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“Applicazione della Life Cycle Perspective alle tecnologie rinnovabili”

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Academic year: 2021

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Master Universitario di II livello

Gestione e Controllo dell’Ambiente: Economia Circolare e Management efficiente delle Risorse.

GECA

Applicazione della Life Cycle Perspective alle tecnologie rinnovabili.

Autore

Dott.ssa Francesca Savarese

Tutor Scientifico

Prof. Francesco Rizzi

Tutor Aziendale

-Enel Green Power S.p.A.

Ing. Rossella Napolano

Anno Accademico

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Sommario

Introduzione ... 3

1. Sostenibilità in Enel ... 5

2. Economia Circolare ... 12

2.1. Economia circolare in Enel ... 15

2.2. LCA e Life Cycle Perspective ... 18

2.3. Analisi degli impatti delle tecnologie rinnovabili in ottica Life Cycle ... 20

2.4. Life Cycle Perspective in Enel Green Power ... 23

3. Carbon Footprint ... 27

3.1. Climate Policy e Sistemi di off-setting obbligatori e volontari ... 29

3.1.1. Misure di off-setting in Enel Green Power ... 32

3.2. Metodologie di quantificazione e rendicontazione della CF ... 34

3.3. Enel: Quantificazione e rendicontazione della CF ... 36

3.4. Enel Green Power: tool di calcolo della CF ... 38

3.5. CF degli impianti idroelettrici a bacino ... 41

3.5.1. Caso studio: CF del bacino Susqueda ... 45

Conclusioni ... 47

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Introduzione

Il presente documento è il resoconto dell’esperienza di stage effettuata nell’ambito del Master “Gestione e Controllo dell’Ambiente - Management efficiente delle Risorse” della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Tale attività è stata svolta presso Enel Green Power S.p.A., all’interno dell’ufficio Ambiente della funzione Health Safety Environment and Quality (HSEQ) per una durata pari a 3 mesi.

Focus dell’attività è stato principalmente il nuovo approccio operato da Enel Green Power, che ha rafforzato il concetto di sostenibilità integrata al business adottando i principi dell’Economia Circolare. Questo nuovo modello economico si contrappone al tradizionale modello lineare del cosiddetto “take - make - consume – dispose”, ponendosi come obbiettivo la riduzione dell’input di materie prime nei processi produttivi, nonché la valorizzazione dei rifiuti generati, attraverso il riuso o riciclo dei materiali. L’adozione di una visione circolare, presuppone, da parte di un’organizzazione, una profonda conoscenza degli impatti ambientali generati dalle differenti attività, dirette e indirette, dell’intera catena del valore.

Enel Green Power, leader mondiale nel settore delle energie rinnovabili, ha scelto di estendere i confini del proprio sistema, corrispondenti alle tre funzioni di line: Business Development (BD), Engineering & Construction (EC), Operation & Maintenance (OM), guardando anche agli impatti generati dalle attività di cui essa non è direttamente responsabile. La gestione di tali attività, complementari al core business dell’Azienda, è affidata a soggetti esterni, quali fornitori e appaltatori. L’ adozione di un approccio sistemico nella valutazione della propria impronta ambientale è propria della Life Cycle Perspective, nuova prospettiva cui fa riferimento la norma internazionale sui sistemi di gestione ambientale: ISO 14001:2015. Il presente documento intende fornire una panoramica generale sui principali impatti ambientali delle tecnologie rinnovabili, individuati in ottica Life Cycle, vale a dire, considerando l’intero ciclo di vita di un impianto: dall’estrazione delle materie prime impiegate nel processo di produzione dei componenti (es. turbine), al trasporto dei materiali, alle fasi di costruzione, esercizio, manutenzione e fine vita dell’impianto. Il nuovo approccio al Business adottato da Enel si traduce nell’applicazione concreta, attraverso progetti ed attività, dei principi dell’economia circolare. Sono quindi riportati alcuni tra i principali progetti avviati dal Gruppo allo scopo di investigare ciascuna attività del Business ed intervenire, in maniera mirata, nei punti di maggiore criticità riscontrati, attraverso programmi di prevenzione, mitigazione e off-setting degli impatti ambientali.

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4 Altro oggetto di approfondimento del seguente studio è la “Carbon Footprint” (CF) o impronta di carbonio, corrispondente al totale delle emissioni di gas serra generate da un prodotto, un servizio o un’organizzazione. In questo contesto, è stata dapprima condotta una ricerca sul quadro normativo europeo e internazionale relativo al “climate change” e, successivamente, sono state analizzate le principali metodologie di quantificazione e rendicontazione delle emissioni di gas serra, riconosciute a livello internazionale. Sulla base di tale analisi, sono state quindi selezionate alcune tra le maggiori attività ricadenti all’interno del perimetro “Global

Renewable Energy” (GRE) ed individuati, per ognuna di esse, i relativi fattori di emissione. Le

informazioni e i dati raccolti nel seguente documento rappresentano il punto di partenza per la realizzazione di un tool di calcolo che, supportato da un documento recante linee guida, consentirà a ciascun dipendente EGP di misurare l’impronta di carbonio relativa alle attività di interesse e allo stesso tempo di acquisire maggiore consapevolezza circa tale impatto ambientale.

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1. Sostenibilità in Enel

Il concetto di sostenibilità, così come descritto nel Rapporto Brundtland, pubblicato nel 1987 dalla Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo (World Commission on Environment

and Development - WCED), fa riferimento ad un approccio più sensibile e attento all’ambiente,

basato su un uso razionale ed efficiente delle sue risorse, sulla promozione del riuso e riciclo di materiali e materie prime, nonché sulla valorizzazione delle sue risorse rinnovabili. Il rapporto di Brundtland introduce così la nozione di “sviluppo sostenibile”, definendolo come "lo

sviluppo in grado di soddisfare i bisogni delle generazioni presenti senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri" (MATTM, 2017). Tale definizione

sottolinea, dunque, la necessità di un cambiamento culturale, sociale ed economico che, attraverso comportamenti virtuosi e consapevoli, garantisca maggiore tutela dell’ambiente e delle sue risorse, permettendo alle generazioni future di poterne fruire a loro volta. Nel tempo il concetto di sostenibilità, preminentemente riferito alla sfera ambientale e agli aspetti ecologici, è stato esteso anche alla sfera economica e sociale. Oggi le tre dimensioni della sostenibilità: ambientale, sociale ed economica, sono da intendersi imprescindibili e da considerare, pertanto, in un rapporto strettamente sinergico e sistemico (Fig. 1.)

Fig. 1.1Le dimensioni della sostenibilità

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6 Enel, leader del mercato globale dell’energia, ha scelto di coniugare sostenibilità e innovazione nel proprio modello di Business creando valore per l’Azienda e per tutti i suoi stakeholder, consapevole che crescita e sviluppo non possano essere raggiunti se non attraverso una politica sostenibile.

La sostenibilità in Enel si concretizza nell’adozione, a partire dal 2015, del modello CSV (Creating Shared Value): un modello che, attraverso un’attenta analisi del contesto, consente di integrare fattori socio-ambientali nei processi di Business e nelle 3 fasi della catena del valore (Business Development, Engineering & Construction, Operation & Maintenance) generando

opportunità e benefici per il Gruppo, per l’ambiente e per le comunità locali (Fig.2.)

Fig. 2.Modello CSV - Creating Shared Value.

Enel persegue costantemente obiettivi di sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Obiettivi rispondenti alle priorità, ovvero alle esigenze dell’Azienda e dei propri stakeholder (Istituzioni, associazioni, enti, clienti, fornitori), definite attraverso l’analisi di materialità (materiality analysis), condotta sulla base delle linee guida dei più diffusi standard internazionali (GRI-G4, principi COP del UN Global Compact, framework dell’IIRC e SDG Compass).

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7 L’analisi di materialità al 2016 si è rivelata determinante per la definizione degli obiettivi strategici inclusi nel nuovo Piano di Sostenibilità 2017-2019, individuando “strategia climatica” ed “energie rinnovabili”, quali temi prioritari in termini di interesse degli stakeholder ed allineamento alle aspettative degli stessi (Fig. 3).

Fig. 3. Analisi di Materialità 2016.

Tali temi figurano anche tra i quattro dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable

Development Goals – SDGs) delle Nazioni Unite (Agenda 2030) adottati ed inclusi da Enel nel

proprio Piano Strategico:

 SDG 4: Istruzione di qualità  SDG 7: energia pulita e accessibile

 SDG 8: buona occupazione e crescita economica  SDG 13: lotta al cambiamento climatico

Rispetto al Piano di Sostenibilità 2016-2020 Enel ha compiuto progressi significativi, sia in termini di performance ESG (Environmental, Social and Governance) sia rispetto agli impegni assunti nell’ambito degli SDGs sopraelencati. Nell’anno 2016 Enel ha infatti contribuito all’aumento di energia pulita con 2 GW di nuova capacità istallata da fonti rinnovabili

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8 registrando una produzione netta di energia pari a 262 TWh di cui il 33% (86 TWh) derivante da fonti rinnovabili (Fig. 4.).

