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residenti all’estero
G
iornale per l’unità comunista
NUMERO SPECIALE Lotta delle masse in GRECIA
POPOLI d’EUROPA RIALzAtE LA tEStA!
Bruxelles – Da una parte gli assassini della speculazione capitalista e l’ipo- crisia dei capi di Stato e di governo dell’Ue; dall’altra, le masse lavoratrici e popolari in lotta. Sembra una storia del secolo scorso, ed invece, purtroppo, è la realtà che ci offre quanto sta succedendo in Grecia.
Le società di rating (tutte statunitensi), quelle società cioè che decidono quanto vale un Paese o una impresa e che stanno attaccando la Grecia e altri Paesi europei, tra cui l’Italia, ci ricordano che l’imperialismo statunitense non solo è agguerrito ma ha i mezzi per fare quel che gli pare: in questo caso attaccare l’euro che rischia di annullare la potenza mondiale del dollaro. Mentre va in stampa questo speciale di Aurora sulla Grecia, stanno giungendo a Bruxelles, i capi di Stato e di governo dell’Ue per decidere che fare. Si tratta di un gruppo di sciacalli ipocriti che esprimono tutto il cinismo dei padroni verso i più deboli, in questo caso Germania e Francia contro la Grecia. Quella vigliacca della Merkel pretende nuove norme contro chi viola le già rigide norme europee in materia di bilancio nazionale e suo deficit. Ma si son dimenticati che sono state proprio la Germania e la Francia le prime ad non aver rispettato le regole del Patto di stabilità europeo ed imporre che nessuna delle previste sanzioni contro di loro fosse applicata? E sciacalli, poiché prestare denaro alla Grecia al 5% quando lo si riceve al 3% è strozzinaggio. E poi la chiamano solidarietà europea… Per non parlare dell’immobilismo dell’inane Barroso che, pure a capo della Commissione europea (l’esecutivo dell’Ue) non riesce nemmeno a balbettare qualcosa conto la crisi. Ma questi, ed altri aspetti “economici”, vengono illustrati negli articoli di Giacché e di Domenico Moro.
Poi c’è la forza della masse popolari in lotta. Di fronte alla forte contraddizione di classe concernente la drastica diminuzione delle condizioni di vita (diminuzione del 20% dei salari e delle pensioni, solo per fare un esempio) il KKE, il Partito Comunista Greco, organizza e dirige le lotte. L’enorme striscione che invita i popoli europei a rialzare la testa e a lottare per i propri diritti e che a pagare siano i padroni e non le masse popolari, è un invito a tutti i partiti comunisti, innanzi tutto, alla lotta a livello continentale. Un invito che parte dalla Grecia e che si trova
nel documento che già da un paio di mesi il previdente KKE aveva sottoposto alla firma dei partiti fratelli (vedi pagina 7). Perché non c’è ancora una tassa sulle transazioni finanziarie ma si vogliono abbassare i salari? Perché le multinazionali e le banche comandano. Per questo sono obiettivo di scalmanati. Ma scopriamo che oltre la stupidità di incendiare una banca in quel modo c’è stata l’incuria padronale che ha di fatto corresponsabilità nella morte dei tre impiegati della Merkin Bank, come si legge dall’articolo di Surina (pagina 2) e dalla lettera, in originale e tradotta (pagine 4 e 5) di un dipendente della Merkin il quale accusa la banca di non aver ottemperato alle misure di sicurezza.
Il solo modo di essere solidali con la lotta del popolo greco è lottare anche noi contro le misure antipopolari che tutti i governi (socialde- mocratici e di destra) stanno prendendo. Prima regalano migliaia di miliardi (soldi nostri) alle banche in crisi, poi ci levano ancora soldi per risolvere i loro sporchi affari.
Editoriale
di Roberto Galtieri
AURORA AURORA
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Il diario della Crisi
di Ivan Surina da Atene p. 2
Diliberto e Ferrero a fianco dei lavoratori greci in lotta
p. 3Lettera di un dipendente
della Marfin Bank
pp. 4-5A
nAlisi dellA crisi:
Un impero insolvente
di Vladimiro Giacché p. 8
Lo scontro euro-dollaro dietro la crisi del debito
di D. Moro pp. 9-12La violenza del capitalismo finanziario
[C. Marazzi]Recensione di Francesca Bria pp. 13-16
di Ivan Surina
mogeni sul corteo principale. Da questi incappucciati (che ormai si conoscono) sono state gettate le bombe incendiarie che hanno bruciato la banca (Marfin) e ucciso i tre impiegati, oltre all’ufficio del ministero dell’economia al centro di Atene, che aveva all’interno tutti gli impiegati che si sono salvati uscendo dai balconi. Da alcuni giornalisti italiani sembrerebbe che il corteo abbia provato a occupare il parlamento (oltre l’acro- poli e la televisione di stato durante un telegiornale, queste veramente): niente di più falso, anche perché se vedete le riprese i manifestanti erano migliaia e i poliziotti poche centinaia, in poche parole se avessero voluto sarebbero ancora dentro.
In questo bailamme il primo mini- stro Papandreu, che è corresponsabile assieme al partito socialista di cui è segretario, di questa situazione e degli
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Il dIarIo
della crIsI
Atene – Oggi durante la manife- stazione al centro di Atene tre persone, due donne e un uomo, sono bruciate vive dopo che i soliti incapucciati hanno buttato una molotov all’interno di una banca. Ma cominciamo con ordine.
Oggi siamo al secondo giorno di sciopero generale, ci si aspettava una ma- nifestazione enorme, ma così oceanica no, non se la aspettava nessuno. Il centro di Atene era pieno, i due partiti KKE e Siriza questa volta marciavano uniti, o per meglio dire la gente marciava unita a prescindere. Il servizio d’ordine era presente e la catena umana alla periferia del corteo non permettava a nessuno di infiltrarsi, ma questo lo possono vedere tutti dalle immagini, quello che non si vede è che una volta passato il corteo, uscivano i soliti incappucciati con le molotov, nonostante la presenza della polizia che nel frattempo buttava lacri-
infiniti scandali di questi ultimi anni, ha parlato al parlamento. Più che altro ha farfugliato che così non si fa, che la situazione è grave, che bisogna pagare i debiti, che chi organizza queste mani- festazioni è contro l’interesse nazionale ecc., ecc.
D’accordo con lui ovviamente il segretario di nuova democrazia, cor- responsabile di questa situazione, e il partito di destra “popolo”. Contro ovviamente KKE e SIRIZA, che non ci stanno e tanto meno non credono a queste misure. Tanto per esempio oggi è arrivato l’avviso di rischio declassa- mento al Portogallo, oltre allo stato di sofferenza della Spagna. La Merkel oggi ha dichiarato che bisogna aiutare la Grecia, anche perché sennò chi lo paga il debito alla Deutsche bank? Specie ora che pare i greci sto favore proprio non lo vogliono fare, anche perché non si regala nulla dato che la Germania il prestito lo prende al 3.6% e la Grecia lo paga al 5% … per essere un aiuto.
Cari compagni mai come in questo mo- mento è necessario dare ogni tipo di solidarietà possibile al popolo greco che da solo sta combat- tendo per conservare il bene più prezioso la democrazia e per non ritrovarsi una banca come primo ministro.
Anche perché la merda che mangeranno loro la mangeremo tutti e con lo stesso mestolo.
impressionante leggere in quasi tutti gli articoli che parlano della crisi greca la frase: “i mercati sono turbati”. I mercati sono turbati?! E chi è che ha provocato la crisi a livello mon- diale? Non sono state le speculazioni finanziarie? Solo che gli speculatori e le banche – il mercato, come si suol dire – hanno goduto di salvataggi enormi, fiumi di dollari e di euro. Si sono salvati (coi soldi nostri) e hanno ripreso a lucrare. Le società di rating e le banche internazionali hanno messo nel mirino della speculazione le situazioni più deboli, nel caso di oggi la Grecia.
