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Rivalutazione-bis di partecipazioni: imposta compensabile non da sempre

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Articolo pubblicato su FiscoOggi (http://fiscooggi.it)

Giurisprudenza

Rivalutazione-bis di partecipazioni: imposta compensabile non da sempre

15 Maggio 2015

La facoltà di scalare dalla nuova sostitutiva quella pagata in precedenza è esercitabile solo per le operazioni fatte dopo l’intervento normativo che l’ha introdotta

Con la sentenza 24057/2014, il Giudice di legittimità avalla l’orientamento interpretativo manifestato dall’Amministrazione finanziaria in merito a un particolare aspetto relativo al regime di “rideterminazione dei valori di acquisto di partecipazioni non negoziate nei mercati regolamentati” di cui all’articolo 5 della legge n. 448/2001.

Come noto, la citata disposizione ha introdotto la possibilità di rideterminare il valore di acquisto delle partecipazioni non quotate in mercati regolamentati, mediante pagamento di un’imposta sostitutiva pari al 4% per le partecipazioni qualificate e al 2% per quelle non qualificate, ottenendo così un risparmio d’imposta sull’eventuale plusvalenza derivante dalla cessione di tale asset.

Tale facoltà, inizialmente limitata alle partecipazioni possedute alla data del 1° gennaio 2002 e previo assolvimento dell’imposta sostitutiva e redazione della perizia giurata entro il 16 dicembre 2002, è stata nuovamente riconosciuta dal legislatore mediante successivi e ripetuti interventi normativi (da ultimo, con la legge di stabilità per il 2015) – o, per meglio dire, mediante la riapertura dei predetti termini previsti per il pagamento dell’imposta sostitutiva e la redazione della perizia giurata – sicché molti contribuenti hanno rivalutato più volte le medesime partecipazioni al fine, per l’appunto, di allineare il costo di tali asset al valore di mercato.

Ricordiamo, peraltro, che i contribuenti possono effettuare nuove rivalutazioni “al ribasso”, al fine cioè di determinare un valore di acquisto della partecipazione inferiore a quello risultante dalla precedente rivalutazione.

 

Dinanzi a plurime rideterminazioni del valore di acquisto si è sin da subito posto il problema del

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rimborso dell’imposta sostitutiva pagata per la precedente rivalutazione, non essendo prevista ab origine la possibilità di detrarre, dall’importo dovuto per effetto della nuova rivalutazione, quanto già pagato in precedenza.

Si immagini, per esempio, che un contribuente avesse rideterminato una prima volta il valore di acquisto delle partecipazioni da 100 a 200, previo assolvimento di un’imposta sostitutiva pari a 8 (4% di 200), e una seconda volta da 100 a 300, previo assolvimento di un’imposta sostitutiva di 12 (4% di 300). In questo caso, come riconosciuto espressamente dall’Amministrazione finanziaria (cfr circolare n. 35/2004), per effetto della nuova rivalutazione il contribuente maturava un diritto di rimborso, precisamente, un credito di importo comunque non superiore rispetto a quanto dovuto in virtù dell’ultima rideterminazione; esso era infatti tenuto a versare 12 senza alcuna possibilità di tener conto di quanto già versato per effetto della precedente rivalutazione. Analogamente, qualora si fosse avvalso del pagamento rateale, il contribuente non era tenuto a versare la rata o le rate successive non ancora scadute al momento della nuova rivalutazione.

 

In realtà, molti contribuenti hanno sin dall’inizio ritenuto che, in questi casi, fosse possibile detrarre da quanto dovuto per effetto della nuova rivalutazione, quanto già versato in virtù della precedente rivalutazione, con la conseguenza, riprendendo l’esempio, che risulterebbe dovuto un versamento di 4 (12-8); e ciò in quanto la compensazione, secondo questi contribuenti, è una modalità di adempimento dell’obbligazione tributaria operativa a decorrere sin dall’introduzione dell’articolo 8 dello Statuto dei diritti dei contribuenti (legge n. 212/2000), secondo cui, per l’appunto, “ L’obbligazione tributaria può essere estinta anche per compensazione”.