Fig. 4. Produzione netta per fonte 2016 (%)

Ciò ha consentito al Gruppo di evitare l’emissione in atmosfera di 56 milioni di tonnellate di CO2, riducendo a circa 395 gCO2/kWheq2le proprie emissioni di gas serra, rispetto al target al 2020 di <350 gCO2/kWheq eall’ ambizioso obiettivo a lungo termine di decarbonizzazione al 2050(Fig.5).

Fig. 5. Obiettivo di riduzione delle emissioni specifiche di CO2 e performance (g CO2/kWheq)

Nello stesso anno Enel ha consentito l’accesso all’energia a 1,2 milioni di persone, principalmente in Africa, Asia e America Latina, rispetto al target al 2020 di 3 milioni di beneficiari. Relativamente agli SDGs 4 e 8, Enel ha garantito qualità dell’educazione ed

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9 occupazione rispettivamente a 300 mila (target al 2020 di 400mila) e 1,1 milioni di beneficiari (rispetto al nuovo target al 2020 di 1,5 milioni).

La decarbonizzazione del mix energetico si pone fra i temi di maggiore interesse per l’azienda, in termini di investimento, monitoraggio e sensibilizzazione, figurando tra i pilastri strategici3 del Piano di Sostenibilità 2017-2019. Relativamente a questo tema e in riferimento agli SDGs 7 e 13, di maggiore priorità nell’analisi di materialità, il nuovo Piano, oltre a perseguire il target al 2020 di riduzione delle emissioni di CO2 al di sotto di 350 gCO2/kWheq, prevede entro il 2019 l’installazione di circa 8 GW di capacità rinnovabile addizionale, investimenti nel settore delle energie rinnovabili pari a 5,2 miliardi di euro ed una riduzione pari a 10,3 GW della capacità termoelettrica. L’incremento della capacità rinnovabile porterà al 56% la quota di energia prodotta a emissioni zero, rispetto all’attuale 46% (Fig. 6.) (Enel S.p.A, Bilancio di Sostenibilità 2016).

Fig. 6.Produzione netta al 2019 (%)

Enel Green Power (EGP), società del gruppo Enel nata a Dicembre 2008, attraverso lo sviluppo e la gestione delle attività di generazione di energia da fonti rinnovabili, svolge un ruolo determinante nel raggiungimento dei target di riduzione delle emissioni di gas serra e di diffusione, su scala globale, di energia pulita ed accessibile. EGP, leader mondiale nella generazione rinnovabile, è presente in 30 Paesi in Europa, Africa, America, Asia e Oceania con più di 1200 impianti (oltre 100 dei quali consolidati) e circa 38 GW di capacità gestita (di cui 36 GW di capacità installata) relativa alle principali fonti rinnovabili: eolico, solare, idroelettrico, geotermico e a biomasse (Fig.7.). Con una produzione annua di circa 86 TWh EGP è in grado di soddisfare i consumi di quasi 200 milioni di famiglie ed evitare ogni anno l’emissione in atmosfera di oltre 54 milioni di tonnellate di anidride carbonica.

3 I pilastri strategici del Piano di Sostenibilità 2017-2020 di Enel sono: coinvolgimento e inclusione delle comunità, coinvolgimento e inclusione

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10 Fig. 7.Enel Green Power: Paesi, Impianti, Capacità gestita e in costruzione (GW).

L’impegno costante di Enel in tema di sostenibilità le ha consentito di rientrare nei più importanti indici di sostenibilità quali: Dow Jones Sustainability Index World, ECPI, Euronext Vigeo, FTSE-4Good e STOXX Global ESG Leaders e di essere ammessa nella A-list del CDP (Carbon Disclosure Project), l’indice di finanza sostenibile più utilizzato dagli shareholder nella scelta delle aziende che ripongono particolare attenzione al tema del cambiamento climatico. Tale lista comprende infatti quelle aziende che sono state selezionate su oltre 2000 partecipanti per l’efficacia della propria strategia di contrasto al climate change. Efficacia che le è stata riconosciuta anche dall’iniziativa “Science-based target”, promossa da alcune tra le più importanti organizzazioni su scala mondiale, quali: CDP, WWF, WRI E UN Global Compact. A tal proposito il target 2020, corrispondente al 25% di riduzione delle emissioni di gas serra rispetto all’anno base è stato definito “Science-based”, ossia coerente con il macro-obiettivo internazionale di decarbonizzazione al 2050 ed in linea con la richiesta della comunità scientifica di contenere l’aumento della temperatura media globale al di sotto di 2° C (Enel S.p.A, Bilancio di Sostenibilità 2016).

Inoltre Enel partecipa attivamente alle principali associazioni e organizzazioni del settore energetico, promotrici di un modello di crescita e sviluppo sostenibile, attento a gestire le sfide del cambiamento climatico e delle pressioni socio-economiche, di particolare interesse per il settore. Nel 2016 Enel è entrata a far parte del World Business Council for Sustainable

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11 promuovere, nei rispettivi Paesi, lo sviluppo sostenibile della business community. Dal 2014 L’Amministratore Delegato di Enel, Francesco Starace, è membro dell’Advisory Board del SE4ALL, iniziativa lanciata dalle Nazioni Unite nel 2011 con l’obbiettivo di promuovere lo sviluppo delle energie rinnovabili ed assicurarne l’accesso su scala globale. Dal 2011 Enel è membro del Global Compact LEAD delle Nazioni Unite, gruppo costituito dai principali leader di sostenibilità del settore privato a livello mondiale e nel 2015 l’AD di Enel è entrato a far parte del Consiglio di Amministrazione del Global Compact. Inoltre, dal 2006 Enel rendiconta nel Bilancio di Sostenibilità le proprie performance ambientali, sociali ed economiche adottando le linee guida di rendicontazione del Global Reporting Initiative, GRI-G4 (Enel S.p.A, Bilancio di Sostenibilità 2016).

Il rapporto “Corporate Carbon Policy Footprint” di InfluenceMap, pubblicato lo scorso settembre, ha assegnato ad Enel il quinto posto tra le 15 multinazionali4 più virtuose in tema di sostenibilità ambientale legata al “climate change” ed in grado di orientare positivamente le scelte dei governi nelle politiche di contrasto al cambiamento climatico. Mentre il grado di sostegno delle strategie aziendali alle politiche climatiche internazionali è stato valutato prendendo a riferimento la guida sulla sostenibilità delle aziende, pubblicata nel 2013 dall’ONU (Guide to Responsible Corporate Engagement with Climate Policy), il grado di influenza sui policy makers è stato misurato considerando l’atteggiamento attivo e proattivo delle aziende nel comunicare la propria posizione sul “climate change”, attraverso interviste, discorsi pubblici, iniziative, ecc (Fig.8) (InfluenceMap 2017).

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Fig.8.5 Le aziende più influenti al mondo (in positivo o in negativo) sulla politica climatica globale secondo lo

studio “Corporate Carbon Policy Footprint” di InfluenceMap.

Infine, la crescente attenzione internazionale sul climate change spinge il settore energetico a considerare rischi ed opportunità ad esso associati. A questo proposito Enel ha recentemente avviato un progetto pilota sui siti produttivi in Iberia e America Latina allo scopo di valutare vulnerabilità e capacità di adattamento degli asset a fenomeni naturali legati al climate change, quali ad esempio gli uragani. L’adozione di una strategia di adattamento al cambiamento climatico che, attraverso azioni specifiche, sia in grado di preservare gli asset di produzione dai rischi connessi a tale fenomeno, ha permesso al Gruppo di essere inserito nei principali indici borsistici internazionali di sostenibilità e di attrarre nel tempo una fetta sempre più consistente di Social Responsible Investors (SRI).

2. Economia Circolare

L’economia circolare è un nuovo modello di economia in grado di coniugare competitività e sostenibilità ambientale. Tale modello si inserisce nel più ampio contesto della Green Economy, contrapponendosi al tradizionale modello lineare, adottato dal settore industriale nel corso degli

5 Fonte : InfluenceMap (2017) “Corporate Carbon Policy Footprint”, pg 9

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13 ultimi due secoli e basato sull’approccio “take-make-consume-dispose”, ovvero “estrai-produci-consuma e butta via” (Fig. 9.)