Scommettono sull’insolvenza dei deboli, sulla crisi dell’euro e dell’Unione Europea.
La prima tranche che l’Italia verserà alla Grecia è di 9 miliardi di euro circa che nei tre anni arriveranno a 15 miliardi. Bene. Ma è davvero un atto di pura solidarietà? L’Italia ha le casse vuote. E allora da dove prende i soldi? Emette obbligazioni di stato che ven- gono sottoscritte dai cittadini a cui viene dato un tasso di interesse bassissimo, credo neanche lo 0,50%. Quel denaro dei cittadini viene dall’Italia prestato alla Grecia che, a sua volta, darà all’Italia il 5% di interessi. E lo stesso vale per gli altri paesi che “accorrono in soccorso” della Grecia. Mi si dirà: ma quei paesi corrono un rischio e si devono tutelare. Sarà. Ma bisognerebbe guardare più la luna e meno il dito. Anche la crisi dell’Italia è profonda, e dopo Portogallo e Spagna, se le cose non cambiano, toccherà a noi la stessa sorte della Grecia. Siamo un paese senza più sviluppo. Tutti i settori industriali, compresi quelli più innovativi, sono in crisi.
L’unica risposta che viene data è la cassintegrazione. Giusto, ci mancherebbe che i lavoratori non fossero tutelati. Ma intanto il paese affoga. Servirebbe oggi – com’è accaduto nel dopoguerra – un istituto che programmi una seria e moderna ricostruzione industriale dell’Italia per rimettere in moto lo sviluppo. E invece il tempo della politica continua a consumarsi tra leggi e leggine ad personam, finte riforme della giustizia, insomma tutte misure per tutelare Berlusconi e il sistema di potere politico affaristico.
È allarmante. Non possiamo aspettare altro tempo. Uniamoci alle proteste dei lavoratori greci”.
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a Fianco Dei lavoratori greci in lot ta
Diliberto: in Grecia si comincia a morire.
Dopo la Grecia a chi tocca?
“Assisto con orrore e preoccupazione alle notizie che arrivano di ora in ora dalla Grecia. La repressione contro la protesta po- polare sta facendo esplodere una violenza diffusa con possibili, drammatici, risvolti. La gente comincia a morire. Non permettete a nessuno di attribuire questi eventi tragici al caso o all’“estre- mismo” politico. Alla base c’è una scellerata politica economica internazionale al soldo di speculatori che fanno affari sulla pelle dei lavoratori. Come definire altrimenti le ondate speculative di chi da settimane scommette sulla crisi e sui ribassi in borsa?
Come definire quegli stati europei che piangono e si lamentano perché costretti a fare credito alla Grecia e che su questi crediti mettono interessi che sono più del doppio di quelli emessi nei loro paesi?
I rischi di questa fase sono enormi e le ripercussioni possono fra breve riversarsi anche in Italia. Anche qui ci sono forze poli- tiche ed economiche che farebbero pagare tutti i costi della crisi ai lavoratori dopo aver svuotato le casse dello Stato per difendere quegli istituti di credito che fino all’ultimo si sono arricchiti sui piccoli risparmiatori. Ora si chiede, sempre ai lavoratori, di correre in soccorso di uno stato sull’orlo della bancarotta. Il tutto con l’inerzia di un parlamento senza opposizione perché senza comunisti.
Ma il tempo delle parole è scaduto. Occorre rimettere in campo un movimento di protesta e proposta. Per questo lancio a nome mio e di tutto il partito un appello alle forze di sinistra e democratiche.
Scendiamo in piazza in solidarietà con i lavoratori greci, oggi brutalmente colpiti nei loro diritti, perché se le cose non cambiano quel momento arriverà anche per gli altri lavoratori europei.
C’è un’inadeguatezza grande dell’Unione Europea. Se l’in- tervento a favore della Grecia fosse avvenuto solo pochi mesi fa, sarebbe stato più contenuto e soprattutto più risolutivo. È
Comunicato Stampa di Paolo Ferrero, portavoce nazionale della Federazione della Sinistra:
«Rivendico a nome della Federazione della Sinistra gli striscioni di solidarietà alla lotta del popolo greco at- taccati sul Colosseo e davanti al Parlamento a Roma, sulla torre di Pisa, sul Ponte Vecchio a Firenze e a Rialto a Venezia.»
«Qualche giorno fa – prosegue – ho espresso la piena e incondizionata solidarietà mia e della Federazione della Sinistra alle lotte dei lavoratori e dei giovani greci contro le politiche finalizzate a salvaguardare le banche facendone pagare i costi unicamente ai lavoratori. Per questo bisogna sconfiggere quelle misure che si vogliono fare in Grecia ed esportare nel nostro paese. Per questo chiediamo lo sciopero generale anche in Italia, a seguito dell’annuncio del governo di Atene di tagliare drasticamente salari e pensioni per risanare il deficit pubblico.»
Traduzione a cura di Tania
DA UN DIPENDENTE DELLA MARFIN BANK
Sento l’obbligo, riguardo i miei colleghi che sono morti ingiustamente oggi, di parlare chiaro e di dire delle verità oggettive. Sto inviando questo messaggio a tutti i media. Qualcuno che mostri ancora un po’ di coscienza potrebbe pubblicarlo. I restanti possono continuare a tenere gioco al governo.
I pompieri non hanno mai rilasciato alcuna licenza operativa per l’edifi cio in questione. L’accordo per operare era sottobanco, come praticamente succede per ogni azienda e compagnia in Grecia.
L’edifi cio in questione non ha nessun meccanismo di sicurezza anti-incendio, né pianifi cati né installati, non ha spruzzatori a soffi tto, uscite d’emergenza o idranti. Ci sono solo degli estintori che, naturalmente, non possono essere d’aiuto quando hai a che fare con incendi estesi in un edifi cio che è stato costruito con standard di sicurezza ormai obsoleti.
Nessuna fi liale della banca Marfi n ha membri dello staff addestrati per casi di incendio, e nemmeno all’uso dei pochi estintori presenti. La dirigenza usa addirittura come un pretesto l’alto costo di un simile addestramento e non prende le misure basilari per proteggere il suo staff.
Non c’è mai stata una singola esercitazione di evacuazione in nessun edifi cio da parte dei lavoratori, né c’è stata alcuna sessione di addestramento da parte dei pompieri per dare istruzioni su come comportarsi in situazioni come queste. Le uniche sessioni di addestramento che hanno avuto luogo alla Marfi n Bank riguar- dano scenari di azioni terroristiche e specifi catamente la pianifi cazione della fuga dei dirigenti della banca dai loro uffi ci in situazioni del genere.
L’edifi cio in questione non ha speciali stanze per ripararsi nei casi di incendio, nonostante la sua struttura sia veramente vulnerabile in simili circostanze e nonostante fosse riempita di materiali dal pavimento al sof- fi tto. Materiali che sono molto infi ammabili, come carta, plastica, cavi, mobili. L’edifi cio è oggettivamente non idoneo ad ospitare una banca proprio a causa della sua costruzione.
Nessun membro della sicurezza ha alcuna conoscenza di primo soccorso o di spegnimento di incendi, no- nostante siano praticamente sempre incaricati della sicurezza dell’edifi cio. Gli impiegati della banca devono trasformarsi in pompieri o security in base ai capricci del signor Vgenopoulos [padrone della banca].
La dirigenza della banca ha diffi dato gli impiegati dall’andarsene oggi, nonostante lo abbiano persisten- temente chiesto autonomamente fi n da questa mattina presto – mentre hanno anche costretto i dipendenti a bloccare le porte e hanno più volte confermato al telefono che l’edifi cio sarebbe rimasto chiuso tutto il giorno. Hanno anche bloccato l’accesso a internet per evitare che gli impiegati comunicassero con il mondo esterno.
