SCRITTO SULLA PELLE
Charlotte Lays
Proprietà letteraria riservata
© 2016 RCS Libri S.p.A. Milano Prima edizione digitale 2016
ISBN 978-88-586-8416-0
In copertina: © iStockphoto Art Director: Francesca Leoneschi
Graphic Designer: Alexandra Gredler / theWorldofDOT www.rizzoli.eu
Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore.
È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.
A voi, arabe fenici:
che la vostra rinascita, per quanto dolorosa, sia l’ascesa verso il vostro Olimpo dorato.
A voi, esseri divini, che siete pronti a bucarvi con le spine
perché sapete quanto vale il velluto.
PROLOGO SEBASTIAN
«Ahia!» gridai sovrastando la musica house che pompava dalle casse a un volume talmente alto da far vibrare il pavimento sotto i piedi.
«Tu ora muovi le chiappe e mi porti dalla mia amica, altrimenti ti giuro che faccio una poltiglia con i tuoi gioielli di famiglia.» I polmoni mi si svuotarono, e non solo per il dolore, ma anche per il suono basso, sensuale e pericoloso di quella voce. Le mie palle erano imprigionate nella morsa d’acciaio delle mani di quella ragazza minuta di una bellezza fuori dal comune: avrei avuto pensieri e finalità molto più interessanti per loro, ma a quanto pareva lei non era sulla mia stessa lunghezza d’onda.
Nel frattempo mi stavano trafiggendo due occhi incredibili, di un colore
indefinibile alle luci psichedeliche che li illuminavano. A tratti turchesi e blu, altre volte viola.
Ipnotizzanti.
Erano incorniciati e la loro profondità era messa in risalto da un trucco scuro, che si accordava perfettamente ai capelli corvini dal taglio corto e sbarazzino.
La donna che avevo davanti era un’amazzone irata nei confronti del sire, ed era dannatamente eccitante.
Cercando di arginare il dolore, mi abbassai verso le sue labbra scarlatte, per poi avvolgere il suo esile polso nella mia mano.
«Non è colpa mia se la tua amica ha scelto un genio fuori di testa per sollazzare la sua serata.»
Non cedette di un millimetro.
«Lo so che non hai mai sentito niente del genere, ma ti porterò da lei solo se mi lasci.»
Cominciai a sudare freddo.
Il suo sguardo divenne affilato come quello di un’aquila, attento come quello di una volpe.
«Neanche tu sei mai stato tenuto così per le palle. Quindi siamo pari.»
Vibrai al ritmo roco delle sue parole. Aveva un tono di voce dolce, ma profondo e carnale.
Ossessionante.
Quel suono si impossessò immediatamente della mia testa.
Immaginai il mio nome uscire da quelle labbra eccitanti all’apice del piacere a cui sarebbe arrivata per mano mia.
Ignorò la mia pulsazione e tirai un sospiro di sollievo mentre la sua presa si allentava e i suoi occhi rimanevano arpionati ai miei, in un duello di sguardi che sembrò durare un’eternità.
«Seguimi» le dissi spostandomi per primo, «sentiti libera di attaccarti al mio sedere e strizzarlo: mi piace.»
Mi guardò con sufficienza, facendo roteare quegli occhi fantastici, mentre i miei cadevano nello scollo del suo abito indecente.
«Dubito che tu non abbia mai visto un paio di tette.»
«Stavo valutando se fare il cavaliere e far andare avanti te: potrei attaccarmi io dietro al tuo lato B.» Sfoderai il sorriso ammaliatore e il mio sguardo da
capitolazione.
Nonostante i tacchi la ragazza si alzò sulle punte, con il naso a un soffio del mio e il suo profumo di femmina fatale a insidiarmi i sensi.
Intossicante.
«Decido io cosa, come, quando e perché… sempre» mi redarguì suadente.
Santo Signore.
Il mio corpo si tese all’istante verso di lei, propagando nel sangue il desiderio crepitante tra i nostri corpi.
