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CHIMENA PALMIERI Raval - Anteprima

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Academic year: 2022

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CHIMENA PALMIERI CHIMENA PALMIERI

Raval - Anteprima

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RAVAL

Romanzo di Chimena Palmieri

“La bellezza attira i ladri e gli assassini più dell'oro."

William Shakespeare

A Francesco, che conosce la bellezza e che me l’ha insegnata.

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UUID: 17231a02-9a65-11e4-b416-9df0ffa51115 This ebook was created with BackTypo ( http://backtypo.com)

by Simplicissimus Book Farm

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Table of contents

Prima, chissà quando, 1 Prima, chissà quando, 2 11 luglio 2010 - Ore 17.30 11 luglio 2010 - Ore 20.00 11 luglio 2010 - Ore 19.00

Lunedì 12 luglio 2010 - Ore 00.30

11 luglio 2010 - Ore 21.30

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PRIMA, CHISSÀ QUANDO, 1

Le mani si impacciano mentre fa scorrere la zip della sacca, che si incastra a più riprese, e che solo dopo una serie di tentativi nervosi decide di chiudersi regolarmente.

Si siede sul letto sfatto. Finito. Può partire.

Anzi, può TORNARE. Ha un sospiro affaticato a quel pensiero. Tornare. Dopo così tanto tempo, e mondo passato. Sprecato. Niente era uguale, tutto era uguale. E in mezzo lui. La stanza che lo sta guardando partire è quasi vuota, non ci vuol molto a verificare che abbia già preso tutto. Mette automaticamente una mano in tasca, controlla la presenza di biglietti e documenti, di denaro.

C’è un aereo da prendere. Poi, magari, se dovrà, se ce la farà, se sarà capace di staccarsi ancora da ciò è suo, potrà anche decidere di andarsene di nuovo.

La porta si apre discreta, l’infermiera entra, lo saluta in quella lingua che ha imparato a

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conoscere, nel tempo passato lì. Gli porge alcune carte, gli fa cenno di firmare qualcosa.

Prende in mano la sua cartella clinica, senza guardarla. È per quella che sta tornando. Quella, che gli ha dato il fiato per dire sì alla domanda

“Torni?”

Firma anche la lettera di dimissione, le ridà il tutto. La donna lo saluta con un sorriso, lui fa lo stesso. Gli apre la porta, facendogli strada. È il momento di andarsene. Anche da lì.

Prende su la sacca, se la mette in spalla.

Obrigado, le dice, andandosene senza aspettare risposta alcuna.

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PRIMA, CHISSÀ QUANDO, 2

Lei si guarda velocemente tutt’attorno.

Guarda i mobili, le linee eleganti delle forme.

Respira il profumo discreto delle stanze, accarezza con gli occhi il profilo dei quadri, delle porte che si stagliano sulle pareti.

Mai più, si dice. Non verrò mai più, non sarai mai più mio. Ripensa al momento in cui l’ha acquistato, quell’attico. Bellissimo, meraviglioso, nel posto più esclusivo della città.

Era stato il suo rifugio. Da tutto, da tutti. Ma casa sua, no, non era stato mai. Eppure adesso lasciarlo le fa male. Non avrà più un posto dove tornare.

La sua solitudine le si staglia chiara, perfetta e assoluta. Come aveva potuto lasciare che finisse così? Che non era tanto il fatto di come fosse finita, quanto il fatto che non fosse stato per sua scelta. Quanto che lei si trovasse lì solo perché chi l’aveva battuta era ciò che più aveva amato.

A tradirla era stata lei stessa. Mai più si ripeterà,

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si dice. Mai più lascerò che accada.

Di nuovo, per un attimo, il pensiero di un'altra vita possibile la lancia a costruire mondi paralleli. Se avesse detto, forse. Se avesse fatto, forse. Ma aveva detto e fatto altro. E lei è lì che era, adesso. Sospira. Non è più il tempo dei ripensamenti. Ciò che era stato e ciò che era stata lei sino a quel momento finiva lì. Ciò che sarebbe stato poi non era in grado di dirlo. Si avvia verso la porta, passa davanti al magnifico specchio all’ingresso. Si guarda. Non si riconosce.

