: come mai si invecchia? Come mai alcuni uomini vivono più a lungo di altri?

E, soprattutto, come mai alcuni animali vivono per centinaia di anni e altri solo per pochi giorni?

Pur con i mezzi rudimentali dell’epoca, Metchnikoff sviluppa un’ipotesi geniale, che oggi potrebbe far sorridere gli scienziati con la puzza sotto il naso – sempre di cacca in fondo si tratta! – ma che sta trovando conferme nella letteratura scientifica più moderna: la longevità e, più in generale, il buon funzionamento delle cellule (cervello compreso), sono legati a ciò che accade nell’ultima parte dell’intestino, il colon, ovvero l’intestino crasso.

Nei suoi studi di anatomia comparata, quella parte della biologia che indaga le differenze nella struttura degli organi e degli apparati tra le varie specie, Metchnikoff evidenzia la grande longevità degli uccelli e la correla alla loro particolare struttura intestinale: un colon cortissimo, quasi inesistente, che permette agli uccelli di essere leggeri e librarsi nell’aria senza zavorre inutili. Quasi unici tra le specie viventi, gli uccelli non hanno serbatoi di riserva e possono eliminare le feci mentre sono in volo: ecco perché la loro leggerezza, ed ecco perché le cacchette sul mio terrazzo.

Ma cosa ci sarà mai nel colon che possa intossicare e far

invecchiare le cellule, cervello compreso? Una miriade di batteri che,

se male assortiti – Metchnikoff parlava di «eccesso di putrefazione

intestinale» – producono sostanze tossiche, fanno irritare il nostro

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sistema immunitario e, di conseguenza, tengono sempre acceso e troppo all’erta il sistema dell’infiammazione.

Ma vediamo qualche informazione in più su Elie Metchnikoff, versione anglicizzata del suo vero nome, Ilya Ilyich Mechnikov, capostipite degli studi scientifici sul ruolo del microbiota (quando ancora non si chiamava così) e sull’effetto benefico dei prodotti fermentati.

Possiamo ringraziarlo per almeno due contributi che hanno influito profondamente sulla nostra società. Il suo primo merito è stato riconosciuto anche dal premio Nobel per la fisiologia e la medicina, conferitogli nel 1908 per gli studi sulla cosiddetta «immunità cellulo- mediata»: è stato Metchnikoff a dimostrare l’esistenza delle cellule chiamate macrofagi e a intuire il loro funzionamento, quella fagocitosi per cui i macrofagi «mangiano e digeriscono» gli ospiti indesiderati e ci permettono di combattere le infezioni.

Non è, però, per questa scoperta che ci occupiamo di lui in questo libro. Qualche anno prima di ricevere il Nobel, Metchnikoff iniziò a interessarsi ai meccanismi che influenzano la longevità con un intento davvero nobile: era convinto che l’uomo avesse il dovere morale di vivere a lungo, perché è solo nella seconda parte della vita che si riesce ad avere quella tranquillità emotiva che ci permette di essere ottimisti e costruttivi.

Nel corso di numerosi viaggi attraverso l’Europa, Metchnikoff aveva notato che alcune popolazioni di pastori della Bulgaria e del Caucaso vivevano molto più a lungo rispetto alla media: 87 anni contro i 48 degli statunitensi. Aveva osservato, inoltre, che i pastori del Caucaso si nutrivano di abbondanti quantità di latte fermentato, non perché animati da ambizioni detox come i divi di Hollywood – immagino avessero cose più urgenti a cui pensare – ma, più semplicemente, perché la spontanea fermentazione permetteva di conservare il latte più a lungo.

Metchnikoff, già allora, aveva analizzato i microrganismi

responsabili della fermentazione e della coagulazione acida del latte,

individuando il Lactobacillus bulgaricus e lo Streptococcus

thermophilus. Aveva quindi ipotizzato che la longevità fosse dovuta

all’azione di questi batteri lattici, attivi contro la putrefazione

intestinale. Rifacendosi a Ippocrate, che, nel 400 a.C., aveva

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postulato che «la morte risiede e origina nell’intestino», Metchnikoff aveva elaborato una teoria dell’invecchiamento in cui le tossine rilasciate dai batteri della putrefazione nell’intestino crasso raggiungono la circolazione sanguigna, attivano i macrofagi e l’infiammazione e causano la degenerazione dei tessuti responsabili dell’invecchiamento. Ricordiamo che, come Metchnikoff aveva intuito e come la moderna immunologia ci insegna, i macrofagi possono essere i nostri migliori amici quando attaccano virus, batteri o cellule tumorali, ma possono anche essere i nostri peggiori nemici quando attaccano i nostri stessi tessuti.