«L’utero è tuo e lo gestisci tu, va bene… Puoi dirmi come fare a mettermi in lista?»
Tornò a riappropriarsi della patta dei miei jeans, trovando la reazione energica e pulsante come conseguenza al suo modo di essere.
«Mi dispiace per te, ma servono almeno due neuroni che cozzano nella testa del soggetto maschile che prescelgo.»
Inaspettatamente strizzò, forte, e io gridai, forte.
«Adoro tenervi per le palle» la sentii ghignare malefica.
CAPITOLO UNO SEBASTIAN
Cinque mesi dopo…
«Datti una mossa» è il ringhio che sento appena apro il messaggio vocale che mi ha inviato il mio migliore amico per farmi scendere.
Prendo chiavi, portafoglio, occhiali da sole ed esco dal mio appartamento per raggiungerlo in strada.
In ascensore mi piazzo davanti allo specchio e mi rimiro con occhio critico.
Sollevo il mento, ruotandolo a destra e a sinistra. Mi passo i polpastrelli in una carezza decisa sulla barba che ricopre la mascella squadrata: domani devo
assolutamente accorciarla e rasare i capelli.
Mi avvicino ancora e con un ghigno soddisfatto noto che le rughe intorno agli occhi si frastagliano ogni giorno di più.
Mi piacciono, sì. Rendono il mio sguardo letale ancora più profondo, e le donne non disdegnano, esattamente come i tatuaggi che ho sparsi sul corpo senza essere un arazzo dell’Ottocento.
A volte mi dicono che sembro un po’ tenebroso, ovviamente finché non conoscono Sean.
Tanto c’è poco da fare… le donne potranno anche sposarsi il Principe Azzurro, ma sognano di scoparsi il pirata; alla stessa stregua degli uomini che vorrebbero Cenerentola come figlia o sorella, ma Jessica Rabbit per moglie.
Con questa perla di saggezza, mi strizzo l’occhio; il perenne sorriso sardonico gioca sulle mie labbra e sono pronto a farmi venerare per un nuovo giorno.
Già, avete letto bene: venerare.
Sillabo? Ve-ne-ra-re.
Io sono Gesù, i dodici apostoli, la Santissima Trinità e i Re Magi concentrati in una granata divina di bellezza, fascino e lussuria.
Vi sembro blasfemo? Allora andrò sul filosofico: sono la materializzazione dell’idea di superuomo di Platone, Nietzsche e Freud messe insieme.
Mio nonno mi disse: «Figliolo, le donne sono come angeli». Io ho interpretato la sua massima e l’ho parafrasata – parecchio parafrasata – in: «Io sono una divinità.
Voi uomini potete suicidarvi; voi donne potete salire su di me e ascendere al paradiso».
Insomma, in tre parole sono: Sebastian Edgard Simmons.
Solo gli sfigati con i genitori indecisi hanno due nomi, lo so. Diciamo che è quell’imperfezione che permette ai comuni mortali di accettare la perfezione discesa sulla terra.
«Buongiorno, Sebastian caro» cinguetta una voce anziana nel foyer.
«Buongiorno, Mrs. Lexington, ma questo cappellino le sta una meraviglia! Sono convinto che se lo indosserà per la messa di domani Padre Jacob si impappinerà durante l’omelia.»
Sono ruffiano, anche. Parecchio.
«Oh, bricconcello!» miagola la vegliarda arrossendo in maniera deliziosa per una signora della sua età. «Quando torni, preparo la tua torta di mele preferita.»
Non ditemi che leccare il culo non ha i suoi vantaggi.
«Io non posso credere a quello che stiamo facendo. Ma sei davvero tu?»
Il mio tono è esasperato e irriverente, però non ne posso più. Da circa tre ore vago insieme al mio migliore amico, Sean Clark, un maledetto genio e premio Nobel dell’ingegneria biomedica a cui una donna ha fottuto il cervello.