Va bene così. Farò in modo che nessun altro ci riesca, pensa aprendo la porta e lanciandosela a chiudersi alle spalle.

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11 LUGLIO 2010 - ORE 17.30

L’aria dentro il bar è fresca e profuma di birra. Sa di piccoli piaceri e di certezze. Sa di solido, come i muri spessi e vecchi che lo racchiudono. Le piace. E magari è ovvio, dato che è suo. Ma evidentemente piace anche ai clienti, visto che ci stazionano ore nonostante non sia certo l’unico bar in paese. Li sente commentare nella sala vicina un qualche servizio calcistico alla tv, stasera sarà tempo di finale, chissà che partita stanno facendo rivedere. Altri, se ne stanno tranquilli a bere e fumare fuori, sotto la tenda, al riparo dal sole cocente. Ma perché non se ne vanno fuori, da qualche parte, pensa mentre finisce di sistemare i bicchieri dietro il bancone, è domenica, è estate. Cazzo ci fanno al bar, anche se è il mio.

La tenda di bambù ondeggia e tintinna lievemente all’ingresso di un uomo. Ciao Ester,

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sente salutarsi. Me la dai una birra? Piccola!

Ciao Sauro, saluta lei di rimando, mentre sta già armeggiando alla spina per dargliela, nemmeno tu al mare?

Lui sposta con la mano i capelli dalla fronte, si siede al banco, sorride, no, dice, ci son stato ieri, oggi sono qui solo per te! Sei contenta?

conclude, ridendo, prendendole la birra dalle mani.

Lei sbuffa. Che palle che sei Sauro, gli dice con voce annoiata, trovatela davvero una donna, altrimenti il testosterone in eccesso rischia di ammazzarti.

Sauro ride sonoramente. Dal bancone, Luigi lo stuzzica tranquillo. Che cazzo c’avraida ridere! Hai fatto la collezione dei due di picche, e ancora ridi?Adesso Sauro ride un po’ meno, e lei un po’ di più.

‘Fanculo, Luigi, fa al tizio, il tono noncurante, di chi non se la piglia, anche te ti ci metti!

Ma gli brucia, invece. E tanto. È da quando è arrivata in paese che gli va dietro a Ester. Come tutti gli altri del resto, Quanti anni sono che è qua? sette, otto? Parecchio, comunque. Niente, mai un cazzo di niente. Che sia lesbica?Non è possibile che se ne sia stata tutti quegli anni senza un uomo. Bella com’è!

La tenda si scosta di nuovo, decisa, e una luce insopportabile irrompe e tradisce il fresco del

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locale. Istintivamente lei socchiude gli occhi, inclina il capo a decifrare di chi sia la silhouette sulla soglia, immobile, la sua ombra lunga sul pavimento. E’ un uomo, e sembra avere qualcosa in mano e qualcos’altro in spalla. Il caldo già si insinua fino al bancone.

Scusa, gli dice, se devi entrare fallo, ma lascia la tenda, che entra un caldo terribile. Quasi se ne fosse accorto solo ora, il tizio lascia la tenda;

lentamente si incammina verso di lei, e finalmente gli occhi di Ester, riabituati alla luce all’interno del bar, riescono a distinguerne i lineamenti.

Lo guarda e subito, senza una ragione, le viene in mente una delle scene iniziali di Rambo, col tizio che torna dal Vietnam con lo zaino in spalla e scatena la guerra nel paesello.

E’ vestito come uno che abbia preso tutto di due taglie più grandi. Ha occhiali da sole piantati in faccia, capelli un po’ lunghi sulle spalle, l’aria quasi confusa. Non sembra pericoloso come Rambo, ma l’aspetto del reduce sembra averci preso casa, da lui.

Lei si asciuga le mani, lui è arrivato al bancone adesso, e quello che ha in mano è il suo cartello, quello che lei ha appeso fuori tempo fa con la scritta cercasi addetti al bar. Il tizio si toglie gli occhiali, sembra un po’

stranito. Si guarda intorno. Guarda, lei, la gente

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lì intorno, i muri, come se non capisse bene dove si trovasse.