I batteri lattici, nostri preziosi amici, possono contrastare ed eliminare i batteri putrefattivi «cattivi» che causano l’invecchiamento e il malfunzionamento delle cellule di tutto il corpo, cervello compreso. Quindi non tutti i microrganismi sono dannosi per la salute dell’uomo e «la dipendenza dei microbi intestinali dal cibo consente di adottare delle misure per modificare la flora batterica nel nostro corpo e rimpiazzare i microbi pericolosi con microbi utili».

Nasce così, più di un secolo fa, il concetto di «probiotico», cinquant’anni prima che il termine fosse coniato intendendo microrganismo vivente utile alla vita e alla salute dell’uomo.

In quegli stessi anni la società «La Fermente» mette in commercio un latte fermentato prodotto con i ceppi batterici di L. bulgaricus e S.

thermophilus isolati da Metchnikoff e il prodotto ottiene grande successo tra i consumatori. Qualche anno più tardi, lo stesso prodotto è messo in vendita con il nome youghourt, termine che entra nel dizionario francese Petit Larousse e si diffonde rapidamente in tutta Europa e in Nord America. Poco dopo, nel 1935, dall’altra parte del mondo, in Giappone, il Dott. Minoru Shirota, microbiologo all’Università di Kyoto, scopre alcuni batteri intestinali che contribuiscono alla difesa dell’organismo e isola il Lactobacillus casei (Lc), in seguito chiamato Lc Shirota. A partire dal 1935 inizia in Giappone la produzione di un latte fermentato con Lc Shirota, che si è diffuso in tutto il mondo ed è tuttora in commercio.

La lunga storia del latte fermentato

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Anche se è a Metchnikoff che dobbiamo l’isolamento dei microrganismi che hanno permesso di produrre e commercializzare lo yogurt e i latti fermentati che mangiamo oggi, in realtà, nelle popolazioni umane il consumo di prodotti fermentati è molto più antico: si ipotizza che possa risalire a circa 10.000 anni fa. Il primo latte fermentato veniva prodotto dalle popolazioni che vivevano nell’antico Egitto e in Mesopotamia, che mungevano mucche, pecore, capre, cavalli e cammelli e tenevano il latte in contenitori fatti con la pelle o con lo stomaco dello stesso animale. In questo modo veniva in contatto con i batteri, probabilmente gli antenati dei microrganismi che oggi usiamo per produrre lo yogurt. La leggenda narra che uno dei pastori che viaggiava sotto il sole cocente del deserto turco dimenticò il latte in una borsa di pelle di capra per un certo tempo e, quando la riaprì, trovò che il latte si era trasformato in una crema densa e gustosa. Ecco così che, in modo totalmente accidentale come spesso capita per le grandi scoperte dell’umanità, nacque il primo yogurt. Che la leggenda sia vera o meno, è certo che i benefici di consumare yogurt e altri prodotti fermentati sono noti da tempo immemore, secoli prima che si scoprisse anche solo l’esistenza dei batteri. I turchi, ad esempio, consideravano lo yogurt un elisir di lunga vita, capace di conferire benessere fisico e mentale.

Quindi? Lunga vita e prosperità al cervello con yogurt e latti

fermentati? In parte sì ma, come vedremo nei prossimi capitoli, il

cervello, per mantenersi gioioso, ha bisogno di tante altre cose.

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UNGHIE NERE O SAPONE DISINFETTANTE?