Sì, fottuto, perché quando ci si innamora succede quello. Anzi, rettifico, quando le persone in generale si innamorano, dato che a me non succederà.
Mai.
Una divinità non può ridursi a uno straccio, giusto? Giusto.
«Stiamo per entrare nel quinto negozio di animali. Ti rendi conto che hai le sinapsi andate?»
Mi guarda e scuote la testa. «Un giorno capirai e quel giorno ti sosterrò, amico.»
Gemo e alzo il volume dello stereo al massimo. I Nirvana mi fracassano i timpani, ma sempre meglio delle romanticherie melense. No, non è corretto, perché Ivy e Sean non hanno un rapporto alla melassa, ma quando li osservo mi accorgo che sono uno lo Yin e lo Yang dell’altro.
Per essere chiari da subito, almeno non rimarrete delusi: io non voglio essere l’ago della bilancia di nessuno, poiché basto a me stesso.
Io non uso il termine relazione, uso game over.
Ecco, così tutto potrete dirmi, tranne che sono ambiguo. Okay, adesso proseguiamo.
Sean pianta la sua Ferrari in doppia fila e scende, assolutamente incurante di qualsiasi clacson o offesa sia rivolta alla sua persona; si limita ad alzare le braccia con il dito medio in bella vista. Quando ha un obiettivo ha già il mondo ai suoi piedi, ma se c’è di mezzo Ivy si trasforma in un vero e proprio schiacciasassi umano.
Roba da far accapponare la pelle.
Indispettito, lo seguo e spero vivamente che abbiano la bestiola che cerca.
Sorrido di fronte allo sguardo di beata adorazione della commessa: Sean con quell’aria da bad boy dannato ha sempre mietuto conquiste. Mentre i due cercano di capirsi mi perdo a osservare la donzella cinofila: bel paio di tette,
sedere sodo e rotondo… certo, forse cinque centimetri in più sarebbero stati l’ideale, ma insomma non è che in posizione orizzontale facciano poi questa gran differenza; forse è un tantino slavata, ma anche quel dettaglio si risolve con la luce spenta.
Sì, il mio divino attrezzo potrebbe essere messo all’opera con lei.
«Lo sa che i Rottweiler sono una razza raccomandata solo a persone equilibrate e che bisogna avere determinate accortezze?» lo redarguisce la ragazza, e io faccio una smorfia, avvertendola che ha fatto la mossa sbagliata: se Sean ha scelto quella razza, vuol dire che è risalito alle origini del miglior amico dell’uomo di Neanderthal nel giro di due ore.
«Pensa, ha fatto un casino inenarrabile quando si è accorto che non poteva riportare in vita il Tirannosauro.» E non so chi prendo più in giro, se lui o lei.
Il genio pazzoide sfodera il suo tono più tagliente: «Se volevo una psicoanalisi andavo da uno psichiatra, invece voglio un cane da coccolare e che protegga a dovere la persona che amo di più al mondo. Sono stato chiaro?».
Poco intelligentemente la giovane insiste: «Sì, ma volevo solo…».
«Hai questa cazzo di razza o no? Altrimenti vado a cercarlo altrove.»
Appoggio una mano sulla spalla di Sean appena vedo che la commessa sbianca di fronte al suo atteggiamento.
«È perennemente mestruato. Non farci caso…» Ivy non avrebbe potuto scegliere aggettivo migliore.
Visto che lui non è più disponibile… Tendo la mano per presentarmi.
Dai, bambolina, guarda me…
«Sandy.»
Così, brava…
«Che nome grazioso, Sandy.» Sfodero il mio sorriso da seduttore e le pupille della ragazza si focalizzano su di me, ingrandendosi.
Sei mia… Ormai riconosco lo sguardo allupato che si meraviglia quando si posa su ogni mio muscolo.
È merito del rugby, se sono così: un metro e novantadue d’altezza per cento chili di tonicità che mantengo marmorea ogni giorno con costanza e sudore; i lineamenti del volto sono duri e mascolini, ma sembra che le mie fossette siano letali.