Da diversi giorni c’è stato un completo terrorizzare gli impiegati riguardo alle mobilitazioni di questi giorni con la “proposta” a voce: o lavori o sei licenziato!
I due poliziotti in borghese che sono in servizio nella fi liale in questione per prevenire eventuali rapine non si sono fatti vedere oggi, nonostante la dirigenza della banca abbia verbalmente promesso agli impiegati che sarebbero stati presenti.
E per concludere, signori, fate dell’autocritica e smettetela di delirare fi ngendo di essere scioccati. Voi sie- te responsabili di quello che è successo oggi e in ogni stato legittimo (come quelli che vi piace citare di tanto in tanto come esempio da seguire nei vostri show televisivi) sareste stati già arrestati per le questioni di cui sopra. I miei colleghi oggi hanno perso le loro vite per cattiveria: la cattiveria della Marfi n Bank a del signor Vgenopoulos che ha affermato esplicitamente che chiunque non sarebbe venuto al lavoro oggi (giorno di sciopero generale) avrebbe fatto meglio a non presentarsi al lavoro domani.
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QUISIVEDECHEITREIMPIEGATINON
AVEVANOSCAMPO.
di Luis Hernández Serrano, [email protected] Questo articolo si può commentare sul blog diAURORAAURORAall’indirizzo:
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Cuba registra nel 2008
un tasso di mortalità infantile del 4,7 per mille
nove delle nostre province sono sotto il 5 per mille che, insieme ad altri indicatori, permette di dire che il nostro paese continua a essere una potenza medica mondiale
A questo lunedì [29 dicembre 2008] Cuba ha un tasso di mortalità infantile di 4.7 per ogni mille bambini minori di un anno nati vivi, e nove delle nostre province sono sotto il 5 e questo, insieme ad altri indicatori, ci permette di dire che il nostro paese continua a essere una potenza medica mondiale.
Questa riflessione è stata fatta dal dottor Joaquín García Salabar- ría, Viceministro della Salute Pubblica, in dichiarazioni ai giornalisti cubani ed esteri nel Centro di Stampa Internazionale del MINREX, a Ciudad de La Habana.
Il dottor Salabarría ha detto che, nonostante il ferreo blocco eco- nomico e finanziario degli Stati Uniti, Cuba continua a essere una po- tenza medica mondiale per sette ragioni o argomenti fondamentali. La prima, in quanto ha indicatori uguali e superiori ai paesi ricchi, con una forte tendenza all’omogeneità sociale; la seconda, per l’esistenza di un sistema nazionale della salute che copre tutti, gratuito, accessibile a tutti, socialista, regionalizzato e integrale e con una concezione inter- nazionalista.
La terza ragione è il capitale umano creato da questo sistema di salute; la quarta, la formazione massiccia di risorse umane per Cuba e per il mondo. La quinta è l’applicazione e lo sviluppo delle tecnologie più avanzate del mondo; la sesta, lo sviluppo e la produzione di vaccini, reagenti, medicinali, apparecchiature mediche e prodotti biotecnologi- ci; la settima ragione, la capacità del paese di offrire servizi di salute ad altre nazioni del pianeta.
Riferendosi a impianti della coclea dell’orecchio come uno dei no- stri risultati, ha citato il caso di una bambina di undici mesi che ha avuto questo intervento, l’essere umano di minor età oggetto di questa risorsa della medicina in tutta l’America Latina.
Ha comunicato che dal 2002 a oggi sono stati eseguiti 4.190 tra- pianti renali, epatici, cardiaci, di pancreas-rene, di cellule ematopoieti- che, di polmone e di cornea.
“I nostri medici all’estero – ha elencato - hanno fatto fino a oggi oltre 414 milioni di visite; hanno fatto oltre 24 milioni di visite fuori sede; hanno salvato 2.129.874 vite; hanno eseguito oltre 2.5 milioni di operazioni”.
“Solo nell’ambito oftalmico sono intervenuti chirurgicamente su 1.389.234 pazienti di 32 nazioni, in 59 centri della specialità”, ha pre- cisato.
Ha detto che l’industria farmaceutica cubana, a differenza di quella del resto delle nazioni del mondo, produce oltre l’80 % dei medicinali di cui il paese ha bisogno e consuma.
Pubblichiamo questo articolo ancorché datato poiché illustra come un Paese (con numero di abitanti simile a quello della Grecia), nonostante la crisi economica permanente provocata dall’embargo statunitense e dal 1991 dalla fine degli aiuti dell’ex Unione sovietica , possa mantenere tra i più elevati standard mondiali di salute dei propri cittadini e quindi rispettare i diritti umani alla vita. Il socialismo può fare questo, il capitalismo, no.
“Tra gli obiettivi che abbiamo per i prossimi anni c’è quello di con- tinuare il miglioramento della salute pubblica e di fissare l’aspettativa di vita di tutta la popolazione – nei due sessi – fino agli 80 anni”, ha dichiarato.
Ha detto che si stanno preparano le condizioni minime necessarie per iniziare un’indagine attiva sulla salute della popolazione, nucleo per nucleo di ogni famiglia, per la quale il policlinico dell’area di residenza emetterà la corrispondente convocazione.
“Sì, il Generale dell’Esercito Raúl Castro Ruz, Presidente dei Con- sigli di Stato e dei Ministri, ha parlato dell’eliminazione di determinate gratuità, ma la Rivoluzione manterrà la gratuità dell’assistenza medica, che è una delle sue grandi conquiste sociali”, ha argomentato in rispo- sta a una domanda della stampa straniera.
E ha chiarito che nelle farmacie bisogna pagare i medicinali indica- ti dai medici che assistono il nostro popolo, ma che sono sovvenzionati con un’elevata percentuale dalla legge finanziaria.
“Quando parliamo della salute dei cubani, teniamo molto in conto il fatto che non è solo il risultato dello sforzo del MINSAP, che sì ha sulle spalle il peso fondamentale di questo scopo, ma a questo partecipa la società intera”, ha commentato il Viceministro.
OswaldO Guayasamin
dell’UE, di rafforzare le file del movimento operaio attivista, di rifiutare qualsiasi forma di “partenariato sociale” che sostengono le politiche di anti-popolare, di opporre una risposta forte e inequivocabile all’offensiva in corso contro le masse popolari e invece reclamare la piena occupazione e lavoro stabile con tutti i diritti per tutti, un sostanziale aumento dei salari, l’abolizione delle leggi antisociali e anti- operaie, una riduzione dell’età pensionabile e un’istruzione, un’assistenza sanitaria e un’assistenza sociale esclusivamente gratuita. I lavoratori possono vivere molto meglio senza i capitalisti: essi sono coloro i quali producono la ricchezza e, quindi, dovrebbero goderne.
* Partito dei Lavoratori del Belgio * Partito Comunista della Gran Bretagna
* Nuovo Partito Comunista della Gran Bretagna * Partito Comunista di Bulgaria
* Partito dei Comunisti bulgari * AKEL, Cipro
* Partito Comunista in Danimarca * Partito Comunista di Estonia * Partito Comunista di Finlandia * Partito Comunista di Grecia
* Partito Comunista dei Lavoratori Ungherese * Partito Comunista di Irlanda
* Partito dei Lavoratori d’Irlanda * Partito dei Comunisti Italiani * Partito Socialista di Lettonia * Partito Socialista di Lituania
* Partito Comunista del Lussemburgo * Partito Comunista di Malta
* Nuovo Partito comunista dei Paesi Bassi * Partito Comunista di Polonia
* Partito Comunista di Slovacchia
* Partito Comunista dei Popoli di Spagna * Partito Comunista di Svezia
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Dichiarazione
congiunta Dei comunisti
e Dei lavoratori nei paesi ue
sulla crisi in corso in europa
La riunione dei capi di Stato dell’UE del 11 febbraio ha annunciato un grave attentato contro la classe operaia e dei popoli europei. Questa si esplicita attraverso la “Strategia per l’UE nel 2020”, che mira a promuovere ulteriormente la fallimentare “strategia di Lisbona”. Le risoluzioni del vertice dell’Unione europea e dei governi borghesi inten- sificano la politica antipopolare attraverso misure severe contro la classe operaia e le persone in generale. I governi cercano di rafforzare la redditività dei monopoli europei sia all’interno dell’UE che la competizione imperialista a livello internazionale.
