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Antracicline nella terapia adiuvante del carcinoma della mammella: trent anni dopo

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Antracicline nella terapia adiuvante del carcinoma della mam- mella: trent’anni dopo

M. Lopez

Istituto Nazionale Tumori “Regina Elena”, Roma, Italia

Oncologia clinica

Clin Ter 2006; 157(2):165-177

Corrispondenza: Prof. Massimo Lopez, Istituto Nazionale Tumori “Regina Elena”, Via Elio Chianesi, 53 – 00144 Roma; Tel. 06/5266.6646 Fax 06/5266.5075 - e-mail: lopez@ifo.it

Il primo studio randomizzato di chemioterapia adiuvante in pazienti operate per carcinoma della mammella, fu ini- ziato nel 1958 dal National Surgical Adjuvant Breast and Bowel Project (NSABP) usando come farmaco un agente singolo, il Thio-TEPA, somministrato per via e.v. al mo- mento dell’intervento chirurgico e nei due giorni successivi (c.d. chemioterapia perioperatoria). Non furono osservate

Riassunto

Nelle ultime decadi, l’uso della terapia adiuvante sistemica in pazienti operate per carcinoma mammario è andato aumentando pro- gressivamente ed ha contribuito a diminuire la mortalità per cancro della mammella osservata in USA ed in alcune nazioni europee, nonostante l’aumento dell’incidenza.

Tradizionalmente, i regimi di chemioterapia più usati, per la loro superiorità rispetto alle combinazioni CMF-simili, sono stati quelli contenenti un’antraciclina, doxorubicina o epirubicina. Quest’ultima è da preferirsi per il miglior profi lo di tossicità rispetto al composto madre e, di fatto, è stata usata nella maggior parte degli studi adiuvanti condotti in Europa. Il suo uso negli USA è in progressivo aumento a partire dal 1999, anno in cui l’epirubicina è stata approvata dalla Food and Drug Administration. Lo sviluppo recente di regimi a base di an- tracicline e taxani ha contribuito a migliorare ulteriormente i risultati terapeutici in termini di sopravvivenza libera da malattia e, in alcuni studi, anche di sopravvivenza globale. Nelle pazienti con tumori HER2- positivi, l’aggiunta del trastuzumab alla chemioterapia ha prodotto risultati terapeutici di straordinaria importanza, evidenziando il ruolo signifi cativo che può avere la terapia molecolare.

È verosimile che l’applicazione di nuove tecnologie (per es., geno- mica e proteomica) nell’ambito di una ricerca traslazionale appropriata, e lo sviluppo di nuovi farmaci a bersaglio molecolare contribuirà signi- fi cativamente, nel prossimo futuro, a migliorare i risultati terapeutici e, soprattutto, a creare le condizioni per trattamenti adiuvanti sempre più personalizzati. È da considerare, tuttavia, che attualmente la chemiote- rapia appare insostituibile sia se usata da sola che in combinazione ad agenti ormonali o biologici e, in particolare, il ruolo delle antracicline resta inalterato essendo i farmaci che hanno contribuito in maniera più signifi cativa al miglioramento della sopravvivenza delle pazienti con carcinoma della mammella iniziale.

Parole chiave: antracicline, cancro della mammella, doxorubicina, epirubicina

Abstract

Anthracyclines in the adjuvant treatment of breast cancer: Thirty years later

In the last decades, the use of adjuvant systemic treatment for early breast cancer has increased progressively, and has contributed to the decrease in breast cancer mortality in the U.S. and in some European countries, although a raising in the disease incidence has been observed.

Traditionally, the most extensively used chemotherapy regimens have been those containing an anthracycline, namely doxorubicin or epirubicin. Due to its more favorable toxic profi le, epirubicin is preferable to doxorubicin and, in fact, it has been used in the majority of adjuvant studies carried out in Europe. The use of epirubicin in the U.S. is increasing since 1999, when it was approved by the Food and Drug Administration.

Anthracycline-based regimens are superior to CMF-like combina- tions. The recent development of anthracycline-taxane regimens has shown further benefi t in disease-free survival and, in some trials, in overall survival. In patients with HER2-positive tumors, trastuzumab has dramatically improved therapeutic results when added to standard adjuvant treatment.

It is likely that new technologies (i.e. genomics and proteomics), as well as the appropriate use of translational research along with the de- velopment of new molecularly targeted agents, will lead to even greater achievements in the management of early breast cancer. Nevertheless, it should be considered that at present time chemotherapy is generally needed either alone or in combination with hormonal or biologic agents.

In particular, the role of anthracyclines remains unchanged because they have contributed signifi cantly to the improvement of survival of patients with breast carcinoma.

Key words: anthracyclines, breast cancer, doxorubicin, epirubi- cin

differenze signifi cative tra le pazienti trattate ed il braccio di controllo (1). Successivamente, mentre l’NSABP continuò inizialmente a valutare la monochemioterapia adiuvante, prolungata nel tempo, Bonadonna iniziò nel giugno 1973 il primo studio randomizzato di chemioterapia di combina- zione con l’associazione di ciclofosfamide, methotrexate e fl uorouracile (CMF), dimostratasi effi cace nel ridurre

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signifi cativamente il rischio relativo di ricaduta e di morte in pazienti sottoposte a mastectomia radicale per carcinoma mammario con linfonodi ascellari positivi (2).

Gli studi clinici con la doxorubicina furono iniziati nel 1968, quelli con la epirubicina nel 1977 (3). Queste antra- cicline si dimostrarono, entrambe, i farmaci singolarmente più attivi nel carcinoma mammario metastatico e furono largamente utilizzate in combinazione, soprattutto con ci- clofosfamide o ciclofosfamide e fl uorouracile (4, 5).

Gli studi di chemioterapia adiuvante con regimi com- prendenti antracicline, inizialmente la doxorubicina, furono iniziati verso la metà degli anni settanta (6) ed andarono rapidamente aumentando di numero essendo diffusa la per- cezione che questi antibiotici antitumorali rappresentassero gli agenti più importanti per lo sviluppo di associazioni far- macologiche miranti ad aumentare le probabilità di guarigio- ne del carcinoma della mammella iniziale. Oggi, a distanza di 30 anni, in una fase storica in cui le opzioni terapeutiche sono fortunatamente molteplici ma nel contempo rendono la scelta più diffi cile, appare appropriato riconsiderare critica- mente il ruolo delle antracicline nella terapia adiuvante del cancro della mammella non soltanto in termini di effi cacia, ma anche in rapporto ai possibili effetti collaterali.

Dimostrazione dell’effi cacia e della superiorità dei regimi adiuvanti contenenti antracicline

Le antracicline sono state associate virtualmente a tutti i farmaci antiproliferativi disponibili per la loro grande ver- satilità correlata al particolare meccanismo d’azione. Uno degli effetti più importanti, infatti, è costituito da rotture del DNA attraverso l’interazione con la topoisomerasi II (TOPO2α) sia mediante una stabilizzazione del complesso clivabile formato dall’enzima con i due fi lamenti del DNA che tramite un’inibizione diretta dell’attività catalitica della molecola enzimatica (7). Con l’eccezione delle epipodo- fi llotossine, non altre classi di farmaci di fatto agiscono su questo bersaglio molecolare, importante soprattutto nella separazione poco prima della mitosi dei nuovi fi lamenti di DNA sintetizzati.

