1. INTRODUZIONE
1.1. Comportamento innato e acquisito
Il comportamento può essere definito come l’insieme di azioni e reazioni di un organismo in risposta a stimoli provenienti dall’ambiente esterno e/o dall’interno dell’organismo stesso.
Generalmente il comportamento viene suddiviso in due categorie: istintivo e acquisito. La componente istintiva del comportamento ha un rapporto diretto con i fattori genetici di un organismo ed è quindi ereditabile. La componente acquisita del comportamento viene invece modulata dai fattori ambientali. Nonostante questa schematizzazione, non esiste un confine netto tra comportamenti innati e acquisiti, ma ogni comportamento dipende da un’interazione di fattori genetici e ambientali che rivestono un ruolo diverso più o meno determinante a seconda della situazione: il quadro generale prevede una graduazione tra i comportamenti innati e quelli acquisiti che va dalle risposte stereotipate specie-specifiche, quasi esclusivamente dipendenti dal corredo genetico degli organismi, fino alle azioni fortemente dipendenti da fattori ambientali quali esperienza, apprendimento e memoria.
1.2. Apprendimento e memoria
L’apprendimento e la memoria costituiscono i due principali fattori ambientali capaci di modificare il comportamento. L’apprendimento è la
capacità di un organismo di raccogliere dati e acquisire conoscenze relativi all’ambiente circostante. La memoria consiste invece nel trattenere, codificare e conservare tali conoscenze.
L’apprendimento e la memoria vengono generalmente classificati sulla base della modalità di acquisizione e di richiamo dell’informazione. Secondo questo schema la memoria viene generalmente distinta in non-dichiarativa o implicita, detta anche riflessiva, e non-dichiarativa o esplicita, (Fig. 1).
Fig.1: Classificazione dei sistemi dei memoria a lungo termine e relative aree cerebrali coinvolte (tratto da Squire and Knowlton, 1994).
La memoria non dichiarativa si forma mediante la ripetizione di numerose prove successive e si esprime attraverso il miglioramento di determinate azioni, indipendentemente da processi cognitivi quali consapevolezza e valutazione. Questo tipo di memoria è importante nell’acquisizione di tecniche, procedure particolari, nuovi schemi motori,
ma anche nell’apprendimento di regole grammaticali e perfino nelle risposte emozionali. I circuiti neurali coinvolti in questo tipo di memoria sono quelli percettivi, la corteccia motoria, il cervelletto, le vie riflesse e le zone limbiche (in particolar modo l’amigdala). La memoria dichiarativa, al contrario, è controllata direttamente dalla sfera cognitiva sia per l’acquisizione che per il richiamo delle informazioni. Riguarda soprattutto gli eventi biografici dell’individuo nonché le associazioni qualitative e temporali ad essi correlate. Per queste sue caratteristiche può venire espressa tramite affermazioni verbali di tipo dichiarativo, mentre le informazioni relative alla memoria implicita si prestano con difficoltà ad essere comunicate verbalmente dal soggetto. I centri nervosi principalmente coinvolti nella memoria dichiarativa sono le cortecce associative polimodali (corteccia prefrontale, limbica e parieto-temporo-occipitale), le cortecce paraippocampale, peririnale, entorinale, e l’ippocampo. In certi casi comunque la memoria dichiarativa può essere trasformata in memoria non dichiarativa tramite numerose ripetizioni successive; l’apprendimento di una procedura, per esempio, può richiedere inizialmente l’uso di processi cognitivi ma, in seguito a un certo numero di ripetizioni, l’esecuzione può divenire automatica.
Una valutazione sperimentale della memoria implicita si realizza applicando degli stimoli, che rappresentano le informazioni relative all’ambiente esterno, analizzando poi le progressive modificazioni comportamentali. Questo tipo di approccio sperimentale ha permesso di studiare l’apprendimento e di classificarlo in non associativo e associativo. Nell’ apprendimento non associativo l’organismo viene sottoposto a un solo tipo di stimolo. Esempi di apprendimento non associativo sono l’abitudine e la sensitizzazione. Per abitudine si intende una diminuzione della risposta comportamentale riflessa di un organismo
in seguito alla ripetuta presentazione di uno stimolo non nocivo, mentre con il termine sensitizzazione si indica un aumento della risposta a una serie di stimoli non nocivi in seguito a una stimolazione intensa o dolorosa.
L’apprendimento associativo prevede l’associazione tra due tipi di stimoli o tra uno stimolo e la risposta del soggetto. In base alle metodologie sperimentali utilizzate esso viene classificato come condizionamento classico (o pavloviano ) e condizionamento operante (o skinneriano).
Il condizionamento classico fu introdotto dal fisiologo ed etologo Ivan Pavlov: si basa sull’apprendimento da parte degli animali condizionati delle relazioni che intercorrono tra due stimoli distinti e nella conseguente acquisizione della capacità di rispondere a stimoli inizialmente neutri (Pavlov, 1927). Uno stimolo incondizionato (US,
Unconditioned Stimulus), corrispondente alla vista del cibo o
all’applicazione di una scossa elettrica agli arti posteriori, viene applicato insieme a uno stimolo condizionato (CS, Conditioned
Stimulus) sonoro o visivo. L’US rappresenta lo stimolo scatenante dato
che la sua applicazione produce sempre negli animali una risposta incondizionata innata (come un aumento della salivazione alla vista del cibo). Il CS invece non è in grado da solo di produrre una risposta apprezzabile negli animali non condizionati. Durante la fase di condizionamento i due tipi di stimolo vengono ripetutamente associati: ad ogni applicazione del CS segue una corrispondente applicazione dell’US a un intervallo di tempo fisso. In seguito a un certo numero di prove l’applicazione del solo CS sarà in grado di produrre una risposta condizionata (RC) del tutto simile alla risposta incondizionata scatenata dall’US.