È sempre abbastanza facile, la fase della conquista.
Attivo la modalità adulazione e mi concentro su di lei, avvicinandomi come un cobra che danza di fronte al suo incantatore.
Nel mio caso la situazione è ribaltata.
Sempre.
Quasi sempre… mi fa presente una vocina bastarda che puntualmente mina il mio ego smisurato appena penso a lei: Margaret, la migliore amica di Ivy.
È la sorella gemella di Mefistofele, peggiore di tutte le streghe Disney messe insieme, e anche la figlia illegittima di Dart Fener, ma in effetti quando penso a quella donna mastico amaro: non ha ceduto nonostante abbia testato con mano il mio muscolo più possente, interessante e divino, che con lei va matematicamente in erezione spontanea, come se fossi un adolescente arrapato e brufoloso.
La cinofila slavata si schiarisce la voce e mi riporta su di lei, preda facile,
dimostrando che il mio fascino da seduttore è sempre ai massimi livelli, solo che non funziona con quella creatura maligna, con l’Anticristo!
«Il mio amico, qui, è in ritardo sulla tabella di marcia: domani è il compleanno dell’amore della sua vita e lei adora i cani. Capisci bene che è una situazione delicata, ecco perché sputa fuoco come un drago esaurito.»
«Ohhh!» è l’esclamazione di Sandy, che subito torna a guardare Sean con gli occhi a cuore e un’espressione di pura ammirazione sul volto.
Questa storia del romanticismo innato è una gran rottura di palle.
«Forse ho quello che fa per voi» trilla lei a quel punto.
Mi si rizzano i peli sulla nuca.
«Per lui, vorrai dire! È lui nel game over, non io!»
La ragazza non deve avermi sentito e Sean sospira tirandomi una gomitata nel costato.
Sandy torna da noi con un batuffolo uggiolante che entra perfettamente nelle sue mani.
«Questa è una femmina di pitbull: se dovessi scegliere un cane per me non avrei nessun dubbio.»
Sean prende la bestiolina color caramello tra le mani e se la porta davanti al viso per guardarla meglio. La piccoletta non perde tempo: si aggrappa con i dentini aguzzi alla barba mentre la minuscola lingua gli si insinua nelle narici.
Il voltastomaco diventa sempre più prepotente.
Può un uomo ridursi così? Ma davvero?
«Avevo pensato a un maschio» dice Sean con occhio critico ma continuando a far fare l’ottovolante al cucciolo in quelle mani enormi.
«Le femmine rimangono più piccole e tendenzialmente sono più dolci, ma si sa… I cani sono come i bambini, dipende tutto da come si educano.» Sandy in versione femminile di César Millán perde molto del suo fascino, ma, ribadisco, non è che dovrei parlarci della pace in Medio Oriente.
«E poi ci sei già tu, in casa, come maschio alfa mestruato: direi che va bene una femmina.»
«Ma non è piccola, questa razza?» Sean fa la domanda a voce alta, in realtà mi piazza il cucciolo in braccio e digita all’impazzata sul suo cellulare, sicuramente alla ricerca di statistiche e caratteristiche fisiche-genetiche-ultraterrene della razza in questione.
«Sentiamo se ti fanno fare un prelievo e torni domani con il DNA stampato?»
domando, cinico e sagace.
«Non consiglio mai un cane in base alle misure.»
Questo è un calcio di rigore a porta vuota, bambolina.
Mentre il mio pollice è tra le fauci della bestia sotto esame, punto gli occhi sulla biondina. Mi abbasso su di lei per non lasciarle alcun dubbio: «Fai male a non tenere conto delle misure: sono importanti, invece».
Sandy si colora tra il porpora e il rosso scarlatto.
«Insomma, piccolo si infila da tutte le parti, ma non intimorisce sul serio.
Troppo grande è ingombrante, non trovi? Potrebbe anche creare dei problemi logistici. Forse una taglia medio-grande? Sì, più grande che media direi che è l’ideale.»