Nonostante la molteplicità delle associazioni farma- cologiche studiate e l’elevato numero di studi condotti, l’evidenza dell’effi cacia dei regimi a base di antracicline e della loro superiorità nei confronti di quelli senza tali agenti, poté essere ottenuta solo dopo un lungo follow-up delle pazienti trattate e facendo ricorso alla meta-analisi di tutti gli studi randomizzati. Ciò è dovuto alla natura stessa degli studi adiuvanti ed al fatto che i benefi ci ottenibili dalla chemioterapia postoperatoria sono complessivamente modesti: 20-30% di riduzione della mortalità nei primi 5 anni dopo la diagnosi e 5-10% di differenza nella mortalità assoluta al termine dei 5 anni. Sebbene questi risultati siano considerati di grande importanza clinica sia dalle pazienti che dai medici, è di fatto diffi cile evidenziarli in studi con meno di 2000 pazienti (8), quali erano quelli di chemiote- rapia adiuvanti disponibili.

L’Early Breast Cancer Trialists’ Collaborative Group (EBCTCG) ha condotto varie meta-analisi di tutti i più importanti studi di chemioterapia adiuvante, pubblicandole nel 1988 (9), 1992 (10), 1998 (11) e 2005 (12).

L’analisi del 1988 evidenziò che la chemioterapia adiu- vante riduceva in maniera statisticamente signifi cativa il rischio di ricaduta e di morte nelle donne in premenopausa con linfonodi ascellari positivi dopo 5 anni di follow-up.

I risultati dell’analisi del 1992, con 10 anni di follow-up, confermarono ed estesero quelli del 1988. L’effi cacia della chemioterapia era evidente sia nelle donne in pre- che in quelle in post-menopausa con linfonodi ascellari sia positivi che negativi.

La meta-analisi del 1998 ha, tra l’altro, valutato 11 studi in cui 5942 pazienti erano state randomizzate a ricevere una polichemioterapia adiuvante con o senza antracicline. I regi- mi contenenti un’antraciclina si sono dimostrati leggermente superiori a quelli CMF-simili, sebbene in maniera statisti- camente signifi cativa. La differenza assoluta in termini di mortalità globale a 5 anni risultò in media del 3%.

Nella recente meta-analisi del 2005 sono riportati i risul- tati, a 10 e 15 anni, di 194 studi randomizzati di chemiote- rapia ed ormonoterapia adiuvanti iniziati entro il 1995 e che hanno completato la randomizzazione entro il 2000.

Nessuno di questi studi riguarda l’uso di taxani, trastuzu- mab o moderni inibitori dell’aromatasi.

Sono state considerate complessivamente 144.939 pazienti, di cui 8.000 randomizzate a ricevere un regime contenente un’antraciclina o nessuna chemioterapia e 14.000 (9.000 giovani e 5.000 anziane) un regime contenente un’an- traciclina o una chemioterapia a base di CMF. Le antraci- cline valutate sono state doxorubicina nel 60% degli studi o epirubicina nel 40%. La chemioterapia adiuvante per circa 6 mesi con regimi a base di un’antraciclina (per es., FAC o FEC) riduce la mortalità annuale per cancro della mammella di circa il 38% nelle donne di età inferiore a 50 anni al mo- mento della diagnosi e di circa il 20% nelle donne di 50-69 anni di età alla diagnosi, indipendentemente dall’uso del tamoxifene, dello stato recettoriale, dello stato linfonodale o di altre caratteristiche della neoplasia. Questi risultati sono superiori in maniera signifi cativa rispetto a quelli ottenibili col CMF. In termini di ricaduta e di mortalità, la differenza assoluta è di circa il 3% a 5 anni e del 4% a 10 anni.

Nelle pazienti con tumore positivo per il recettore per gli estrogeni (ER), il trattamento adiuvante con tamoxifene per 5 anni riduce la mortalità annuale per carcinoma mammario del 31%, indipendentemente dall’uso della chemioterapia, dall’età, dallo stato del recettore per il progesterone o da altre caratteristiche del tumore. Pertanto, nelle donne con cancro della mammella ER-positivo, la mortalità per tale neoplasia nei successivi 15 anni sarà pressocché dimezzata da 6 mesi di chemioterapia a base di antracicline seguiti da 5 anni di endocrinoterapia con tamoxifene. Infatti, se la riduzione della mortalità del 38% nelle donne di età inferiore a 50 anni e del 20% in quelle con età di 50-69 anni ottenibile con questo tipo di chemioterapia, fosse seguita da un’ulteriore riduzione del 31% del rischio residuo dovuta al tamoxifene, la diminuzione fi nale della mortalità sarebbe del 57% e del 45%, rispettivamente. Nello stesso tempo, la sopravvivenza globale sarebbe comparativamente migliorata poiché questi trattamenti hanno un effetto relativamente piccolo sulla mortalità correlata ad altre cause.

Grazie all’uso di successive meta-analisi quinquennali, effettuate nell’arco di 20 anni, è stato così possibile dimostra- re non solo l’effi cacia ma anche la netta superiorità dei regi-

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mi di chemioterapia adiuvante con antracicline, quali FAC o FEC, in pazienti con carcinoma della mammella iniziale (Tab. 1). Questi regimi, oggi così familiari, hanno goduto di una vasta popolarità anche nel passato soprattutto per la notevole effi cacia nella malattia in fase avanzata, oltre che per la buona tollerabilità e la praticità di somministrazione.

Negli USA, il loro uso in fase adiuvante è stato raccomandato dalla National Institute of Health Consensus Development Conference del 2000 (13) e dalle linee-guida del National Comprehensive Cancer Network (NCCN) (14). In Europa, le raccomandazioni per la selezione dei trattamenti adiuvanti sistemici sono state, in genere, sviluppate in occasione delle Conferenze Internazionali tenute a St. Gallen fi n dal 1978.

Già nella VI Conferenza del febbraio 1998 (15) si raccoman- davano i regimi contenenti antracicline dando la preferenza a quelli più intensivi come il CEF usato nel Canadian trial (16). Le successive Conferenze del 2001 (17), 2003 (18) e 2005 (19) hanno confermato questa raccomandazione fornendo più precise indicazioni sulla scelta del regime più appropriato (vedi oltre).

chemioterapia adiuvante, essendo tra i più attivi agenti nel carcinoma mammario metastatico (20, 21).

In una serie di studi di prima generazione, più di 30.000 donne sono state arruolate in protocolli di trattamento che confrontavano regimi a base di taxani e antracicline, som- ministrate simultaneamente o sequenzialmente, con regimi standard a base di antracicline. Una seconda generazione di studi, che mira a valutare quale sia il miglior modo di somministrare tali farmaci, arruolerà circa 25.000 donne.

