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Debito e austerità. Le politiche di austerity e la necessità di abbattere il debito pubblico.

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Academic year: 2022

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(1)

Debito e austerità

Le politiche di austerity e la necessità

di abbattere il debito pubblico.

(2)

Abstract

In this research we have analyzed the role of public debt and austerity in recent years.

First of all, we have tried to find out a possible correlation between economic growth and public debt. Secondly, we have tried to define the concept of austerity, focusing

on the policies that could be considered as part of this economic model and the different degrees of intensity of such measures.

Finally, we have tried to consider whether reducing public debt is to be considered an

imperative goal for policy makers and how to reach this goal without paying excessively high social costs in terms of welfare loss.

(3)

Di cosa parleremo

Una definizione del debito pubblico e altri debiti non conteggiati

Crescita e debito pubblico: esiste una correlazione?

Tesi a favore

Tesi contrarie

Una definizione di austerity

Come si può diminuire il debito pubblico?

Un mix di austerity ‘gentile’

La spesa pubblica da revisionare

FOCUS: una patrimoniale può essere efficace?

(4)

Il debito pubblico in Italia e in Europa

Il grafico mostra l’andamento del rapporto debito/PIL per l’Italia, l’Unione Europea a 28 e l’Eurozona

FONTE DATI: database Eurostat -https://ec.europa.eu/eurostat/en/web/products-datasets/-/SDG_17_40

0 20 40 60 80 100 120 140

2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017

Italia UE-28 Eurozona-19

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Il debito pubblico

Definizioni e considerazioni

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Il debito pubblico

Secondo il Ministero dell’Economia e delle Finanze italiano

«il debito pubblico è pari al valore nominale di tutte le passività lorde consolidate delle amministrazioni pubbliche (amministrazioni centrali, enti locali ed istituti previdenziali pubblici). Il debito è costituito da biglietti, monete e depositi, titoli diversi dalle azioni – esclusi gli strumenti finanziari derivati – prestiti, secondo le definizioni del Sec 2010»

Passività lorde (ovvero ciò che le amministrazioni hanno preso a prestito senza sottrarreciò che prestano)

Solo debito «consolidato»: lo Stato che presta ai Comuni non rientra

Sec 2010: l’attuale sistema statistico europeo in vigore

Anche le monete stampate dallo Stato e i titoli detenuti dalla banca centrale: esistono differenze nel caso in cui la banca centrale sia quella dello Stato o una banca centrale a cui lo Stato partecipa insieme ad altri (es. BCE)

(7)

Chi detiene il debito?

Si possono avere diverse situazioni:

Debito prevalentemente interno (es. Giappone al 90-95%)

Debito prevalentemente estero (es. America Latina)

Mix di debito interno ed estero

Ancora:

Un debito presso la banca centrale nazionale è «fittizio»: i ricavi della banca centrale sono riversati allo Stato; di fatto non ci sono interessi

Un debito presso la banca centrale europea non è del tutto fittizio: gli interessi

incassati dalla banca centrale sono ripartiti ai Paesi dell’Eurozona

(8)

Cosa manca nella definizione?

Non tutto il debito effettivo è conteggiato nella definizione data del MEF (e relativa al metodo statistico europeo Sec 2010).

Non sono contenuti ad esempio

Debito commerciale (es. se lo Stato acquista beni e servizi e deferisce il pagamento, questo non è conteggiato)

Ritardi nei pagamenti della PA. Nel 2013 lo Stato ha accelerato i pagamenti, indebitandosi sui mercati

finanziari e facendo emergere il debito commerciale (circa 2% sul PIL a fine 2014), : non è nuovo debito, ma un debito che semplicemente prima non era conteggiato per la definizione tecnica contenuta nel Sec 2010

Debito pensionistico: stimare quanto aumenterà la spesa pensionistica (rispetto al PIL) a causa dell’invecchiamento della popolazione ed attualizzarne il valore

Procedura non del tutto corretta: il debito pensionistico è teorico e può essere comunque modificato da future riforme del sistema previdenziale

In Italia, dopo l’introduzione della c.d. Legge Fornero, tale debito è quasi nullo (media Paesi avanzati al 30%

del PIL, 35% negli USA e circa 50% in Finlandia)

Contratti «derivati»: lo Stato sottoscrive questi contratti come forma di assicurazione

sull’aumento dei tassi (e paga l’assicurazione con minori entrate quando i tassi sono bassi); il debito da derivati è quello che lo Stato dovrà pagare alla scadenza di questi contratti, ma potrà anche essere negativo (in Italia a fine 2014 era circa 42 miliari, 2,6% del PIL).

