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Abbazia di San Fortunato

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Academic year: 2022

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Abbazia di San Fortunato

Tratto da “L’Abbazia di San Fortunato nella sua storia millenaria di P.Demetrio Dell’Oglio”.

L'Abbazia di S. Fortunato, è situata ad appena 550 metri dalla statale Appia nella zona coltivata più alta di Arpaia, cioè là dove a sud-est i monti del Partenio, coperti da una folta vegetazione di castagni, cominciano quasi improvvi- samente a salire ripidi e scoscesi. È Arpaia il luogo dove nell'anno 848 avvenne la battaglia tra Radelchi e Siconolfo, figli di Sìcone (+839). Radelchi vi rimase sconfitto.

Con l’accordo stipulato l’anno seguente, Siconolfo rimase

principe di Salerno con i gastaldati di Forche (cioè di Arpaia), Sarno, Cimitile, Capua ecc, e Radelchi, principe di Benevento, con quelli di S. Agata dei Goti, Telese, Alife, Isernia, Campobasso, Bari, Brindisi ecc. Mentre Airola e tutto il resto della valle caudina restò a Radelchi, Arpaia, essendo stata conquistata da Siconolfo con la suddetta battaglia, passò a Salerno. Questa città a quei tempi aveva come protettore S. Fortunato. Non fa perciò mera- viglia che i salernitani costruissero ad Arpaia, luogo di confine di eccezionale importanza strategica, nel secolo IX o poco dopo, una chiesa in onore del loro patrono. Il primo docu- mento scritto, che siamo sinora riusciti a rintracciare, riguardante la nostra abbazia è del 1278, e perciò assai tardivo. Nel volume XX dei Registri della Cancelleria Angioina la tro- viamo indicata con la denominazione «Monasterium Sancti Fortunati de Monte Virgilii in Principatu». Trattasi di un mandato a favore del monastero contro Marino de Natale, Cop- pola di Somma, e contro Angelo de Ligorio di Cicala. La troviamo ancora, sempre nei Regi- stri della Cancelleria Angioina, in un altro analogo documento diretto alle medesime perso- ne. Abbiamo inoltre l’esecutoria di Ferdinando I d’Aragona, in data 8 giugno 1472, della Bolla di Sisto IV con cui l’abbazia, rimasta vacante per rinunzia del chierico Battista Orsini, viene concessa in commenda al canonico napoletano Tommaso Ronchello.

Notiamo che essa non è più denominata «Monasterium», ma «Prioratus de Arpadio Ordinis Sancti Benedicti beneventanae diaecesis». Quando e perché essa sia diventata priorato, ossia piccola casa religiosa alle dipendenze di un monastero più grande, non lo sappiamo. Se ciò è avve¬nuto poco prima del 1472, possiamo supporre che il terremoto, che nel 1456 distrusse completamente Arpaia, abbia danneggiato gravemente anche la nostra abbazia, nella quale sarebbero perciò rimasti solo pochi monaci. In un istrumento del 22 aprile 1494, rogato in Arpaia nello stesso monastero di S. Fortunato per notaio Giovanni Cizio di Presenzano, ri- guardante una permuta tra l’abbazia e Guevara de Guevara, signore di Arpaia, la trovia¬mo nuovamente denominata monastero. Questo però non significa necessariamente vera e pro- pria autonomia in quanto che spesso il significato di questo termine è piuttosto generico. Ivi leggiamo che per questo atto la comunità viene convocata al suono del campanello. Questo dimostrerebbe che essa era formata da un discreto numero di monaci. Il 2 maggio 1518 il priorato dal papa Leone X è dato in commenda al cardinale Giulio dei Medici. In una bolla dello stesso Leone X del 4 luglio 1518 continuiamo a trovarla indicata con l'espressione

«Prioratus Sancti Fortunati Ordinis Sancti Benedicti beneventanae diocesis». Trattasi della concessione fatta dal cardinale Alessandro Farnese il giorno 8 maggio 1549 al chierico na- poletano Cesare Villano di questa badia con la sua chiesa, resasi vacante per morte dell’ultimo commendatario Antonio Arfusio. È del 9 maggio 1568 ristrumento del notaio apostolico Alessandro Riario di Roma(9), con cui Francesco Giacomo Pelagano di Trani,

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priore di S. Fortunato, nomina suo procuratore, per la presa di possesso del priorato, Vito Antonio di Castellaneta.