 

Il presupposto applicativo di tale tesi interpretativa – e cioè, ripetiamo, la piena operatività nell’ordinamento tributario dell’istituto della compensazione quale modalità di adempimento dell’obbligazione tributaria – tuttavia, è stato più volte smentito dalla stessa Cassazione.

Il Giudice di legittimità, infatti, ha più volte evidenziato che se è vero, da un lato, che l’articolo 8 dello Statuto dei contribuenti ha esteso l’ambito applicativo della compensazione quale modalità di estinzione dell’obbligazione tributaria a tutti i tributi, dall’altro lato è altrettanto vero che tale estensione è subordinata all’emanazione di apposita disciplina attuativa, con la conseguenza che, sino a quando non verranno emanate le norme attuative di tale innovazione, i contribuenti potranno ricorrere alla compensazione solo nei casi espressamente previsti dal legislatore, quali, per esempio, quelli previsti dall’articolo 17 del Dlgs n. 241/1997.

In effetti, il comma 8 dell’articolo 8 dello Statuto dei contribuenti prevede che, “Ferme restando, in via transitoria, le disposizioni vigenti in materia di compensazione, con regolamenti emanati ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, è disciplinata l'estinzione dell'obbligazione tributaria mediante compensazione, estendendo, a decorrere dall'anno d'imposta 2002, l'applicazione di tale istituto anche a tributi per i quali attualmente non è previsto”. A tutt’oggi, i citati regolamenti attuativi non sono stati emanati, sicché la compensazione è ammessa

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solo nei casi espressamente previsti dal legislatore.

 

Ciò posto, ricordiamo che solo nel 2011 il legislatore ha riconosciuto ai contribuenti la possibilità di detrarre dall’imposta sostitutiva dovuta per la rideterminazione dei valori di acquisto delle partecipazioni quanto già versato in virtù di precedenti rideterminazioni (o, in alternativa, di richiedere il rimborso dell’imposta sostitutiva pagata in virtù di precedenti rivalutazioni così come già riconosciuto dall’Amministrazione finanziaria).

L’articolo 7 del Dl n. 70/2011, infatti, ha stabilito che i contribuenti in esame, “qualora abbiano già effettuato una precedente rideterminazione del valore dei medesimi beni, possono detrarre dall’imposta sostitutiva dovuta per la nuova rivalutazione l’importo relativo all’imposta sostitutiva già versata […] i soggetti che non effettuano la detrazione […] possono chiedere il rimborso della imposta sostitutiva già pagata, ai sensi dell’articolo 38 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e il termine di decadenza per la richiesta di rimborso decorre dalla data del versamento dell’intera imposta o della prima rata relativa all’ultima rideterminazione effettuata. L’importo del rimborso non può essere comunque superiore all’importo dovuto in base all’ultima rideterminazione del valore effettuata”.

 

Sulla base di queste considerazioni, appare dunque corretta la sentenza in esame nella parte in cui evidenzia che il pagamento dell’imposta sostitutiva relativa alla prima rivalutazione non può in alcun modo essere evitato nel caso in cui si proceda a una nuova rivalutazione.

Nella fattispecie rimessa alla sua attenzione, infatti, un contribuente, dinanzi a una nuova rivalutazione delle partecipazioni effettuata nel 2003, aveva detratto dall’imposta sostitutiva dovuta per effetto di tale nuova rideterminazione quanto già versato in occasione della precedente rivalutazione; e ciò nonostante l’assenza di specifiche disposizioni che gli riconoscessero tale facoltà e le indicazioni dell’Amministrazione finanziaria, le quali, per l’appunto, riconoscevano ai contribuenti la sola possibilità di richiedere il rimborso dell’imposta sostitutiva pagata in virtù di precedenti rivalutazioni (o di omettere il pagamento delle rate non ancora scadute) nel limite di quanto dovuto in virtù dell’ultima rideterminazione. Nel caso di specie, peraltro, il contribuente non sembrerebbe aver commesso solo tale errore; la fattispecie rimessa all’attenzione del Giudice di legittimità, infatti, non appare del tutto chiara.