Continuo a giocare con questi mille doppi sensi, nel frattempo prendo un mio bigliettino da visita dalla tasca posteriore dei jeans e lo sventolo sotto il suo naso alla pulzella con una strizzata d’occhio malandrina.
«Se non sei fidanzata e sei libera stasera…»
Presa alla sprovvista dalla mia sfacciataggine, la ragazza si dilegua nel retrobottega.
Adoro vedere gli ormoni che vanno in subbuglio di fronte ai miei occhi.
«Sei sempre il solito esagerato!» mi rimprovera Sean, continuando a guardare quel dannato cellulare.
«Quando tu sarai a pulire il tuo prezioso pavimento dai regalini seminati qua e là da questa adorabile palla di pulci, io sarò a far capire alla nostra dolcissima Sandy quanto è bello avere un mastino di misure più-grandi-che-medie nel proprio letto.»
Sean mi guarda come se fossi senza speranza, mi strappa il cagnolino dalle braccia e chiama la ragazza per mettersi d’accordo sulla consegna.
Una cosa che non potevo sapere di Sandy è quale fosse il suo secondo lavoro:
insegnante di pole dance. In questo momento sono dentro di lei senza alcun riguardo e devo dire che mi stringe talmente tanto ovunque da farmi mancare il fiato, e finora abbiamo attuato solo la metà dell’ultima edizione del Kamasutra tascabile.
Ha le scapole appoggiate sul materasso e siamo entrambi fradici. Il sudore imperla la sua pelle abbronzata artificialmente; risalgo il rivolo che le solca l’incavo dei seni, verso il collo, e mi perdo a seguire il movimento delle sue collinette che reagiscono con uno scossone a ogni mio affondo potente.
Non sono per niente gentile: le sto tenendo le caviglie imprigionate nella morsa dei miei polsi, sollevata, esposta oscenamente al mio assalto.
È quel tipo di donna che quando fa sesso è una specie di gatta selvatica: graffia, morde, grida il mio nome e riecheggia nella stanza qualche ottava sopra a quanto in realtà io lo possa gradire. Una di quelle che si mostrano aggressive, ma quando si accorgono con chi hanno a che fare mollano il timone senza pensarci due volte.
E io so quello che voglio.
Sempre.
E so cosa vogliono le donne quando sono tra le loro gambe.
Sempre.
Sistemo una delle sue gambe toniche sulla mia spalla e dedico le mie attenzioni al clitoride. In risposta grida il mio nome, mentre la spingo verso il godimento assoluto.
«Ci sei?» le domando approfondendo i movimenti con ampi cerchi del bacino.
Ogni volta la sento un po’ ritrarsi per abituarsi alle dimensioni del mio membro.
«Madre di Dio!» aveva esclamato appena lo aveva visto, e ci aveva preso confidenza intraprendendo un’accurata conversazione intima.
«Ancora, ancora!» geme in risposta.
Sposto le mani sui fianchi e faccio ruotare agevolmente una gamba sopra la mia testa. La incastro sotto di me in una posizione che le garantisce il massimo della penetrazione.
«Lo senti così?» ringhio strattonandola verso di me. Lei in risposta balbetta il mio nome e delira qualcosa sulle dimensioni.
La giro ancora e le sollevo il bacino. Il sedere completamente esposto ai miei occhi. Le tiro una pacca generosamente potente e vedo la pelle arrossarsi.
«Ti avevo detto che le dimensioni contavano, biondina» le faccio presente concludendo il mio assalto con un impeto fatale.
La sento contrarsi attorno al mio sesso, la sua guaina mi avvinghia mentre l’orgasmo prende il sopravvento su di lei in contrazioni forti e ritmate.