Fig. 9. Modello di economia lineare

Negli ultimi anni la crescente domanda di risorse, la sempre maggiore consapevolezza delle imprese circa la limitatezza delle risorse utilizzate, e la conseguente volatilità dei prezzi, hanno favorito la transizione del mercato verso l’economia circolare: un’economia che è in grado di “auto-rigenerarsi”, in cui i materiali di origine biologica sono restituiti alla biosfera e i materiali tecnici progettati per circolare in un flusso caratterizzato dalla minima perdita di qualità. Essa può inoltre “ricostituirsi”, grazie all’utilizzo di energia da fonti rinnovabili e ad un’attenta progettazione in grado di garantire riduzione e/o eliminazione di sostanze chimiche tossiche, nonché di rifiuti e sprechi derivanti dai processi produttivi. Il modello economico circolare è progettato per aumentare l’efficienza dei sistemi produttivi o di consumo mediante prevenzione, riduzione ed eliminazione dei “leakages” ovvero dei punti del circolo in cui si ha fuoriuscita di materiale ancora utile e valorizzabile. Punto di partenza del paradigma circolare è dunque la valutazione o analisi degli impatti ambientali generati lungo le diverse fasi del ciclo di vita di un prodotto o servizio: dall’estrazione delle materie prime, alla progettazione, produzione, distribuzione, consumo e fine vita. In ottica circolare, l’approccio LCA (Life Cycle

Assessment), tipicamente denominato “dalla culla alla tomba”, subisce un’evoluzione

significativa e diviene “dalla culla alla culla”. Il termine circolarità sottintende infatti la “chiusura del loop”, resa possibile dalla reintroduzione nel circolo di materia derivante dal riutilizzo, recupero o riciclo di materiali di scarto, in uscita dai processi produttivi e di consumo (Fig. 10.)

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14 Fig. 10.Modello ideale di economia circolare.

Obiettivo primario dell’Economia Circolare può essere identificato dunque in azioni volte a minimizzare l’utilizzo di risorse naturali e di materie prime, nonché la produzione di rifiuti e scarti; al tempo stesso essa permette di massimizzare le opportunità di riuso, recupero e riciclo degli stessi (Iraldo F. and Bruschi I. 2017).

L’Unione Europea incoraggia fortemente consumatori e imprese ad adottare il modello circolare. Il pacchetto sull’economia circolare, promosso dalla commissione europea attraverso le comunicazioni: “Towards a circular economy: A zero waste programme for Europe” (COM (2014) 398) e “Closing the loop – An EU action plan for the Circular Economy” (COM (2016) 614), contiene infatti una serie di misure riferite non soltanto al fine vita dei prodotti, ma all’ intera catena del valore. Misure volte a garantire: estensione della vita utile del prodotto (durability), riduzione dell’uso di energia e materiali nelle fasi di produzione e di consumo (efficiency), nonché di materiali pericolosi o difficili da riciclare (substitution), creazione di mercati per le materie prime seconde (recyclates), progettazione di prodotti che siano più semplici da riparare, aggiornare o riciclare (ecodesign), prevenzione, riduzione e separazione dei rifiuti generati nelle diverse fasi del ciclo di vita, creazione di opportunità di simbiosi industriale, onde evitare che i sottoprodotti diventino rifiuti. L’attuazione delle suddette misure sarà supportata da 650 milioni di euro compresi nel programma di ricerca e innovazione “Horizon 2020” e da 5,5 miliardi di fondi strutturali europei.

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15 L’Unione Europea prevede importanti benefici connessi alla transizione verso il modello circolare: benefici in termini di competitività, innovazione, ambiente ed occupazione. Si stima infatti che una migliore e più efficiente gestione delle risorse sia in grado di generare al 2030 una riduzione di materie prime pari al 17-24%, consentendo all’ Industria europea di risparmiare oltre 630 miliardi di euro all’anno e favorendo una crescita significativa del PIL, pari a + 3.9% (EUR-Lex: Access to European Union law, 2017). Ridurre l’input di materie prime nei processi produttivi e al contempo favorire il riuso e/o il recupero di materia non comporta soltanto un beneficio in termini di costi, dato dalla minore esposizione dell’azienda al rischio di volatilità dei prezzi delle materie prime, ma consente di preservare il capitale naturale, attraverso un uso più consapevole delle sue risorse e garantendo una significativa riduzione dei rifiuti generati dai processi produttivi.

2.1. Economia circolare in Enel

Per dare seguito all’integrazione della Sostenibilità nel proprio modello di Business, Enel ha scelto di farsi promotrice dell’Economia Circolare, attraverso differenti iniziative e progetti. Il Gruppo ha dunque individuato gli ambiti di operatività della circolarità, declinandoli nei seguenti 5 pilastri:

 Input sostenibili: introduzione nel processo produttivo di fattori rinnovabili e di materia derivante da riuso o riciclo, con l’obiettivo primario di ridurre gli impatti ambientali, costituiti principalmente dalla generazione di rifiuti e dal surriscaldamento globale.

 Estensione della vita utile del prodotto: tendenzialmente i prodotti vengono sostituiti piuttosto che riparati. Si pensi a tal proposito ad infrastrutture e siti costruttivi che, giunti al fine vita, sono spesso ricostruiti ex-novo, anziché riutilizzati o rigenerati. Per agevolare la riparazione è necessario agire sul design, attraverso una progettazione di tipo modulare dei prodotti che ne favorisca il disassemblaggio e quindi la riparazione. L’estensione della vita utile dei prodotti garantirà nuove opportunità di lavoro nel campo della riparazione e manutenzione.

 Sharing-condivisione di piattaforme: la messa in condivisione di beni tra più utilizzatori consentirà di ridurre la produzione di ulteriori beni, ridurrà i costi di accesso a prodotti e servizi e creerà opportunità di interazione e coesione sociale.

 Product as service - prodotto come servizio: finalità dell’Azienda non è la vendita del prodotto in quanto tale, bensì dei servizi da esso offerti (es. car sharing).

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16  End of life- fine vita: La fase finale del ciclo di vita di un prodotto apre alla possibilità per lo stesso di essere riutilizzato, rigenerato o riciclato riducendo al minimo lo spreco di materia potenzialmente valorizzabile. Altra valida destinazione di un prodotto a fine vita è rappresentata dall’ upcycling, trasformazione in grado di conferire al prodotto maggiore valore rispetto alla sua destinazione iniziale (Enel S.p.A. 2017, Official Website).

Uno dei progetti più esplicativi della migrazione di Enel verso l’Economia Circolare è rappresentato da “Futur-e”, iniziativa volta alla riqualificazione dei siti di 23 centrali termoelettriche italiane, dismesse perché basate su tecnologie ormai obsolete ed inefficienti. Seguendo l’approccio “Shared Value” Enel ha condotto un’attenta analisi del contesto e coinvolto le comunità locali al fine di comprendere le loro esigenze ed aspettative e selezionare i migliori progetti in termini di circolarità, innovazione e sostenibilità ambientale, economica e sociale. Alla demolizione delle centrali dismesse si prediligono così progetti (nel settore turistico, culturale, agroalimentare, ecc) in grado di dare nuova vita agli stessi, creando al contempo valore ed opportunità per il territorio e le comunità.

Consapevole che l’impatto ambientale del proprio Business non deriva soltanto dalle attività di cui l’Azienda è direttamente responsabile (core business), Enel ha deciso di adottare un approccio olistico, tipico della prospettiva “Life Cycle”, estendendo i confini del sistema alla catena di fornitura, vale a dire a tutte le attività a monte della propria catena del valore. Il Gruppo ha così avviato di recente il progetto “CIRCULAR ECONOMY INITIATIVE FOR ENEL SUPPLIERS ENGAGEMENT” con l’obbiettivo di approfondire la conoscenza circa gli impatti ambientali dei beni acquistati ed estendere i principi e le “buone pratiche” della circolarità alla catena di fornitura, attraverso il coinvolgimento diretto dei propri fornitori. Output principale del progetto sarà infatti un protocollo di qualifica, relativo ad una determinata categoria di prodotto e contenente i requisiti quantitativi e qualitativi che ciascun fornitore Enel dovrà rispettare. La realizzazione del suddetto protocollo sarà possibile grazie alla collaborazione dei soggetti aderenti al progetto, chiamati a fornire ad Enel i dati derivanti dall’analisi del ciclo di vita condotta sui propri prodotti. Obiettivo ambizioso e a lungo termine del Protocollo è innescare nei fornitori un processo virtuoso di miglioramento continuo delle proprie performance ambientali. I dettagli del progetto sono riportati nel paragrafo 2.4. Una delle maggiori sfide poste dal modello economico circolare è riuscire a valutare la circolarità di prodotti e progetti attraverso l’assegnazione di un valore numerico. In risposta a

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17 tale sfida Enel ha sviluppato un modello di circolarità che considera i 5 pilastri sopraelencati e per ciascuno di essi definisce degli indicatori specifici (Fig. 11.)