La strategia dell’UE per uscire dalla crisi è basata sulla imposizione di cambiamenti radicali nei sistemi di sicurezza sociale quali l’aumento dell’età di pensionamento, i tagli dei salari, delle pensioni e le prestazioni sociali in generale.
Questo attacco è contrassegnato con il sigillo di forze liberali e socialdemocratiche che, in collaborazione con l’Unione europea, hanno sostenuto la strategia del capitale.
Si utilizza il disavanzo e il debito pubblico, così come il controllo tutelare delle economie di diversi Stati membri dell’UE, compresa la Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna e altri paesi per fini ideologici di intimidazione della classe operaia di tutta l’Europa.
Le società transnazionali e banche hanno realizzato notevoli profitti, sfruttando i lavoratori e approfittando delle sovvenzioni statali ed esenzioni fiscali, sia prima che durante la crisi. Oggi questi vampiri lottano per strappare la parte del leone dei nuovi crediti concessi. E, ancora una volta, l’onere di tutto cio’ ricade sulle spalle dei lavoratori, dei poveri, dei piccoli agricoltori e delle piccole e medie imprese utilizzando allarmismo o intimidazioni.
Lo spirito di resistenza si è intensificato tra i lavoratori europei che non sono disposti a sostenere il costo di una crisi di cui non sono in alcun modo responsabili. In Grecia, Portogallo e altri paesi, i lavoratori, i funzionari governativi e i piccoli e medi agricoltori organizzano manifestazioni pubbliche e scioperano contro le misure di austerità in corso. I Partiti comunisti e operai firmatari di questa di- chiarazione svolgono un ruolo guida in questo movimento, poiché occupano la prima linea della lotta di classe.
I Partiti comunisti e operai esortano la classe operaia e il popolo di ogni paese ad organizzare il contro attacco, e di condannare i partiti che sostengono l’offensiva antipopolare
di Vladimiro Giacché
di rating Moody’s, ipotizzando che in un prossimo futuro gli Usa (al pari della Gran Bretagna) potrebbero subire un abbassamento del loro merito di credito.
Qualche sinistro scricchiolio sul fronte degli acquirenti del debito Usa (per la metà collocato all’estero) si comincia già ad avvertire: a gennaio, per il terzo mese consecutivo, i cinesi hanno ridotto le loro posizioni in titoli di Stato Usa, e a marzo i gestori di Pimco, il più grande fondo obbliga- zionario del mondo, hanno escluso i T-Bonds dai loro nuovi acquisti. Gli analisti di Morgan Stanley non escludono che quest’anno la domanda di titoli di Stato americani possa risultare inferiore all’offerta per 600 miliardi di dollari, con un conseguente forte rialzo dei rendimenti dei titoli di Stato americani (ossia degli interessi che gli Usa devono pagare a chi acquista questi titoli).
Sulla sostenibilità del debito pubblico incidono anche le prospettive dell’economia: che allo stato sono tutt’altro che brillanti, a dispetto di quanto si sente ripetere. La moderata crescita del pil degli ultimi trimestri è attribuibile per due terzi a programmi di stimolo governativi (in particolare agli incentivi per la rottamazione delle auto e ai sussidi per l’acquisto della prima casa): cioè è stata pagata con l’aumento del debito pubblico. Lo stesso vale per la crescita dell’occupazione a marzo, che ha beneficiato di 48.000 posti di lavoro pubblici part-time creati per il censimento.
In un contesto del genere la stessa crisi greca, che sinora ha indubbiamente avvantaggiato gli Stati Uniti (rafforzando il dollaro a scapito dell’euro), potrebbe rivelarsi micidiale in quanto potrebbe innescare una crisi più generale del debito sovrano. Un effetto-domino che colpisse il debito pubblico degli Stati avrebbe conseguenze drammatiche ed impreve- dibili, perché colpirebbe i prestatori di ultima istanza che hanno salvato il sistema finanziario internazionale dal col- lasso. Ma è uno scenario che non si può escludere: in fondo, come ha affermato recentemente l’analista Dylan Grice di Societé Générale, “i governi degli Stati più sviluppati sono insolventi secondo ogni ragionevole definizione”.
I numeri visti sopra ci dicono che in questo scenario gli Stati Uniti sarebbero un bersaglio più che plausibile. Per dirla con lo storico Niall Ferguson, oggi “il debito Usa è un riparo sicuro allo stesso modo in cui era considerato un porto sicuro Pearl Harbour nel 1941”.
2 maggio 2010
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Un impero insolvente
Il 5 maggio l’amministrazione comunale di un’importan- te città dell’Occidente resterà senza più soldi in cassa. Non si tratta di Atene, ma di Los Angeles. A Colorado Springs, già da qualche tempo donazioni private sono indispensabili per tenere aperti i parchi. Nel Maryland molti lavoratori pubblici saranno a breve messi in congedo per il secondo anno consecutivo. Sono tre esempi di un unico problema:
l’insostenibilità del debito pubblico Usa.
Il debito del governo degli Stati Uniti è attualmente di circa 13.000 miliardi di dollari. Ancora più grave il fatto che il deficit di bilancio annuale del 2009 è stato di 1.400 miliardi di dollari (pari all’11,2% del prodotto interno lordo), superiore anche a quello che si ebbe nel 1942, in piena seconda guerra mondiale. È in rosso sia il bilancio federale, che quello degli Stati dell’Unione (180 miliardi il loro deficit di bilancio 2010) e di moltissime municipalità.
Vanno poi aggiunti i debiti delle agenzie pubbliche di mutui immobiliari Fannie Mae e Freddie Mac (5.000 miliardi) e soprattutto la necessità di finanziare nei prossimi anni prestazioni pensionistiche e sanitarie per qualcosa come 41.000 miliardi di dollari.
In ambito pensionistico, la crisi ha creato una vera e propria voragine. Basti pensare che i soli 3 fondi pensione dei dipendenti pubblici della California (che riguardano 2 milioni e mezzo di persone in tutto) hanno riportato tra il giugno 2008 e il giugno 2009 perdite per poco meno di 110 miliardi di dollari. Secondo una ricerca appena pubblicata dalla Stanford University lo squilibrio tra il patrimonio di questi 3 fondi e le prestazioni da erogare ammonta a 500 miliardi di dollari.
I buoni del Tesoro emessi dagli Usa (i T-Bond) sono pas- sati da 3.410 miliardi di dollari del 2000 a 7.545 miliardi nel 2009. Quest’anno sono previsti almeno altri 2.000 miliardi di nuove emissioni. A queste cifre vanno aggiunte le emis- sioni statali e municipali. Le sole obbligazioni municipali in essere lo scorso anno ammontavano a 2.800 miliardi di dollari. E va notato che queste obbligazioni rappresentano un ulteriore aggravio per il bilancio federale, che finanzia un terzo degli interessi pagati dalle municipalità agli ob- bligazionisti. A questi ritmi, entro dieci anni il governo federale degli Stati Uniti dovrà emettere 750 miliardi di obbligazioni all’anno soltanto per ripagare gli interessi sui titoli di Stato già in circolazione.