L’altra principale forma di apprendimento associativo è il condizionamento operante, scoperto da Edward Thorndike e studiato da B.F. Skinner e collaboratori. Definito anche condizionamento strumentale o apprendimento per prova-errore. Il condizionamento operante consiste nell’associazione da parte del soggetto di un comportamento, definito operante, con un certo tipo di risposta. Quando un comportamento da parte del soggetto determina una risposta ambientale positiva, detta di rinforzo, l’azione viene ripetuta con una frequenza sempre maggiore. Se invece la risposta ambientale è negativa (punizione) o neutra il soggetto tende a non ripetere l’azione. Affinché avvenga una corretta associazione da parte del soggetto tra il comportamento operante e il rinforzo (o la punizione) è fondamentale anche in questo caso che l’intervallo temporale tra i due eventi sia regolare e sufficientemente breve.
In seguito ad un grande numero di studi e osservazioni effettuati sulle modalità di acquisizione e perdita della memoria è stato formulato un modello che prevede l’esistenza di due forme di memoria: la memoria a breve termine e quella a lungo termine. Inizialmente le informazioni vengono acquisite dal soggetto sottoforma di tracce mnemoniche che vengono conservate nel magazzino della memoria a breve termine. Questo magazzino ha una capacità molto limitata (meno di una dozzina di tracce) e si attiva quindi solo durante la prima fase di acquisizione delle informazioni. Le tracce presenti nel magazzino vengono perse velocemente, nel giro di pochi minuti, a meno che non vengano processate e trasformate in tracce mnemoniche più persistenti. In questo caso vengono trasferite nel serbatoio della memoria a lungo termine, molto più capiente, dove vengono perse con maggiore difficoltà. Per completare il modello è stata proposta l’esistenza di un sistema per la
ricerca e l’espressione delle tracce mnemoniche necessarie per lo svolgimento di compiti specifici. L’alterazione di questo (e solo di questo) sistema spiegherebbe la momentanea amnesia di origine traumatica. Dal punto di vista fisiologico il passaggio delle informazioni da una memoria a breve termine a quella a lungo termine richiede una modulazione dell’espressione genica e la sintesi ex-novo di proteine. Il processo mnemonico è comunque molto dinamico e va incontro a continue modificazioni.
1.3. La memoria a breve termine
Le tracce della memoria a breve termine vengono conservate solitamente per pochi minuti, anche se in alcuni casi vengono mantenute per un periodo di tempo più lungo, fino a un massimo di 24 ore. La memoria a lungo termine invece è in grado di conservare le informazioni per giorni, mesi, anni e, in certi casi, per tutta la vita di un individuo. La diversa durata delle memorie a breve e a lungo termine riflette un diverso funzionamento dei loro meccanismi. E’ naturale quindi che per la comprensione dei vari processi mnemonici siano state applicate tecniche di analisi sperimentale differenti.
La memoria a breve termine è stata studiata tramite tecniche elettrofisiologiche misurando l’attività elettrica dei neuroni coinvolti in questi processi mnemonici. Le registrazioni sono state fatte sui sistemi nervosi elementari sia di animali invertebrati che di vertebrati. I sistemi modello di invertebrati più usati sono stati Aplysia californica, un gasteropode marino, e Hirudo medicinalis, la comune sanguisuga. Data la relativa semplicità del sistema nervoso di questi animali rispetto a
quello dei vertebrati è stato possibile studiare nel dettaglio le forme dell’apprendimento non associativo quali l’abitudine e la sensitizzazione. Vari studi condotti dalla scuola di Eric Kandel ( Nobel per la medicina nel 2000) su Aplysia californica hanno portato alla comprensione dei meccanismi alla base dell’abitudine. A.californica mostra una serie di riflessi con funzione difensiva che consistono nella retrazione delle branchie e del sifone in seguito a stimoli tattili. La ripetuta presentazione di stimoli non nocivi provoca nell’animale una diminuzione della risposta riflessa. Registrazioni elettrofisiologiche effettuate su interneuroni e su motoneuroni responsabili della retrazione evidenziano una riduzione dell’ampiezza dei potenziali postsinaptici eccitatori. Questa diminuzione dipende a sua volta da un minore rilascio di neurotrasmettitore a livello delle terminazione presinaptiche dei neuroni sensoriali e degli interneuroni. Una sola seduta produce un’abitudine della durata di alcuni minuti. Se le sedute si ripetono quotidianamente a intervalli regolari l’abitudine diventa a lungo termine e permane fino a tre settimane. Sempre in Aplysia è stato studiato anche il meccanismo della sensitizzazione. In questo caso l’applicazione di uno stimolo tattile nocivo provoca un aumento della risposta riflessa di retrazione. L’analisi molecolare ha evidenziato un aumento dei livelli di Serotonina (5-HT) che, attraverso la formazione di secondi messaggeri quali il cAMP (adenosina monofosfato ciclico) (Brunelli, Castellucci and Kandel, 1976), modula la permeabilità agli ioni Ks+ (Klein, Camardo and
Kandel, 1982; Dale, Schacher and Kandel, 1988). Ciò comporta un allungamento della durata del potenziale d’azione e un conseguente maggiore rilascio di neurotrasmettitore (Brunelli, Castellucci and Kandel, 1976). Anche analisi elettrofisiologiche su “Hirudo medicinalis” hanno confermato che alla base dell’apprendimento non associativo è
rilevabile una modificazione della efficacia sinaptica (Scuri, Mozzachiodi and Brunelli, 2002).