La più antica descrizione dell’abbazia, che siamo riusciti a trovare sinora è quella contenuta in una «Platea sul Catasto Generale delli Beni della Badia di S. Fortunato del casale delli Paolisi, fatta dal Pr. fra Bonaventura da Benevento dell’Ordine dei Frati Minori Conventua- li, agente a Vicario Generale del Chiarissimo e Reverendissimo Signor Cardinale Lorenzo Brancati di Lamia dell’Ordine di S. Francesco dei Minori Conventuali del titolo dei dodici Apostoli, Commendatore della Badia medesima, ordinata nell'anno 1686». In essa leggia- mo: «Possiede la chiesa fatta a volta di lammia con la camera dell’eremita attaccata alla det- ta chiesa, e sotto la chiesa vi è la cantina con scala, campanile restaurato dal medesimo Are.

Sig. Cardinale con due campane, una grande et l’altra piccola, con porta a chiave al mede- simo campanile con cortiglio con pozzo in mezzo al cortiglio, con due colonne di marmo in- torno al pozzo, e giardino ammurato con piedi di pera, due fontane attaccate alle mura della parte di fora vicino alla chiesa, e portone, il quale cortiglio e mura che ricinge tutta la fab- brica resta a commodo del Em.o Illmo Sign. Cardinale di Lauria Abbate e successori di es- sa, atteso li terreni e boschi che sono a tutti li quattro lati della detta chiesa e mura della Ba- dia son censuati all’Ecc.mo Signor Conte dei Biccari, figlio del Signor Duca di Airola come a suo luogo si vedrà.

Nella predetta chiesa vi è una messa di obbligo il giorno di festa conforme si è avuta rela- zione et il mio Signor Cardinale di Lauria le ha fatto sempre celebrare e le fa celebrare. Co- me anche la suddetta chiesa have con sé una reliquia insigne di una testa del medesimo S.

Fortunato dentro un nicchio indorato e a tre parti di detto nicchio vi sono tre christalli e di dentro foderata di armesino rosso, et tre pianete cioè due di quattro colori bianca rossa verde e paonazza de armesino et uno lino negro del medesimo drappo, le quali pianete con la reli- quia stanno consignate al Clero et Università di Arpaia che ad ogni requisizione (= richiesta) dell’Abate ed agenti di essa si debbano consignare e che dette pianete non se ne possono servire nullo modo ma servendosi li detti Preti e Canonici della Collegiata chiesa di S. An- gelo, sia lecito al detto Em.o IlLmo e loro Agenti prò tempore pigliarseli solo: il Sign. Car- dinale de Lauria le ha date apprezzo delli sopradetti loro depositi e non altrimente conforme appare per istrumento rogato per mano del notaro Pavolo dei Nicolais del casale delli Paulisi sotto li 1684». Il campanile, la chiesa, ed il pozzo con le due colonne collocatevi accanto in direzione est-ovest, esistono tuttora. La chiesa a cui si fa riferimento nella Platea è la stessa di oggi. Vi è chiamata infatti: «Chiesa seu cappella di S. Fortunato di Arpaia».

Al di sotto del pavimento c'è anche lo spazio allora utilizzato come cantina. Vi si accedeva attraverso una botola situata in sacrestia nell’angolo a destra appena si entra dall'esterno. La sacrestia a sua volta era formata da due stanze, che diventarono una sola, togliendovi il mu- ro diviso¬rio, in occasione dei restauri del 1962-63. In chiesa, a destra di chi entra, all'inter- no, c'era un'iscrizione su marmo che ricordava la sua consacrazione da parte del card. Orsi- ni. Assieme alle porte della chiesa stessa, anch'essa venne distrutta dagli inglesi alla fine dell’ultima guerra, durante la loro permanenza in quel luogo. Esternamente sulla porta d'in- gresso c'è uno stemma, ormai del tutto irriconoscibile, probabilmente dello stesso Orsini, messovi in occasione dei restauri da lui effettuati. Al bivio dell’Appia con la via che sale a S. Fortunato c'è su un recente basamento un tronco di colonna romana. Nei secoli XVI e XVII era frequente l’uso di innalzare colonne, generalmente sormontate da una croce, quasi a dare il benvenuto a quelli che arrivavano. Nel nostro caso è molto più facile che vi sia sta- ta messa a segnare il confine tra le diocesi di Benevento e quella di S. Agata e in seguito servì anche a indicare l’inizio della strada che portava alla vicina abbazia.