Con questa montagna di debito pubblico, è dubbio che gli Stati Uniti possano beneficiare ancora a lungo del rating elevato attuale (tripla A). Lo ha dichiarato la stessa agenzia
di Domenico Moro
liquidità immessa, la crisi è tutt’altro che risolta, come provano i 50 milioni di disoccupati in più a livello mondiale nel 2009 rispetto al 2008. Nell’ultimo trimestre 2009 il Pil è “cresciuto”
nell’area euro del +0,1%, in Germania, la locomotiva europea, è rimasto ancorato allo 0%, e in Italia è arretrato del -0,2%, il che significa che si è ancora in piena crisi. Negli Usa la presunta ripresina è “un grattacelo su basi fragili”, determinata non dalla domanda al consumo ma dalla ricostituzione parziale delle scor- te, e sostenuta da elementi non strutturali, cioè artificialmente dalla spesa dello Stato, che ha addirittura raggiunto i livelli del tempo della Seconda guerra mondiale.2 Inoltre, la riduzione del costo del denaro e la massa di liquidità statale immessa nel sistema finanziario hanno dato avvio a nuova speculazione, compresa quella sui mutui,3 e alla formazione di nuove bolle (materie prime, petrolio), riproducendo anche in questo aspetto un meccanismo già visto. Ma soprattutto oggi è il “principe” a essere manifestamente in difficoltà. Mediamente, il deficit pubblico dei principali paesi industrializzati è passato dal 2,2% del 2007 al 10,1% di fine 2009.4 La crisi di sovrapproduzione assoluta di capitale e di merci, manifestatasi come crisi finanziaria con lo scoppio della bolla immobiliare negli Usa, ha ora cambiato faccia e si presenta nella forma di crisi del debito sovrano, ovvero sotto forma di crescita incontrollata del debito e del deficit pubblico.
Tuttavia, gli attuali debiti pubblici non hanno origine recente.
Infatti, l’evolversi della crisi, a partire dal suo primo manifestarsi dopo il boom postbellico a metà degli anni ’70, ha prodotto ciclicamente bolle finanziarie e rigonfiamento del debito pub- blico, a causa dei ricorrenti abbattimenti del costo del denaro e dell’aumento delle spese pubbliche allo scopo di sostenere un mercato che non riusciva a stare al passo di una produzione di merci e di una accumulazione di capitale sempre più ridondanti.
Il debito pubblico Usa comincia a crescere nominalmente alla fine degli anni ’70 e in termini reali all’inizio degli anni ’80 con la politica espansiva fiscale e militare della presidenza Reagan.
La crisi attuale è più grave delle altre verificatesi all’inizio degli anni ‘80, ‘90 e nel 2001 perché i metodi per risolverle hanno riprodotto su una base progressivamente più larga le condizioni su cui si sviluppa la crisi, cioè la contraddizione tra produzione
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DIETRO LA CRISI DEL DEBITO SOVRANO UE
1 Nicol degli Innocenti, La crisi ha scambiato i ruoli tra le banche e i governi, Il Sole24ore, 12 novembre 2009.
2 Riccardo Sorrentino, Un grattacielo su basi fragili, Il Sole24ore, 30 gennaio 2010. Edmund L. Andrews, U.S. Debt bomb: Balloon Payments Due, The New York Times, November 30, 2009.
3 Angelo Acquaro, Ritorno al passato per i mutui americani sui mercati la nuova ombra dei derivati, la Repubblica, 23 novembre 2009.
4 Antonella Olivieri, Aiaf: “Questa crisi è costata 50 milioni di disoccupati”, Il Sole24ore, 15 dicembre 2009.
Senza stabilità nell’unità monetaria
non esistono facilità di credito né sicurezza per chi presta il proprio denaro
al principe, né contratti
nei quali si possa riporre fiducia.
E senza credito non c’è grandezza né superiorità finanziaria.
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raudel, I
tempIdelmondo) La guerra finanziaria
ora è venuta ufficialmente alla ribalta sulla scena della guerra,
una scena per millenni occupata unicamente da soldati ed armi con sangue e morte ovunque.
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1. La crisi di sovrapproduzione è alla base della crisi del debito sovrano
Il mercato autoregolato ha fallito. E ancora una volta, come è sempre accaduto nella storia del modo di produzione capitalistico, il “moderno principe”, lo Stato, è dovuto correre al salvataggio delle imprese e della banche. Gli aiuti di Stato al settore bancario hanno superato i 14mila miliardi di dollari, pari a un quarto del Pil mondiale, una cifra che non ha paragoni nella storia.1 Tutto questo per evitare un collasso generalizzato del modo di produzione, che avrebbe riproposto i drammi della Grande Depressione. Tuttavia, nonostante l’enorme massa di
Pil, ma ha un debito delle imprese del 50% contro la media europea del 100%, e un debito delle famiglie del 40%, contro il 60% europeo. Se si guarda al debito totale, si vede che questo è molto al di sotto della media europea.5 Inoltre, mentre i mer- cati hanno preso di mira la Grecia e il Portogallo, enfatizzando oltre misura la rinuncia di quest’ultimo al collocamento di 300 milioni di euro di titoli di Stato su 500 previsti a causa del balzo dei rendimenti,6 la situazione di altri Stati, che sono in una si- tuazione peggiore, sembra essere passata del tutto sotto silenzio.
Tra questi, prescindendo dai molti “emergenti” nell’Europa dell’Est (Ucraina, Paesi Baltici, Romania) e nell’Asia Centrale (Kazakistan), che sono quasi al collasso,7 troviamo molti Paesi avanzati. In Europa occidentale, ma al di fuori dell’area euro, c’è la Gran Bretagna, con i più alti indebitamenti mondiali della finanza (202% del Pil) e delle famiglie (101%). Ma soprattutto, al primo posto ci sono gli Usa, che raggiungeranno nel 2010 un debito pubblico del 100% e nel 2011 un deficit dell’11% e che, anche a causa dell’indebitamento delle famiglie, il secondo a livello mondiale (96%), e l’insolvenza di alcuni dei maggiori stati, “sono lo stato complessivamente più indebitato al mondo.”8 Significativamente Niall Ferguson ha scritto sul Financial Times che “Il debito Usa è un riparo sicuro allo stesso modo in cui era considerato un porto sicuro Pearl Harbour nel 1941.” A ciò è da aggiungere che, se la Grecia ha truccato i conti, non si può certo dire che gli Usa siano del tutto trasparenti. Infatti, al debito contabilizzato, si dovrebbero aggiungere le garanzie statali sui mutui finanziati dai due istituti Fannie Mae e Freddie Mac, virtualmente ma non formalmente statalizzati proprio per non ascrivere al bilancio federale i 1600 miliardi di debito e i 4700 miliardi di garanzie, che farebbero lievitare il debito Usa al 140%.9 Secondo il Congressional Budget Office, poi, il debito Usa sarebbe ancora più grande perché dalla sua contabilizzazione vengono sottratte spese molto importanti, come le pensioni dei reduci di guerra e gran parte delle spese sanitarie.10 Inoltre, l’impatto del debito degli Usa sull’economia e sui mercati fi- nanziari mondiali dovrebbe essere molto superiore a quello della Grecia, visto che, in termini assoluti, sta a quello della Grecia o del Portogallo come un elefante sta a una formica. Dunque, perché la Gran Bretagna e gli Usa non sono stati presi di mira al contrario della piccola Grecia? Ciò dipende da vari fattori.