La sporcizia buona dei batteri amici

Alfonso, un mio compagno delle elementari, è stato l’eroe della mia infanzia, e non solo per il racconto della pizza che mangiava a casa:

la mamma di Alfonso faceva una pizza molto ricca, «ci mette pomodoro, mozzarella, gorgonzola, prosciutto, salsiccia e salame», mentre la mia mamma, più salutista, ci metteva solo mozzarella, pomodoro, origano e basilico, «se no viene troppo pesante e non senti il gusto autentico della pizza». Oltre a farmi sognare di poter andare a mangiare a casa sua, Alfonso andava fiero delle unghie nere perché, abitando in una cascina poco fuori Milano, teneva le mani sempre nella terra e poteva giocare quanto voleva con gli animali. Dormiva spesso durante le ore di scuola, perché si doveva alzare prestissimo per arrivare da lontano, ma non ricordo mai una sua assenza per malattia. Insomma, neanche un raffreddore.

Dalle prime file della classe ricordo invece l’odore di Matilde.

Profumava di pulito anche a distanza e, nel suo portasapone azzurro, allineato alla salvietta impeccabilmente ricamata con il suo cognome (ai tempi l’usa e getta e i saponi liquidi non esistevano proprio), svettava una saponetta di uno strano color verde brillante.

«Che strana la tua saponetta, Matilde» le avevo chiesto. «Non è strana» mi aveva risposto, arrotando la «erre» moscia, «è un sapone disinfettante: oltre che pulire, uccide i microbi». Io, a sei anni, non sapevo neanche cosa fossero i microbi; ricordo però una certa mia diffidenza per l’odore pungente della saponetta verde e, soprattutto, ricordo le sue lunghe assenze da scuola per lo stato di salute

«cagionevole», come lo chiamava la maestra. In inverno, tutte le «-

iti» (faringite, tonsillite, otite e via discorrendo) erano sue e in

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primavera aveva sempre gli occhi rossi e il naso tappato perché, diceva, «sono allergica ai pollini».

Quindi Alfonso, che odorava di terra e di buccia di salame e che veniva spesso richiamato dalla maestra per la «scarsa igiene», era sano come un pesce, e Matilde, che era più pulita del piatto in cui mangiava, si ammalava sempre.

A casa mi avevano dato una spiegazione convincente («userà il sapone disinfettante perché è più fragile e si deve proteggere»), ma dopo moltissimi anni ho scoperto che le cose stavano e stanno in modo molto diverso.

Alla faccia dei razzisti di ogni stato e colore, il mondo dei microrganismi è molto simile al mondo degli esseri umani: se incontriamo per strada qualcuno di sconosciuto, la probabilità che sia una persona tranquilla e, in caso di bisogno, disponibile a darci una mano, è ENORMEMENTE superiore alla possibilità che sia una persona intenzionata a farci del male.

Vediamo allora di conoscere più da vicino questo piccolo e grande mondo che ci circonda.

I batteri del mondo

Il mondo intorno a noi è pieno di forme di vita troppo piccole per poter essere viste a occhio nudo: batteri, virus, funghi, alghe e protozoi. Tutte queste forme di vita, dette microrganismi o microbi – plurale di microbio, dal Greco mikròs, «piccolo» e bios, «vita» – vivono in una sconfinata varietà di habitat: dalla cima delle montagne in Antartide alle bollenti sorgenti termali, dall’acqua degli oceani al sottosuolo, dall’aria che respiriamo alle radici delle piante, dalla superficie esterna fino agli organi interni degli animali.

I microbi agiscono su ogni aspetto della vita sulla Terra e sono fondamentali per rendere disponibili sul Pianeta gli elementi essenziali alla vita: idrogeno, ossigeno, carbonio, azoto e zolfo.

Prendiamo, ad esempio, i batteri decompositori: se non esistessero,

tutto il mondo sarebbe letteralmente sommerso da animali e piante

in decomposizione. È solo grazie ai batteri che tutti gli elementi utili

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presenti in un organismo deceduto possono essere digeriti, trasformati e tornare così a essere disponibili per incorporarsi in nuove forme di vita. I microrganismi, inoltre, lavorano insieme alle piante e conducono circa metà di tutta la fotosintesi del nostro Pianeta, fornendoci l’ossigeno che usiamo per respirare e liberandoci dall’anidride carbonica.