Fig. 11.Modello di circolarità sviluppato da Enel.

L’applicazione di questo modello a prodotti o progetti consente di ottenere un unico indice di circolarità, calcolato a partire da 2 componenti:

 Circolarità di flusso: considera i flussi di materia ed energia nelle fasi di input e output (fine vita).

 Circolarità di utilizzo: considera il fattore di utilizzo dei materiali attraverso l’aumento del fattore di carico (in caso di sharing e service as a product) e l’estensione della vita utile (Enel S.p.A. 2017, Official Website).

L’impegno di Enel nel guidare la transizione verso l’economia circolare, trasformare con innovazione il proprio business model, nonché quantificare e comunicare la circolarità dei propri progetti è stato riconosciuto dal World Economic Forum (WEF) che l’ha inserita tra le sei finaliste del premio “The Circulars” (Enel S.p.A, Bilancio di Sostenibilità 2016).

“Verso un modello di economia circolare per l’Italia” è il titolo del documento di inquadramento e posizionamento strategico del nostro Paese sull’economia circolare, presentato dal MATTM e dal MiSE lo scorso 29 Novembre a Roma. Il documento è frutto di una consultazione pubblica che ha raccolto i contributi dei principali operatori coinvolti sul tema (oltre 300 tra rappresentanti delle pubbliche amministrazioni, piccole, medie e grandi aziende, associazioni, consorzi, organismi di certificazione e privati cittadini). Dalla consultazione è emersa la necessità di semplificare l’attuazione del modello circolare mediante

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18 revisione normativa, di fornire adeguati incentivi per facilitare imprese e consumatori nell’adozione di modelli di produzione e consumo sostenibili e circolari, di comunicare e sensibilizzare cittadini e amministrazioni su opportunità e benefici legati all’economia circolare e favorire la collaborazione tra Pubbliche amministrazioni, imprese, istituti di ricerca scientifica e tecnologica. E’ emerso altresì il bisogno di promuovere la ricerca al fine di favorire l’innovazione e il trasferimento di tecnologie, nonché la competitività dei settori industriali. Tale documento rappresenta il punto di partenza per la realizzazione del “Piano di Azione Nazionale sull’Economia circolare” recante obiettivi, misure di policy e strumenti attuativi relativi al nuovo modello circolare (MATTM e MiSE, 2017). In occasione della presentazione del suddetto documento, Enel e Intesa San Paolo si sono fatti promotori del “Manifesto per l’Economia Circolare” allo scopo di rafforzare l’impegno per un continuo miglioramento delle aziende italiane sul fronte dell’innovazione, della competitività e delle prestazioni ambientali, promuovendo l’economia circolare. Al Manifesto hanno aderito anche Novamont, Costa Crociere, Gruppo Salvatore Ferragamo, Bulgari, Fater e Eataly, aziende protagoniste del Made in Italy e fortemente impegnate sul tema dell’economia circolare.

2.2. LCA e Life Cycle Perspective

L’economia circolare trova il suo fondamento nella profonda conoscenza di ogni possibile impatto ambientale generato da un prodotto o servizio lungo l’intero ciclo di vita. Conoscenza raggiunta attraverso l’adozione di una prospettiva di ciclo di vita, meglio nota come “Life cycle

Perspective”. Tale prospettiva figura tra gli elementi innovativi della ISO 14001:2015, norma

internazionale ad adesione volontaria che specifica i requisiti di un sistema di gestione ambientale e rivolta a tutte le organizzazioni che intendano migliorare le proprie performance ambientali attraverso una gestione sistemica e sostenibile delle proprie responsabilità ambientali. L’adempimento dei requisiti dettati dalla norma permette alle organizzazioni di raggiungere gli “intended outcomes” del proprio sistema di gestione ambientale (SGA), ovvero il miglioramento delle prestazioni ambientali, il soddisfacimento degli obblighi di conformità e il raggiungimento degli obiettivi ambientali. Il punto 6 della suddetta norma riguarda la pianificazione di un SGA e fa riferimento in maniera esplicita alla prospettiva del ciclo di vita. L’organizzazione che intenda identificare gli impatti ambientali relativi ad attività, prodotti o servizi e valutarne la significatività deve necessariamente estendere i confini del proprio sistema, considerando tutte le fasi del ciclo di vita, comprese quelle sulle quali essa può

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19 esercitare un’influenza, pur non avendone il controllo diretto. Impatti ambientali quali: emissioni in atmosfera, scarichi in acqua, uso del suolo, utilizzo di materie prime e risorse naturali, energia, generazione di rifiuti e/o sottoprodotti devono essere pertanto investigati anche per attività differenti dal “core business”, che avvengono al di fuori dei confini aziendali o del sito di produzione e sono svolte da soggetti diversi dall’organizzazione che si certifica. Tali attività includono l’acquisizione, nonché l’estrazione delle materie prime, le prestazioni ambientali dei fornitori, il trasporto di prodotti o consegna di servizi, l’immagazzinamento, utilizzo e trattamento di fine vita dei prodotti, la gestione dei rifiuti (riutilizzo, riciclaggio, smaltimento), ecc. L’adozione della Life Cycle Perspective nel proprio SGA nasce dalla consapevolezza che il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità ambientale e di circolarità non può prescindere dalle prestazioni ambientali dei soggetti con cui l’organizzazione si interfaccia e le cui attività risultano complementari al core process aziendale (Iraldo F. and Melis, M. 2015). Approccio metodologico e concettuale fondamentale ai fini dell’integrazione della Life Cycle Perspective nel Sistema di gestione ambientale di un’organizzazione è dunque l’analisi del ciclo di vita (Life Cycle Assessment- LCA). Tale metodologia permette di valutare gli impatti ambientali generati da un prodotto o da un processo lungo il suo intero ciclo di vita, a partire dall’estrazione delle materie prime fino alla fase di utilizzo e fine vita (approccio “from

cradle to grave”). L’ LCA, definita e regolamentata a livello internazionale dagli standard ISO

14040 e 14044, prevede anzitutto la definizione di un’unità funzionale relativa al prodotto o servizio e dei confini del sistema. Mentre l’unità funzionale corrisponde all’unità di misura a cui riferire i dati e i risultati dello studio, ovvero la descrizione della funzione del prodotto o servizio (es. 1 kWh prodotto nel caso di impianti di produzione), i confini del sistema indicano le fasi del ciclo di vita o unità di processo da includere nel sistema. Successivamente, attraverso l’analisi di inventario (Life Cycle Inventory-LCI), è possibile definire i flussi di materia ed energia in entrata (es. materie prime, energia, acqua) e in uscita (es. rifiuti, scarichi, emissioni) da ciascuna unità di processo considerata. L’analisi di inventario corrisponde alla fase più importante di uno studio LCA in quanto caratterizzata dalla raccolta dei dati relativi ai flussi individuati. I dati sono considerati primari se raccolti direttamente sul campo e dunque specifici del processo in esame, mentre sono definiti secondari quando ricavati dalla letteratura esistente o da banche dati predisposte (dati rappresentativi settoriali). La fase successiva dell’analisi, corrispondente alla valutazione degli impatti ambientali (Life Cycle Impact Assessment - LCIA), consiste nell’ assegnare a ciascun flusso rilevato una determinata categoria d’impatto che ne indichi il relativo effetto ambientale. Le molteplici categorie di impatto sono

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20 generalmente riconducibili a quattro aree: utilizzo di risorse naturali (resource depletion), effetti sulla salute dell’uomo (human health and safety effects), effetti sull’ecosistema (ecological effects) ed effetto serra (climate change) (Bartolozzi I., Master GECA 2016/17) (ISO 2006). È possibile infine quantificare gli impatti ambientali attraverso l’utilizzo di indicatori ambientali (sintetici), riferiti a ciascuna categoria d’impatto, che consentono di tradurre i dati raccolti in informazioni di più facile comprensione, semplificando la descrizione delle prestazioni ambientali del prodotto o processo in esame. Uno degli indicatori ambientali maggiormente utilizzati nei processi industriali e rilevante su scala globale è il Global Warming Potential (GWP), meglio noto come Carbon Footprint (CF), corrispondente alle emissioni responsabili dell’effetto serra ed il cui valore è espresso in kgCO2eq. È possibile, inoltre, esprimere i risultati di uno studio LCA attraverso indicatori chiave di performance o KPI (Key Performance

Indicator), dati dal rapporto tra una performance e una dimensione di normalizzazione. Si

consideri, ad esempio, uno studio LCA condotto su un impianto di produzione che abbia come obiettivo la determinazione della CF, ovvero la quantificazione delle emissioni di gas serra relative a quell’impianto. L’unità funzionale scelta sarà il kWh prodotto, i confini del sistema, scelti arbitrariamente, potranno corrispondere alle fasi di costruzione, esercizio e fine vita dell’impianto. Infine, il valore della CF potrà essere riportato in valore assoluto, espresso in kgCO2eq,oppure sotto forma di KPI, indicante la quantità di emissioni di gas serra generate per ogni kWh prodotto (kgCO2eq/kWh) dall’impianto. I KPI facilitano dunque la comprensione dei risultati LCA e consentono ad una data organizzazione di seguire, nel tempo, il trend delle proprie performance ambientali e di poterle confrontare con quelle dei propri competitor (Rizzi F., Master GECA 2016/17).