In primo luogo, gli Usa dispongono della moneta di scambio e di riserva internazionale. Grazie a questa, i loro titoli del debito pubblico sono acquistati dai paesi con un surplus commerciale (i paesi petroliferi o i paesi forti esportatori di manufatti come Cina e Giappone) per garantirsi riserve atte a stabilizzare le loro valute. In pratica gli Usa hanno affrontato la crisi stampando continuamente moneta. Ciò nel breve periodo può funzionare, alla lunga è molto più difficile che tenga. Intanto, negli Usa i tassi d’interesse prossimi allo zero per cento praticati dalla Fed e la forte crisi ancora irrisolta, nonché l’enorme indebitamento
5 Morya Longo, Nel rischio insolvenza gli stati battono le imprese, Il Sole24ore, 3 febbraio 2010.
6 Michele Calcaterra, Fallisce un’asta di bond portoghesi, Il Sole24ore, 4 febbraio 2010.
7 Marco Panara, L’effetto-Grecia si allarga ad Est, Affari e Finanza de la Repubblica, 7 dicembre 2009.
8 Walter Riolfi, Se il Bund soffre il Treasury va peggio, Il Sole24ore, 14 febbraio 2010.
9 Mario Margiocco, Garanzia di Obama sui mutui Usa, Il Sole24ore, 16 febbraio 2010.
10 Il debito complessivo sarebbe stato nel 2004 pari al 500% del Pil. The Congressional Budget Office, Measures of the U.S. Government’s fiscal position under current law, agosto 2004. Cit. anche in Mario Dolfini, Debito e Impero, Limes n.1, 2005.
e mercato e l’accumulazione eccessiva di mezzi di produzione sotto di forma capitale. Riguardo al debito sovrano, la crisi attuale, da una parte, lo ingigantisce, come abbiamo visto, e, dall’altra, lo porta allo scoperto e soprattutto evidenzia la dif- ficoltà a sostenerlo per l’impossibilità a mantenere la crescita dell’economia. Infatti, se il sistema produttivo ristagna o è in recessione si riduce il gettito fiscale degli stati, che hanno così difficoltà a recuperare risorse per finanziare il servizio al debito.
Di conseguenza, gli Stati che hanno una struttura produttiva più fragile sono percepiti dai mercati finanziari come cattivi creditori, e hanno difficoltà a collocare sul mercato titoli del debito pubblico, se non a costi (rendimenti) più alti. In questo modo, tali stati hanno difficoltà non solo a finanziare il nuovo debito ma anche quello pregresso, con il rischio di andare in default. È quanto sta accadendo ai paesi della periferia dell’area euro, Irlanda, Portogallo, Spagna e Grecia. Si tratta dei Paesi meno forti economicamente perché non hanno una struttura industriale paragonabile a quella dei paesi centrali della Ue (Germania, Francia, Belgio, Olanda, Italia). E si tratta di Paesi che spesso hanno seguito il modello anglosassone di crescita basata sull’indebitamento delle famiglie, come la Spagna (85%
del Pil contro il 40% dell’Italia), sull’onda del denaro facile degli ultimi anni. La Grecia si è affidata all’uso di derivati, as- secondando il consiglio di due grandi banche Usa, allo scopo di evitare di ascrivere i finanziamenti nel debito. Allorché il trucco contabile è venuto fuori, il debito ed il deficit sono schizzati in alto, e il mercato ha costretto la Grecia, per collocare il suo debito pubblico, ad offrire rendimenti più alti. A ciò si aggiunge il fatto che, l’economia greca, largamente dipendente dai noli marittimi, è risultata particolarmente esposta alla contrazione del commercio mondiale. Il rischio, ora, sembrerebbe essere quello del fallimento della Grecia, e, ancora peggio, l’estensio- ne del pericolo agli altri paesi della fascia periferica dell’euro.
Senza contare le ripercussioni negative sulla banche tedesche e francesi, che si sono pesantemente esposte con la Grecia, aven- done utilizzato i titoli del debito pubblico come garanzia nei confronti della Bce. Tutto questo ha scatenato una campagna massmediatica secondo cui sarebbe a rischio, insieme alla per- manenza nell’euro della Grecia e forse di altri paesi, condizionati al salvataggio da parte dei paesi forti dell’area, l’esistenza stessa della moneta unica.
2. La formica e l’elefante:
c’è debito e debito
Tuttavia, in questa posizione c’è qualcosa che non torna completamente, come hanno notato alcuni commentatori.
La Grecia ha un debito pubblico molto alto, pari al 120% del
nei confronti della moneta unica europea. Ora, il problema per gli Usa è che l’indebolimento del dollaro e soprattutto l’aumento del debito stanno mettendo a dura prova la loro capacità di attrarre risparmio dall’estero e finanziare il loro debito, proprio nel momento in cui ne hanno più bisogno degli altri. Sin dall’inizio della sua presidenza Obama si è impegnato nella caccia al maggiore surplus commerciale mondiale, quello cinese, cercando di esercitare ogni tipo di pressione (protezio- nismo, Tibet, vendita di armi a Taiwan) sul governo estremo orientale. I risultati sono stati piuttosto deludenti se nel 2009 la Cina ha acquistato solo il 4,6% dei nuovi titoli di Stato, molto meno del 20,2% del 2008 e del 47,4% del 2006, con una flessione a novembre 2009 rispetto a luglio.11 Anzi, quanti possiedono titoli americani cercano di venderli sul mercato ed il risultato è che nel dicembre 2009 Pechino, con 755,4 miliardi di obbligazioni, è stata superata, per la prima volta dopo molto tempo, da Tokyo, con 768,8 miliardi, perdendo l’ormai poco invidiabile titolo di maggiore detentore mondiale di Treasury bond.12 Si tratta di un segnale bruttissimo per Usa.
Nello stesso tempo in cui gli Usa faticavano a collocare i loro bond, l’euro continuava la sua corsa e il dollaro scendeva fino a quota 1,50 verso la moneta europea. È in questo quadro che si inserisce la crisi del debito sovrano di alcuni Paesi Ue e, fra questi, della Grecia. È casuale che proprio a seguito della possibilità di default della Grecia e della sua uscita (magari seguita da altri Paesi) dall’area euro, il dollaro si sia rivalutato sulla valuta europea, risalendo a quota 1,36, mentre l’euro ha lasciato sul terreno quasi il 2% dall’inizio di febbraio cioè da quando la questione del debito greco è scoppiata? Ed è casuale che il cedimento dell’euro sia avvenuto proprio nel momento di maggiore difficoltà del dollaro? Marcello De Cecco, ripren- dendo il premio Nobel Stiglitz e il noto economista tedesco Peter Bofinger, parla, a proposito della Grecia, di “manovra speculativa condotta dalle grandi banche internazionali.” E prosegue: “Non è difficile leggere sui principali giornali inglesi e americani la speranza che la crisi speculativa attuale si concentri sull’Europa per parecchio tempo. Le famose agenzie di rating sembra stiano operando affinché ciò accada. Standard&Poor’s ha dichiarato agli inizi dello scorso dicembre [notare la data] di
11 Il 13 marzo 2009 il premier cinese Wen Jiabao aveva detto: “Abbiamo prestato un’enorme quantità di denaro agli Usa, per cui siamo preoccupati sulla solidità dei nostri assets. E se devo essere sincero nutro qualche timore.” Cit. in Vittorio Da Rold, Pechino compra meno debito americano, Il Sole24ore, 17 febbraio 2010.
12 M. Val., T-bond Usa: il Giappone risorpassa la Cina, Il Sole24ore, 17 febbraio 2010.
13 Marcello De Cecco, Euro, la speculazione arriva dalle banche internazionali, Affari & Finanza di la repubblica, 15 febbraio 2010.
14 Antonella Olivieri, La speculazione attacca gli stati deboli, Il sole24ore, 14 febbraio 2010.
15 Walter Riolfi, L’euro sotto i colpi della speculazione internazionale, Il sole24ore 9 febbraio 2010.
16 Tra quelli che hanno dubbi sulla casualità della crisi del debito dei Pigs ci sono i servizi segreti spagnoli. “Il Centro Nacional de Inteligencia (Cni) ha promosso una indagine in profondità sui movimenti del mercato azionario per vedere se ci siano state manovre concertate, sia a livello domestico, che a livello internazionale. E in particolare esaminare la posizione di alcuni giornali anglosassoni che nelle settimane scorse hanno “picchiato” duro contro il paese.” In Servizi spagnoli a caccia di complotti, Il Sole 24ore, 16 febbraio 2010. Sull’uso della guerra finanziaria come uno degli strumenti principali della guerra asimmetrica vedi: Quiao Liang – Wang Xiangsui, Guerra senza limiti, Libreria editrice Goriziana, Gorizia 2002. In particola- re, in riferimento alla crisi del Sud-est asiatico degli anni ’90 e alla caduta del muro di Berlino, i due autori cinesi scrivono: “Quando rileggeremo i libri di storia sulla guerra del ventesimo secolo, il capitolo sulla guerra finanziaria sarà quello che richiamerà più attenzione. “ Significativo, inoltre, è quanto affermato sul “Los Angeles Times” del 23 agosto 1998: “Attualmente sono i mercati finanziari la più grave minaccia alla pace del mondo, non i campi di addestramento dei terroristi.”