Altri studi sono stati fatti sul sistema nervoso di vertebrati, in particolare sulle regioni medio temporali di ratto. L’ippocampo ha un’importanza fondamentale nei processi di immagazzinamento delle informazioni acquisite e i suoi neuroni vanno incontro alle trasformazioni plastiche caratteristiche dei meccanismi mnemonici. Le vie eccitatorie ippocampali principali sono 3: la via perforante,che va dal subiculum alle cellule granulari dell’ilo del giro dentato; la via delle fibre muscoidi, rappresentata dai prolungamenti assonali delle cellule dei granuli che innervano i neuroni piramidali dello strato CA3; la via delle collaterali di Schaeffer, dai neuroni dello strato CA3 a quelli dello strato CA1. L’applicazione di una breve scarica di stimoli ad alta frequenza in una qualunque delle tre vie eccitatorie ippocampali determina un aumento dell’ampiezza dei potenziali eccitatori nei neuroni postsinaptici definito potenziamento a lungo termine o long term potentiation (LTP) (Fig.2). L’LTP in realtà può essere suddiviso in una fase precoce detta early LTP (E-LTP), la cui durata è di poche ore e che viene indotta da una singola stimolazione tetanica, e in una fase tardiva late LTP (L-LTP) che si mantiene per almeno 24 ore e che richiede un pattern di stimolazione costituito da più ripetizioni. Mentre l’E-LTP si basa su modificazioni molecolari (fosforilazione) di proteine già esistenti, l’L-LTP richiede una modulazione dell’espressione genica traducibile nella sintesi di nuove proteine (Barco,Bailey and Kandel,2006).
Fig.2: Determinazione del potenziamento a lungo termine (LTP) in seguito alla stimolazione ad alta frequenza delle vie eccitatorie ippocampali (tratto da Bliss et Lømo, 1973).
Per capire il ruolo della regolazione dell’espressione genica e della sintesi proteica nella memoria a lungo termine sono state usate specifiche tecniche di biologia molecolare. Per identificare i geni differenzialmente espressi sono state applicate tecniche di trascrittomica, mentre la sintesi proteica è stata valutata tramite tecniche di proteomica. Col termine trascrittoma viene indicato l’insieme di tutti i trascritti di mRNA di una cellula. Una delle possibili tecniche di analisi del trascrittoma è il DNA microarray, conosciuta anche come gene chip. Un
array è costituito da una collezione di microscopiche sonde di DNA
(probes) attaccate ad una superficie solida come vetro, plastica, o chip di silicone. Migliaia di probe sono usati contemporaneamente in un array. I
microarray sfruttano una tecnica di ibridazione inversa che consiste nel fissare tutti i probes sul supporto suddetto e nel marcare invece l'acido nucleico target. Per studiare gli mRNA, essi vengono prima estratti dalle cellule, convertiti in cDNA attraverso l’uso di un enzima chiamato transcriptasi inversa, e allo stesso momento marcati con una sonda fluorescente. Al momento dell’ibridazione il cDNA target si lega alla sonda presente sulla matrice e viene così identificato semplicemente rilevando la posizione della sonda.
Un’altra tecnica usata per l’analisi dei trascritti di mRNA è quella dell’ibridazione sottrattiva soppressiva o SSH. Rispetto ad altre tecniche di trascrittomica l’SSH ha il vantaggio di riuscire a isolare anche sequenze rare o poco espresse a partire da concentrazioni molto basse di mRNA (1-2 μg). Tramite questa tecnica è comunque possibile prendere in considerazione solo due campioni per volta. Data questa sua caratteristica l’SSH viene usata per costruire delle librerie di cDNA di geni candidati ad essere differenzialmente espressi fra un campione sottoposto a un determinato trattamento e un controllo non trattato.
Per l’analisi dell’espressione dei geni candidati individuati tramite l’SSH si possono usare le tecniche della Real-Time RT-PCR
(reverse-transcription polymerase chain reaction). La real-time PCR permette di
monitorare l’andamento della reazione di amplificazione tramite
computer in tempo reale nonché di quantificarne il prodotto.
Il termine proteoma indica l’insieme di proteine espresse dal genoma di un sistema biologico inteso come cellula,tessuto o organismo (Wasinger, Cordwell, Cerpa-Poljak, Yan, Gooley, Wilkins, Duncan, Harris, Williams and Humphery-Smith, 1995). Una tecnica di proteomica molto usata è il western blot. Questa procedura si basa sull’identificazione di specifiche proteine in un campione di interesse tramite il legame con il
loro anticorpo specifico. Una volta estratte, le proteine vengono caricate negativamente (carica negativa complessiva) e fatte correre su gel di poliacrilammide. In questo modo vengono separate e, una volta legate dal loro anticorpo specifico, identificate in base al loro peso molecolare. La tecnica del western blot ha il vantaggio di essere molto specifica e sensibile, e il suo utilizzo permette di saggiare l’aumento o la diminuzione della concentrazione di qualsiasi proteina di interesse in seguito a un trattamento.
1.4. Circuiti neurali coinvolti nell’apprendimento in seguito
a classical fear conditioning
Nel condizionamento classico lo stimolo incondizionato (US) a cui viene associato lo stimolo condizionato (CS) può essere uno stimolo nocivo o di paura; in questo caso si parla di condizionamento pavloviano alla paura. Da parte degli organismi risulta fondamentale, ai fini della sopravvivenza nel regno animale, apprendere le relazioni tra gli eventi avversivi e gli stimoli ambientali che li precedono e/o li accompagnano (Maren, 2001). Le varie specie animali mostrano comportamenti adattativi simili in condizioni potenzialmente nocive e di paura: un esempio è proprio l’apprendimento degli stimoli di paura, riscontrabile sia nei ratti che nell’uomo. Le risposte alla paura si instaurano anche in seguito a pochi accoppiamenti tra il CS e l’US (Fanselow, 1980; 1990; Muller, Corodimas, Fridel and LeDoux, 1997), e vengono mantenute per lunghi periodi di tempo (fino a diversi giorni dal condizionamento) costituendo una forma di memoria a lungo termine (Kim and Fanselow, 1992; Sacchetti, Ambrogi Lorenzini, Baldi, Tassoni and Bucherelli,
1999a). I circuiti nervosi implicati nel condizionamento alla paura sono stati studiati tramite l’accoppiamento di una scarica elettrica (l’US) a un suono (il CS). In seguito all’associazione tra i due stimoli, quando viene presentato il solo CS si osserva il freezing del soggetto, una forte risposta comportamentale di paura definita come una totale assenza di movimenti ad eccezione di quelli oculari e respiratori (Fanselow,1990; LeDoux, 1995). Inoltre il freezing è accompagnato da un aumento della pressione arteriosa e della frequenza del battito cardiaco. Il training è composto da tre fasi: habituation, durante la quale il ratto si abitua all’ambiente (nessuno stimolo presentato); conditioning che consiste nell’appaiamento tra lo stimolo condizionato sonoro (CS) con lo stimolo incondizionato rappresentato da scosse elettriche (US); testing, cioè la presentazione del CS il giorno successivo e in assenza di US (fase in cui avviene la risposta di freezing). Se i ratti ricevono presentazioni spaiate di CS e US durante il condizionamento, il freezing non sarà osservato, segno di mancata associazione tra CS e US. (Fig.3).
