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1. INTRODUZIONE 1.1 Risposte innate e risposte condizionate

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1. INTRODUZIONE

1.1 Risposte innate e risposte condizionate

Il comportamento è definito come l’insieme delle reazioni oggettive a uno stimolo o a una serie di stimoli da parte di un organismo. Tali reazioni possono essere indotte sia da stimoli interni al corpo (pulsioni) o esterni provenienti dall’ambiente circostante. In tutti gli organismi il comportamento dipende dall’interazione di fattori genetici e di fattori ambientali. I meccanismi più importanti con cui l’ambiente influisce sul comportamento sono l’apprendimento e la memoria. L’apprendimento è il processo mediante il quale sono acquisite nuove conoscenze sull’ambiente circostante, mentre la memoria è il processo mediante il quale tali conoscenze vengono codificate, conservate e infine utilizzate. La memoria viene distinta in implicita o esplicita a seconda delle modalità con cui vengono conservate e richiamate le informazioni. La memoria implicita (o anche memoria non dichiarativa) riguarda le modalità di esecuzione delle azioni comportamentali e viene richiamata alla mente in modo inconscio; questo tipo di memoria è, in generale, connessa con l’addestramento all’esecuzione di compiti, motori o percettivi, di tipo riflesso. La conoscenza di fatti relativi a persone, a luoghi o cose ed il

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loro significato viene indicata come memoria esplicita (o memoria dichiarativa). Questo tipo di memoria è richiamata alla mente con sforzi deliberati e coscienti. La memoria esplicita è molto duttile e richiede la capacità di associare numerosi e diversi elementi informativi. La memoria implicita, al contrario, è assai più rigida ed è strettamente connessa alle condizioni originali nelle quali ha avuto luogo l’apprendimento. La memoria esplicita può essere ulteriormente suddivisa in una memoria episodica, che riguarda eventi ed esperienze personali e una memoria semantica, che riguarda la conoscenza di fatti e nozioni.

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Le nozioni conservate come memorie esplicite vengono inizialmente elaborate in una o più delle cortecce associative polimodali (cortecce prefrontale, limbica e parieto-temporo-occipitale) che sintetizzano le informazioni di natura visiva, uditiva e somatica. Da qui le informazioni vengono trasferite, in serie, alle cortecce paraippocampica e peririnale, e quindi alla corteccia entorinale, al giro dentato, all’ippocampo, al subiculum e infine di nuovo alla corteccia entorinale. Da quest’ultima le informazioni vengono rinviate alle cortecce paraippocampica e peririnale e infine ancora alle cortecce associative polimodali del neocortex.

Fig.2: Vie di ingresso e di uscita della formazione ippocampica (tratto da “Kandel

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La memoria implicita si instaura in seguito alla ripetizione di molti tentativi, e si esprime soprattutto sotto forma di prestazioni e non di parole. Sono esempi di memoria implicita le abilità motorie e percettive nonché l’apprendimento di certi tipi di procedure o di regole. Questo tipo di memoria viene custodita nei circuiti percettivi, motori e limbici. La memoria implicita è distinta ulteriormente in non associativa ed associativa. Nell’apprendimento non associativo il soggetto apprende quali siano le proprietà di un singolo stimolo. Nell’apprendimento associativo, invece, l’individuo impara quali sono le relazioni che intercorrono fra due stimoli o fra uno stimolo ed un comportamento. L’apprendimento non associativo si manifesta quando un animale o un soggetto viene esposto una sola volta o ripetutamente ad un unico tipo di stimolo. Due forme di apprendimento non associativo si verificano assai spesso nella vita di tutti i giorni: l’abitudine e la sensitizzazione. Anche nell’ambito dell’apprendimento associativo si possono distinguere due forme di apprendimento distinte in base alle procedure sperimentali che si impiegano per ottenere l’apprendimento stesso: il condizionamento classico o Pavloviano, che comporta l’apprendimento dei rapporti che intercorrono fra due stimoli, ed il condizionamento operante o Skinneriano, che comporta l’apprendimento della relazione esistente

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fra un comportamento del soggetto e le conseguenze che derivano dal comportamento stesso.