La Carbon Footprint e la sua relativa categoria di impatto, ovvero il climate change, saranno oggetto di approfondimento nel capitolo 3.

2.3. Analisi degli impatti delle tecnologie rinnovabili in ottica Life Cycle

L’ energia prodotta da fonti rinnovabili è nota per il suo basso impatto ambientale in termini di emissioni di gas serra, tanto da configurarsi come valida alternativa alla produzione di energia dei tradizionali impianti termoelettrici, basata sull’impiego di combustibili fossili. Tuttavia, se da un lato la cosiddetta “low carbon technology” delle rinnovabili garantisce riduzione delle emissioni GHG e minore dipendenza da risorse finite, quali il carbone, dall’altro esistono

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21 evidenze scientifiche circa il maggiore impatto di tali tecnologie in termini di materiali impiegati nella costruzione degli impianti e nel processo di manifattura dei relativi componenti (es. turbine eoliche, pannelli fotovoltaici, ecc). Un gruppo di esperti dell’International Resource Panel ha confrontato, per unità di elettricità prodotta (kWh), 9 differenti tecnologie di generazione tra cui: impianti termoelettrici a gas e a carbone, impianti idroelettrici, eolici, fotovoltaici e geotermici sulla base del potenziale di mitigazione dei gas serra, dell’impatto ambientale, degli effetti sulla salute umana e l’utilizzo di risorse naturali (acqua, suolo, energia, metalli). Tale studio ha rivelato che, pur generando soltanto il 5-6% di emissioni di GHG rispetto agli impianti a carbone, le tecnologie rinnovabili implicano criticità in termini di uso di acqua, di suolo e di materiali, in particolare di ferro, rame e cemento (Fig.12). Basti pensare al consumo di suolo degli impianti fotovoltaici o all’ingente quantità di acqua necessaria per la pulizia dei pannelli e il raffreddamento delle turbine a vapore, all’utilizzo di terre rare, quali neodimio e disprosio e all’elevata percentuale di metalli impiegati nella produzione di turbine eoliche, nonché al significativo cambiamento idromorfologico generato dagli impianti idroelettrici (Hertwich E.G. et al. 2016).

Fig. 12. Risultati LCA di differenti gruppi di tecnologie di produzione di energia elettrica. Gli indicatori sono: uso

di materiali (cemento, ferro e acciaio, rame e alluminio), uso di suolo, emissione di gas serra ed indicatori endpoint relativi alla salute umana e agli ecosistemi (escludendo il contributo del climate change e dell’uso di suolo, ma includendo la produzione di materiali).

Relativamente a quest’ ultimo aspetto, diversi studi condotti sulle principali tecnologie rinnovabili (eolico, solare, idroelettrico), hanno rivelato che la maggior parte degli impatti

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22 ambientali riguarda gli impianti idroelettrici. Infatti, il cambiamento idromorfologico, conseguente alla realizzazione ed inondazione del bacino, genera una significativa perdita di biodiversità. Inoltre, le dighe idroelettriche bloccano il normale flusso migratorio delle specie animali, determinando un cambiamento radicale delle loro abitudini e compromettendo, in alcuni casi, la loro capacità riproduttiva. Numerose specie native, animali e vegetali sono spesso minacciate dalla diffusione di nuove specie, causata dall’interruzione del naturale flusso d’acqua, tipica dei bacini idroelettrici a deflusso regolato. Altro aspetto rilevante associato a tale tecnologia corrisponde alle emissioni di CH4 e CO2, derivanti dalla degradazione della sostanza organica presente nel bacino e dipendente da diversi fattori, quali temperatura, quantità di O2 presente, stato trofico, ecc6 (Gibson L. et al. 2017).

Pur rivelandosi la tecnologia meno impattante, l’eolico è noto per il forte impatto sulla biodiversità, connesso principalmente all’elevata probabilità di collisione delle turbine con diverse specie di uccelli e pipistrelli. Si stima che negli USA, nel solo anno 2012, le turbine eoliche abbiano causato la morte di circa 600 000- 888 000 pipistrelli e 573 000 uccelli (Smallwood, K.S. 2013). Tuttavia, da studi LCA condotti sugli impianti eolici emerge che la maggior parte degli impatti ambientali (84%)7 deriva dall’estrazione delle materie prime e dal processo di manifattura delle turbine, in particolare dalla lavorazione dell’acciaio. La componente più critica in tal senso è rappresentata dalla torre, seguita dalle pale, dalla scatola di cambio, dall’albero primario e da altre parti costituenti il rotore (Fig.13). Estendere oltre i 20 anni la vita utile di un impianto eolico, riprogettando le turbine di modo che siano facilmente riparabili e le loro componenti sostituibili, determinerebbe una significativa riduzione del numero di turbine prodotte, mitigando così gli impatti ambientali legati al processo manifatturiero. Si stima che ad un’estensione pari a 4 anni della life-time di un impianto eolico (20% della vita utile) corrisponda una diminuzione del 17% degli impatti ambientali. (Iberdrola, Vestas 2017). Oltre l’80% dei metalli di cui è costituita una turbina è facilmente recuperabile senza alcuna perdita di qualità. Tali metalli includono per lo più ferro, acciaio, alluminio e rame. Punto critico della fase di end-of-life di una turbina è invece rappresentato dalle pale, costituite principalmente da polimeri rinforzati da fibre di vetro o di carbonio (FRP – Fiber Reinforced

Polymers), materiali compositi molto difficili da recuperare e reimmettere nel processo

produttivo o utilizzare in altre applicazioni. Ad oggi, le tecnologie del riciclo dei compositi non

6 Maggiori dettagli sulle emissioni di CH

4 e CO2 nei bacini idroelettrici sono riportati nel capitolo 3, paragrafo 3.5.

7 Gli impatti ambientali corrispondono alle seguenti categorie: cambiamento climatico (emissioni di CO2), tossicità (terrestre e acquatica) e

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23 sono in grado di fornire fibre riciclate che conservino a pieno le loro caratteristiche fisiche e meccaniche e che siano economicamente più convenienti rispetto alla materia prima vergine. Inoltre, il numero di ricerche finora avviate sulle potenziali applicazioni delle fibre riciclate risulta ancora scarso. Alla difficoltà tecniche del processo di riciclo si aggiungono le differenze legislative in materia di rifiuti e riciclo tra diverse regioni, la diversa progettazione delle pale (grandezza, % materie prime, materiali compositi, ecc) dipendente dall’impresa manifatturiera, nonché le logistiche economiche e sostenibili tra il sito dell’impianto eolico, il sito di sezionamento (processo di taglio della pala eolica che precede il riciclo) e il sito dell’impianto di riciclaggio (WindEurope 2017).

Fig.13. Acquisizione materie prime e manifattura generatori eolici. Risultati LCA, turbine Iberdrola.

Per comprendere a pieno la sostenibilità delle differenti tecnologie energetiche risulta fondamentale, nonché necessaria l’adozione di una prospettiva di ciclo di vita che consenta di indagare tutti i possibili impatti ambientali generati lungo l’intero ciclo di vita degli impianti di produzione. In ottica Life Cycle, l’organizzazione operante nel settore energetico dovrà estendere la valutazione della propria impronta ambientale all’intera catena del valore, considerando sia le attività gestite in maniera diretta, sia quelle gestite da soggetti esterni, quali contractors e fornitori.

2.4. Life Cycle Perspective in Enel Green Power

Una delle maggiori criticità nell’adozione della Life Cycle Perspective risiede nella difficoltà da parte di un’organizzazione di reperire dati ed informazioni circa gli impatti ambientali

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24 relativi alle attività di cui essa non è direttamente responsabile, vale a dire i processi in upstream e downstream della propria catena del valore. Un esempio di attività in upstream è rappresentato dalla catena di fornitura (supply chain), intendendo con essa l’intero set di processi e organizzazioni, dall’ approvvigionamento dei materiali, alla realizzazione del prodotto (manifattura), alla sua distribuzione e consumo finale. La supply chain riguarda, dunque, differenti soggetti, coinvolti in attività di produzione, fornitura, trasporto e servizi di logistica (Evangelista, P., Master GECA 2016/17).