Attraverso la via uditiva lo stimolo sonoro raggiunge il talamo e da qui passa alla corteccia uditiva. Se il talamo viene danneggiato non vengono più osservate le risposte di paura, mentre un danneggiamento delle aree corticali uditive non pregiudica l’osservazione di queste risposte, implicando il coinvolgimento di altre zone cerebrali (LeDoux, 1995). Varie osservazioni hanno dimostrato che questo tipo di apprendimento dipende direttamente dall’attivazione dell’amigdala (LeDoux, 2000; Maren, 2001). Il complesso dell’amigdala è costituito dalle quattro regioni distinte dell’amigdala centrale, mediale, laterale e basolaterale , ognuna delle quali presenta caratteristiche anatomiche e funzionali simili fra l’uomo e il ratto. L’interruzione dei collegamenti tra talamo e amigdala pregiudica il condizionamento alla paura, e anche il
trattamento farmacologico del nucleo basolaterale dell’amigdala ha come conseguenza l’inibizione del condizionamento, andando a bloccare la stabilizzazione duratura delle tracce mnemoniche (LeDoux, 2000). Lo stimolo uditivo e quello somatosensoriale (rappresentato dal dolore) convergono nell’amigdala laterale, la quale riceve informazioni da entrambi i sistemi, sia dal talamo che dalla corteccia.
Fig.3: Schema del Fear Conditioning (tratto da LeDoux, 2007).
Le informazioni riguardanti lo stimolo possono giungere all’amigdala attraverso due vie distinte: la via extralemniscale (o via bassa) e la via lemniscale (o via alta) (LeDoux, 1992; Doron and LeDoux 2000). La extralemniscale è una via subcorticale che trasferisce le informazioni sensoriali in modo rapido ma approssimativo al talamo che a sua volta invia segnali direttamente all’amigdala. Il talamo trasmette all’amigdala
un segnale non elaborato, perché non è in grado di processare in maniera fine le informazioni sensoriali prima di inviarle all’amigdala. Allo stesso tempo le informazioni relative allo stimolo giungono all’amigdala attraverso la via lemniscale: in questo caso dal talamo l’informazione sensoriale viene proiettata prima alla corteccia sensoriale, e da questa giunge all’amigdala dopo essere stata elaborata. Questa via risulta infatti meno rapida della extralemniscale, ma è più specializzata nel processare le informazioni acquisite. L’esistenza di due vie separate che proiettano però entrambe alla stessa regione cerebrale può apparire ridondante. In realtà l’esistenza di due circuiti, uno più veloce e approssimativo e uno più lento e dall’analisi particolareggiata, sottolineano l’importanza della risposta a stimoli avversivi dal punto di vista adattativo e della sopravvivenza. La via bassa permette all’amigdala di ricevere l’informazione rapidamente, così da preparare l’amigdala a rispondere immediatamente se le informazioni che arrivano dalla via alta confermano che lo stimolo è minaccioso. La via extralemniscale rappresenta quindi una sorta di sistema d’allarme a stimoli potenzialmente nocivi mentre quella lemniscale elabora le informazioni e valuta l’effettiva pericolosità degli stimoli e dunque delle situazioni di pericolo ad essi associate. Nel ratto il tempo necessario a uno stimolo per percorrere la via bassa è di circa dodici millisecondi. Questo intervallo di tempo viene raddoppiato nel caso di uno stimolo che percorra la via alta. Dal punto di vista adattativo è importante quindi che il soggetto venga messo in allerta da uno stimolo potenzialmente nocivo, anche se ad una analisi più approfondita questo stimolo potrebbe corrispondere a una situazione non pericolosa.
Dall’amigdala laterale la stimolazione, attraverso i nuclei basolaterali e mediali, raggiunge l’amigdala centrale. Da qui i segnali in uscita
raggiungono le strutture del tronco dell’encefalo che controllano le risposte comportamentali, endocrine e del sistema nervoso autonomo, che accompagna la reazione alla paura (Fig.4).
Fig.4: Circuiti del condizionamento uditivo alla paura: CS,stimolo condizionato; US, stimolo incondizionato; La, amigdala laterale; Ce, amigdala centrale; B, amigdala basale; CG, grigio centrale; LH, ipotalamo laterale; ITC, cellule intercalate dell’amigdala; PVN, nucleo paraventricolare dell’ipotalamo (tratto da LeDoux, 2007).
I centri che ricevono dall’amigdala centrale sono il nucleo della stria terminale, il nucleo parabrachiale, il grigio centrale, l’ipotalamo laterale e il nucleo reticolaris pontis caudalis. In particolare l’ipotalamo processa le risposte del sistema endocrino e di quello nervoso autonomo ed è
responsabile del controllo di temperatura corporea, frequenza cardiaca, pressione arteriosa e dell’assunzione di acqua e cibo (LeDoux, 2007).