(9)

Perché bisogna diminuire il debito?

Esistono diversi motivi per cui occorrerebbe tenere basso il debito pubblico (in rapporto alla ricchezza).

Può causare una crisi finanziaria (reazione a catena)

Tassi di interesse molto alti: possono generare un debito pubblico insostenibile

Credibilità

Rischi di avere poca possibilità di manovra in una situazione di shock finanziario

Questione morale

Pagano i figli (ma non sempre: a volte il debito, se finanzia investimenti, aumenta il

«capitale pubblico»)

Debito è peccato (precetti religiosi, ma anche precetti politici e culturali)

Deresponsabilizzazione: un alto debito, siccome è pubblico, potrebbe apparire «di nessuno», quado in realtà è «di tutti».

(10)

Perché bisogna diminuire il debito?

Abbiamo volutamente lasciato da parte un ulteriore motivo per il quale, secondo

alcuni, bisognerebbe diminuire il debito:

IL DEBITO PUBBLICO RIDUCE LA CRESCITA ECONOMICA

MA QUESTO È VERO?

(11)

Crescita e debito pubblico

Esiste una correlazione?

Può il debito frenare la crescita?

(12)

Austerity e crescita

Il grafico mostra il livello di austerity praticato da diversi Stati (in rapporto al PIL) ed il tasso di crescita

economica registrato.

L’austerity è una politica economica che ha come scopo principale far decrescere il debito pubblico, al fine di stimolare la crescita economica.

Torneremo poi su questo tema…

(13)

Può la crescita essere frenata dal debito?

Due contributi fondamentali a sostegno di questa tesi:

Reinhart, C. M., & Rogoff, K. S. (2010). Growth in a Time of Debt. American Economic Review, 100(2), 573-78.

Alesina, A., & Ardagna, S. (2010). Large changes in fiscal policy: taxes versus spending. Tax policy and the economy, 24(1), 35-68.

Secondo questi due lavori

1. Un alto livello di debito pubblico costituisce un freno alla crescita economica

2. Esiste un livello di soglia superato il quale il peso del debito schiaccia la crescita economica in modo considerevole

3. L’austerity, anche in una fase di depressione economica, può avere effetti positivi sulla crescita perché fa diminuire il debito pubblico e quindi il «peso» che esercita sulla crescita

a. Le politiche di diminuzione delle tasse sono più efficaci rispetto all’aumento di spesa pubblica in un’ottica di stimolo all’economia e di crescita

b. Tagli alla spesa pubblica sono più efficaci rispetto ad un aumento delle tasse per ridurre il rapporto debito/PIL

c. Aggiustamenti alla spesa pubblica causano più difficilmente una recessione rispetto ad aumenti delle tasse

(14)

Il metodo…

Secondo gli autori dei due articoli, le tesi sono dimostrabili a partire dall’evidenza empirica

Vengono raccolti dati di performance di Paesi diversi in contesti diversi (recessione, boom economico)

Vengono analizzate le politiche economiche messe in atto da questi Paesi nei diversi contesti (politiche di contenimento della spesa, di

diminuzione delle tasse, e viceversa, in fasi di depressione o di crescita economica)

Viene effettuata una analisi di regressione per dimostrare le tesi

(15)

Problemi?

Sulla base del metodo utilizzato, occorre evidenziare che esistono alcuni problemi da affrontare:

Come definire una politica fiscale? Ovvero, come si fa a definire se una politica è «di stimolo» o «di austerity»?

Occorre una definizione per l’austerity: la daremo più avanti

Tale definizione è stata rispettata nell’individuazione delle serie storiche?

Come definire una fase economica ascendente ed una fase economica discendente?

Quali anni e quali Paesi considerare?

(16)

… debunking

Krugman, P. (2013). How the case for austerity has crumbled. The New York Review of Books, 6, 2013.