Il condizionamento classico (CC) fu introdotto, per la prima volta nello studio dell’apprendimento, verso l’inizio del secolo scorso dal fisiologo russo Ivan Pavlov. Egli osservò che, se si presenta ripetutamente ad un soggetto sperimentale (ad esempio, un cane) uno stimolo neutro (come il suono di un campanello) definito “stimolo condizionato” (CS), in stretta associazione temporale con la presentazione di uno stimolo (come la vista del cibo), definito “incondizionato” (US) in grado di indurre una certa risposta innata (come l’aumento della salivazione), la successiva presentazione del CS anche in assenza dell’US induce la risposta innata,che in questo caso, è definita risposta indotta o appresa o appunto “condizionata”. La caratteristica fondamentale del CC consiste, quindi nell’accoppiamento di due stimoli CS e US. Il primo (CS) viene scelto in quanto o non è in grado di produrre alcuna risposta apprezzabile o determina deboli risposte che, in generale, non hanno relazione con quelle che devono venir apprese. Il secondo (US) viene scelto perché determina sempre la comparsa di una risposta comportamentale forte ed evidente. Pavlov dimostrò che le condizioni necessarie affinchè si possano instaurare le risposte apprese devono essere molto ben

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definite: i due stimoli CS e US devono essere presentati al soggetto sperimentale contemporaneamente oppure il CS deve precedere di poco l’US; durante la presentazione di CS ed US non devono essere forniti altri stimoli, che potrebbero ostacolare l’associazione CS-US; l’associazione CS-US deve essere ripetuta un numero sufficiente di volte. Durante il CC, è proprio il ripetuto accoppiamento di CS con US che trasforma CS in un segnale anticipatorio di US. Pertanto, dopo un certo numero di ripetizioni, l’animale risponderà a CS come se si apprestasse a ricevere US. In altri termini, il CC rappresenta un paradigma sperimentale attraverso il quale il soggetto impara a prevedere gli eventi che si verificheranno nell’ambiente che lo circonda.

1.2 Risposte condizionate alla paura

E’ stato dimostrato che tutti gli animali in grado di sviluppare un condizionamento associativo, dalle lumache all’Uomo, mettano in relazione gli eventi che si verificano nell’ambiente circostante in base al loro nesso causale e non semplicemente in base alla loro contiguità. Tale facoltà è così simile nell’ Uomo e negli animali più semplici

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perchè tutti quanti devono affrontare analoghi problemi di sopravvivenza e di adattamento nell’ambiente in cui vivono.

Possono divenire risposte condizionate non solo quelle risposte innate relative agli stimoli alimentari studiate da Pavlov, ma anche quelle relative a stimoli di altra natura. Tra queste, quelle indotte dalla presenza di un pericolo sono state e sono tuttora correntemente studiate in molti modelli animali e sono definite risposte condizionate di paura o fear conditioning responses. Come le altre risposte apprese, esse si basano sui processi neurali di apprendimento e memoria, e consentono a ogni singolo individuo di rispondere nella maniera tendenzialmente più efficace (le risposte innate) a stimoli, i quali senza l’apprendimento non indurrebbero le risposte spontanee di paura. Questa possibilità è essenziale per la sopravvivenza, in quanto consente di apprendere quali siano gli stimoli (o informazioni) che indicano la presenza di un pericolo e di associarli ad esso. Trattandosi di sopravvivenza, il condizionamento classico alla paura viene rapidamente appreso: può bastare anche una sola associazione. Inoltre, è duraturo, potendo durare anche per tutta la vita. Le risposte condizionate alla paura possono essere facilmente indotte anche sperimentalmente. Infatti, se ad un soggetto sperimentale ( ad esempio, un ratto) si presenta uno stimolo sensoriale (che può essere

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rappresentato da un suono o una luce) neutro (agente quindi da CS) in stretta associazione temporale con uno stimolo avversivo (rappresentato ad esempio da una scossa elettrica dolorosa alle zampe), la successiva presentazione del CS indurrà nell’animale le risposte di paura, anche senza la presenza dell’US. Come le risposte di paura apprese in natura, anche queste risposte apprese sperimentalmente possono instaurarsi in seguito a pochi o un solo accoppiamento CS-US, e possono essere ritenute per lungo tempo. Molto di ciò che è noto sulla memoria emozionale deriva proprio dallo studio del condizionamento classico alla paura; questo tipo di memoria permane nel tempo e gioca un importante ruolo nella regolazione delle risposte comportamentali degli animali. Tale tipo di condizionamento dipende esclusivamente dall’attivazione dell’amigdala (Kim and Fanselow, 1992; LeDoux 2000; Maren, 2001). Il condizionamento contestuale alla paura o contextual fear