1.5. Il modello sperimentale del contextual fear conditioning
Una variante del condizionamento classico alla paura è il contextual fear
conditioning (CFC) o condizionamento contestuale alla paura. Durante
questa procedura i ratti vengono inseriti in un apparato di condizionamento e vengono lasciati liberi di esplorare la camera per alcuni minuti in modo da poter acquisire informazioni generali sull’ambiente circostante. In seguito ai ratti viene applicato un pattern di scariche elettriche che rappresentano l’US, lo stimolo nocivo. Quando il ratto condizionato viene reinserito nell’apparato di condizionamento senza l’applicazione di stimoli nocivi (retrieval test) mostra una risposta di freezing identica a quella osservabile tramite il classical fear
conditioning. Nel CFC però è l’ambiente o contesto, inteso come
l’insieme di tutte le informazioni sensoriali recepibili durante l’addestramento, a rappresentare il CS e a scatenare la risposta condizionata. Infatti il freezing non viene rilevato nel caso che il topo condizionato venga immesso in un ambiente diverso da quello di condizionamento. I soggetti sperimentali sono stati divisi in quattro gruppi: ratti condizionati (animali soggetti a CFC), exploration (animali che esplorano liberamente l’apparato), naïve (che non entrano mai nell’apparato di condizionamento) o shock-only (animali che ricevono lo stesso numero di scosse di intensità pari a quella dei condizionati, ma a intervalli minori così da non poter associare US al contesto). Vari studi hanno dimostrato che i ratti condizionati esibiscono freezing duraturo
quando sottoposti a retrieval test 10 minuti, 1 giorno, 7 giorni e 28 giorni dopo il condizionamento, mentre agli stessi intervalli di tempo la risposta condizionata di paura non è osservabile in animali sottoposti alla procedura “exploration” (Fanselow, 1990; Milanovich, Radulovic, Laban, Stiedl, Henn and Spiess, 1998), alla procedura “shock-only” (Fanselow, 1990; Milanovich, Radulovic, Laban, Stiedl, Henn and Spiess, 1998) e naturalmente negli animali naïve.
Numerosi studi hanno dimostrato che il CFC è legato all’attivazione sia dell’amigdala che dell’ippocampo (Phillips and LeDoux, 1992; Rodrigues, Schafe and LeDoux, 2001). L’ippocampo ha un’importanza fondamentale nella formazione e nel consolidamento delle relazioni tra situazioni o stimoli diversi (Rudy, Huff and Matus-Amat, 2004; Anagnostaras, Gale and Fanselow, 2001). In particolare l’ippocampo sarebbe importante nell’associazione di più stimoli durante il condizionamento. In seguito alla costruzione di un quadro unificato del contesto l’ippocampo si attiverebbe solo per richiamare le associazioni formate precedentemente. Infatti se l’ippocampo viene danneggiato prima o subito dopo il condizionamento si ha la perdita delle risposte di paura, mentre le lesioni effettuate diversi giorni dopo l’addestramento non impediscono l’acquisizione delle risposte condizionate (O’Keefe
and Nadel, 1978; Morris, Anderson, Lynch and Baudry, 1986; Squire,
1992; Young, Bohenek and Fanselow, 1994; McNisch, Gewirtz and Davis,1997; Burgess, Jeffery and O’Keefe, 1999). E’ interessante notare che l’inibizione sperimentale della funzionalità dell’ippocampo induce amnesia solo nel caso della ritenzione della memoria della paura contestuale (Phillips and LeDoux, 1992). Queste evidenze indicano l’ippocampo come il centro dell’acquisizione e del mantenimento temporaneo del CS, ossia del contesto. L’amigdala invece sembra
coinvolta nell’associazione fra US e CS, nell’elaborazione delle singole entrate sensoriali, nell’attribuzione ad esse di un significato emotivo e nella produzione delle risposte di paura (Maren and Fanselow, 1996; Lee, Walker and Davis, 1996). L’inattivazione dell’amigdala durante la fase di acquisizione determina amnesia sia durante il paradigma di condizionamento alla paura acustico che contestuale (Phillips and LeDoux, 1992; Rosen, Hitchcock, Miserendino, Falls, Campeau and Davis, 1992; Maren, Aharonow and Fanselow, 1996). Altri studi hanno determinato il ruolo di diverse aree corticali nell’apprendimento in seguito a condizionamento (Sacchetti, Ambrogi Lorenzini, Baldi, Bucherelli, Roberto, Tassoni and Brunelli, 2002). In particolare, la corteccia pre-frontale ha un ruolo importante nel modulare le risposte agli stimoli nocivi utilizzati per indurre il condizionamento, mentre la corteccia frontale e quella parietale sono importanti per il freezing
(indotto sia dal condizionamento alla paura acustico che contestuale),
mentre la corteccia peririnale sembra essere necessaria sia per la fase di acquisizione che per la fase di consolidamento della traccia mnemonica in seguito a condizionamento alla paura (Sacchetti, Ambrogi Lorenzini, Baldi, Tassoni and Bucherelli 1999b). E’ stato suggerito che durante la fase di acquisizione l’informazione acustica giunga all’amigdala tramite la corteccia frontale e parietale (LeDoux, 2000). In condizioni normali la corteccia prefrontale, tramite le sue connessioni con l’amigdala, inibisce lo stato di paura (Morgan and LeDoux, 1995). Poco è ancora noto circa le vie che trasferiscono le informazioni riguardanti il contesto all’ippocampo, ma è stato ipotizzato che le informazioni contestuali possono raggiungere l’ippocampo tramite questa area corticale in seguito ai risultati ottenuti dall’inattivazione dell’attività di quest’area indotta tramite somministrazione di lidocaina (LIDO) (Morgan and LeDoux,
1995; LeDoux, 2000). Gli stessi risultati sono stati ottenuti tramite esperimenti analoghi condotti sia sui primati che su altri mammiferi. Ciò sottolinea da una parte l’importanza delle strutture nervose dell’amigdala, dell’ippocampo e di alcune aree corticali a loro adiacenti nei processi di apprendimento e memoria legati al condizionamento alla paura, dall’altra come l’apprendimento relativo agli stimoli nocivi sia un modello diffuso nel mondo animale che coinvolge circuiti neurali simili nelle diverse specie di vertebrati, uomo compreso.