Paul Krugman ha raccolto nel suo articolo, in modo anche piuttosto polemico, le diverse fasi di debunking degli articoli a favore delle politiche di austerity:

Performance di Paesi importanti sono state trascurate nell’articolo di Reinhart e Rogoff (che conteneva anche un errore nell’algoritmo di regressione dei dati)

Alesina e Ardagna hanno individuato in modo approssimativo le fasi ascendenti e le fasi discendenti dell’economia

Krugman afferma che tali tesi dovevano essere considerate già sbagliate in partenza, poiché contraddicevano in modo palese i risultati più accettati della Scienza economica:

doveva sorgere il dubbio che alcuni dati dovevano essere stati distorti.

(17)

Crolla la soglia, crolla il rapporto di causalità

Ricapitolando, il passaggio dal lavoro di Alesina e Ardagna e di Reinhart e Rogoff al lavoro di debunking

sintetizzato da Krugman…

Si evidenzia che intanto viene a cadere il concetto di «soglia limite del

rapporto debito/PIL», ed inoltre appare evidente come la politica

macroeconomica accettata sia ancora valida, o per lo meno non messa in discussione in modo definitivo dalla produzione scientifica pro-austerity.

Quindi?

Le politiche di austerity non dovrebbero essere una priorità in

fase di crisi economica

Occorre rivalutare le teorie standard della Scienza economica

Conseguenze teoriche

L’analisi di regressione corretta non

evidenzia più la soglia debito/PIL Viene meno anche il rapporto causa- effetto

Debunking

Problemi nei dati Problemi nell’algoritmo Problemi nelle definizioni

(18)

Una teoria più soft…

Pescatori, A., Sandri, D., & Simon, J. (2014). Debt and growth: is there a magic threshold? (No.

14-34). International Monetary Fund.

Gli autori di questo studio propongono una interpretazione diversa dei dati analizzati da Rugoff e Reinhard e dallo studio di Alesina e Ardagna: in effetti esiste una correlazione tra livello di debito e crescita, ma questo non si evidenzia con una soglia limite (che in effetti non esiste, come ha evidenziato Krugman), bensì con il «trend» del debito pubblico. Può essere quindi plausibile che un alto debito «freni» la crescita, ma non in quanto sia alto, bensì per il fatto che per raggiungere un tale livello abbia dovuto crescere per diversi anni.

Un Paese ad alto debito può avere una crescita appesantita, ma questo effetto sparisce nel momento in cui il debito pubblico inizia a scendere, o comunque invertire il trend di crescita.

NOTA: valido per la crescita di medio-lungo periodo, perché nel breve periodo, secondo gli autori, ci potrebbe essere una correlazione determinata dalla volatilità connessa ad un alto livello di indebitamento.

(19)

Un debito ad impatto positivo?

Checherita-Westphal, C., & Rother, P. (2010). The impact of high and growing government debt on economic growth: an empirical investigation for the euro area.

Un debito pubblico potrebbe anche avere un impatto positivo sulla crescita economica, secondo gli autori dell’articolo (reperibile sul sito della BCE): in effetti questa è una spiegazione del perché non sempre l’argomentazione morale del «debito che ricade sui figli» è applicabile:

«Una possibile spiegazione per un impatto positivo di un debito alto

(maggiore 90-100%) sulla crescita ci sarebbe se i deficit fossero usati

per finanziare investimento pubblico produttivo»

(20)

Austerity

Una definizione e diverse opinioni

(21)

Cosa si intende per «austerity»?

Vediamo rapidamente come si definisce una politica di austerity dividendo i due casi della tassazione e della spesa pubblica:

LATO DELLA TASSAZIONE. Un aumento di gettito fiscale dovuto ad una crescita economica non è «austerity»: occorre depurare l’aumento del gettito dagli effetti di crescita; una buona soluzione è individuare le determinanti della tassazione

indipendenti dal PIL: tipicamente, aliquote e base imponibile. Una politica di austerity è un aumento delle aliquote o una variazione (ampliamento) della base imponibile.

LATO DELLA SPESA. Una diminuzione della spesa pubblica dovuta a crescita

economica (es. meno sussidi di disoccupazione erogati) non è una misura di austerity;

in questo caso le cose sono più complesse perché lo Stato non decide «aliquote» di

spesa, ma quantità di spesa per ogni comparto. Occorre depurare anche in questo caso dagli effetti di crescita. Una politica di austerity si ha quando la spesa pubblica cresce meno del PIL potenziale: questo non significa né che la spesa pubblica non debba crescere, né che debba necessariamente decrescere.