Relativamente alla catena di fornitura, nel 2015 Enel ha avviato il progetto “Sustainable supply

chian”, allo scopo di monitorare le imprese fornitrici su aspetti quali: safety, impatti ambientali

e rispetto dei diritti umani. Il 2017 ha sancito, quindi, l’obbligatorietà per i fornitori Enel di rispettare determinati requisiti di sostenibilità, così da poter essere inseriti nell’Albo Imprese Qualificate Enel. Recentemente, la funzione Global Procurement di Enel, in collaborazione con le funzioni Sostenibilità e Ambiente dell’unità HSEQ di Enel Green Power ha lanciato il progetto “CIRCULAR ECONOMY INITIATIVE FOR ENEL SUPPLIERS ENGAGEMENT”, allo scopo di ottenere una tracciatura completa dei materiali in ingresso e in uscita del proprio business, nonché una maggiore conoscenza dell’impronta ambientale dei prodotti acquistati (es. turbina eolica) in termini di consumo di acqua, di suolo, emissioni di CO2, uso risorse naturali ecc. Si tratta di una vera e propria partnership tra Enel e i suoi fornitori che, su base volontaria, potranno adottare l’Environmental Product Declaration (EPD) quale strumento di calcolo, comunicazione e valutazione delle prestazioni ambientali dei propri prodotti e/o servizi. L’EPD è una dichiarazione ambientale di prodotto (Etichettatura ambientale di tipo III) volontaria, attraverso cui un’organizzazione comunica i risultati degli studi LCA effettuati sui propri prodotti o servizi in conformità alle ISO 14040-14044. Trattasi dunque di un documento, predisposto secondo uno schema definito a livello internazionale dalla norma ISO 14025 e contenente informazioni sull’ organizzazione, sul marchio, sul prodotto e le relative prestazioni ambientali. Veridicità e affidabilità dei contenuti di una EPD sono garantite dalla verifica di conformità alle norme sopracitate, operata da un Organismo di Certificazione di terza parte indipendente. Affinché prodotti funzionalmente equivalenti e i risultati dei relativi studi LCA siano confrontabili, la preparazione di una dichiarazione ambientale non può prescindere dalle Product Category Rules (PCR), regole di calcolo condivise e specifiche per ciascuna categoria di prodotto. Le PCR, di durata massima pari a 5 anni, non contengono requisiti sulle prestazioni dei prodotti, ma forniscono i contenuti minimi di una dichiarazione ambientale e le istruzioni sui principali aspetti dell’analisi LCA (es. unità

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25 funzionale, confini del sistema, ipotesi di allocazione, ecc.). Una volta validata, l’EPD viene pubblicata sul sito internet e sul registro del Program Operator (EPDItaly in Italia), Organizzazione cui spetta il compito di definire le regole per la creazione delle PCR, nonché la stesura e la pubblicazione delle EPD.

Per l’avvio del progetto pilota Enel ha individuato 5 categorie strategiche di prodotto comprendenti: isolatori, contatori, accumulatori, interruttori e turbine eoliche, scegliendo di partire proprio da queste ultime. Studi LCA condotti sugli impianti eolici hanno rivelato che ben l’84% degli impatti ambientali dell’energia prodotta è legato alla manifattura delle turbine e all’ingente quantità di materie prime necessarie al processo produttivo (soprattutto per la produzione di acciaio). I fornitori Enel di turbine eoliche che saranno coinvolti nel progetto appartengono ai seguenti gruppi industriali: Vestas, Gamesa, Siemens, Senvion, Acciona, General Electric, Gruppo Nordex ed Enercon.

Nella prima fase del progetto i soggetti aderenti, su base volontaria, saranno chiamati a fornire ad Enel informazioni qualitative e quantitative relative ai propri prodotti, ottenute mediante analisi del ciclo di vita e supportate da una dichiarazione ambientale di prodotto. Ciò garantirà ad Enel una maggiore conoscenza degli aspetti ambientali più rilevanti, nonché delle fasi del ciclo di vita più impattanti delle proprie forniture. Allo stesso tempo i KPI ottenuti dagli studi LCA, fondamentali per la valutazione dell’efficienza dei fornitori e la possibilità di effettuare benchmark, costituiranno il punto di partenza per la realizzazione di un protocollo di qualifica Enel contenente requisiti ambientali specifici per la categoria di prodotto. Tali requisiti, quantitativi e qualitativi, possono essere inerenti al raggiungimento di specifici target, all’assenza di determinati materiali o sostanze oppure all’adozione di specifiche tecnologiche produttive. Ad esempio, in riferimento alle turbine eoliche il protocollo potrà contenere i seguenti requisiti: % minima di efficienza di trasformazione dell’energia, coerenza dell’impatto visivo con le caratteristiche del paesaggio in cui viene installata la turbina, valore massimo consentito per le emissioni di CO2eq per kWh immesso in rete, % di fibra proveniente da materiale riciclato, ecc. Il principale vantaggio per i fornitori aderenti al progetto si traduce dunque nella possibilità di coinvolgimento in azioni di verifica dell’eco-efficienza del ciclo produttivo e di valorizzazione mediante il riconoscimento di un eco-profilo da parte di un organismo terzo.

Nel 2012 Enel Green Power ha ottenuto la certificazione UNI EN ISO 14001 e da allora ha progressivamente esteso il Sistema di gestione ambientale a tutto il perimetro organizzativo e

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26 geografico. Dalla valutazione degli impatti ambientali, posta alla base del SGA, è emerso che la maggior parte degli impatti di cui EGP è direttamente responsabile si verifica nelle fasi di costruzione e manutenzione degli impianti, corrispondenti al “core process” della value chain aziendale (Fig. 14).

Fig. 14.Catena del valore di Enel Green Power.

Al fine di prevenire e mitigare tali impatti, EGP integra in maniera sistemica la sostenibilità in tutte le procedure che regolamentano le proprie attività, identificando opportunità per la creazione di valore condiviso tra il Gruppo ed il territorio in cui opera. Un esempio è rappresentato dal “Sustainable Construction Site” (SCS), modello di gestione sostenibile dei cantieri, sviluppato nel 2014 e la cui implementazione è prevista in tutti i nuovi siti di costruzione a partire dal 2018. Tale modello si traduce in attività di misurazione, mitigazione e compensazione dei differenti impatti ambientali e sociali relativi ad aspetti quali: energia, acqua, emissioni in atmosfera, rifiuti, biodiversità e comunità locali. Il modello SCS è basato sull’adozione, nei siti di costruzione, di linee guida contenenti indicatori di performance, relativi ai suddetti aspetti, che sono periodicamente monitorati ed analizzati dal Gruppo (es. % di energia utilizzata in cantiere, quantità di acqua riutilizzata, % di rifiuti riciclati, emissioni dirette e indirette di CO2, numero di beneficiari dei progetti CSV, ecc). L’attenta analisi del contesto, operata nella fase di Business Development (BD), seguita dalla raccolta di dati e KPI del cantiere, rappresenta il punto di partenza per la pianificazione delle azioni di mitigazione degli impatti ambientali e sociali. Tra le principali soluzioni di mitigazione individuate dal

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27 Gruppo e applicabili alle fasi di Engineering & Construction (E&C) ed Operation and

Maintenance (O&M) vi sono: massimizzazione del riciclo, riduzione dell’impatto

paesaggistico, tutela e valorizzazione della biodiversità, riduzione dell’immissione di inquinanti, recupero delle acque, protezione da fonti di rumore ed iniziative ricreative per il territorio. Dal momento che gran parte delle soluzioni sopraelencate richiede, per l’attuazione, il coinvolgimento di fornitori e contractor esterni, un ruolo fondamentale è svolto dal

Procurement che traduce in clausole e requisiti contrattuali le specifiche progettate dalle

funzioni competenti e richiede ai partner esterni il rispetto dei criteri di condotta adottati da EGP nell’esercizio delle proprie attività.

Il modello SCS prevede infine l’adozione di meccanismi di off-setting, ovvero di compensazione di quegli impatti ambientali che, per ragioni tecniche o economiche, non possono essere in alcun modo mitigati. Un esempio in tal senso è fornito dalle emissioni di CO2 derivanti dai macchinari utilizzati nei siti di costruzione: esse possono essere compensate attraverso azioni e/o progetti di riforestazione o salvaguardia di carbon sinks forestali, volti a garantire una quantità di CO2 assorbitaequivalente o superiore a quella emessa.