1.6. Modificazione dell’ eccitabilità del tessuto ippocampale
in seguito a contextual fear conditioning
Studi elettrofisiologici, condotti dal nostro gruppo di ricerca in collaborazione con il gruppo diretto dal prof. Bucherelli dell’Università di Firenze, hanno evidenziato l’importanza dell’ippocampo nell’acquisizione e nel consolidamento delle risposte in seguito a
contextual fear conditioning nel ratto. A livello delle sinapsi tra gli
assoni dei neuroni dello strato CA3 e i dendriti dei neuroni del campo CA1 è stato rilevato un aumento dell’eccitabilità in rapporto diretto con il consolidamento della risposta di freezing (Sacchetti, Ambrogi Lorenzini, Baldi, Bucherelli, Roberto, Tassoni and Brunelli, 2001). In queste ricerche sono stati utilizzati i soggetti sperimentali descritti nel precedente paragrafo: ratti condizionati sottoposti a CFC, exploration,
naïve e shock-only. I ratti condizionati hanno mostrato freezing duraturo
quando sottoposti a retrieval test immediatamente dopo l’addestramento e anche 1, 7 e 28 giorni dopo il condizionamento. L’analisi degli altri tre
gruppi sperimentali non ha invece fatto registrare una risposta duratura di freezing (fig.5).
Fig.5: Misurazione della durata della risposta di freezing nei 4 gruppi sperimentali subito dopo il CFC (0), 1,7 e 28 giorni dopo il condizionamento (tratto da “Sacchetti et al., 2001).
In tutti e quattro i gruppi sperimentali sono state misurate le modificazioni dell’eccitabilità ippocampale misurando le input/output
curves (IOC), tramite l’applicazione di un singolo stimolo di bassa
intensità a slices di ippocampo preparate a diversi intervalli di tempo dal condizionamento. Dalle registrazioni è stato osservato che a 28 giorni dal condizionamento non è osservabile nessuna modificazione dell’eccitabilità sinaptica. Un aumento dell’eccitabilità sinaptica si ha però nel gruppo di animali condizionati a partire da 1 fino a 7 giorni dopo il condizionamento, mentre nel gruppo degli exploration è stato
osservato un aumento dell’eccitabilità solo a breve distanza di tempo dall’esplorazione (Fig.6). Ciò indica che gli stimoli contestuali da soli sono in grado di attivare i meccanismi che controllano l’eccitabilità sinaptica, ma questi si disattivano se gli stimoli contestuali non vengono associati a stimoli nocivi.
Fig.6: a) Time course dell’attività ippocampale tramite misurazione delle IOC su slices di ippocampo dei gruppi esaminati b) Risultati dell’analisi statistica delle registrazioni effettuate (tratto da “Sacchetti et al., 2001).
Il fatto che l’aumento dell’eccitabilità sinaptica sia registrabile solo fino a sette giorni dopo il CFC mentre la risposta di freezing permanga fino a 28 giorni dal condizionamento (fig.7 e fig.6) indica che l’ippocampo non è direttamente coinvolto nella conservazione a lungo termine delle
risposta contestuale alla paura. La riduzione dell’incremento dell’attività sinaptica a distanza di sette giorni dall’addestramento può essere dovuta alla trasformazione delle tracce mnemoniche appena consolidate in altre forme di memoria.
Gli effetti del CFC sull’eccitabilità sinaptica sono stati studiati anche per mezzo di stimolazioni tetaniche ad alta frequenza (HFS) su slices della regione CA1 dell’ippocampo di ratto preparate subito dopo il condizionamento, dopo 1 giorno, e dopo 7 giorni (Sacchetti, Ambrogi Lorenzini, Baldi, Bucherelli, Roberto, Tassoni and Brunelli, 2002). Normalmente in seguito a stimolazione di tipo HFS si osserva un precoce e transiente potenziamento dell’attività sinaptica conosciuto come short-term potentiation (STP) (Malenka, 1991; Bliss and Collingridge, 1993; Schulz, Cook and Johnston, 1994), seguito dal potenziamento più duraturo del long-term potentiation (LTP). Nel caso dei ratti sottoposti a CFC, invece, si nota una diminuzione dell’STP che inizia subito dopo il condizionamento e permane per alcune ore. La diminuzione dell’LTP è ancora presente a 24 ore dal condizionamento, ma non dopo sette giorni. Queste modificazioni non sono osservabili nei soggetti naïve né negli shock-only, dunque appaiono direttamente correlate al CFC. Nei soggetti exploration sono presenti diminuzioni dell’LTP ma solo immediatamente dopo il condizionamento; l’STP invece non risulta mai modificato (Sacchetti, Ambrogi Lorenzini, Baldi, Bucherelli, Roberto, Tassoni and Brunelli, 2002; Waters, Klintsova and Foster, 1997).