(22)

Il caso italiano

L’andamento della spesa pubblica

in Italia La pressione fiscale in Italia

Fonte: ISTAT Fonte: CONFARTIGIANATO

(23)

Riguardiamo il grafico dell’austerity…

Il grafico qui a fianco è lo stesso che abbiamo visto qualche slide fa: riporta le misure di austerity, così come le

abbiamo definite, in percentuale al PIL, rapportate al tasso di crescita economica registrato dai Paesi che le hanno applicate.

In una fase di recessione, le misure di austerity sono chiaramente pro-

cicliche ed in generale hanno un

impatto negativo sul PIL di un Paese:

questo dato è ovviamente coerente con le teoriche macroeconomiche accettate dalla comunità scientifica, ma puntualmente disattesa dai

decisori politici europei (e non solo).

Fonte: IMF

(24)

FOCUS: il caso irlandese, un contesto politico

Wren-Lewis, S. (2016). A general theory of

austerity. Blavatnik School of Government Studies, Working Paper, 14.

Omogeneità nell’applicazione del modello standard di politica di austerity. Tendenza

germanocentrica della gestione dei conti pubblici di altri Stati.

Inquietante interpretazione secondo la quale la Germania abbia gestito le politiche di austerity a livello di Eurozona per limitare non la sovranità, ma la ripresa economica di altre entità statuali.

Queste interpretazioni sono state spesso

utilizzate dai fautori dell’uscita di diversi Paesi dall’Unione Europea, come forma di

affrancamento dalla plutocrazia tedesca (es.

BrExit, ma anche i movimenti ItalExit)

(25)

Come si può diminuire il debito pubblico?

Austerity sì, ma non troppo…

(26)

Dobbiamo ridurre il debito?

Considerando il fatto che le ricerche hanno sostanzialmente smentito il dato

secondo cui un alto debito pubblico può impattare sulla crescita economica di un Paese, occorre comunque tenere presente che gli altri motivi per cui un debito eccessivo può essere dannoso restano in campo: il motivo della stabilità

finanziaria, e quello etico-morale (che spesso è prevalente in ambito politico).

Un debito pubblico in calo, poi, ha anche effetti positivi sulla crescita, come abbiamo sottolineato qualche slide fa…

La riduzione del debito ha anche un costo: occorrerebbe, infatti, un maggior

livello di tassazione ed un minor livello di deficit (o un surplus), che potrebbero deprimere l’economia oggi per evitare rischi domani. L’analisi costi-benefici di ogni politica di riduzione del debito deve quindi tener conto di questi fattori.

Vedremo che nel caso italiano non si tratterebbe di misure draconiane, e quindi è

ragionevole ipotizzare che i loro benefici in termini di fiducia e di possibilità di

manovre future superano i relativi costi.

(27)

Di quanto dobbiamo ridurlo?

Nessuna teoria economica afferma che il debito pubblico debba essere

nullo: un debito pari a zero non ha senso per una famiglia, e nemmeno per uno Stato. Occorre quindi trovare un livello di indebitamento ragionevole.

Un livello di debito accettabile nel lungo periodo potrebbe essere dell’ordine del 50-60% del PIL:

Perché permette manovre espansive in caso di necessità

Perché non è un livello di un’entità tale da necessitare di un alto livello di tassi di interesse per rifinanziarlo sul mercato

PERCHÉ È COERENTE CON LE REGOLE DELL’EUROZONA

(28)

Il percorso da (non) seguire

Diverse sono le ipotesi per giungere ad una riduzione del debito pubblico.

Alcune hanno un costo altissimo, che supera il beneficio o che potrebbe, al limite, non portare ad un reale beneficio:

Ripudio del debito (o ristrutturazione): va bene se il debito estero è alto (al netto degli effetti sulla fiducia), ma se l’indebitamento interno è

preponderante è come una tassa che viene a gravare sui risparmiatori

Uscita dalla moneta unica

(29)

Il percorso da seguire

In base ai dati economici, la crescita economica nel triennio 2016-2019 dovrebbe essere circa pari all’1,5% del PIL per anno (media, al netto dell’inflazione).

Gli studi econometrici mostrano una crescita del PIL potenziale italiano pari allo 0,5%

del PIL per anno nello stesso periodo.

Il deficit pubblico nel 2016 era previsto pari al 2,4% del PIL.