Grazie al continuo monitoraggio delle prestazioni ambientali all’interno dei cantieri, il modello SCS consente di generare meccanismi di miglioramento continuo e favorisce al contempo una collaborazione virtuosa e fattiva anche con contractor e fornitori.

3. Carbon Footprint

La Carbon Footprint corrisponde alla misura del totale delle emissioni di gas ad effetto serra (Greenhouse Gases- GHG) causate direttamente o indirettamente da un prodotto, un servizio o un’organizzazione. I gas responsabili dell’effetto serra sono: anidride carbonica (CO2), metano (CH4) protossido d’azoto (N2O), idrofluorocarburi (HFCs), esafluoruro di zolfo (SF6) e perfluorocarburi (PFCs). Alla base dell’effetto serra, fenomeno di riscaldamento dell’atmosfera terrestre, vi è l’elevata permanenza di questi gas in atmosfera e la loro capacità di assorbire la radiazione infrarossa emessa dalla superficie terrestre. Tale fenomeno accorre naturalmente sulla Terra per garantire condizioni climatiche idonee allo sviluppo delle specie viventi. Infatti, senza effetto serra la temperatura media sarebbe di circa -18° Celsius, ponendosi dunque come ostacolo allo sviluppo della vita sul nostro pianeta. Negli scorsi decenni, attività antropiche quali l’utilizzo nel settore industriale dei combustibili fossili come vettori energetici e la

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28 deforestazione delle zone tropicali hanno contribuito in maniera significativa all’aumento delle emissioni di gas serra in atmosfera rendendosi responsabili del riscaldamento globale (Global Warming). Si stima che entro il 2100 vi sarà un aumento della temperatura media globale compreso tra 1,4 e 5,8 gradi Celsius. Tra le principali conseguenze del cambiamento climatico vi sono: aumento, in frequenza ed intensità, di fenomeni estremi (es. uragani, inondazioni, temporali, siccità, ecc.), innalzamento del livello dei mari, perdita di biodiversità, desertificazione, ecc. A ciascun gas serra l’Intergovernal Panel on Climate Change (l’IPPC) ha assegnato un valore specifico corrispondente al suo potenziale climalterante, denominato

Global Warming Potential (GWP). Il GWP esprime dunque il contributo all’effetto serra dato

da un determinato gas e conseguente alla sua emissione in atmosfera. Tale valore è calcolato prendendo come riferimento la CO2, il cui GWP è convenzionalmente posto pari a 1. La quantità totale delle emissioni di GHG in atmosfera è data dalla somma delle quantità dei gas rilevate ponderata sul loro GWP ed è espressa in kg di CO2 equivalente (CO2eq) (Fig. 15).

Fig. 15. Global Warming Potential (GWP) e Atmospheric Lifetimes (Years) Used in the Inventory https://www.reteclima.it/co2/

È possibile calcolare la CF di un prodotto\servizio o di un’organizzazione. Nel primo caso si considera l’impatto ambientale in termini di emissioni di CO2eq (climate change) di un prodotto lungo tutto il suo ciclo vita, adottando l’approccio LCA (Life Cycle Assessment). Nel secondo caso invece, si quantificano le emissioni di gas serra generate direttamente o indirettamente da una data organizzazione attraverso varie attività aventi rilevanza in termini di climate change (es. emissioni derivanti da consumo di elettricità, flotta aziendale, trasporti, ecc).

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29 3.1. Climate Policy e Sistemi di off-setting obbligatori e volontari

Il protocollo di Kyoto, sottoscritto nel 1997 in occasione della Terza Conferenza delle Parti (COP-3) dell’UNFCCC (United Nations Framework Convention on Climate Change), può essere considerato il principale strumento politico a livello internazionale volto alla riduzione delle emissioni di gas serra su scala globale. Esso infatti impegna i 192 Paesi aderenti (Annex I Parties, Protocollo di Kyoto), industrializzati e ad economia in transizione, a raggiungere target specifici di riduzione delle proprie emissioni annue di gas serra. Il protocollo di Kyoto prevede che gli obiettivi di riduzione possano essere raggiunti dai singoli Paesi attraverso politiche e misure, ovvero mediante programmi attuativi specifici di riduzione applicabili all’interno del territorio nazionale oppure adottando meccanismi flessibili, vale a dire strumenti che consentono agli Stati di utilizzare a proprio credito programmi di riduzione attuati al di fuori del territorio nazionale. Tali meccanismi sono basati sul principio secondo il quale ogni attività di riduzione delle emissioni, in qualsiasi parte del mondo sia realizzata risulta avere la stessa efficacia nel contrastare il cambiamento climatico, data la portata globale del fenomeno. Il Protocollo di Kyoto prevede i seguenti meccanismi flessibili:

 International Emission Trading (ITS): sistema di compravendita di crediti o permessi di emissione tra i diversi Stati aderenti al fine di allineare le proprie emissioni alla quota assegnatagli. Uno Stato compra tali permessi per compensare le proprie emissioni qualora esse siano superiori alla suddetta quota, viceversa, li vende quando sono inferiori alla stessa. Tali permessi sono chiamati Assigned Amount Units (AAUs). Ciascun permesso equivale a 1 t di CO2eq.

 Clean Developed Mechanism (CDM): tale meccanismo consente agli stati di ottenere crediti di emissione certificati, chiamati CERs (Certified Emissions Reductions), mediante realizzazione nei paesi in via di sviluppo (non soggetti a vincoli di emissione) di progetti volti alla riduzione delle emissioni di gas serra (es. costruzione di impianti alimentati da fonti rinnovabili, efficientamento energetico, ecc) e allo sviluppo economico e sociale dei paesi ospitanti. La quantità di crediti ottenuti corrisponde alla quantità di CO2eq evitata grazie a tali progetti.

 Joint Implementation (JI): tale meccanismo consente agli stati di ottenere crediti certificati, chiamati ERU (Emission Reductions Units), mediante realizzazione di progetti volti alla

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30 riduzione delle emissioni di gas serra in paesi industrializzati o ad economia in transizione (anch’essi soggetti a vincoli di emissione) (MATT 2017).

In adempimento al Protocollo di Kyoto, a livello europeo la Direttiva 2003/87/CE (Direttiva ETS) ha istituito il Sistema di scambio di quote di emissione EU ETS (European Emission Trading System), applicabile in Europa ai settori energivori (responsabili del 45% delle emissioni UE): impianti industriali, settore della produzione di energia elettrica e termica8 ed operatori aerei.

L’EU ETS si configura come un sistema “cap&trade” perché fissa un limite massimo (cap) al livello complessivo delle emissioni consentite alle organizzazioni soggette alla Direttiva, ma consente alle stesse di acquistare o vendere sul mercato (trade) “quote” di emissione, ovvero diritti a emettere CO2, in base alle loro necessità e tenendo conto del limite imposto.

In accordo con la Direttiva ETS, i soggetti vincolati, previa autorizzazione ad emettere gas serra rilasciata dall’ autorità competente nazionale (ANC), sono quindi tenuti a monitorare e rendicontare annualmente le proprie emissioni e compensarle mediante compravendita sul mercato di quote di emissione europee (European Union Allowances, EUA e European Union

Aviation Allowances, EUA A - corrispondenti ad 1 tonnellata di CO2eq.).In Italia l’ANC è il comitato ETS (Comitato nazionale per la gestione della direttiva 2003/87/CE e per il supporto nella gestione delle attività di progetto del Protocollo di Kyoto) presieduto dal Ministero dell’Ambiente, Tutela del Territorio e del Mare (MATTM) (GSE 2017).

Obbiettivo primario del sistema EU ETS è dunque incentivare le organizzazioni ad adottare strategie finalizzate alla riduzione delle emissioni di gas serra. Infatti, se da un lato la Direttiva ETS prevede sanzioni in caso di inottemperanza ai limiti imposti sulle emissioni, dall’altro essa premia l’impegno alla riduzione delle emissioni delle organizzazioni più “virtuose” consentendo loro di acquisire “crediti di carbonio” e rivenderli sul mercato (ciascun credito equivale a 1 tonnellata di CO2 eq) a chi invece necessita di rientrare nei limiti imposti. Ad oggi purtroppo, il costo irrisorio dei crediti di carbonio corrispondente a 4 euro a Ton di CO2 eq e l’abbondanza di tali crediti sul mercato non incoraggiano le aziende ad adottare strategie di riduzione delle emissioni.