Tutto bene? Chiede lei, che questo suo scrutare la inquieta.

Lui smette di guardare in giro, le porge il cartello che ha in mano. Sono qui per questo, dice lentamente. Lei resta a guardare lui con il cartello in mano, senza prenderglielo, sospettosa.

Cerca lavoro? Gli chiede.

Lui guarda quel che sta tenendo in mano, come se ne fosse reso conto solo ora. Guarda il tizio appoggiato al bancone, che a sua volta lo guarda male, e poi sì, cerco lavoro, dice guardandola per un attimo negli occhi, abbassandoli un attimo dopo, come chi si nasconda. Infine il suo sguardo incrocia Luigi, e lì sembra definitivamente fissarsi.

E’ uno strano tizio. Lo guarda. Avrà la sua età, circa. Ha mani curate. Dubita che abbia mai fatto il barista. E’ un bel ragazzo, anzi, un bell’uomo. Almeno crede. È che non riesce a definirlo, a inquadrarlo. Quel che è certo e che sua voce è …bella, e per un momento le ha fatto lo stesso effetto di un fuoco d’artificio a un bambino di due anni. Lui e Luigi si stanno ancora guardando, senza parlare.

Vorresti fare il barista? Gli chiede lei.

E’ strano, continua a pensare, è adulto. E

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questi sono i lavori che in genere cercano i ragazzetti, quelli che hanno bisogno di qualche soldo per un po’ di tempo, e intanto studiano, cercano qualcosa di meglio. Lui sembra davvero fuori target. Sta ancora guardando Luigi. Che sembra nervoso.

Inaspettatamente la apostrofa con un tono amaro. Avete già trovato? Chiede, se è così va bene, ma magari allora è meglio se togliete il cartello.

Fa già per andarsene, lei scuote la testa.

Intanto il bar è mio, quindi lascia stare il plurale. E no, ancora niente, non ce n’è mica molta di gente che voglia fare il barista.

Sauro sbotta. Ma se son due mesi che la gente viene a chiedere!

E allora diciamo che quelli che son venuti non andavano bene a me! lo fulmina lei. Fa una pausa, lo guarda. Il bar è mio, Sauro, scandisce lei, gelida, Se mi va, domande ne faccio io.

Ester sente la sua voce parlare prima ancora di aver dato l’ordine al cervello. Se proprio ti interessa il posto ti dico come funziona, gli fa.

Lui fa appena cenno di sì con il capo.

Ok, continua lei. Paga bassa ma regolare.

Apriamo dalle sei a mezzanotte.Turni sulle sei ore a regime. La chiusura è il mercoledì.Una, due settimane di prova. Pagate. Ferie come da contratto a rotazione con gli altri bar. È tutto.

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Lui di nuovo resta zitto, di nuovo fa solo cenno di sì con la testa. Perché lei sente un sollievo enorme sollevarle il petto? Eppure lo sa anche lei che non va così un colloquio di lavoro.

Inizi domani, gli dice ancora, invece di dirgli scusa da dove vieni? Si apre alle sei. Del mattino.

Ok? conclude, con un ansia strana a farle accelerare il respiro.

Lui si rimette gli occhiali, riprende la sacca, posa il cartello che ha ancora in mano. Fa un cenno di saluto, a dire a domani, va verso la tenda, la scosta.

Prima di andarsene si volta ancora. Da quanto tempo è tuo? Le chiede, facendo cenno al locale, al bar.

Una decina d’anni, risponde lei dopo qualche secondo, come se ci avesse dovuto pensare.

Lui sembra rifletterci, poi lascia che la luce se lo inghiotta e che la tenda risuoni a cascatella dietro di sé.

Improvvisamente Luigi scende dallo sgabello, sembra avere una gran fretta di andarsene.

Fammi il conto bella, dice, devo andare. Lei gli dà lo scontrino, lo guarda mettere mano al portafogli, pagare e andarsene, senza quasi salutare.

Che gli ha preso a Luigi? chiede Sauro, ma già ecco che se ne frega, batte le mani, dammi

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un’altra birra, chiede! Ah, no, anche una risposta, una sola.