Alcuni studi adiuvanti con taxani, di cui si conoscono i risultati, sono riportati nella Tabella 2.

Tabella 1. Dati relativi agli studi adiuvanti effettuati con regimi contenenti un’antraciclina

No. di pazienti considerate dalla meta-analisi: 22.000

Antracicline vs controllo 8.000

Antracicline vs CMF 14.000

Antraciclina valutata

Doxorubicina nel 60% degli studi Epirubicina nel 40% degli studi

Riduzione della mortalità annuale per cancro della mammella

Età < 50 anni: 38%

Età 50-69anni: 20%

Età ≥ 70 anni: Dati scarsi

Differenza assoluta tra regimi contenenti un’antraciclina e CMF A 5 anni: 3%

A 10 anni: 4%

Riduzione della mortalità nei successivi 15 anni in pazienti ER- positive trattate con antracicline seguite da tamoxifene

Età < 50 anni: 57%

Età 50-69anni: 45%

Nuovi regimi contenenti antracicline e taxani

Anche se la chemioterapia adiuvante con le combina- zioni tradizionali contenenti un’antraciclina, è in grado di ridurre notevolmente la mortalità annuale nelle pazienti con carcinoma mammario, esiste ancora un rischio signifi cativo di ricaduta e di morte. Complessivamente, è stato valutato che, nonostante la terapia, circa il 17% delle pazienti con linfonodi ascellari negativi e circa il 33% di quelle con lin- fonodi positivi potranno andare incontro a morte nel primo, secondo o terzo decennio dopo la diagnosi, in assenza di altre cause di morte durante tale periodo (12). C’è, pertanto, la necessità di individuare trattamenti adiuvanti più effi caci ricorrendo, per esempio, all’uso di nuovi farmaci. Tra que- sti, i taxani sono stati largamente incorporati in regimi di

Terapia sequenziale. Due studi hanno messo a confron- to la terapia standard con doxorubicina e ciclofosfamide (AC) con la terapia sequenziale costituita da AC seguito da paclitaxel. Nello studio CALGB, coordinato dal Cancer and Leukemia Group B, che ha arruolato 3121 pazienti, la terapia sequenziale ha migliorato signifi cativamente sia la sopravvivenza libera da malattia (DFS) che la sopravvivenza globale (OS) (22).

Nello studio NSABP B-28, invece, la terapia sequenziale con una dose maggiore di paclitaxel ha determinato un mi- glioramento signifi cativo della DFS, ma non della OS (23).

In un altro studio randomizzato di piccole dimensioni (24), confrontante otto cicli di FAC con quattro cicli di paclitaxel seguiti da quattro cicli di FAC, i risultati preliminari sugge- riscono un minor rischio di ricaduta col regime sequenziale, anche se la differenza non raggiunge la signifi catività stati- stica. Tale differenza è stata invece riportata in uno studio

Tabella 2. Studi randomizzati adiuvanti con taxani Studio Regimi chemioterapici

CALGB 9344 1AC x 4 (cicli) ogni 21 gg

2.AC x 4 → P x 4 ogni 21 gg

NSABP B-28 1.AC x 4 ogni 21 gg

2.AC x 4 → P x 4 ogni 21 gg

BCIRG 001 1.FAC x 6 ogni 21 gg

2.TAC x 6 ogni 21 gg

E1199 AC x 4 ogni 21 gg → 1. P x 4 ogni 21 gg 2. P x 12 ogni 7 gg 3. D x 4 ogni 21 gg 4. D x 12 ogni 7 gg INT C9741 1.A x 4 → P x 4 → C x 4 ogni 21 gg

2.A x 4 → P x 4 → C x 4 ogni 14 gg

3.AC x 4 → P x 4 ogni 21 gg

4.AC x 4 → P x 4 ogni 14 gg AC = doxorubicina 60 mg/m2, ciclofosfamide 600 mg/m2; P = paclitaxel trisettimanale 225 mg/m2 nello studio NSABP B-28 e 175 mg/m2 negli altri studi, paclitaxel settimanale 80 mg/m2 nello studio E1199; FAC = fl uorouracile 500 mg/m2, doxorubicina 50 mg/m2, ciclofosfamide 500 mg/m2; TAC = docetaxel 75 mg/m2, doxorubicina 50 mg/m2, ciclofosfamide 500 mg/m2; D = docetaxel trisettimanale 100 mg/m2, docetaxel settimanale 35 mg/m2.

Tutti gli studi sono stati effettuati in pazienti con linfonodi ascellari positivi, tranne lo studio E1199 che ha incluso anche pazienti con linfonodi negativi ad alto rischio (tumore di almeno 2 cm).

Lo studio CALGB 9344 prevedeva un’iniziale randomizzazione tra tre dosi di doxorubicina (60, 75, 90 mg/m2), ma l’incremento di dose non ha migliorato i risultati.

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francese (25) con tre cicli di FEC seguiti da tre cicli di docetaxel in confronto a sei cicli di FEC.

Recentemente sono stati resi noti i risultati preliminari dello studio spagnolo GEICAM 9906 che mette a confronto sei cicli di FEC90 (fl uorouracile/epirubicina/ciclofosfamide 600/90/600 mg/m2 ogni 3 settimane) con quattro cicli di FEC90 seguiti da otto dosi settimanali di paclitaxel (100 mg/m2) in pazienti operate per carcinoma mammario con linfonodi ascellari positivi (26). In questo studio, la terapia sequenziale ha migliorato in maniera signifi cativa la DFS, mentre non è stata ancora raggiunta una differenza signifi - cativa nella OS.

Terapia concomitante. Degli studi che hanno usato la somministrazione contemporanea dei farmaci, quello più importante è lo studio BCIRG 001, coordinato dal Breast Cancer International Research Group (27), in cui sono stati messi a confronto FAC e TAC (docetaxel, doxorubicina, ciclofosfamide). Il braccio contenente docetaxel è risultato signifi cativamente superiore sia in termini di DFS che di OS, anche se a costo di una maggiore tossicità ematologica.

Recentemente sono stati resi noti i risultati dello studio E2197 che confronta la combinazione di doxorubicina e docetaxel con AC per quattro cicli (28). Non sono state osservate differenze né in DFS né in OS.

Dai dati fi nora disponibili risulta, pertanto, che l’aggiunta di un taxano ad un regime contenente un’antraciclina miglio- ra i risultati terapeutici indipendentemente dalla schedula, sia essa sequenziale (studi CALGB 9344 e NSABP B-28) o simultanea (BCIRG 001). I relativi meriti di queste due modalità di somministrazione dei farmaci sono attualmente valutati nello studio BCIRG 005 che mette a confronto il regime TAC x 6 cicli con il regime AC x 4 seguito da pacli- taxel x 4 cicli in pazienti con carcinoma della mammella HER2-negativo con linfonodi ascellari positivi (29).