17 Giovanni Arrighi, Il lungo XX secolo, Il Saggiatore Net, Milano 2003. Fernand Braudel, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, Einaudi, Torino 2007.
malgrado il fatto che ormai i titoli a lunga americani rendono più di mezzo punto di più di quelli tedeschi e che le prospettive del bilancio degli Usa siano pessime.”13 La posizione di Gregorio De Felice, presidente dell’Associazione analisti finanziari, è altrettanto chiara in una intervista intitolata «La speculazione attacca gli stati deboli»: “E infatti l’altro fattore di instabilità è che molti stanno scommettendo sulla disgregazione dell’euro.”14 Anche Walter Riolfi sul Sole24ore ha affermato che “la specu- lazione internazionale ha giocato pesante contro i debiti di Grecia, Spagna e Portogallo e contro l’euro”, riportando la notizia che
“nei sette giorni precedenti il 2 febbraio qualche grande banca e parecchi hedge fund hanno aperto posizioni al ribasso sull’euro per 8 miliardi di $, oltre 40mila contratti al Chicago Mercantile Exchange: un record da quando è stata creata la valuta europea.
Questa notizia rende credibili le voci che alla base del tracollo del debito greco, spagnolo e portoghese vi sia stata l’azione di una grande banca Usa e di due o tre hedge fund che sarebbero andati corti (al ribasso) sui cds sovrani.” 15 Comunque, per rispondere alla nostra domanda, casuale o meno16 l’effetto è stato quello di indebolire l’euro e gettare un ombra di dubbio sulla tenuta dell’unica valuta che può ambire a sostituire o affiancare il biglietto verde Usa. Di fatto c’è stata una convergenza tra interessi statali Usa e speculazione finanziaria internazionale, che, nel carry trade, gioca, incentivandola, sulla variabilità delle differenze dei cambi valutari. Il colpo è stato inferto lì dove il ghiaccio era più sottile, alla periferia del cuore della Ue. Ciò che rimane da vedere sono le implicazioni di questo colpo.
3. Competizione per il capitale mobile e difesa dell’entrepôt statunitense
Secondo alcuni storici, in ogni ciclo lungo del capitale prevale un centro di direzione del processo d’accumulazione.17 Tale centro funziona come entrepôt mondiale, cioè come centro
di attrazione e smistamento dei capitali a livello mondiale. È questa funzione a renderlo dominante. Se l’accumulazione del singolo capitale è essenzialmente comando sul plusvalore, l’accumulazione del capitale a livello mondiale è comando sul surplus mondiale, cioè sul plusvalore mondiale sotto forma di risparmio. A seguito della fine del dominio britannico e della sterlina negli anni ’20-’30, e soprattutto dopo la vittoria nella Seconda guerra mondiale il ruolo di entrepôt mondiale è stato assunto dagli Usa, attraverso la loro preponderanza economica cui corrispondeva il ruolo di moneta mondiale del dollaro. Gli Usa continuano ancora oggi ad esercitare il ruolo di centro finanziario mondiale attirando il risparmio mondiale e redistri- buendolo. Tuttavia, da decenni tale ruolo è in crisi, a causa della perdita di posizioni nell’industria e nel commercio mondiali.
In una fase di crisi e di riorganizzazione mondiale del potere economico mondiale, la concorrenza si accentua tra le imprese e, dal momento che le imprese hanno bisogno dello Stato, che è diventato finanziatore delle banche e quindi finanziatore di ultima istanza, la concorrenza si trasferisce a livello statuale.
Quindi, contrariamente a quello che si sosteneva fino a poco tempo fa, le funzioni dello Stato si ampliano e si rafforzano, e, invece che lo Stato leggero, ritorna di moda il Big government.
L’unica differenza è che gli Stati devono avere dimensioni sempre maggiori, ormai continentali, per essere davvero competitivi.
La competizione maggiore è, come abbiamo visto, quella per il capitale mobile mondiale. Una competizione che vede coinvolti anche gli Stati più forti, visto che le criticità dei debiti pubblici dei paesi avanzati sono aumentate, riducendo il gap storico con i Paesi emergenti. Si tratta, inoltre, di una competizione che diviene tanto più forte nella misura in cui, come in effetti accade dall’inizio di quest’anno, il rischio insolvenza degli stati è diventato persino più alto di quello delle imprese, un fatto mai successo nella storia.18 Da diverso tempo la gran parte dei commentatori economici e geostrategici si sono concentrati pressoché esclusivamente sul confronto tra Usa e Cina. La ragione è ovvia. Si tratta dei due unici Stati (Russia a parte) che hanno dimensioni veramente continentali e che hanno una forza militare al di sopra di tutti gli altri (molto meno la Cina in realtà). Inoltre, la Cina ha ormai assunto, insieme al resto dell’Asia orientale con cui è sempre più integrata, il ruolo di maggior polo produttivo mondiale. Tuttavia, essere grandi produttori di merci non significa necessariamente essere in grado di dirigere i processi di scambio mondiale. Ci vuole una capacità finanziaria che la Cina ancora non pos- siede e che forse è difficile che acquisisca a breve. Dunque, dietro e accanto alla competizione Usa-Cina si staglia un altro confronto, di cui ultimamente ci si è dimenticati. Quello tra Usa e area euro. Una condizione necessaria alla superiorità finanziaria, come ricorda Braudel, è la stabilità monetaria.19 Una dote che gli Usa, con il dollaro, hanno perso da tempo.
Paradossalmente, proprio l’instabilità valutaria, nella forma
della svalutazione, ha consentito agli Usa di finanziare la
“Guerra fredda” a spese del Giappone, i cui prestiti in dollari sopravvalutati sono stati restituiti in dollari sottovalutati.20 Oggi, la fuga cinese dai titoli di Stato Usa vuole evitare di rimanere vittima dello stesso trabocchetto. Al contrario del dollaro, l’euro sin dalla sua nascita si è dimostrato una valuta estremamente stabile. Dunque, l’euro, anche a fronte della necessità dei Paesi che lo adottano di finanziare il debito e i grandi programmi infrastrutturali, si erge nei confronti del dollaro come un possibile agguerrito concorrente nella com- petizione per il capitale mobile mondiale e in particolare per il surplus cinese. Infatti, se confrontiamo le due entità – Usa e Eurolandia – vediamo quanto la seconda, come aggregato economico, sia messa molto meglio rispetto alla prima, il che spiega la forza relativa dell’euro sul dollaro. Considerata nel suo complesso Eurolandia ha un debito pubblico del 78%
contro il 100% (almeno) degli Usa. Soprattutto, mentre gli Usa associano al debito federale e a quello delle famiglie il maggiore debito commerciale con l’estero del mondo, pari a 518,4 miliardi di dollari, l’area euro ha un attivo commerciale di 25,3 miliardi.21 Se, però, andiamo a vedere nel dettaglio troviamo una situazione molto differenziata: la gran parte dell’attivo (158 miliardi) è concentrato in Germania, mentre altri Paesi, compresa la Francia, hanno debiti commerciali, fra i quali di particolare entità sono quelli di Spagna e Grecia.