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Questa colonna, la cui parte superiore è scomparsa una quarantina di anni or sono, e cardi- nale Orsini di cui abbiamo parlato, richiamano alla nostra mente una curiosa storiella ripor- tata dal Montella. Il Card. Orsini, recandosi a S. Fortunato, si fermò davanti alla colonna per adorarvi la croce di legno, senonché mentre se ne stava ivi inginocchiato in preghiera, la croce cadde e gli andò a finire sulla testa. Il cardinale indispettito avrebbe maledetto Arpaia.

Un'anziana signorina, che abitava nelle immediate vicinanze della colonna dall’altra parte dell'Appia e morta nel marzo del 1973, alla quale avevamo parlato di questa storiella, ci ri- spose che essa rispondeva a verità, e riferì che i suoi lontani antenati (De Simone), grandi produttori e ricchi commercianti di vino, si erano ridotti improvvisamente in miseria proprio in seguito alla maledizione di un importante prelato, la quale aveva fatto sì che in quell’anno in tutto il paese si raccogliesse neppure un grappolo d’uva. È una storiella che abbiamo rac- contato per pura curiosità. Essa contrasta col carattere mite e pacifico del santo cardinale, è completamente ignota a tutti i suoi biografi, e non merita nessun credito. Tra le cose che a S.

Fortunato la gente ricorda con maggior rimpianto è la grossa campana che dall'alto della massiccia e imponente torre campanaria faceva sentire la sua voce anche nei paesi vicini. A detta di tutti, la grandezza, il timbro e la sua intensità sonora era molto simile a quella della campana dell’Annunziata di Airola. Ora essa non c'è più. Venne rubata nella notte fra l’11 e il 12 settembre dell’anno 1953 o 1954. Il fatto produsse sorpresa, rammarico e indignazione in tutto il popolo. Chi era stato? Non mancarono certamente sospetti, che col passar del tempo, presero anche una certa consistenza. Si parlò di persone che avevano visto, che sa- pevano, ma che per paura preferivano tacere.

I ladri comunque, almeno ufficialmente, rimasero sconosciuti. Per portarla via era stata ri- dotta a pezzi (alcuni di questi infatti vennero trovati sul posto il mattino seguente), e segate le due travi che la sostenevano. Quasi a completare l’accaduto, un paio di anni dopo crollò anche la co¬pertura a embrici del campanile. In occasione dei restauri della chiesetta, effet- tuati con cantieri di lavoro negli anni 1962-1963, una campanella venne collocata su un pic- colo campanile a ventola in mattoni e cemento, creato appositamente con gusto assai discu- tibile, sullo spigolo anteriore della sacrestia. Negli scorsi secoli le campane erano due, e tut- te e due ebbero le loro peripezie. Nel periodo napoleonico a stento riuscirono a sfuggire alla requisizione ordinata da Gioacchino Murat per fonderle e farne cannoni. All’inizio del 1833 il Guardiano del convento di S. Lorenzo in Benevento (era detto di S. Maria delle Grazie annesso all’omonimo santuario) P. Agostino da Napoli, avendo inteso che una delle due campane di S. Fortunato era rotta, ne fece richiesta all’Intendente della provincia di Princi- pato Ultra. Questi in data 20 febbraio dello stesso anno spediva la domanda all’Ordinario di S. Agata per conoscenza e per chiederne il parere. La risposta fu immediata, ossia del 2 marzo, e naturalmente negativa. Oggi la nostra badia di S. Fortunato è ridotta alla sola chie- setta con lo spiazzo antistante, al campanile, e al piccolo orto attiguo. In tutto questo insie- me la prima cosa che colpisce lo sguardo del visitatore è l'antica torre campanaria, posta quasi a guardia dell'intera costruzione che le si affiancava da tutti e tre i lati, e insieme ne costituiva anche l’ingresso principale o, forse, unico.