Lei va in automatico alla spina, gliela serve, poi sembra ricordarsi. Che risposta, fa.

Il nome, sibila lui quasi rabbioso. Cazzo nemmeno il nome gli chiedi?

Lei si accorge solo adesso che è vero. Ma quella soddisfazione a lui col cazzo che gliela dà. Lo guarda decisa.

Fatti i cazzi tuoi, Sauro, gli sibila, fredda. E’ da quando ho aperto il bar che dico a tutti la stessa cosa. Questa è l’unica regola da rispettare, con me. Tutti amici ma ognuno a casa sua. Nei letti suoi. Con chi gli pare. Se non ti va la porta è quella, portati via. E’ chiaro, non è vero? Io non rompo i coglioni a nessuno di voi, qua, del paese. Maschi, femmine e cantanti. A nessuno.

Vedete di non romperli a me. Te lo ripeto: è chiaro?

Lui prende la birra, accenna un gesto a significare “per carità”, e va a piazzarsi anche lui davanti alla tv, furente. Brutta puttana, pensa.

Tanto lo trovo il modo di farti abbassare la cresta, vedrai se non lo trovo.

Lei si rimette a sfaccendare intorno alla lavastoviglie. E poi, continua dopo un po’, senza parlare, riprendendo il filo di un discorso che dentro non le si era mai interrotto, nemmeno lui ha chiesto il mio.

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11 LUGLIO 2010 - ORE 20.00

Luigi è ancora per strada. Prima da Ester era quasi cascato dallo sgabello. E’ riuscito appena a far finta di niente, ma a se stesso non può mentire. E la verità è che ha perfino paura a credere che sia vero, quel che ha visto. È passato così tanto tempo, ormai. Lui. Lì, in quel bar.

Scuote la testa. No. Lui, e in quel bar, non può essere. Scuote la testa, ancora, con forza.

Deve parlarne con qualcuno. Con quelli che conoscono la storia, che se la ricordano. Affretta il passo, ma non verso casa. A casa ci è già passato, ha detto a sua moglie che gli amici gli hanno organizzato una gara di briscola, ha lasciato che gliene dicesse di tutti i colori, stavolta senza nemmeno incazzarsi più di tanto, che stavolta è lei che c’ha ragione. Il bar verso cui è diretto adesso è appena fuori paese, nella zona nuova. Per quello lo chiamano il bar nuovo. Sa che la domenica in genere gli amici

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che cerca sono lì, a giocarsi qualche bevuta.

Spera ci siano anche stasera.Varca la porta del bar, il suo sguardo vaga nervoso tra i tavoli, finché si posa su un gruppetto colorato e bestemmiante. Eccoli.

Li chiama, mentre già indirizza il passo, mentre già gli sono vicini.

Luigi, lo chiamano, era ora che venissi a farci compagnia! Vieni, siediti con noi, ci guardiamo la partita e giochiamo, che tanto a noi di queste squadre qua non è che ce ne freghi un cazzo!

Ride, insieme agli altri, che gli danno ragione, dai, siediti, ce l’hai lasciata tua moglie a casa, eh?

Era ora!

Luigi si siede, le voci attorno a lui continuano, si confondono, risuonano senza senso nelle sue orecchie. Devo dirglielo, pensa. Dio. Dopo tutto quel tempo, era come non fosse passato nemmeno un minuto. Lo stesso dolore. Che cazzo aveva fatto il tempo? Non era il famoso giudice? Non accomodava torti e riparava ferite? Non aiutava a dimenticare? Da quello che aveva visto, no. Che cosa succederà adesso?

pensa, mentre inizia a smazzare le carte che gli hanno appena passato, e in tv passano gli inni nazionali delle squadre.

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11 LUGLIO 2010 - ORE 19.00

È da un pezzo che sta davanti a quella porta.

Ci ha messo più del previsto ad arrivare. Non ha fatto i conti con il tempo, che aveva fatto crescere case lì dove allora non ce n’erano. Si è incamminato verso fuori paese, lungo il viale principale, pronto a veder svanire le case, aumentare gli alberi e i campi fino alla campagna. Dieci minuti e sarebbe arrivato.