Affondi sempre più ravvicinati e potenti mi fanno raggiungere il culmine poco dopo di lei. Oscillo dentro e fuori, implacabile, e mi confermo che anche stavolta i
miei divini-bambini-in-potenza non sono sprecati. Nonostante finiscano sempre nel preservativo, ritengo che i miei spermatozoi si debbano sacrificare nel calore di una femminilità degna di me. Mi sentirei in colpa a ucciderli con la prima che capita.
«Sandy, oh baby! Oh why-yi-yi-yi…» Nel momento in cui mi sdraio supino sul letto e intono la serenata di Danny Zuko per Sandy Olsson, scoppio in una risata grassa, di pancia. Fatico a riprendere fiato e mi domando come mi sia venuto in mente Grease dopo del buon sesso.
Lei si solleva su un gomito e il passaggio da uno sguardo felino mellifluo a uno in cagnesco adirato avviene in un battito di ciglia.
«Mi è spuntata anche la banana impomatata di John Travolta, dimmi la verità!»
le chiedo mentre continuo a ridere fino alle lacrime senza potermi contenere.
«Pensi di essere simpatico?»
Non resisto, mi piego ancora di più dal ridere. Ci convivo da una vita con quelli che mi prendono in giro e mi chiedono se i miei avessero visto Grease prima del mio concepimento.
«Fuori da questa casa!» urla con quella voce stridula di poco prima, e mi rendo conto che non scherza quando comincia a tirarmi addosso tutto ciò che trova a portata di mano.
Sfilo al volo il preservativo e schivo, abbassandomi, la statua della libertà, che si infrange sulla parete dietro di me. L’emblema del mio essere si è schiantato sopra la mia testa. Che sia un segno del destino? Che la fiammella sempiterna della mia libertà stia volgendo al termine?
«Maledizione!» Arraffo tutto ciò che trovo di mio e mi precipito fuori da quel manicomio personale. «Puoi stare solo con i cani e i gatti, tu!» le grido prima di sbattere la porta dietro di me.
Mi chiedo perché non mi sono attenuto alla B del mio ABC del sesso occasionale.
Io lo so perché mi faccio tutti questi problemi… Domani sarà il compleanno di Ivy e vedrò lei: la regina delle stronze, delle streghe e delle femministe tutte racchiuse dentro un corpo che grida perdizione, più del Casinò Luxor di Las Vegas.
Posso io, essere divino, andare d’accordo con tale calamità naturale per il genere maschile? No, ma a quanto pare la sua influenza negativa la precede e il mio corpo reagisce alla sua presenza suggerendomi che il sesso con lei sarebbe unico e tellurico.
Ciò avviene anche se mi sforzo di deprecarla come l’Anticristo o come i sette peccati capitali chiusi in un contenitore di sex appeal.
Una donna di mezza età esce dall’ascensore mentre mi sto infilando la camicia. Lo sguardo che mi lancia è a dir poco perplesso.
«Sono un mastino troppo allegro per Olivia Newton John» le dico strizzandole l’occhio e prendendo il suo posto nella cabina.
Mi guardo nello specchio e faccio una smorfia vedendo i graffi che mi ha lasciato sul collo. «Anche la reincarnazione di Catwoman doveva capitarmi, dannazione!»
Preferisco le uscite di scena tragicomiche in questo stile, rispetto a quelle strazianti e fintamente contrite degne dei migliori drammi hollywoodiani. Già, perché il dopo è sempre un’incognita, anche se scelgo bene la prescelta. Non so mai come reagirà una donna dopo che è stata scopata divinamente. A volte anche lei vuole solo sesso; altre volte si modificano geneticamente diventando un
incrocio tra una zecca, una sanguisuga e una cozza; altre ancora si fingono ferite, e allora lo scintillio della mia statua dorata viene ricoperta da uno strato di polvere al suono impietoso della parola «stronzo».
Sospiro mestamente.
Incarnare un essere divino può essere dannatamente complicato.
CAPITOLO DUE MARGARET
«Cosa ci fa ancora tra noi umili mortali?» gemo vedendo arrivare il migliore amico di Sean, Sebastian. Se il suo ego fosse una stella, illuminerebbe almeno tre
galassie per l’eternità.