Lo studio E1199 (Tab. 2) è stato disegnato per mettere a confronto l’effi cacia del paclitaxel e del docetaxel e la somministrazione trisettimanale e settimanale del taxano (30). Finora, dopo un follow-up mediano di 46.5 mesi, non sono state evidenziate differenze né riguardo al tipo di taxano usato, né rispetto alla schedula di somministrazione.

Il docetaxel è stato usato anche in studi miranti a valutare la sostituzione dell’antraciclina col taxano in tutti i cicli di chemioterapia adiuvante. I recenti risultati pubblicati solo in abstract (31) dello studio US Oncology Research 9735 evidenziano che il regime TC (docetaxel/ciclofosfamide) migliora la DFS rispetto alla terapia standard con quattro cicli di AC.

L’approccio sequenziale alla terapia dei tumori si basa sul modello concettuale di Norton-Simon (32) che prevede anche la maggiore effi cacia, rispetto alle dosi convenzionali, della densità di dose (DD), cioè della somministrazione dei farmaci con un intervallo tra i cicli più breve. Di fatto, lo studio INT C9741 (Tab. 2) ha evidenziato che, mentre non esistono differenze tra la terapia sequenziale (A → P → C) e quella concomitante (AC → P), la terapia DD migliora signifi cativamente la DFS e la OS (33, 34). Uno studio eu- ropeo (studio AGO, Arbeitsgemeinschaft Gastrointestinal Onkologie) che ha usato lo stesso approccio in pazienti con carcinoma mammario e linfonodi ascellari positivi (≥ 4) è pervenuto a risultati simili, dopo un follow-up relativa-

mente breve (28 mesi) (35). Al contrario, in un altro studio in pazienti con linfonodi positivi o negativi ad alto rischio (36), nessuna differenza signifi cativa è stata osservata tra il FEC60, considerato standard, ed un FEC accelerato con supporto di G-CSF dopo un follow-up mediano di 6 anni. È da considerare, tuttavia, che questo studio ha arruolato un numero relativamente piccolo di pazienti ed ha usato una dose subottimale di epirubicina.

Antracicline nelle pazienti con carcinoma mammario HER2-positivo

È ormai noto da tempo che le pazienti con cancro della mammella in cui HER2 sia iperespresso o amplifi cato hanno, in genere, tumori scarsamente differenziati con alto indice proliferativo, linfonodi ascellari positivi e ridotta espressione dei recettori per gli estrogeni ed il progesterone. In questi casi, esiste un rischio aumentato di ricaduta della malattia e di morte (37). Il successo della terapia con trastuzumab in pa- zienti con carcinoma mammario HER2-positivo metastatico (38), ha fatto nascere la speranza che risultati probabilmente anche migliori potevano essere ottenuti somministrando il farmaco nella malattia iniziale come terapia adiuvante post-chirurgica.

I quattro studi multicentrici disegnati per valutare il ruolo del trastuzumab adiuvante sono riportati nella Tabella 3.

Dei primi tre studi sono stati riportati i risultati combinati dello studio NSABP B-31 e dello studio N9831 del North Central Cancer Treatment Group (NCCTG), in cui i gruppi 1 e A sono stati usati come gruppo di controllo ed i gruppi 2 e C come gruppo sperimentale (il gruppo B è stato escluso perché il trastuzumab non era stato somministrato contempo- raneamente al paclitaxel), e quelli dell’Herceptin Adjuvant (HERA) trial relativi all’uso del trastuzumab per 1 anno.

Tutti e tre gli studi evidenziano una riduzione altamente signifi cativa del rischio di ricaduta, nonostante il follow-up sia ancora molto breve (da 1 a 2,4 anni).

Nell’analisi combinata degli studi statunitensi (39), la differenza assoluta nella DFS a 3 anni è risultata del 12% e del 18% quella proiettata a 4 anni. La riduzione del rischio di morte a 3 anni è stata del 33%. Nello studio HERA (40), il benefi cio assoluto a 2 anni in termini di DFS è stato dell’8,4%.

Dopo un così breve follow-up, differenze di tale entità, che comportano una riduzione di circa il 50% della per- centuale di metastasi a distanza, sono state solo raramente riportate in oncologia e sono paragonabili a quelle osservate nelle pazienti trattate con 5 anni di tamoxifene per carcinoma della mammella positivo per i recettori per gli estrogeni.

Nel tentativo di ridurre la cardiotossicità, oltre a valutare l’uso del trastuzumab somministrato contemporaneamente ai taxani (studi B-31, N9831 e BCIRG 006) o dopo la chemio- terapia (studi HERA e N9831), sono stati considerati anche regimi chemioterapici non contenenti l’antraciclina (studio BCIRG 006). Quest’ultimo studio (41), dopo un follow-up mediano di 23 mesi, ha evidenziato che il trastuzumab è di benefi cio sia in associazione al docetaxel (AC → D + H) che in combinazione con docetaxel e carboplatino (DCH).

Come prevedibile, sono stati meno numerosi gli eventi car- diaci gravi allorché il trastuzumab è somministrato senza

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l’antraciclina, ma è necessario un più lungo follow-up per confermare se i regimi adiuvanti con trastuzumab senza antracicline hanno un’effi cacia paragonabile a quella dei regimi con un’antraciclina. Attualmente esiste un trend in favore di questi ultimi.

Poiché i loci di HER2 (17q21.1) e TOPO2α (17q21.2) sono tra di loro vicini, si potrebbe ipotizzare che le antraci- cline sono più effi caci allorché nelle pazienti HER2-positive esiste una co-amplifi cazione del gene della TOPO2α (42).

Nello studio BCIRG 006, una co-amplifi cazione di TOPO2α è stata riscontrata nel 35% delle pazienti e sembra associarsi ad un maggior benefi cio ottenibile con i regimi che associano il trastuzumab alle combinazioni a base di antracicline. Le pazienti HER2-positive senza co-amplifi cazione del gene TOPO2α potrebbero, pertanto, essere candidate al tratta- mento con i regimi non contenenti antracicline per evitare una potenziale tossicità cardiaca.

Scelta del regime di chemioterapia adiuvante

Il cancro della mammella non è una singola malattia, bensì è costituito da vari sottotipi ognuno dei quali ha una sua storia naturale e richiede, pertanto, una terapia diversa.

I recettori per gli ormoni, HER2 ed il profi lo dell’espres- sione genica (43) permettono di distinguere, attualmente, almeno 4 tipi diversi di cancro della mammella ed inducono a riconsiderare l’approccio terapeutico in base alle caratte- ristiche biologiche della malattia piuttosto che in base alle caratteristiche prognostiche tradizionali di per sé, cioè al rischio di ricaduta.