Ma non arrivava mai, il paese non finiva mai.

Ha avuto paura di perdersi, se la cosa non fosse stata ridicola. Erano sempre dieci minuti, e la casa è ancora lì. Ma adesso non è più fuori paese, anche se rimane il giardino e qualche albero dietro a ripararla da chissà che cosa. A farlo decidere a entrare non è tanto il coraggio né la determinazione, quanto il rumore di passi allegri di qualcuno che sta per svoltare nella via, dall’angolo poco distante. Non ha alcuna voglia di farsi vedere, non lì, non adesso.

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Infila la chiave che ha in tasca nella toppa, la serratura risponde, i cardini girano, un passo, due, e lui è dentro, la porta è chiusa, e il mondo è fuori. Mentre si appoggia di spalle alla porta sente i passi e il vociare passare oltre, disperdersi nell’aria leggera della sera, attaccarsi lungo ai muri, frantumarsi piano chissà dove.

Anche lui vorrebbe potersi sentire così, leggero, camminare e andare e ridere… Leggero così come non è stato mai.

Pensa al domani, che è già lì. Domani dovrà per forza affrontare la gente. Non sa come farà.

Pensa alla tizia lì dentro. Deve averle fatto una strana impressione. Però l’ha preso in prova.

Non l’avrebbe detto, da come lo fissava. Calcola che ha più o meno la sua stessa età. Si vede da lontano che non è del paese.

Luigi invece l’ha riconosciuto. È invecchiato, ma non così tanto. Dopo tanti anni. Lui e Luigi.

Di nuovo al bar.

Si scuote, si stacca dalla porta, cerca l’interruttore, la luce però non si accende, si dirige verso l’interruttore principale. Tira su la levetta, e la casa e un tempo che credeva non sarebbe mai tornato gli si spalancano davanti agli occhi. Niente. Non è cambiato niente.

La casa lo accoglie come se invece di anni fossero passati giorni. Si dirige verso la sua camera, anche lì la porta si apre senza rumore,

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come se lui ne fosse uscito solo la mattina.

Veli di nylon coprono il tutto, rendendo il paesaggio quasi lunare. Strappa via i teli, e senza nemmeno togliersi i vestiti si lascia cadere sul letto. Domani, si dice, ci penserò domani. Non ha bisogno di mettere la sveglia.

Da molto tempo le sue notti son fatte di poche e drammatiche ore di sonno.Si concentra su domani. Inizi alle sei, ha detto la tizia. Che strano, non le ha nemmeno chiesto il nome, pensa.

Poi si volta su un fianco, abbraccia il cuscino, polveroso nonostante tutto. E comunque, pensa ancora, tentando di scivolare nel sonno, nemmeno lei ha chiesto il mio.

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LUNEDÌ 12 LUGLIO 2010 - ORE 00.30

Ester fa scattare il lucchetto della serranda del bar, che si chiude in un KLAK! familiare. E’

tardi, tutto il paese sembra dormire tranquillo.

Mette le mani nella borsa, tira fuori le sigarette, con calma se ne accende una. Nell’aria ferma e calda della notte, il fumo le volteggia attorno, danzando nell’oscurità.

Inizia a camminare verso casa. E pensa. Pensa al domani che l’aspetta, all’oggi che è passato.

Quanti giorni, mesi, tutti uguali. Quanto tempo, per trovare pace, silenzio, anonimato. C’è riuscita, in gran parte. Ma è stato facile: non la conoscevano, lì. Nemmeno oggi la conoscono.

Lei non è una di loro, non lo è mai stata, nemmeno ci ha mai provato. È un'estranea, e come tale non merita confidenze, amicizie, giri di uscite in comune. Sorride tra sé. L’unica cosa che vogliono è farmisi, pensa. E le donne pure mi si farebbero. Fuori, però.

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Che cretine. Pensare che sia lei a cercarseli, i loro maschietti. Ha un moto di fastidio. In tutti quegli anni avesse mai provato un brivido, un sussulto di piacere. Ride tra sé e sé.