conditioning (CFC) richiede, invece, l’attivazione sia dell’amigdala

che dell’ippocampo (Rodrigues, Schafe and LeDoux, 2001). Nel CFC lo stimolo condizionato (CS) è rappresentato dall’apparato sperimentale di condizionamento, mentre lo stimolo incondizionato (US), come per il condizionamento classico alla paura, è rappresentato da una scossa elettrica alle zampe (LeDoux, 1995). E’ noto che, dopo

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essere stati sottoposti al paradigma comportamentale del CFC, i soggetti addestrati apprendono con maggior facilità e mostrano di associare l’ambiente in cui si trovano agli stimoli avversivi (US) forniti loro durante l’esplorazione dell’apparato di condizionamento. I ratti addestrati mostrano freezing o immobilità ogni volta che sono inseriti nell’apparato di condizionamento (retrieval test)

La risposta di freezing è definita come la completa assenza di mobilità del corpo ad eccezione dei movimenti respiratori (Fanselow, 1990; Kim, Rison, Fanselow, 1993; LeDoux, 1995; Milanovic, Radulovic, Laban, Stiedel, Henn, Spiess, 1998; Sacchetti, Ambrogi Lorenzini, Baldi, Tassoni, Bucherelli, 1999a; 1999b).

Tale reazione non è rilevabile quando gli stessi soggetti, precedentemente sottoposti alla sessione di condizionamento, sono inseriti in un ambiente diverso da quello in cui sono stati forniti gli stimoli avversivi. Pertanto il freezing espresso nel retrieval test rappresenta una risposta condizionata dovuta all’associazione tra quello specifico ambiente e gli stimoli avversivi. Inoltre il freezing non è rilevabile quando i soggetti esplorano l’apparato di condizionamento senza che siano forniti loro stimoli avversi (exploration procedure) (Fanselow, 1990; Milanovic, Radulovic, Laban, Stiedel, Henn, Spiess, 1998) oppure quando gli animali

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vengono inseriti nell’apparato di condizionamento e sono loro forniti stimoli avversi di pari intensità ma in un intervallo di tempo minore, rispetto al protocollo del CFC, così da impedire l’associazione fra questi stimoli e il nuovo ambiente (shock-only procedure) (Fanselow, 1990; Milanovic, Radulovic, Laban, Stiedel, Henn, Spiess, 1998; Taubenfeld, Wiig, Bear, Alberini, 1999).

1.3 Substrati neurali del condizionamento alla paura o

“fear conditioning”.

La facilità di indurre intense e durature risposte condizionate di immobilità, insieme alla semplicità della loro misurazione da parte dello sperimentatore, fanno sì che la risposta comportamentale di immobilità sia stata e sia tuttora particolarmente impiegata per studiare i meccanismi e i circuiti neurali alla base dei fenomeni di apprendimento e memoria.

E’ noto già da tempo che esistono due forme distinte di memoria: una a breve termine, che dura da pochi secondi a qualche minuto, e una a lungo termine, che può durare ore, giorni o mesi. Numerosi studi, condotti su svariati modelli animali, hanno evidenziato che queste due forme di memoria trovano una precisa corrispondenza nei processi di

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plasticità sinaptica: mentre la memoria a breve termine comporta la modificazione di proteine preesistenti, tramite meccanismi di fosforilazione, quella a lungo termine è associata a variazioni nel numero e/o nell’organizzazione delle sinapsi coinvolte e richiede la trascrizione di geni e la sintesi di nuove proteine(Frey, Huang and Kandel, 1993; Huang, Li and Kandel, 1994; Nguyen and Kandel, 1996). Il consolidamento della memoria dipende dunque dalla trascrizione genica de novo e dalla sintesi di proteine; il consolidamento si riferisce a quei processi che modificano le informazioni appena acquisite, ma ancora labili, in modo da renderle più stabili e di lunga durata e dà origine a modificazioni strutturali capaci di conservare le tracce mnemoniche in maniera stabile nel tempo. Gli studi delle lesioni di zone cerebrali specifiche hanno mostrato che l’amigdala e l’ippocampo sono richiesti per il consolidamento della memoria contestuale (Anagnostaras, Gale and Fanselow, 2001). Di conseguenza, si possono osservare cambiamenti trascrizionali nell’amigdala e nell’ippocampo in seguito al CFC (Hall, Thomas and Everitt, 2001) . Inoltre è stato visto che l’inibizione della sintesi di mRNA o delle proteine nell’ippocampo, subito dopo l’addestramento, comporta deficit nella memoria a lungo termine