Queste considerazioni hanno indotto gli esperti riuniti a St. Gallen nel 2005 a modifi care la defi nizione delle categorie di rischio (Tab. 4), riconoscendo ancora allo stato linfonodale

un ruolo preminente ma togliendo la responsività endocrina (Tab. 5), usata per la determinazione del rischio nelle racco- mandazioni del 2003, poiché ad essa è attribuito il ruolo più importante nel determinare la scelta terapeutica. Ciò trova giu- stifi cazione in almeno tre considerazioni: a) vi sono numerose evidenze di un benefi cio molto maggiore della chemioterapia nei tumori non responsivi all’endocrinoterapia; b) i progressi nell’ormonoterapia adiuvante con gli inibitori dell’aromatasi sono stati tali da ridurre l’entità del benefi cio aggiunto dalla chemioterapia nei tumori responsivi all’endocrinoterapia;

c) gli studi sul profi lo dell’espressione genica evidenziano sempre più che è essenzialmente lo stato dei recettori per gli estrogeni a determinare l’espressione dei sottotipi.

La scelta della modalità terapeutica in base alla responsi- vità endocrina, secondo le direttive di St. Gallen, è presentata nella Tabella 6. Esistono, tuttavia differenze sulle indicazioni alla chemioterapia adiuvante, in pazienti con carcinoma della mammella allo stadio I, tra le tre più importanti linee guida esistenti sull’argomento (Fig. 1).

Allorché è indicato un trattamento chemioterapico, la selezione del regime farmacologico da usare potrà basarsi sulle seguenti considerazioni che fanno riferimento essen- zialmente allo stato linfonodale, allo stato recettoriale ed allo stato di HER2.

Nelle pazienti con linfonodi ascellari negativi general- mente sono usati regimi chemioterapici meno intensivi, quali CMF o AC. I benefi ci del CMF nel migliorare la DFS e la OS sono stati confermati dopo 30 anni di follow-up (45). Gli studi NSABP B-15 e B-23 hanno dimostrato che quattro cicli di AC sono equivalenti a sei cicli di CMF con la differenza che il regime AC offre il vantaggio di una più breve durata del trattamento e di minori effetti collaterali (46). Il CMF rappresenta, naturalmente, il regime di scelta nelle pazienti con controindicazioni alle antracicline.

Tabella 3. Studi di chemioterapia adiuvante nel carcinoma mammario HER2-positivo

Studio Regimi chemioterapici

NSABP B-31 1. AC x 4 (cicli) ogni 21 gg → P x 4 ogni 21 gg o

ogni sett x 12 dosi

2. AC x 4 ogni 21 gg → P x 4 ogni 21 gg

o ogni sett x 12 dosi

+ H ogni sett x 1 anno

NCCTG N9831 A.

B.

C.

AC x 4 AC x 4 AC x 4

ogni 21 gg ogni 21 gg ogni 21 gg

→ P→ P

→ P

ogni sett x 12 dosi ogni sett x 12 dosi ogni sett x 12 dosi

+

H ogni sett x 1 anno H ogni sett x 1 anno

HERA CT adiuvante 1.

2.

3.

H ogni sett x 1 anno H ogni sett x 2 anni Osservazione

BCIRG 006 1.

2.

3.

AC x 4 → D x 4 ogni 21 gg

AC x 4 → D x 4 ogni 21 gg + H x 1 anno (ogni sett durante la CT, quindi ogni 3 sett) DCH

AC = doxorubicina 60 mg/m2, ciclofosfamide 600 mg/m2; P = 175 mg/m2 ogni 3 sett oppure 80 mg/m2 ogni sett; H = dose iniziale 4 mg/kg, quindi 2 mg/kg oppure dose iniziale 8 mg/kg, quindi 6 mg/kg; CT = chemioterapia (lo studio HERA valuta il ruolo del trastuzumab, indipendentemente dal tipo di chemioterapia adiuvante somministrata); D = docetaxel 100 mg/m2; DCH = docetaxel 75 mg/m2 + carboplatino AUC6 ogni 3 sett + trastuzumab per un anno.

Nello studio B-31 sono state arruolate solo pazienti con linfonodi positivi, mentre gli altri tre studi hanno incluso anche pazienti con linfonodi negativi ad alto rischio.

(6)

Tabella 5. Categorie dei tumori della mammella basate sulla responsività endocrina secondo le raccomandazioni di St. Gallen

1. Endocrino-responsiva. Le cellule esprimono i recettori ormonali ed è, pertanto, probabile che le terapie endocrine siano in grado di migliorare la sopravvivenza libera da malattia e la sopravvivenza globale.

2. Risposta endocrina incerta. Esiste una certa espressione di recettori ormonali, ma è quantitativamente bassa o qualitativamente insuffi ciente ad indicare una probabilità sostanziale di risposta alla sola endocrinoterapia, suggerendo pertanto la necessità di una chemioterapia.

Rientrano in questa categoria: bassi livelli di espressione dei recettori ormonali (< 10% di cellule positive); assenza del recettore per il progesterone; resistenza potenziale a particolari terapie ormonali (per es., iperespressione di HER2 e tamoxifene); elevato numero di linfonodi positivi; aumento dei marcatori di proliferazione; elevati livelli tumorali di uPA/PAI-1 (urokinase-type plasminogen activator/plasminogen activator inhibitor type 1 [44]).

3. Endocrino non-responsiva. Le cellule non hanno un’e- spressione evidenziabile di recettori ormonali.

Tabella 6. Scelta della modalità di trattamento nel cancro della mammella operato secondo le raccomandazioni di St. Gallen

Categoria di rischio

Endocrino responsivo

Risposta endocrina incerta

Endocrino non responsivo

Basso rischio ET Nessuna terapia1

ET Nessuna terapia

Non applicabile

Rischio intermedio

ET da sola, o

CT → ET (CT + ET)2

CT → ET (CT + ET)2

CT

Rischio alto CT → ET (CT + ET)2

CT → ET (CT + ET)2

CT

1 È un’opzione in caso di controindicazione medica o preferenza della paziente o del medico.

2 La chemioterapia ed il tamoxifene devono essere somministrati in sequenza, ma tale evidenza non esiste per gli inibitori dell’aromatasi o per la soppressione/ablazione della funzione ovarica. Cosi, per esempio, la somministrazione contemporanea di analoghi dell’LHRH e chemioterapia è accettabile in donne in premenopausa

ET = endocrinoterapia; CT = chemioterapia

Tabella 4. Defi nizione delle categorie di rischio in pazienti con carcinoma mammario operato secondo le raccomandazioni di St. Gallen

Categoria di rischio

Basso rischio1 Linfonodi negativi e tutte le seguenti caratteristiche pT ≤ 2 cm, e

Grado 1, e

Assenza di invasione vascolare peritumorale2, e Gene HER2 non iperespresso o amplifi cato, e Età ≤ 35 anni

Rischio intermedio Linfonodi negativi e almeno una delle seguenti caratteristiche pT > 2 cm, o

Grado 2-3, o

Presenza di invasione vascolare peritumorale, o Gene HER2 iperespresso o amplifi cato, o Età < 35 anni

Linfonodi positivi (1-3 linfonodi interessati), e Gene HER2 non iperespresso o amplifi cato Rischio alto Linfonodi positivi (1-3 linfonodi interessati), e

Gene HER2 iperespresso o amplifi cato Linfonodi positivi (4 o più linfonodi interessati)

1 pT = dimensione del tumore all’esame patologico, cioè dimensioni della componente invasiva. Alcuni ritengono che i tumori pT1a e pT1b (cioè, pT < 1 cm) con linfonodi negativi sono da considerarsi a basso rischio anche se il grado è elevato e/o l’età più giovane.