Il fatto che la diminuzione dell’STP sia misurabile solo subito dopo il condizionamento suggerisce che questa modificazione è correlata alla fase di associazione del CS-US, che si verifica immediatamente al termine del condizionamento, e non al consolidamento dell’associazione
stessa, che avviene invece successivamente. Questi risultati mostrano che il processo di apprendimento delle risposte contestuali di paura influenza in maniera diversa l’eccitabilità sinaptica e l’induzione di STP e LTP nella regione CA1. Altri studi hanno evidenziato una riduzione dell’LTP prima e dopo un aumento dell’attività sinaptica (Huang, Colino, Selig and Malenka, 1992) e un incremento dell’eccitabilità sinaptica associato a un calo dell’induzione dell’LTP nella corteccia motrice di ratti in seguito ad apprendimento di compiti motori (Rioult-Pedotti, Friedmann and Donoghue, 2000). Di conseguenza è stata avanzata l’ipotesi che il rafforzamento dell’attività sinaptica, durante i processi di consolidamento della memoria, coinvolga un meccanismo LTP-simile (Martin and Shapiro, 2000). Nelle fasi iniziali che seguono la sessione di addestramento sia STP che LTP sono bassi e sottendono ai meccanismi neuronali della memoria a breve termine (Kim and Fanselow, 1992; Abel, Martin, Bartsch and Kandel, 1998). Nella successiva fase di consolidamento, invece, solo l’induzione dell’LTP viene ad essere aumentata. A 7 giorni dal condizionamento l’LTP non mostra più modificazioni ma altri studi dimostrano che l’ippocampo è ancora coinvolto in processi associativi a lungo termine (Kim and Fanselow 1992; Thompson, Moyer and Disterhoft, 1996; Riedl, Micheau, Lam, Roloff, Martin, Bridge, De Hoz, Poeschel, McCulloch
and Morris, 1999; Shimizu, Tang, Rampon and Tsien., 2000). Questi
processi tardivi sembrano essere distinti da quelli correlati alle fasi precoci della memorizzazione. Infatti risulta più difficoltoso promuovere la loro disattivazione, e la perdita di memoria in questo caso è possibile solo in seguito a lesioni irreversibili o inattivazioni reversibili ripetute.
1.7. Modificazioni dell’espressione genica e della sintesi
proteica in seguito a contextual fear conditioning
Vari studi hanno dimostrato che l’espressione genica e la sintesi proteica sono fondamentali per l’acquisizione e il consolidamento della memoria. Tramite infusioni intra-amigdaloidee di inibitori della trascrizione di mRNA è stata osservata una perdita delle tracce mnemoniche durature riguardanti la paura contestuale (Bailey, Kim, Helmstetter, Sun and Thompson, 1999). Inoltre infusioni intra-amigdaloidee di inibitori della sintesi della proteina chinasi A (PKA) danneggiano il consolidamento della memoria a lungo termine relativa alla paura, ma non quella a breve termine (Abel, Nguyen, Barad, Deuel, Kandel and Bourtchouladze, 1997). E’ stato osservato che la somministrazione intraventricolare di tre inibitori (anisomicina, Rp-cAMPS e pd098059) delle chinasi attivate da fitogeni (MAPK) impediscono la formazione della memoria a lungo termine ma non di quella a breve termine, dimostrando che l’attivazione delle MAPK chinasi è necessaria per il controllo dell’espressione genica e della sintesi proteica alla base del consolidamento della memoria alla paura (Schafe, Atkins, Swank, Bauer, Sweat and LeDoux, 2000). Topi
knockout per la cAMP response element binding protein (CREB),
mostrano deficit della memoria a lungo termine, ma non di quella a breve termine; CREB funziona da fattore di trascrizione coinvolto nel controllo dell’espressione genica per il consolidamento della memoria alla paura (Abel, Nguyen, Barad, Deuel, Kandel and Bourtchouladze, 1997) (Fig.7).
Fig.7: modello del consolidamento della memoria alla paura nell’amigdala laterale (LA). (1) Meccanismi di acquisizione della memoria a breve termine (STM). (2) Attivazione delle MAPK. (3) Trascrizione mediate da CREB e da CRE. (4) Sintesi proteica. (5) Presunta presenza di segnali retrogradi e di modificazioni presinaptiche (6) (tratto da LeDoux, 2007).
In seguito a CFC sono state osservate modulazioni dell’espressione genica e variazioni della sintesi proteica sia nell’ippocampo che nell’amigdala (Hall, Thomas and Everitt, 2001). Ratti sottoposti prima del condizionamento a microinfusioni di actinomicina-D (act-D, un inibitore della sintesi proteica) nell’amigdala basolaterale, presentano una riduzione delle risposte apprese a partire da 24 ore fino a 48 ore dopo le microinfusioni. Quindi la sintesi di nuove proteine nell’amigdala permetterebbe il mantenimento a lungo termine delle associazioni apprese durante il FC (Bailey, Kim, Helmstetter, Sun and Thompson, 1999). Altre ricerche hanno messo in evidenza una rapida e selettiva induzione dell’espressione del gene codificante il BDNF (brain
derived neurotrophic factor) nell’area CA1 dell’ippocampo durante
neurotrofico evidenzia il suo coinvolgimento nella plasticità sinaptica nel sistema nervoso centrale dell’adulto e suggerisce che sia correlato con l’apprendimento ippocampale in vivo (Hall, Thomas and Everitt, 2001). Studi recenti hanno evidenziato differenti patterns di espressione genica nell’ippocampo e nell’amigdala in seguito a fear conditioning tramite l’utilizzo della tecnica del DNA microarray (Mei, Li, Dong, Jiang, Wang and Hu, 2005). E’ stata determinata una modulazione dell’espressione genica di 222 geni nell’amigdala e di 145 geni nell’ippocampo a partire da 0.5, 6 e 24 ore dopo il condizionamento. Nell’ippocampo la maggior parte dei geni regolati appartiene alle categorie funzionali delle proteine segnale, dei fattori di trascrizione e delle proteine coinvolte nella formazione, nell’assemblaggio e nel trasporto delle vescicole (Mei, Li, Dong, Jiang, Wang and Hu, 2005). Molte delle proteine individuate nell’ippocampo, sono coinvolte anche in malattie neurodegenerative dell’Uomo come ad esempio la proteina precursore dell’amiloide (APP) della malattia di Alzheimer. In seguito a CFC infatti risulta una diminuzione dell’espressione del gene codificante per l’APP e di geni codificanti proteine che interagiscono con l’APP. Nell’amigdala la maggior parte dei geni la cui espressione risulta modulata in seguito a CFC codifica per proteine strutturali e per proteine di adesione cellulare tipiche delle strutture sinaptiche, dendritiche e assonali come ad esempio l’actina, la spectrina cerebrale, la tubulina e le proteine associate ai microtubuli (Van Rossum and Hanisch, 1999). Sono stati inoltre individuati geni coinvolti nel turn-over e nella regolazione fisiologica dei recettori ionotropici, tra i quali il gene codificante per la proteina associata al recettore GABAA (GABARAP),
la quale modula la cinetica del canale promuovendo il clustering dei recettori GABAA (Chen, Wang, Vicini and Olsen, 2000). In seguito al
CFC è stato osservato inoltre un aumento dell’espressione dei geni specifici della glia (Mei, Li, Dong, Jiang, Wang and Hu, 2005). Questo dato è in linea con la recente osservazione secondo cui le cellule gliali sarebbero coinvolte nei fenomeni che controllano il numero di sinapsi in
vitro, e con la possibilità che la glia possa giocare un ruolo importante
nei cambiamenti che sono alla base della plasticità sinaptica (Ullian. Sapperstein, Christopherson and Barres, 2001).