Il fatto è che, grazie all’euro, l’Europa occidentale si è molto integrata, ponendo al centro della divisione del lavoro tra i vari Paesi proprio la Germania e la sua forte struttura industriale.
Ora, però, la Germania, che ha tratto giovamento dall’euro, aumentando l’export e soprattutto l’attivo commerciale, sembra poco incline a considerare tale integrazione non solo come un vantaggio ma anche come un onere, assumendosi il carico della cintura periferica più esposta alla crisi. Nello stesso tempo Eurolandia non può emettere titoli di debito europei (gli eurobond), a differenza del Tesoro Usa, né la Bce, a differenza della Fed americana, può stampare moneta per finanziare l’economia, perché ciò fuoriesce dal suo mandato che non è quello di stimolare l’economia, bensì di garantire stabilità all’euro. In definitiva, il problema di fondo è che Eurolandia non è una vera realtà statale, bensì una specie di ircocervo, un animale irreale che non può attuare le politiche centrali che in questa fase sarebbero necessarie. Eppure, Eu- rolandia avrebbe le carte in regola per assumere la forma di Stato-continente adeguata alla fase storica attuale. L’attacco alla periferia debole di Eurolandia appare come un tentativo di indebolire, disarticolandola, l’area euro, in funzione di una difesa dell’entrepôt Usa, e può avere solo due sbocchi. O una accelerazione verso una integrazione politica o uno sfaldamen- to dell’area euro stessa. Nell’attuale fase di rivolgimento e di acutizzazione della concorrenza, che prefigura inediti assetti mondiali, Eurolandia non può rimanere in mezzo al guado.
Domenico Moro (19 febbraio 2010)
18 In pratica costa meno assicurarsi dal rischio di fallimento di una impresa europea che di uno Stato. Vedi Morya Longo, Nel rischio insolvenza gli stati battono le imprese, Il Sole24ore, 3 febbraio 2010.
19 Cit. in Giovanni Arrighi, op. cit., pag. 248.
20 Giovanni Arrighi, op. cit., pag. 37.
21 The Economist, 6th -12th February 2010. Economic and financial indicators, Trade, exchange rates, budget balances and interest rates.
di Francesca Bria1
Come sappiamo da Braudel, le crisi sono normali per il mo- dello capitalismo e sono parte integrante della storia del funziona- mento del sistema di mercato capitalistico. La gestione della crisi greca è un eccellente esempio di come le crisi vengono utilizzate per restringere i diritti e peggiorare le condizioni dei lavoratori.3 La fi nanziarizzazione non è un fenomeno nuovo e molte delle idee che costituivano il neoliberismo hanno più di 200 anni. Negli ultimi 30 anni, a partire dalla svolta neo-liberale dell’economia e la deregolamentazione dei mercati, è possibile osservare una crisi fi nanziaria e/o monetaria, ogni due anni e mezzo, mostrando l’instabilità strutturale dei mercati.4
Che c’è nuovo in questa crisi fi nanziaria e come interpre- tarla? La tesi centrale del libro di Marazzi è che il dualismo tra economia reale (con moneta reale per la produzione di oggetti materiali) e l’economia fi nanziaria (produzione di denaro per mezzo di denaro) non esiste più. La fi nanziarizzazione comprende l’intero ciclo del business: ciò che è veramente in gioco nella prospettiva esposta da Marazzi è il concetto stesso di accumu- lazione del capitale.
Questa ipotesi presenta alcune diff erenze con altre opinioni della sinistra marxista5 che propongono un’analisi della crisi in una prospettiva di continuità geo-storica, sostenendo che i cicli sistemici di accumulazione sono costituiti da fasi di espansione fi nanziaria che seguono le fasi di espansione materiale.
Al contrario, Marazzi sottolinea che le dinamiche della fi nanza oggi sono pervasive e sono parte integrante della forma di capitalismo odierna, totalmente rinnovata e che si caratterizza per la sovrapposizione dell’economia fi nanziaria con quella reale. Questo porta alla tesi secondo cui è impossibile distinguere tra la crescita materiale e l’espansione fi nanziaria. Questa è, nella prospettiva dell’autore, una questione centrale nella comprensione del modo attuale di produzione e la sua relazione con la fi nanza in una prospettiva storica - ciò che Marazzi e i post-operaisti italiani6 chiamano capitalismo cognitivo.
Questo rapporto dinamico dimostra che c’è stata una trasformazione dei processi di valorizzazione, cosicché oggi l’accumulazione di plusvalore si è spostata nella sfera della circolazione, di scambio e di riproduzione, mettendo al lavoro l’intera vita delle persone. Si tratta di un modello che trasforma gli esseri viventi in capitale fi sso ed estrae valore aggiunto dalla produzione di forme di vita. Questo contributo fondamentale per l’interpretazione di questa crisi fi nanziaria, mostra i limiti di applicazione delle soluzioni keynesiane applicate dopo la crisi del 1929 al nascente capitalismo fordista, al fragile e instabile bio-capitalismo fi nanziario di oggi.
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FINANZIARIO: finanziarizzazione come crisi di accumulazione del nuovo capitalismo
Questo libro conciso ma intenso traccia una brillante analisi di ciò che Marazzi chiama una delle più grandi crisi della storia: una “violenta crisi di una fi nanza violenta”. In questo testo, Christian Marazzi, economista italiano e stabilmente emigrato all’estero, uno dei principali esponenti della scuola Italiana del Marxismo Autonomo, proveniente dalla tradizione operaista, fornisce nuovi strumenti di analisi necessari per comprendere la crisi economica attuale. Egli off re un contributo chiave per prendere coscienza della natura dei problemi accumulati attraverso anni di fi nan- ziarizzazione dell’economia, contribuendo alla ricerca degli strumenti per comprendere le origini dell’attuale “disordine” politico-economico e delle crescenti diseguaglianze economiche e strategie politiche, per aff ron- tare frontalmente l’attuale sistema sociale e lavorare al suo superamento.
La lunga crisi alla quale stiamo assistendo2 è un nuovo tipo di crisi, è la prima crisi sistemica e globale del capitalismo fi nanziario neo-liberale che ha avuto inizio con la crisi del modello fordista di accumulazione basato sul lavoro, e la conseguente liberalizzazione del sistema bancario nel corso del 1970. “È il modo capitalistico di ridurre all’interno di un orizzonte di puro ordine economico, la dimensione sociale e potenzialmente politica” (pag. 85).
1 http://francescabria.wordpress.com/about/
2 e il suo manifestarsi tramite una successioni di mini-crisi.
3 È suffi ciente osservare che nella precedente crisi, sia stato deciso, di garantire aumenti di capitale delle banche che presentavano una situazione di inade- guatezza patrimoniale tramite il debito pubblico, mentre nella crisi attuale, l’insostenibilità del debito pubblico sia diventata una opportunità per ridurre drasticamente diritti e salari a lavoratori e pensionati.
4 Vedi anche Minsky, 1992.
5 Come la scuola che fa riferimento alla World Systems Th eory e al Centro Fernand Braudel
6 Quali Marazzi, Negri, Vercellone, Virno e Fumagalli
Recensione del libro
“Marazzi, C. (2010) La violenza del capitalismo fi nanziario“.
New York: Semiotext(e).
Interventi serie2 – MIT press (PB: pp. 112, 9,95, ISBN: 978- 1-58435-083-5), 2010.
Edizione rivista e aggiornata dell’omonimo intervento in La violenza del Capitalismo fi nanziario in Crisi
dell’economia Globale: Mercati fi nanziari, lotte sociali e nuovi scenari politici, Fumagalli A.
e Mezzadra S. (a cura di), ombre corte, 2009 e in Crisis in the Global Economy:
Financial Markets, Social Struggles, and New Political Scenarios, Andrea Fumagalli and Sandro Mezzadra (edited by), semiotext(e), 2010