Le spese per interessi sul debito pubblico dovrebbero consistere a fine 2019 in circa lo 0,1% del PIL.

Ipotizzando una crescita della spesa pubblica in linea con il PIL potenziale per il prossimi tre anni (politica non di austerity per le definizioni che abbiamo dato), otteniamo un deficit strutturale dello 0,8%.

Con politiche di austerity pari allo 0,8% del PIL in tre anni (meno dello 0,3% annuo), si raggiungere il pareggio di bilancio nel 2019…

(30)

Quale austerity?

La politica di austerity che parrebbe più appropriato adottare sarebbe quella di una revisione della spesa pubblica, andando sostanzialmente a tagliare quella quota che viene spesso definita «improduttiva».

Mantenere la spesa pubblica a livello del 2016 fino al 2019 sarebbe coerente con questo obiettivo, e preferibile se applicato alla spesa

improduttiva: se la popolazione è relativamente stabile, infatti, questo vorrebbe dire mantenere sostanzialmente il livello di spesa pro-capite (e quindi i beni e servizi erogati per i cittadini) ad un livello tutto sommato accettabile.

Misure restrittive in termini di spesa pubblica possono essere migliori

rispetto ad un aumento della tassazione, perché incide meno sul potere

d’acquisto dei cittadini.

(31)

Quanto tempo ci vorrà?

Con un bilancio in pareggio, il rapporto debito/PIL decresce se aumenta il prodotto interno lordo (perché il valore del debito non aumenta)

In base ai trend di crescita ipotizzati dal Governo italiano, il debito pubblico in rapporto al PIL dovrebbe scendere al livello dell’89% del PIL nel 2029 e al 66%

del PIL del 2039.

Nel complesso potrebbe sembrare un tempo lungo, ma ricordiamo che una decrescita del rapporto tra debito e PIL dovrebbe migliorare anche il tasso di crescita del PIL stesso, e quindi accorciare i tempi di questa diminuzione

progressiva.

Un rapporto debito/PIL in discesa dovrebbe aumentare anche la fiducia dei

mercati finanziari e quindi rendere meno costoso il rifinanziamento del debito

in futuro (tassi di interesse più bassi).

(32)

Abbiamo seguito il percorso?

Il percorso descritto si basa sulle stime di crescita e la programmazione economica contenuta nel Documento di Economia e Finanza che ha accompagnato la manovra economica del 2015 per il 2016 (programmazione triennale 2016-2019).

La programmazione economica dello Stato italiano però è mutata nel tempo, discostandosi dagli obiettivi programmati di anno in anno (tra l’altro le variazioni di programmazione economica sono un ulteriore fattore di affievolimento della fiducia dei mercati).

INDEBITAMENTO NETTO STRUTTURALE PROGRAMMATO

VARIAZIONE DEL PIL PROGRAMMATA

Anno rif. 2016 2017 2018 2019 2016 2017 2018 2019

NADEF 2015 -0,7 -0,3 0,0 0,0 1,6 1,6 1,5 1,3

NADEF 2016 -1,2 -1,2 -0,7 -0,2 0,8 1,0 1,3 1,2

NADEF 2017 -0,9 -1,3 -1,0 -0,6 0,9 1,5 1,5 1,5

NADEF 2018 -0,9 -1,1 -0,9 -1,7 0,9* 1,6 1,2 1,5

Fonte: MEF

* il dato non è contenuto nella NADEF che non prende più in considerazione l’anno 2016; si è utilizzato il dato consolidato contenuto nella NADEF 2017

(33)

Altre ipotesi…

Una mutualizzazione europea del debito pubblico dell’Eurozona

Una patrimoniale (FOCUS)

Privatizzazione e dismissioni del patrimonio pubblico

Ognuna di queste soluzioni auspicabili presenta comunque dei limiti, politici (nel caso della mutualizzazione del debito), teorica (nel caso della patrimoniale) e pratica (nel caso delle privatizzazioni e della dismissione del patrimonio

pubblico).

Una soluzione, da combinare alla riduzione del deficit strutturale, è quella di

aumentare il PIL potenziale del nostro Paese: la via maestra è quella delle

cosiddette «riforme strutturali», il cui impatto però non è sempre chiaro; va

anche detto che non sempre è agevole individuare quali riforme mettere in atto.