 

Come abbiamo accennato, il rimborso dell’imposta sostitutiva è ammesso nei limiti dell’importo dovuto in seguito al nuovo affrancamento. La ratio di tale regola si rinviene nell’esigenza di evitare che il contribuente, mediante una nuova rivalutazione “al ribasso”, possa di fatto revocare la scelta relativa alla prima rivalutazione. Si immagini, per esempio, che un contribuente abbia inizialmente rideterminato il valore di acquisto della partecipazione da 100 a 300, previo assolvimento di un’imposta sostitutiva pari a 12 (4% di 300) e, successivamente, a fronte della riduzione del valore di tale bene, da 100 a 200 con pagamento della relativa imposta sostitutiva pari a 8 (4% di 200). In

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questo caso, il rimborso dell’imposta sostitutiva pagata in precedenza è ammesso nel limite di 8; e ciò proprio per evitare che, mediante la nuova rivalutazione, il contribuente possa di fatto revocare la scelta relativa alla prima rivalutazione.

Anche a regime, d’altronde, la detrazione opera nel limite dell’importo dell’imposta sostitutiva dovuta per effetto della nuova rivalutazione, con la conseguenza che, proseguendo nell’esempio, il contribuente non sarà tenuto a versare nulla ma, ripetiamo, non potrà in alcun modo ottenere il rimborso della differenza tra quanto versato in occasione della prima rivalutazione (12) e quanto dovuto per la successiva rideterminazione (8).

 

Ora, nel caso di specie, è accaduto che tra la prima e la seconda rivalutazione il contribuente abbia ceduto una quota pari ai 2/3 della partecipazione, con conseguente declassamento della partecipazione da qualificata a non qualificata. In particolare, il contribuente ha dapprima rideterminato il costo di una partecipazione qualificata (in quanto esprimeva una partecipazione al capitale pari al 30%) previo pagamento di un’imposta sostitutiva (con aliquota pari al 4%) pari a 300, con pagamento rateale triennale; successivamente, dopo aver alienato il 20% di tale partecipazione, ha rideterminato nuovamente il costo di acquisto del rimanente 10% con aliquota del 2%, previo pagamento di un’imposta sostituiva di 80 e, a quanto pare, ha omesso il pagamento della terza rata (100) relativa alla prima rivalutazione (ipotizziamo non ancora scaduta).

 

Ora, se così fosse, l’errore che avrebbe commesso il contribuente non sarebbe stato tanto quello di aver omesso il versamento integrale della prima imposta sostitutiva – tant’è che la stessa Amministrazione finanziaria, seppur successivamente ai fatti di causa, aveva riconosciuto ai contribuenti la possibilità di omettere il pagamento delle rate non ancora scadute in caso di rivalutazioni successive – bensì quello di ottenere di fatto un rimborso superiore al dovuto (80).

Ad avviso dello scrivente, infatti, ai fini della verifica del quantum del rimborso occorre confrontare la nuova imposta sostitutiva (80) con quanto residua della precedente imposta sostitutiva e, cioè, posto che sono venuti meno per effetto dell’alienazione i 2/3 della partecipazione, con 100.

Conseguentemente, posto che il rimborso può avvenire nel limite di 80, l’omesso versamento della terza rata pari a 100 risulta effettivamente illegittimo nella misura di 20. In particolare, se la nuova rivalutazione è avvenuta prima della scadenza della terza rata – come sembra sia avvenuto nel caso di specie – il contribuente avrebbe potuto omettere il pagamento di tale rata solo per 80;

diversamente, qualora cioè la nuova rivalutazione fosse intervenuta successivamente alla scadenza delle terza rata, il contribuente, fermo rimanendo il pagamento integrale di detta rata e della nuova imposta sostitutiva, avrebbe potuto chiedere il rimborso di 80.

 

In definitiva, anche in questi casi, trova applicazione il principio che governa le “rivalutazioni al ribasso”, secondo cui, ripetiamo, il rimborso è dovuto nei limiti di quanto dovuto per effetto della nuova rivalutazione.

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a cura di Giurisprudenza delle imposte edita da ASSONIME

URL: https://www.fiscooggi.it/rubrica/giurisprudenza/articolo/rivalutazione-bis-partecipazioni-imposta-compensabile- non-sempre

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