Intere comunità microbiche si associano ad animali e piante e con loro costituiscono «patti» di segreta amicizia, in cui ciascuno porta beneficio all’altro. Noi stessi ne siamo un esempio: il nostro corpo ospita un numero di microrganismi di gran lunga superiore al numero delle nostre cellule; questo ci permette di digerire composti altrimenti inutilizzabili, di produrre vitamine, come la vitamina K, indispensabile per la coagulazione del sangue e per dare stabilità alle ossa, di promuovere il corretto sviluppo del sistema immunitario, di detossificare sostanze pericolose per il nostro organismo e di svolgere tutta una serie di altre funzioni che, giorno per giorno, la ricerca scientifica ci sta svelando.

Amici o portatori di malattie?

Nonostante tutto questo, dentro ognuno di noi abitano ancora le paure di Matilde e della sua saponetta disinfettante: la prima cosa a cui pensiamo, quando sentiamo la parola «microrganismo», è la malattia. Ci vengono in mente i virus che causano l’influenza o i batteri responsabili delle intossicazioni alimentari, quando non addirittura il virus dell’AIDS o il batterio della tubercolosi.

In realtà, la maggior parte dei microbi non causa patologie nell’uomo. Si stima, infatti, che meno dell’1% dei batteri esistenti al mondo sia responsabile di malattie.

Come si spiega allora la brutta opinione che abbiamo dell’intera categoria dei microbi? Le ragioni sono diverse e, certamente, una delle principali ragioni affonda le sue radici nella storia.

La microbiologia, ossia quella branca della biologia che studia le

forme di vita microscopiche, fiorì nella seconda metà dell’Ottocento,

proprio con l’obiettivo di indagare gli agenti che determinano le

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malattie umane. In quel periodo, che potremmo definire «l’età dell’oro della microbiologia», personaggi come Robert Koch, Louis Pasteur e altri brillanti scienziati identificarono i batteri responsabili di malattie mortali come l’antrace, la tubercolosi, il colera, la gonorrea, il tetano e la difterite. Grazie ai loro studi, che si svilupparono per proseguire fino a tutt’oggi, abbiamo un efficiente armamentario di misure igieniche, vaccini e farmaci per prevenire e trattare queste e molte altre patologie provocate da virus e batteri.

Ma già molto tempo prima era stata osservata la presenza di microbi apparentemente non pericolosi; nel 1676 l’ottico olandese Anton van Leeuwenhoek aveva utilizzato un microscopio molto primitivo per analizzare la mucosa all’interno della sua bocca e aveva notato che c’erano dei piccolissimi esseri dotati di grande mobilità. Ci sono voluti più di duecento anni, però, perché Louis Pasteur riconfermasse l’osservazione, analizzando diverse porzioni di superficie corporea, e si chiedesse se questi microrganismi avessero un ruolo fisiologico per la nostra salute. Qualche anno più tardi furono Elie Metchnikoff, di cui abbiamo parlato nel capitolo precedente, e il ginecologo tedesco Albert Döderlein a rivelare l’importanza dei batteri lattici, rispettivamente per la longevità e per la prevenzione delle infezioni vaginali. Quindi, in qualche modo, già molti anni fa abbiamo iniziato a considerare amici, e non solo patogeni, i nostri microbi.

Una pietra miliare nel campo della «microbiologia degli amici» è stata, nella prima metà del Novecento, la generazione dei primi modelli animali privi di flora batterica. Si trattava di roditori e polli nati e cresciuti in ambiente sterile per poter studiare il ruolo del microbiota nello sviluppo dell’organismo. Si è così scoperto che i poveri topi e polli sterili, privi di microbiota, non erano in grado di sintetizzare alcune vitamine, come la vitamina K e le B, avevano un intestino atrofico, con villi irregolari e minori capacità rigenerative, possedevano un sistema immunitario alterato, erano molto più suscettibili alle infezioni e, last but not least, mostravano diversi disturbi comportamentali.

Era la dimostrazione delle tante funzioni che le interazioni ospite-

microbiota svolgono in un organismo sano, e diede il via a migliaia di

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ricerche che ancora oggi, a un ritmo quasi quotidiano, svelano una nuova tessera di quello che appare come un immenso mosaico. Per avere un’idea dell’interesse che tale campo riveste in questo momento a livello della comunità scientifica mondiale, basta analizzare il numero di articoli finora pubblicati contenenti la parola

«microbiota» nel titolo: in totale sono 14.584 a partire dal 1956 e, di questi, ben 12.176 (cioè più dell’83%) sono stati pubblicati dal 2013 a oggi.