Varie evidenze sperimentali sottolineano l’importanza dei diversi profili di espressione genica e della sintesi proteica nell’ippocampo e nell’amigdala in risposta al condizionamento alla paura. Lo studio pubblicato nel 2005 da Mei e collaboratori mostra analogie, ma anche importanti differenze, con quello proposto dal nostro gruppo di ricerca. Lo scopo della ricerca è stato, anche in questo caso, cercare di identificare i geni coinvolti nell’ apprendimento delle risposte di paura. Una prima differenza è il tipo di animali utilizzati: negli esperimenti di Mei sono stati utilizzati topi adulti dell’età di 5 mesi; non sembra sia stata fatta una discriminazione per quanto riguarda il sesso degli animali. Il nostro gruppo di ricerca ha invece utilizzato ratti Wistar albini maschi adulti (80 giorni). La scelta di animali maschi è dovuta a possibili differenze nella risposta al condizionamento contestuale alla paura fra i due sessi. Queste ipotesi sono state supportate da recenti studi, i quali hanno dimostrato che i ratti maschio presentano una più alta ritenzione della memoria contestuale alla paura dei ratti femmina. Questo fenomeno sembra dipendere da una diversa attivazione di ERK nell’ippocampo correlata al genere sessuale (Gresack, Schafe, Orr and Frick, 2009). Inoltre nello studio di Mei e collaboratori i controlli non appaiono sufficienti, dato che i topi non sono stati sottoposti a condizioni non legate alla memoria. Una seconda differenza è l’uso della tecnica di
condizionamento. Il gruppo di Mei ha usato il paradigma del classical
conditioning, mentre il nostro gruppo ha condizionato i ratti tramite il contextual fear conditioning. Come spiegato precedentemente, il CFC si
basa sul riconoscimento dell’ambiente da parte del soggetto, mentre nel classical fear conditioning non è così. Dunque anche i circuiti neurali coinvolti possono essere diversi. Una terza fondamentale differenza tra i questi due approcci sperimentali è il tempo di prelievo dei campioni una volta avvenuto il condizionamento. Nello studio del gruppo di Mei i campioni sono stati prelevati da amigdala e ippocampo a 0.5, 6 e 24 ore dal condizionamento. Alla base di questa scelta sembra esserci l’intenzione di delineare un prospetto generale dei geni coinvolti nel condizionamento alla paura e, quindi, alla base della memoria. In realtà questo prospetto appare incompleto, in quanto la risposta di freezing è osservabile a diversi giorni di distanza dal condizionamento (fino a 28 giorni nei ratti sottoposti a CFC). Inoltre gli intervalli di tempo presi in esame dal gruppo di Mei si riferiscono alla memoria a breve termine. Infatti, come dimostrato dagli esperimenti di eccitabilità descritti a pag. 22, nel corso delle 24 ore successive al training di condizionamento si ha una riduzione di STP e LTP. Il nostro gruppo ha invece focalizzato l’attenzione su geni differenzialmente espressi a 48 ore dal training di condizionamento. Questo perché, come detto, registrazioni elettrofisiologiche effettuate dal nostro gruppo hanno evidenziato un aumento dell’eccitabilità ippocampale in seguito a CFC. Il picco di questo aumento è stato registrato proprio a 48 ore di distanza dal training, dunque abbiamo ritenuto motivo di interesse analizzare a questo intervallo temporale le dinamiche di espressione genica e la presenza di proteine funzionali alla memoria. A questo proposito, tramite l’uso della tecnica SSH, sono state costruite librerie di cDNA di geni candidati ad
essere differenzialmente espressi fra i ratti condizionati e i naïve. Una volta costruite le librerie, tramite la tecnica della RT-PCR real time sono stati isolate le sequenze dei geni la cui espressione è effettivamente modulata in seguito a CFC. Comparando queste sequenze con quelle presenti in banche dati, questi geni sono stati identificati e raggruppati in varie classi funzionali :
- Geni correlati alla modulazione sinaptica - Geni implicati nel turn-over proteico - Geni implicati nell’apoptosi
- Geni implicati nell’attività mitocondriale - Geni implicati nella trasduzione del segnale - Geni coinvolti in processi cellulari vari
Nonostante il nostro interesse si sia focalizzato sul picco di eccitabilità ippocampale, ciò non esclude che, a tempi diversi dal condizionamento, l’espressione dei pool genici da noi identificati possa variare, né che altri geni, che a 48 ore dal training non mostrano variazione di espressione, possano prima e/o dopo le 48 ore subire una modulazione di espressione. Le ricerche future potrebbero essere indirizzate in tal senso all’identificazione dei geni coinvolti nel fenomeno di apprendimento delle risposte alla paura nel time course che segue il condizionamento.