2 L’invasione vascolare peritumorale è considerata di signifi cato controverso; essa defi nisce il rischio intermedio nel caso di linfonodi negativi, ma non infl uenza la categoria di rischio nel caso di linfonodi positivi.

Nelle pazienti con linfonodi ascellari positivi sono preferibili regimi chemioterapici più intensivi che possono essere costituiti da A/E → CMF, FAC/FEC, CAF/CEF. È da considerare, tuttavia, che nella malattia endocrino responsi- va sei cicli di questi regimi possono non essere più effi caci di quattro cicli di AC/EC.

L’uso dei taxani trova una più appropriata indicazione nelle pazienti a rischio più elevato. Anche in questo caso, tuttavia, è da prendere in considerazione il fatto che nelle pazienti endocrino responsive questi regimi più intensivi possono non risultare più effi caci di quelli usuali costituiti da combinazioni contenenti un’antraciclina somministrata ogni 3-4 settimane (per es., FEC100, CEF).

Generalmente si ritiene non opportuno ricorrere a regimi dose-dense anche in pazienti con malattia endocrino non responsiva poiché il benefi cio atteso non è tale da contro- bilanciare il maggior rischio di tossicità.

Soprattutto nelle pazienti endocrino non responsive sarebbe opportuno, ma non è ritenuto indispensabile, ini- ziare la chemioterapia entro 3-4 settimane dall’intervento chirurgico.

(7)

Nelle pazienti con cancro della mammella HER2-po- sitivo, considerati i risultati degli studi B-31, N9831 ed HERA, appare oggi indicato un trattamento chemioterapico in associazione a trastuzumab sia in presenza di linfonodi positivi che in caso di linfonodi negativi ad alto rischio, defi nito come tumore primitivo del diametro maggiore di 1 cm all’esame patologico (pT1c).

In Italia, l’uso del trastuzumab è attualmente consentito dopo completamento del trattamento locoregionale della neoplasia e di almeno quattro cicli di chemioterapia adiu- vante o neoadiuvante, in accordo con il disegno dello studio HERA (47). È da considerare, tuttavia, che esistono vari problemi ancora non risolti relativi all’uso del trastuzumab, quali la migliore modalità e la durata della somministrazione, nonché l’effi cacia e la tossicità a lungo termine.

I regimi di chemioterapia adiuvante a base di antracicline più in uso, sono riportati nella Tabella 7.

Fig. 1. Raccomandazioni per la chemioterapia adiuvante in pazienti con carcinoma mammario stadio I secondo il National Cancer In- stitute (NCI), il National Comprehensive Cancer Network (NCCN) e il St. Gallen Consensus.

Tabella 7. Regimi di chemioterapia adiuvante contenenti un’antraciclina

AC EC

Doxorubicina 60 mg/m2 ev g 1 Epirubicina 120 mg/m2 ev g 1

Ciclofosfamide 600 mg/m2 ev g 1 Ciclofosfamide 600 mg/m2 ev g 1

Cicli ripetuti ogni 3 settimane Cicli ripetuti ogni 3 settimane

FAC FEC100

Fluorouracile 500 mg/m2 ev g 1 Fluorouracile 500 mg/m2 ev g 1

Doxorubicina 50 mg/m2 ev g 1 Epirubicina 100 mg/m2 ev g 1

Ciclofosfamide 500 mg/m2 ev g 1 Ciclofosfamide 500 mg/m2 ev g 1

Cicli ripetuti ogni 3 settimane Cicli ripetuti ogni 3 settimane

A → CMF CEF 1, 8

Doxorubicina* 75 mg/m2 ev g 1 Ciclofosfamide Epirubicina

400 mg/m2 50 mg/m2

ev ev

gg gg

1,8 1, 8 Cicli ripetuti ogni 3 settimane per 4 cicli seguiti da: Fluorouracile 500 mg/m2 ev gg 1,8 Ciclofosfamide 600 mg/m2 ev gg 1,8 Cicli ripetuti ogni 4 settimane

Methotrexate 40 mg/m2 ev gg 1,8

Fluorouracile 600 mg/m2 ev gg 1,8

Cicli ripetuti ogni 4 settimane

AC → PH AC → P

Doxorubicina 60 mg/m2 ev g 1 Doxorubicina 60 mg/m2 ev g 1

Ciclofosfamide 600 mg/m2 ev g 1 Ciclofosfamide 600 mg/m2 ev g 1

Cicli ripetuti ogni 3 settimane per 4 cicli seguiti da: Cicli ripetuti ogni 3 settimane per 4 cicli seguiti da:

Paclitaxel 175 mg/m2

oppure

ev ogni 21 gg x 4 cicli

Paclitaxel 175 mg/m2 ev g 1

Paclitaxel 80 mg/m2 ev ogni 7 gg x 12

dosi

Cicli ripetuti ogni 3 settimane per 4 cicli +

Trastuzumab 4 mg/kg come prima dose, quindi 2 mg/kg ogni 7 gg per 1

anno

TAC

Docetaxel 75 mg/m2 ev g 1

Doxorubicina 50 mg/m2 ev g 1

Ciclofosfamide 500 mg/m2 ev g 1

Cicli ripetuti ogni 3 settimane

* La doxorubicina può essere sostituita dalla epirubicina, 120 mg/m2

(8)

Dose ottimale dell’antraciclina

È noto ormai da tempo che, per le antracicline, esiste un effetto dose-risposta più volte riportato nel trattamento del cancro della mammella in fase avanzata (48). Negli studi di chemioterapia adiuvante sono state usate dosi diverse di antracicline, non sempre con risultati concordanti. Tuttavia, una valutazione complessiva dei dati disponibili consente di poter affermare che esiste sia una soglia oltre la quale non si ottengono vantaggi in termini di effi cacia, ma si osserva un incremento della tossicità, sia una dose al disotto della quale l’effi cacia è notevolmente ridotta.

Per quanto riguarda la doxorubicina, la dose minima efficace almeno nel regime AC dovrebbe essere di 60 mg/m2, come evidenziato nello studio CALGB (22) in cui l’incremento di dose da 60 mg/m2 a 75 mg/m2 o a 90 mg/m2 non si è tradotto in una signifi cativa riduzione del rischio di ricaduta o di morte. Nei regimi a tre farmaci, sono riportate effi caci anche dosi di 50mg/m2.