«È un gran bel pezzo d’uomo anche lui» mi fa presente Mark osservandolo avanzare nel giardino con il passo sicuro di chi sa quello che vuole e soprattutto sa come fare a prenderselo.
«Quel fondoschiena deve essere di marmo…» Andrew lascia sempre poco
all’immaginazione, mentre io mi perdo nei ricordi di quando non ho approfittato a testarlo di persona. Sono passati mesi, eppure le dita dei piedi vorrebbero
arricciarsi quando la sensazione vivida di un altro suo muscolo tra le mie mani fa capolino nelle mie sinapsi.
Giuro che vorrei dire ai miei migliori amici di piantarla, e soprattutto vorrei distogliere lo sguardo, ma approfitto delle lenti scurissime dei miei occhiali da sole e mi godo il panorama statuario che si avvicina: spalle larghe, fisico asciutto e atletico. I capelli biondi rasati scendono fino a diventare tutt’uno con la barba, velando la mascella squadrata ed esaltando i lineamenti regolari e il naso dritto tra cui spiccano due occhi nocciola perennemente maliziosi e dannatamente attenti.
Il tutto è farcito da due qualità che quest’uomo trasuda da tutti i pori: fascino e sicurezza virile. Un connubio letale che porta solo ed esclusivamente problemi.
Ormai li scanso come la peste, i tipi come lui. Io non sono certo una
santarellina, e sono ormai ben lontana dall’essere una vergine collegiale, ma devo ammettere che mi sento a disagio sotto quello sguardo ambrato indagatore.
Pratico yoga da anni, e i miei chakra sballano impazziti quando mi è vicino.
È successo da subito, con lui, quando ancora non conoscevamo i nostri nomi, in quella discoteca affollata.
È come se fossimo in connessione. Le nostre anime vengono messe a nudo a banda larga, quando ci guardiamo dritti negli occhi.
È inquietante percepire la sensazione che il suo essere viziato e borioso fin nel midollo nasconda qualcos’altro. Sarebbe più facile non vedere niente.
Ho paura che anche lui intraveda qualcosa oltre le mie barricate, e quello che troverebbe farebbe impallidire la peggiore delle streghe, visto che mi accusa di essere tale.
«Puoi mentire agli altri, ma non a me, Meg» mi sussurra Andrew in un orecchio, in modo che solo io possa sentirlo.
Gli scocco un’occhiata truce. «Ribadisco: non mi prendi in giro, conosco quello sguardo» dichiara sorseggiando il suo Martini Dry. «Potrebbe farti tornare a cantare.»
Rimango senza fiato e il sangue si gela nelle mie vene.
«No» ringhio sommessa continuando a guardare Sebastian avvicinarsi. Mi basta per distrarmi dalla bomba che ha appena sparato il mio migliore amico e per cui pagherà pegno.
Mark vive da sempre su un altro pianeta, ma mi stupisco del fatto che Ivy non si sia accorta di nulla. Cerco di fingere e di mascherare tutte queste sensazioni, ma uno sguardo interessato è riconoscibile da chi ti sta vicino da una vita, e io
quell’uomo me lo mangio con gli occhi ogni volta che i nostri migliori amici, ormai fidanzati e conviventi, organizzano qualcosa.
«Quale sguardo?» domanda Ivy sopraggiungendo.
«Niente» rispondiamo Andrew e io in coro, continuando a fronteggiarci.
«Meno male che siamo alla tua festa di compleanno, altrimenti si salterebbero alla giugulare» ci rimprovera Mark con un’occhiata tra il divertito e l’ammonitore.
«Mmm… lo vedo» ci studia Ivy corrucciata.
«Tantissimi auguri, Ivy.» Sebastian arriva e abbraccia la mia amica, la sua acqua di colonia forte e decisa mi riempie le narici.
Fine dell'estratto Kindle.
Ti è piaciuto?