Gli animali del bosco, ovvero il microbiota sano

Se penso agli animali che popolano il bosco, mi vengono in mente animali simpatici – penso agli scoiattoli o alle marmotte – e animali antipatici – penso alle vipere o ai moscerini. TUTTI gli animali che popolano un bosco, simpatici o meno che siano, sono necessari alla sopravvivenza, alla crescita e al mantenimento di quella forma di vita complessa che chiamiamo ecosistema.

Un ecosistema, per essere sano e resiliente, ovvero in grado di ripristinare la propria stabilità se sottoposto a perturbazioni negative esterne (nel caso del bosco, pensiamo a un incendio) deve essere altamente biodiverso, quindi ricco di specie viventi diverse, alcune che collaborano e altre che combattono tra loro ma che, comunque, concorrono tutte quante al mantenimento del miglior equilibrio possibile all’interno dell’ecosistema.

Tradotto in termini pratici, ecco un piccolo memento alla deriva

razzista che sta pericolosamente strisciando in tutti i paesi

occidentali: un ecosistema ricco di esseri diversi, alti, bassi, bianchi,

neri, gialli o rossi che siano, vivrà a lungo e in equilibrio, sempre

pronto ad affrontare e superare possibili perturbazioni esterne. Un

ecosistema altamente selezionato, tutto biondo e di razza ariana,

sarà destinato certamente – basta un banale imprevisto – a una

prematura estinzione. Quindi, quando incontrate un razzista, non

insultatelo – servirebbe solo a renderlo ancor più razzista e

incattivito – ma cercate di essere empatici con il suo vissuto di

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grande fragilità e, magari, consigliategli un buono psicoterapeuta, che possa aiutarlo a rafforzare le sue aree vulnerabili.

Scusate la digressione socio-politico-psicologica e torniamo al nostro corpo, uno degli ecosistemi più raffinati e complessi, che ospita più di 100 trilioni, ovvero centomila miliardi, di microrganismi, principalmente batteri, ma anche virus, lieviti, funghi e piccoli e organismi unicellulari detti protozoi, tutti indispensabili per la nostra salute. Queste comunità, complessivamente dette microbiota, si trovano in punti specifici dell’organismo: pelle, vagina, cavità orale, vie respiratorie e tratto gastrointestinale. Tra tutti, il microbiota intestinale è quello maggiormente studiato, in parte perché, quando alterato, si associa a un’ampia varietà di patologie, in parte perché si tratta di una comunità incredibilmente numerosa e capace di modificarsi in base al nostro stile di vita, ad esempio con la dieta o l’attività fisica.

Dal momento che le cellule batteriche sono molto più piccole di quelle umane, pur essendo molti di più i batteri contribuiscono solo a una piccola percentuale del nostro peso corporeo. Il microbiota intestinale può pesare fino a 2 kg e contiene almeno 1000 diverse specie di batteri, per un totale complessivo di oltre 3 milioni di geni.

Se lo paragoniamo al numero di geni delle cellule umane, che sono circa 21.000, non possiamo che concludere che nel nostro corpo la

«parte umana» è in netta minoranza, sia per numero di geni, sia per numero di cellule.

Se confrontassimo il microbiota di tutti gli abitanti di una città, scopriremmo che circa un terzo dei microrganismi sono in comune più o meno fra tutti, mentre due terzi sono «persona-specifici», cioè individuali, e dipendono da cosa mangiamo, dal nostro stile di vita, dall’età, dalla presenza di eventuali patologie e dall’assunzione o meno di farmaci.

Come dicevamo per gli animali del bosco, queste differenze

individuali rendono complesso definire una volta per tutte la

composizione di un microbiota «sano»; tuttavia gli scienziati sono

concordi nel ritenere che un microbiota sano sia generalmente

stabile nel tempo e soprattutto vario, ovvero biodiverso. Al contrario,

se un microbiota è «povero» in numero e in specie di microrganismi

si parla di disbiosi, che può essere provocata da esposizione a

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tossine, farmaci e microrganismi patogeni o da un’alimentazione povera di fibre e ricca di grassi e proteine animali. In questo caso alcuni microrganismi prendono il sopravvento su tutta la comunità, modificando profondamente anche il rapporto con il resto dell’organismo.