Vari studi adiuvanti hanno riportato un effetto dose-ri- sposta per l’epirubicina. Nello studio FASG 05, condotto dal French Adjuvant Study Group (FASG), il regime FEC100 è risultato più effi cace del regime FEC50 in pazienti con carci- noma della mammella con linfonodi positivi (49). Il National Cancer Institute of Canada ha valutato un regime intensivo contenente epirubicina 120 mg/m2 in associazione a ciclofo- sfamide e fl uorouracile (c.d. Canadian CEF) in pazienti in premenopausa con linfonodi positivi, riportando una maggiore effi cacia nei confronti del CMF (16). Una dose di epirubicina di 100 mg/m2 si è dimostrata necessaria per migliorare la DFS e la OS, anche in un’analisi combinata di due studi effettuati in 2.391 pazienti con linfonodi negativi (50).

L’intensifi cazione della dose, oltre che per la doxorubici- na (33), è stata riportata anche per l’epirubicina. Nello studio AGO, infatti, le dosi di epirubicina nel braccio sperimentale ed in quello standard erano, rispettivamente di 150 mg/m2 e 90 mg/m2 (35). Come nel caso della doxorubicina, tuttavia, anche nei regimi intensivi con epirubicina, il benefi cio os- servato non sempre è risultato tale da giustifi care il maggior costo in termini di tossicità.

Dai dati disponibili sembrerebbe, in defi nitiva, che la dose appropriata di epirubicina dovrebbe essere di almeno 90-100 mg/m2 per ciclo di terapia. Se, tuttavia, si usa il regime EC, anche una dose di 120 mg/m2 è ben tollerata. Tale dose è stata usata in uno studio adiuvante, di recente completato (51), che ha randomizzato 750 pazienti con carcinoma mammario iniziale a ricevere EC (120/600 mg/m2) per quattro cicli o quattro cicli di docetaxel (100 mg/m2) seguiti da quattro cicli di EC. L’effetto collaterale più importante è stato la neutro- penia, associata a febbre in < 4% delle pazienti. Un effetto cardiotossico è stato riportato in < 0.5% dei casi.

Tossicità della chemioterapia adiuvante

L’uso della chemioterapia adiuvante comporta il rischio di effetti tossici sia a breve che a lungo termine. Questo ri- schio va attentamente considerato e correlato al potenziale benefi cio del trattamento.

La tossicità dei regimi a base di antracicline dipende dalla dose somministrata (intensità di dose e dose cumulativa) e dal tipo di antraciclina usata (52).

Gli effetti collaterali acuti più frequenti, ematologici e non ematologici, sono reversibili ed in genere facilmente controllabili. Più importanti possono essere due tipi di tossicità a lungo termine: l’insorgenza di una leucemia e la cardiotossicità.

Una meta-analisi di vari studi adiuvanti NSABP relativa a 8.563 pazienti trattate col regime AC (dose cumulativa di doxorubicina 240 mg/m2), ha riportato un’incidenza dello 0,5% di leucemia mieloide acuta (LMA) o sindrome mie- lodisplastica (MDS) (53). In tutti gli studi adiuvanti FASG, l’incidenza di leucemia è stata dello 0,28% in complessive 2.553 pazienti trattate con epirubicina, dopo un follow-up di 7 anni (54). In un’altra meta-analisi, relativa a 9.796 pazienti trattate con epirubicina per carcinoma iniziale della mam- mella, la probabilità a 8 anni di sviluppare una LMA/MDS è stata dello 0,31% per dosi cumulative ≤ 720 mg/m2 e dello 0,51% per tutte le pazienti, comprese quelle trattate con dosi di epirubicina > 720 mg/m2 (55). In molti degli studi considerati, le pazienti hanno ricevuto oltre all’antraciclina anche la ciclofosfamide, un agente alchilante indipendente- mente correlato all’insorgenza di una leucemia secondaria.

È, pertanto, diffi cile stabilire con esattezza il contributo dell’antraciclina allo sviluppo della leucemia. In ogni caso, l’incidenza di leucemia secondaria appare essere comples- sivamente bassa con un rischio tendenzialmente minore, in alcuni studi (54), allorché sia stata usata l’epirubicina.

La cardiotossicità delle antracicline è stata riportata fi n dai primi studi clinici, è soprattutto correlata alla dose cumu- lativa somministrata, e può determinare una miocardiopatia con scompenso cardiaco congestizio (CHF). Vari studi, tuttavia, indicano che l’effetto cardiotossico dell’epirubicina è minore rispetto a quello della doxorubicina a dosi equi- molari (52,56). L’epirubicina è stata anche somministrata a dosi singole elevate senza incremento della cardiotossicità (48,57). Di fatto, possono essere somministrate dosi di epi- rubicina pressoché doppie rispetto a quelle di doxorubicina con la stessa probabilità di indurre una CHF. Nello studio FASG 05, dopo > 10 anni di follow-up è stata valutata la funzione cardiaca in 150 pazienti, di cui 65 avevano ricevuto una dose cumulativa di epirubicina di 300 mg/m2 (FEC50) e 85 di 600 mg/m2 (FEC100) (58). In quest’ultimo gruppo di pazienti, solo due avevano avuto una CHF mentre in 18 di esse, trattate anche con radioterapia sulla parete toracica sinistra, era stata riscontrata un’alterata funzione ventri- colare sinistra asintomatica. Si può quindi affermare che il rischio di cardiotossicità, alle dosi cumulative in genere usate in chemioterapia adiuvante, è accettabile soprattutto in considerazione dei vantaggi ottenibili con i regimi a base di antracicline.

Nelle pazienti HER2- positive l’uso del trastuzumab è di notevole benefi cio, ma si associa ad un più elevato rischio di cardiotossicità, soprattutto se combinato a regimi contenenti antracicline (59). Questo tipo di trattamento nelle pazienti con cancro della mammella che iperesprime HER2 è, tutta- via, così importante (60) da giustifi care la somministrazione contemporanea di antracicline e trastuzumab, purché si possa prevenire o ridurre al minimo la tossicità cardiaca.

In considerazione del miglior profi lo di cardiotossicità dell’epirubicina, questa antraciclina è stata usata in uno studio neoadiuvante effettuato all’MD Anderson Cancer

(9)

Center in donne con cancro della mammella HER2-positivo operabile (61). Le pazienti sono state randomizzate a ricevere solo chemioterapia preoperatoria, quattro cicli di paclitaxel seguiti da quattro cicli di FEC75, oppure la stessa chemiote- rapia con somministrazione contemporanea di trastuzumab settimanale per 24 settimane.

L’obiettivo primario dello studio era quello di valutare l’eventuale incremento di risposte patologiche complete:

queste sono state 25% e 66.7% per la chemioterapia e per il trastuzumab associato alla chemioterapia, rispettivamente (P = 0,02). Tale importante risultato clinico è stato ottenuto senza un incremento signifi cativo della cardiotossicità, poiché non sono stati riscontrati elevati livelli di troponina T e solo in due pazienti è stata osservata una transitoria diminuzione della frazione di eiezione del ventricolo sinistro (LVEF).

Nei quattro studi di chemioterapia adiuvante con trastuzumab, l’aggiunta dell’anticorpo monoclonale ha comportato un aumento degli eventi cardiaci raggiungendo circa il 4% (Tab. 8).