Le piacerebbe dirgli state tranquille, teneteveli pure. Ma non le crederebbero mai, loro che a quell’osso stanno attaccate come le cagnette di Bocca di Rosa.

La sigaretta è quasi finita, la casa l’accoglie ancora dentro le mura antiche, arroccata sui tre piani di una delle torrette di guardia. Apre la porta, si toglie le scarpe, sospira di piacere al contatto freddo del pavimento sotto i piedi nudi. Si prende una birra dal frigo, poi sale su, al terrazzo coperto del torrione, a guardarsi attorno. La campagna intorno si stende ipnotica, grilli e rane chiacchiericciano chissà dove, auto sfrecciano sulla statale poco lontana.

Un refolo di vento fa frusciare qualche cosa, la riporta ad altre vibrazioni, al rumore incessante delle onde. Quasi si somigliano.

Poi si arrende, torna a pensare all’uomo entrato nel suo bar, quel pomeriggio.

Chissà chi è. Chissà perché è finito proprio qui. Chissà dove dorme, stanotte. Con chi dorme. E fino a che il sonno infine non arriva è lì che il suo pensiero torna a battere.

Chissà chi è, come si chiama.

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11 LUGLIO 2010 - ORE 21.30

Raval, sputa Luigi. Come una bestemmia.

Gli altri si fermano giusto un attimo, colpiti in pieno. Lo guardano tutti assieme, quasi aspettando che lui dica qualcos’altro, ma Luigi non dice nulla. Allora riprendono a giocare, ma i movimenti si fanno lenti, cauti e guardinghi.

Lo guardano di sottecchi, sperando che dica qualcos’altro a coprire quella parola, che so, che carte del cazzo che mi son capitate! E invece niente. Però aspettano. E gli va male, malissimo, perché Luigi ci rifà.

E’ tornato, insiste. Raval è tornato. L’ho visto oggi al bar della Ester, ripete, che lo sa che è difficile credergli.

Adesso nessuno gioca più. Le carte sono sul tavolo, le mani incrociate, gli sguardi fissi dovunque. Luigi cerca con gli occhi qualcuno che risponda, che chieda, che faccia crollare quel muro di silenzio dentro il quale si ritrova

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prigioniero.

Alla fine uno di loro scosta la sedia all’indietro, si curva verso di lui sopra il tavolo, sei sicuro? Chiede. Raval in paese?Al bar della Ester? osserva un altro, come se la cosa fosse assurda.

Luigi è sollevato. Nessuno gli dice che è matto, è già qualcosa. Sì, dice, è venuto oggi pomeriggio.

Ma gli hai parlato? Chiede uno.

Lui scuote la testa. Non mi aspettavo di rivederlo, oramai non me l’aspettavo più. E poi, lì, al bar. No, non ho ne avuto il coraggio.

E lui? continuano, lui ti ha detto qualcosa, ti ha riconosciuto? Luigi fa ancora cenno di sì con la testa. Poi cioè no, dice. sono certo che mi ha riconosciuto, ma non mi ha detto niente.

Che dici che farà adesso? chiede un altro.

Luigi scuote la testa. Cerca lavoro, fa. Al bar della Ester. Adesso decisamente gli altri lo guardano increduli.

Non avrei mai pensato di poterlo rivedere, butta lì dopo un po’ uno di loro. E comunque, continua con tono deciso, certamente non al bar! Gli altri annuiscono convinti. E la Ester?

Chiede un altro, che gli ha detto la Ester? Mi immagino il benvenuto che gli ha servito! Gli altri ridono adesso, sommessamente.

Perché, non è vero? continua quello, quant’è,

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non son già due mesi che ha messo il cartello?

Gliene fosse andato bene uno, uno solo! Con quel caratterino che si ritrova!

Ma Luigi scuote la testa. La Ester gli ha detto di sì, dice quasi con rassegnazione.

La Ester ha detto di sì? Ripete uno di loro.

Luigi può vederlo battere le palpebre come un bambino davanti ai mangiatori di fuoco.

Annuisce.

Allora Raval è tornato davvero, chiude il discorso l’altro.

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