La disbiosi è stata osservata nelle persone affette dalla sindrome del colon irritabile, da obesità, diabete di tipo 2, celiachia, cancro del colon-retto, ma anche da ansia, depressione e disordini dello spettro autistico. Per questo motivo, se desideriamo più buonumore o più resistenza allo stress, dobbiamo ricordare anche di farci amici i nostri microbi intestinali.

E non è finita qui. Il microbiota influenza lo sviluppo e il funzionamento di molti meccanismi del nostro organismo, dalle risposte immunitarie alle infiammazioni, oltre a una serie di funzioni legate al metabolismo.

Tutto questo grazie a uno speciale sistema di comunicazione:

l’asse intestino-cervello, una «strada» molto ramificata che, in parte, scende dal cervello all’intestino e, in parte, sale dall’intestino al cervello. Una rete di comunicazione, molto complessa e finemente regolata, tra intestino, cervello, sistema immunitario, metabolismo e infiammazione cellulare. All’asse intestino-cervello è specificamente dedicato il capitolo 5.

Di cosa si nutre il microbiota intestinale?

Il tratto gastrointestinale è un lunghissimo tubo che parte dalla bocca

e arriva fino all’ano senza mai interrompersi. Il cibo masticato nella

bocca – a proposito: masticate A LUNGO il cibo che mangiate, così

facilitate il compito dei vostri batteri amici! – entra nell’esofago e

raggiunge lo stomaco, un organo caratterizzato da un’altissima

acidità. Lo stomaco ospita un numero relativamente basso di batteri,

in parte perché il cibo passa velocemente, rendendolo un ambiente

molto più povero di nutrienti rispetto ad altre parti del tratto

digerente, in parte proprio a causa della sua natura estremamente

acida, che consente di sopravvivere solo ai microrganismi che ben

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sopportano un pH di circa 2 (come il succo di limone puro!). Le specie che abitano lo stomaco sono perlopiù lattobacilli e streptococchi.

Il tubo digerente prosegue nell’intestino tenue, lungo circa 7 metri con un diametro di soli 2,5 centimetri, e continua con l’intestino crasso, un tratto di 1,5 metri che ospita la maggior parte delle specie del microbiota intestinale e che è formato da intestino cieco, colon e retto.

Il cibo preferito dai batteri intestinali è quello che noi chiamiamo

«fibra». Le fibre, a cui dedico uno spazio importante all’inizio dell’Atto Terzo non sono altro che tipi particolari di carboidrati che, diversamente dall’amido o dallo zucchero, le nostre cellule non sono in grado di usare a scopi nutritivi e che altrimenti rimarrebbero inutilizzate nell’intestino. Quando i batteri del nostro microbiota le digeriscono si ha un processo di fermentazione che produce, tra le altre cose, i preziosi acidi grassi a catena corta, ovvero SCFA (dall’inglese Short Chain Fatty Acid), che sono in grandissima parte (95-99%) assorbiti dal nostro organismo e utilizzati dalle nostre cellule.

Gli SCFA svolgono una varietà di funzioni: agiscono sulle cellule del sistema immunitario regolando la risposta infiammatoria (ecco un’altra autostrada che collega microbiota, immunità e infiammazione); regolano la permeabilità dell’intestino, quindi la nostra capacità di fare barriera contro le possibili sostanze tossiche o allergizzanti che sono presenti nel cibo che mangiamo; hanno proprietà antitumorali e sono anche in grado di influenzare le funzioni del cervello. Queste molecole, infatti, oltrepassano liberamente la barriera ematoencefalica (BEE), una sorta di dogana severissima che separa la circolazione del corpo da quella del sistema nervoso centrale, selezionando accuratamente quali molecole lasciar passare e quali fermare; essendo liberi di passare la BEE, gli SCFA esercitano i loro effetti anche sul cervello.

Se le fibre sono scarse, i batteri del microbiota ricorrono alle

proteine nonostante queste non siano la loro «prima scelta». A

differenza delle fibre, che vengono digerite immediatamente nella

prima porzione del colon, le proteine sono metabolizzate solo nel

colon distale e nel retto, e ciò influenza profondamente il tipo di

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