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31 La Direttiva EU ETS è tra i principali strumenti legislativi europei per l’attuazione del “Pacchetto Clima-Energia” (contenuto nella Direttiva 2009/29/CE). Il “Piano 202020” del suddetto Pacchetto nasce per dare continuità sul piano europeo al Protocollo di Kyoto (2008-2012) e prevede che tra il 2010 e il 2020 i Paesi Membri raggiungano i seguenti obbiettivi: riduzione delle emissioni di gas serra del 20% (rispetto al 1990), 20% del fabbisogno energetico ricavato da fonti rinnovabili, aumento del 20% dell’efficienza energetica.

Questi gli obiettivi in materia di cambiamento climatico ed energia fedelmente riportati nella Strategia Europa 2020, programma dell’UE per la crescita e l’occupazione per il decennio 2010-2020, basato su una visione di crescita intelligente, sostenibile e solidale (European Commission 2017).

L’UE persegue la sua lotta al cambiamento climatico fissando come obiettivo al 2030 una riduzione di almeno il 40% rispetto al 1990 delle emissioni di gas serra. Obiettivi più ambiziosi di riduzione, pari all’80-95% rispetto al medesimo anno, sono invece fissati al 2050.

Infine, la conferenza globale sui cambiamenti climatici tenutasi a Parigi nel 2015 (COP21), ha prodotto l’Accordo di Parigi, primo accordo universale e giuridicamente vincolante sul clima mondiale, attraverso il quale 168 paesi sottoscrittori (parti dell’UNFCCC) si impegnano a contenere l’aumento medio della temperatura mondiale ben al di sotto di 2 °C, perseguendo idealmente l’obbiettivo di limitare l’aumento a 1,5 °C. A tal fine, la COP21 ha sottolineato la necessità di raggiungere il prima possibile il picco delle emissioni e ha fissato al 2050 l’obiettivo di decarbonizzazione (o carbon neutrality) (UNFCC 2017).

Al di fuori dei meccanismi di riduzione previsti dal protocollo di Kyoto esiste un mercato volontario dei crediti di carbonio cui possono aderire anche le organizzazioni che, pur non soggette a limiti normativi sulle emissioni dato il basso impatto ambientale relativo a questo aspetto, scelgono di compensare le proprie emissioni di gas serra in linea con gli obiettivi internazionali ed europei relativi al cambiamento climatico. I crediti relativi al mercato volontario sono chiamati VERs (Verified Emissions Reductions) e sono ottenuti mediante realizzazione di progetti certificati finalizzati alla riduzione e\o assorbimento di emissioni di gas serra. Tali progetti sono certificati da un ente di terza parte indipendente secondo standard riconosciuti a livello internazionale quali: Verified Carbon Standard (VCS), Golden Standard (GS) e Climate, Community, and Biodiversity standards (CCB). Si tratta principalmente di progetti riguardanti il settore delle energie rinnovabili (es. realizzazione di impianti eolici e idroelettrici) e il settore forestale (es. attività di riforestazione/afforestazione, miglioramento della gestione forestale, riduzione delle emissioni da deforestazione e degradazione delle

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32 foreste). Ciascun VER acquisito mediante tali progetti corrisponde ad 1 MtCO2eq ridotta o rimossa dall’atmosfera e può essere venduto sul mercato volontario ad organizzazioni che necessitano di compensare le proprie emissioni di gas serra.

Le foreste giocano un ruolo molto importante nella lotta al cambiamento climatico grazie alla loro capacità di immagazzinare CO2 sottraendola all’atmosfera ed utilizzandola nel normale processo di fotosintesi. La fissazione della CO2 e la sua conseguente organicazione (stoccaggio di C sotto forma di molecole organiche) sono necessari ai fini dell’accrescimento della biomassa vegetale. L’UNFCCC riconosce il ruolo di “carbon sink” delle foreste e propone le attività LULUCF9 (Land-Use, Land-Use Change and Forestry) come possibile strategia adottabile dai paesi sottoscrittori il Protocollo di Kyoto per compensare le proprie emissioni di gas serra. Nel settore forestale la tipologia REDD+ (Reducing emission from Deforestation and Forest degradation) risulta essere l’attività principale di compensazione delle emissioni a livello mondiale (Storti, D. et al, 2014). Esso è un meccanismo volontario di riduzione delle emissioni di gas serra nel settore forestale sviluppato dalle Parti alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico (UFNCCC). Si stima che il 17% di tutte le emissioni di carbonio derivi da azioni di deforestazione e degradazione delle foreste. Il programma REDD+ promuove attività di riduzione delle emissioni da deforestazione e degradazione delle foreste, conservazione e/o incremento dello stock di carbonio forestale e gestione sostenibile delle foreste. Il carbonio immagazzinato dalle foreste grazie allo sviluppo di tali progetti assume valore finanziario, mediante acquisizione di crediti che possono essere rivenduti sul mercato (UN-REDD+ Programme, 2014).

3.1.1. Misure di off-setting in Enel Green Power

Attraverso la sua politica ambientale, EGP ha adottato in passato sistemi di compensazione delle emissioni di gas serra, investendo in progetti sostenibili soggetti a certificazione secondo i suddetti standard internazionali e riconoscimento di crediti di carbonio (VERs) o aderendo a sistemi di compensazione offerti dal mercato come Treedom.it. Tali crediti hanno compensato ad esempio la carbon footprint relativa ad attività di consumo di combustibile per generazione di elettricità in sito, per movimentazione mezzi e per trasposto rifiuti di alcuni cantieri di

9 La decisione dell’Unione Europea 529/2013/EU stabilisce le norme di reporting di emissioni/assorbimenti di GHG prodotte da attività LULUCF.

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33 rinnovamento idro italiani. La gestione dei sistemi di compensazione, nonché del mercato dei crediti di carbonio è affidata ad Enel Trade.

Per attuare una nuova strategia di fare offset volontario, non solamente legato alla carbon footprint ma anche alla tutela della biodiversità, EGP ha scelto di non adottare il mercato dei crediti ma di farsi validare da parte terza progetti di tutela e conservazione degli ecosistemi esistenti o da avviare, sia su aree di proprietà che non e che coinvolgono partnership locali con ONG o istituti di ricerca. Il più ambizioso progetto si realizzerà in Brasile, regione del Mato Grosso, presso l’impianto idroelettrico di Apiacas, dove EGP è proprietaria di 2,000 ha di Foresta Amazzonica. Tale superficie è infatti occupata da tre impianti idroelettrici che insieme coprono il fabbisogno energetico di 200,000 famiglie brasiliane e da un piccolo impianto fotovoltaico (1.2 MW), realizzato per alimentare i locali di cantiere durante la costruzione dell’impianto. EGP ha affidato localmente un inventario forestale con specifica tecnica validata dal CNR (Centro Nazionale Ricerca) che, avrà il compito di stabilire, attraverso un’accurata analisi dei dati di tale inventario forestale, la capacità di assorbimento di CO2 (carbon sink) dei 2,000 ha di foresta. Verrà quindi definito un programma di gestione sostenibile delle foreste, secondo gli standard IPCC, e ci potrebbe essere la possibilità, in corso di valutazione di farsi accreditare tale attività come progetto REDD+ volto a proteggere i 2,000 ha dalla deforestazione ed incrementare lo stock di carbonio. Tale progetto garantirà, inoltre, la salvaguardia delle diverse specie animali e vegetali presenti nell’area di interesse. Al fine di valutare l’efficacia di misure e strategie già adottate da EGP per tutelare la biodiversità del luogo è in atto un accordo con IUCN (International Union for Conservation of Nature), ONG riconosciuta Osservatore Permanente dell’ONU e nota per aver creato la RED LIST, ossia il più ampio database di informazioni sullo stato di conservazione di tutte le specie animali e vegetali del mondo. IUCN, ha svolto una visita presso l’impianto, per valutare in termini complessivi come la scelte progettuali e gestionali di un impianto idro possono farà la differenza nella minimizzare gli impatti ambientali sugli ecosistemi, così da poter definire linee guida internazionali sulla tutela della biodiversità dell’infrastruttura idroelettrica che serva da riferimento di settore. EGP ha avviato un processo per ottenere il riconoscimento dei 2,000 ha di Foresta Amazzonica di Apiàcas come “Reserva Particular do Patrimônio Natural” (RPPN), ovvero una riserva privata del patrimonio naturale riconosciuta dallo stato del Mato Grosso e dal governo brasiliano. Quello di Apiàcas è dunque un progetto molto ambizioso che una volta avviato consentirà ad EGP di concretizzare il suo impegno costante nella tutela della biodiversità e nella lotta al cambiamento climatico.

Figura

Fig. 1. 1 Le dimensioni della sostenibilità
Fig. 2. Modello CSV - Creating Shared Value.
Fig. 3.  Analisi di Materialità 2016.
Fig. 4. Produzione netta per fonte 2016 (%)
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