(34)

Riforme strutturali

Alcune idee di riforme strutturale (ognuna ha i suoi pro ed i suoi contro, ossia i suoi svantaggi in termini sociali):

Mercato del lavoro più flessibile con aumenti salariali più correlati alla crescita della produttività (ma parecchi problemi sociali)

Semplificazione dei processi burocratici, nonché del sistema di amministrazione della giustizia, per rendere più semplice investire o fare impresa in Italia

Meno tasse su impresa e lavoro e agevolazioni fiscali per incentivare assunzioni ed investimenti (ammortamenti, abbattimento del cuneo fiscale)

Maggior concorrenza nel mercato di beni e servizi

Riforme della scuola e dell’Università in grado di aumentare il capitale umano del Paese

Ecc.

(35)

FOCUS: la patrimoniale

Tutino S., “Una patrimoniale per abbattere il debito pubblico?”, Critica Sociale, 26 dic. 2010,

www.criticasociale.net/index.php?&function=editoriale_page&id=0000326#.W_Z74ehKi01, data consultazione 22.11.2018

La proposta politica di una patrimoniale è stata negli anni riproposta da diversi partiti ed esponenti di tali partiti.

Per una carrellata delle proposte, è sufficiente digitare «patrimoniale» nel box di ricerca di un quotidiano qualsiasi (abbiamo fatto questa operazione dal sito del Sole 24 Ore).

EVIDENZA: il 10% più ricco degli italiani detiene il 44% della ricchezza nazionale (ammontare totale di 9000 miliardi di euro al 2008); una tassa del 16% sul patrimonio del 10% più ricco degli italiani rende (al 2008) circa 650 miliardi; tassare una-tantum i più ricchi non dovrebbe distorcere più di tanto i comportamenti economici dei più ricchi

PROBLEMI: impatto sulla liquidità («non si può vendere un pezzo di casa»); mobilità dei capitali

(dovrebbe essere una misura «imprevista» per evitare spostamenti di capitale e altre forme di elusione che potrebbero emergere); come far percepire che la tassa è davvero una-tantum?

(36)

Consigli di lettura…

Cottarelli, C. (2015) La lista della spesa. La verità sulla spesa pubblica italiana e su come si può tagliare, Milano, Feltrinelli

Cottarelli, C. (2016) Il macigno. Perché il debito pubblico ci schiaccia e come si fa a liberarsene, Milano, Feltrinelli

(37)

Oltre a questo lavoro…

Dai prossimi giorni troverete queste slides sul sito web (in costruzione)

www.menodebito.it

Assieme alle slides, troverete anche gli articoli scientifici citati in

bibliografia (per lo meno quelli ad accesso libero) ed alcuni altri

approfondimenti.

(38)

Bibliografia e sitografia

Cottarelli, C. (2015) La lista della spesa. La verità sulla spesa pubblica italiana e su come si può tagliare, Milano, Feltrinelli

Cottarelli, C. (2016) Il macigno. Perché il debito pubblico ci schiaccia e come si fa a liberarsene, Milano, Feltrinelli

Reinhart, C. M., & Rogoff, K. S. (2010). Growth in a Time of Debt. American Economic Review, 100(2), 573-78.

Alesina, A., & Ardagna, S. (2010). Large changes in fiscal policy: taxes versus spending. Tax policy and the economy, 24(1), 35-68.

Krugman, P. (2013). How the case for austerity has crumbled. The New York Review of Books, 6, 2013.

Pescatori, A., Sandri, D., & Simon, J. (2014). Debt and growth: is there a magic threshold? (No. 14-34). International Monetary Fund.

Checherita-Westphal, C., & Rother, P. (2010). The impact of high and growing government debt on economic growth: an empirical investigation for the euro area. European Central Banck.

Wren-Lewis, S. (2016). A general theory of austerity. Blavatnik School of Government Studies, Working Paper, 14.

Tutino S., “Una patrimoniale per abbattere il debito pubblico?”, Critica Sociale, 26 dic. 2010,

www.criticasociale.net/index.php?&function=editoriale_page&id=0000326#.W_Z74ehKi01, data consultazione 22.11.2018

ISTAT. www.istat.it

EUROSTAT. https://ec.europa.eu/eurostat

MEF. www.mef.gov.it

(39)

FINE

Ricerca a cura di:

Saverio Bonini

Guido Paradisi

Mario Zazzi

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