In un’analisi retrospettiva su 1.219 pazienti (62), l’inci- denza e la gravità della tossicità cardiaca, valutata secondo la classifi cazione funzionale della New York Heart Association (63) che considera lo sforzo richiesto per indurre la comparsa di sintomi di scompenso cardiaco, è risultata maggiore nelle pazienti trattate con AC + trastuzumab concomitante (Tab. 9).

Il rischio di cardiotossicità è stato molto minore con l’uso di trastuzumab da solo o in combinazione con paclitaxel, nono- stante molte pazienti avessero precedentemente ricevuto una terapia con antracicline. Gli eventi cardiaci registrati sono stati pochi, allorché la precedente dose cumulativa di doxorubicina era < 300 mg/m2.

Se si considera che negli studi B31 e N9831 la dose cumulativa di doxorubicina prima del trattamento con trastuzumab è stata di 240 mg/m2 e che la cardiotossicità complessiva è risultata del 4%, cioè simile a quella attesa con AC da solo (Tab. 8, 9), si può ritenere che il rischio di tossicità cardiaca associato all’uso di trastuzumab adiuvante può essere accettabile. Tuttavia, un giudizio defi nitivo sulla sicurezza di questo approccio terapeutico potrà derivare solo da un più lungo follow-up. Questa conclusione, oltre che da considerazioni di correttezza metodologica, è avvalorata anche dal fatto che non sono ancora noti i meccanismi che stanno alla base degli effetti cardiotossici del trastuzumab.

Sono state fi nora postulate varie ipotesi (64): interazioni tra farmaci, induzione della distruzione dei cardiomiociti immuno-mediata, conseguenze indirette degli effetti del trastuzumab in sede extra-cardiaca, alterazioni della trasdu- zione dei segnali inviati da HER2 necessari per mantenere la contrattilità cardiaca. È anche da considerare che HER2 può avere un ruolo nella sopravvivenza dei miociti che può essere compromesso durante il trattamento con trastuzumab (65, 66).

Complessivamente, negli studi esaminati (Tab. 8), lo scompenso cardiaco congestizio è risultato più frequente allorché il trastuzumab è stato somministrato contempora- neamente alla chemioterapia (terapia concomitante). Negli studi B31 e N9831 l’incidenza cumulativa a tre anni di CHF è aumentata di circa il 3% con l’aggiunta del trastuzumab.

Questa incidenza risulta essere superiore a quella osservata allorché il trastuzumab viene somministrato dopo aver completato la chemioterapia (terapia sequenziale). Lo studio N9831 è stato disegnato per valutare l’eventuale differen- za tra l’uso concomitante e sequenziale del trastuzumab (gruppo C vs gruppo B), ma il follow-up è ancora breve per poter fare un accurato confronto tra i due bracci speri- mentali. Tuttavia, un confronto non programmato tra i due gruppi di pazienti ha evidenziato che la somministrazione sequenziale del trastuzumab può essere meno effi cace di quella concomitante (67).

Conclusioni e prospettive future

La dimostrazione dell’effi cacia della terapia adiuvante in pazienti operate per carcinoma della mammella ha deter- minato un notevole cambiamento dell’approccio terapeutico a questa malattia nella pratica clinica. Dall’iniziale uso del CMF in pazienti con linfonodi positivi, si è progressivamente passati al trattamento anche delle pazienti con linfonodi negativi soprattutto alla fi ne degli anni ottanta, talché nei primi anni novanta tale forma di trattamento era di uso ge- nerale (68). Questo cambiamento ha contribuito in maniera sostanziale a ridurre la mortalità per cancro della mammella (69), a partire dagli anni novanta (Fig. 2), nonostante l’au- mento dell’incidenza, in gran parte grazie all’uso di regimi di chemioterapia contenenti antracicline, oltre che all’uti- lizzo dell’endocrinoterapia. Un ulteriore miglioramento

Tabella 8. Cardiotossicità nelle pazienti HER2-positive trattate con antracicline e trastuzumab

Studio Braccio CHF (%)

B31/N9831/Hera/Bcirg 006 Controllo (CT)

0 – 0.8

HERA Sequenziale

(CT → H)

1.7

B31/N9831 Concomitante

(CT → H) 0.01 – 4.1 CT = chemioterapia; H = trastuzumab

Tabella 9. Analisi retrospettiva degli eventi cardiaci associati al trattamento con trastuzumab

Regime Evento classe III o IV

NYHA

H 1a linea 2%

H in pazienti refrattari 4%

P da solo 1%

P + H 2%

AC da solo 4%

AC + H 16%

H = trastuzumab; P = paclitaxel; AC = doxorubicina + ciclofosfamide;

NYHA = New York Heart Association; pz = pazienti

(10)

dei risultati verosimilmente sarà ottenuto col crescente uso di combinazioni a base di antracicline e taxani che hanno prodotto DFS e OS signifi cativamente più lunghe in quasi tutte le pazienti con cancro della mammella, soprattutto in quelle con malattia endocrino non responsiva.

L’applicazione clinica dei farmaci a bersaglio mole- colare, di cui il trastuzumab rappresenta l’esempio para- digmatico, costituisce un’altra strategia nella lotta contro il cancro della mammella destinata, col supporto di nuove tecnologie (per es., genomica o proteomica), ad avere un ruolo sempre più importante e, soprattutto, a migliorare la personalizzazione del trattamento. Questa va sempre consi- derata sia per offrire il massimo benefi cio alla paziente che per ridurre al minimo gli effetti collaterali del trattamento.

Attualmente, i regimi contenenti un’antraciclina sono quelli usati nella maggior parte dei casi. Negli USA, l’antraciclina di uso più comune è stata la doxorubicina, considerato che l’uso dell’epirubicina nella terapia adiuvante del cancro della mammella è stato approvato dalla Food and Drug Administration solo nel 1999. L’epirubicina, tuttavia, è usata sempre più frequentemente per il miglior profi lo di tossicità rispetto alla doxorubicina e, d’altra parte, ha costituito spesso il farmaco base di molte combinazioni in studi adiuvanti europei.

Di particolare importanza appare, soprattutto, la minore cardiotossicità dell’epirubicina in confronto al composto madre. Ciò ha indotto a preferirla in studi neoadiuvanti in combinazione col trastuzumab (61), ma esistono dati in favore del suo uso anche in adiuvante e in regimi contenenti taxani. La cardiotossicità delle antracicline è in gran parte dovuta alla formazione di metaboliti tossici, quali epirubi- cinolo e doxorubicinolo, nel tessuto cardiaco, formazione che è minore per l’epirubicina rispetto al composto madre (70). Inoltre, recentemente, è stato riportato che il paclitaxel stimola notevolmente la conversione della doxorubicina, ma non quella dell’epirubicina, nei corrispettivi metaboliti alcolici (71). Queste osservazioni devono indurre a prefe-

rire l’epirubicina per ridurre il rischio di cardiotossicità col vantaggio ulteriore di poter usare dosi più elevate con un maggiore benefi cio clinico.

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