Il suo insieme mostra segni evidenti di fabbriche sovrapposte e addossate l’una all'altra at- traverso i secoli in occasione di restauri o di rifacimenti. Richiamano particolarmente l’attenzione un meraviglioso arco in tufo giallo a sesto acuto finemente lavorato sul lato orientale, e, specialmente al piano delle campane la bellissima bifora, per quanto semplice altrettanto elegante, e infine all'interno, tra il secondo piano e la cella campanaria, una robu- sta scala a chiocciola con scalini monolitici di calcare bianco a incastro. Originariamente la cella campanaria presentava quasi sicuramente quattro bifore. Al posto delle altre tre, cadute in seguito a terremoti o a completa mancanza di manutenzione del fabbricato, vediamo al-

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trettanti archi a tutto sesto in tufo. A oriente il campanile presenta sino all’inizio del secondo piano, per tutta la sua larghezza una struttura di sostegno ad arco rampante. Fu creata per neutralizzare, scaricandola attraverso un muro della medesima larghezza che fa da contraf- forte, direttamente a terra la spinta laterale derivante dal peso della scala a chiocciola che, creata fuori centro molto tempo dopo la costruzione del campanile, aveva richiesto a pian- terreno anche l’aggiunta di un arco a tutto sesto, in direzione nord-sud, inserito nella crocie- ra medesima.

Queste sovrapposizioni ed aggiunte, di natura e di stile diverso, mostrano chiaramente che la vita dell’abbazia è stata abbastanza fiorente per un lungo periodo di tempo. Di essa, oltre il campanile, restano ora la chiesetta, posteriore a quella originaria, che certamente doveva essere di assai più ampie dimensioni, alcuni ruderi dietro di questa, e, a livello del pianterre- no del campanile, al centro dell'antico cortile ora completamente scomparso, un pozzo con ai lati due colonne di granito situate in direzione est-ovest. Effettuandovi degli scavi un po’

dovunque, specialmente in corrispondenza della piccola abside parzialmente chiusa con un muro divisorio, si potrebbero mettere in luce le reali dimensioni di questa antica badia, e darci indicazioni più precise sulle sue origini e sulle varie vicende della sua vita millenaria.

Ma è soprattutto urgente salvare la torre campanaria. Al furto delle campane e alla successi- va caduta del tetto avvenuta diversi anni or sono si sono aggiunti oggi anche i danni del ter- remoto del 23 novembre 1980 e 14 febbraio 1981, il primo dei quali ha fatto crollare la sommità degli archi orientale e settentrionale della cella campanaria, ed ha ulteriormente peggiorato le già precarie condizioni di quello meridionale.

Resta fortunatamente ancora in piedi la bifora, ma basta qualche altra scossa di terremoto, e certamente andrà giù anch’essa. E sarebbe questo un gravissimo danno inferto al patrimonio storico di Arpaia, in quanto questa torre rappresenta in tutta la zona una delle rarissime te- stimonianze superstiti di quel fervido movimento culturale e religioso che nel lontano me- dioevo con la sua arte semplice spontanea e robusta ebbe la sua splendida fioritura anche in queste nostre terre.

Insediamento Abbaziale di san Fortunato

Tratto da “Arpaia Longobarda” di Lorenzo Di Fabrizio – 1999

Ai piedi del Monte Castello, si erge solitario e solenne, l’antico complesso Abbaziale di San Fortunato, costituito da una suggestiva chiesetta e da una poderosa e massiccia torre campa- naria. L’insediamento Abbaziale di San Fortunato è documentato da fonti a partire dal 1278 ed è l’unico manufatto che si sviluppò sulla fascia meridionale del Partenio e che porta il nome di San Fortunato di Arpaia (Mongelli - Vol. I Storia di Montevergine). Mentre la più remota descrizione, la troviamo nell'archivio Vescovile di S. Agata dei Goti - Miscellanea A. Vol. 9 I.F 229-323. A partire dal XII secolo, tutto il complesso monastico subì trasfor- mazioni distributive e volumetriche che, oltre per creare spazi, vennero anche abbattute dai gravissimi terremoti. L’area occupata nell’antichità era molto più estesa dell’attuale, dedu- cibile dalla lettura di tutta l’area del piano di calpestio e dal conforto di qualche documento d’archivio. La lettura dei resti affioranti e l’imponenza delle masse architettoniche esistenti, ci fanno presumere che ci troviamo in presenza di uno dei più significativi complessi Abba- ziali dell’Alto Medioevo. L’assetto murario, in conci di pietra tufacea, lavorati con perizia tecnica ci riporta agli altri reperti del periodo longobardo che abbiamo incontrato nelle strut-

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ture difensive della cittadella e in quei residui setti murari della Chiesa di S.Antonio Abate.

Dall’osservazione diretta delle strutture della torre campanaria, da quella della piccola chie- setta e dai ruderi affioranti su tutta l'area, si può dire che si tratti di un impianto abbaziale con sviluppo perimetrato e con funzione di una robusta cinta di fortificazione. Il chiostro e la chiesetta di San Fortunato, erano raccordati con l’ala orientale, mediante la cinta muraria meridionale animata e sostenuta da una suggestiva successione di archi quasi a sesto poli- centrico. Valutando questi rapporti, si può dire che il complesso monastico ad est si aggre- gava con il prospetto della chiesetta e con due ambienti claustrali. Il prospetto della Chiesa di San Fortunato si presenta molto semplice con linee architettoniche che rispettano i canoni delle prime chiese romaniche. La copertura è a doppio spiovente con timpano cuspidale, la parte inferiore è ornata da un armonioso pronao, formato da due archi depressi. Le due cam- pate a crociera dell’atrio, originariamente, facevano parte di un’ala del chiostro, a portico, del complesso monastico. L’interno è costituito da una sola nave, con un modesto altare a parete sullo sfondo. Copre l’aula congregazionale una volta a sesto ribassato; unita a quest’aula si trovano la sagrestia e due piccoli ambienti per l’eremita. Completavano tutto l’assetto Abbaziale, con esposizione est/ovest, un cortile adibito a giardino, con in mezzo, un pozzo fornito di cappa, ornato da due snelle colonne in pietra travertina tuttora esistenti.

La Torre Campanaria

Tratto da “Arpaia Longobarda” di Lorenzo Di Fabrizio – 1999

Si accedeva all’interno dell’Abbazia, attraverso l’atrio voltato della torre campanaria, costruito secondo lo schema distributivo adottato dall’ordine Benedettino di Montecassino. Questo sistema è riconoscibile anche nell'’ingresso originario di Sant’Angelo in Muncolanis di S.Agata dei Go- ti.

Nelle murature del primo ordine della Torre Campanaria, non si riscontra- no sui fronti delle pareti interne, segni di attacchi con altri corpi murari che non fanno supporre una funzione di atrio di accesso. Le trasformazio- ni successive di tutto il complesso, per cause sismiche e per questioni lo-

gistiche e funzionali, comportarono tompagnature dell’arco interno del grandioso portale a pianta quadrilatera, coperto da una articolata ed elegante volta a vela. Le strutture murarie, i piedritti, gli archi e i sottarchi a tutto sesto, armati con conci di pietra calcarea e tufi locali, conferiscono a questo grande portale d’ingresso una elegante monumentalità. Lo sviluppo in elevazione viene addolcito dalla delicata rastemazione che parte da un cordolo aggettato spezzando il primo assetto del campanile. La poderosa base è solidamente saldata a terra con perizia tecnica in modo da superare facilmente il dislivello del forte pendio evitando co- sì il fenomeno di dilavamento e di slittamento verso la parte bassa. La murazione che dalla sinistra del portale scende a monte, con la sua controspinta, evitava lo slittamento verso la valle ed era di rinforzo per le spinte telluriche. La visione che oggi possiamo godere della poderosa torre campanaria è dovuta alla resistenza dei citati assunti tecnici alla permanenza dell’uso di questo manufatto e alle cure manutentive successive che hanno consentito la so- pravvivenza di tutte queste belle strutture. Parti di queste strutture vennero riattate e modifi- cate, le altre furono abbandonate. La parte rastremata della torre campanaria che va dalla

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cordolatura del primo assetto, è ornata sulle quattro facce da una serie di finestroni a tutto sesto le cui sagome interne sono ottenute con conci tufacei a sviluppo radiale. Nel finestrone che si sviluppa in asse con il portale d’ingresso, si rilevano le trasformazioni subite nelle epoche successive. Questo, mediante l’interposizione di una colonnina di spoglio in pietra travertina, è stato trasformato in una classica finestra bifora. All’ultimo ordine si accedeva mediante una scala a chiocciola, composta da robusti masselli in pietra martellata a sviluppo radiale e a questa si entrava da una scala sviluppata sull’estradosso di un arco rampante, col- locato quasi in asse, nella parte posteriore dell’arco principale della torre campanaria. Que- st'Abbazia certamente esercitò un ruolo importante nella storia di Arpaia, dal punto di vista religioso, economico e culturale. Le cause della decadenza, oltre che ai fattori naturali, van- no ricercate nella incertezza politico-sociale che caratterizzò tutto il XIV e il XV secolo.

L’ultimo intervento di restauro ha salvato in parte tutte le strutture dal degrado naturale e dal lungo e più recente abbandono che hanno causato il crollo della copertura della torre campanaria.

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