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senza influenzare la prestazione comportamentale durante l’acquisizione e la memoria a breve termine (Davis & Squire, 1984). Altri studi hanno chiarito il ruolo della neo-sintesi di mRNA a livello dell’amigdala durante l’acquisizione della paura condizionata. In particolare è stato rilevato che in ratti sottoposti a microinfusioni bilaterali di actinomicina-D (act-D) , un inibitore della sintesi di mRNA, nella regione basolaterale dell’amigdala, immediatamente prima di essere sottoposti al test comportamentale del FC uditivo, mostravano una diminuzione della risposta di paura a partire dalle 24 fino alle 48 ore dopo le infusioni (Bailey, Sun, Thompson, Kim, Helmstetter, 1999). Questi risultati supportano l’ipotesi che la ritenzione a lungo termine di associazioni apprese durante il FC richiede la trascrizione di nuovo mRNA e la conseguente sintesi di proteine all’interno dell’amigdala.

Il fatto che i ratti sperimentali abbiano esibito una normale prestazione comportamentale durante la sessione di addestramento, quando act-D era presente nell’amigdala, indica che tale sostanza non produce il suo effetto sull’acquisizione tramite una distruzione generale dell’attività nell’amigdala. Infatti una distruzione generale provocherebbe danni sia a breve che a lungo termine. La risposta di freezing durante l’addestramento iniziale è una forma di memoria a breve termine;

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questa è dunque una conferma del fatto che act-D distrugge selettivamente il consolidamento e la conservazione della memoria che si verificano in seguito ai processi a breve termine. Inoltre act-D non attenua il CF provocando un danno permanente alle cellule dell’amigdala. Infatti, ratti trattati con act-D mostravano un apprendimento normale dopo una settimana dalle infusioni, mentre animali con lesioni all’amigdala sono compromessi nell’espressione di risposte condizionate di paura (Bailey, Sun, Thompson, Kim, Helmstetter, 1999). L’apprendimento di stimoli contestuali e non contestuali (discreti) può essere differenzialmente rappresentato nell’amigdala ( Majidishad, Pelli,LeDoux, 1996 ). Le infusioni di act-D centrate nella regione basolaterale dell’amigdala erano efficaci a bloccare l’acquisizione sia del FC che del CFC suggerendo che processi simili all’interno dell’amigdala contribuiscono alla formazione di associazioni tra CS e US sia durante il paradigma del FC che del CFC.

La produzione di nuovi prodotti genici e quindi la sintesi di proteine per la conservazione della memoria è tempo-dipendente. Manipolazioni della sintesi sono normalmente effettive solo se vengono applicate prima o durante una ristretta finestra temporale dopo l’addestramento (Davis & Squire, 1984).

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In altri esperimenti è stato osservato che l’iniezione di inibitori della sintesi proteica come l’anisomicina, o di inibitori delle protein chinasi A come Rp-cAMPS (che determina anche il blocco dell’LTP ippocampale), a livello del nucleo laterale dell’amigdala (intra-LA) di ratti subito dopo il paradigma del FC determina dopo 24 ore il danneggiamento della memoria a lungo termine innescata dal FC; se le infusioni sono effettuate 6 ore dopo il condizionamento non determinano alcun effetto. Il consolidamento della memoria emozionale, in particolare della paura, richiede dunque espressione genica PKA-dipendente e sintesi proteica nell’amigdala (Shafe & LeDoux, 2000).

Esperimenti condotti in altri laboratori hanno suggerito che il nucleo basolaterale dell’amigdala (LBA) sia la sede dei cambiamenti plastici sottostanti al FC uditivo. Infatti sia lesioni permanenti, sia l’inattivazione funzionale reversibile di LBA eliminano il FC uditivo (LeDoux, Cicchetti, Xagorias, Romanski, 1990; Wilensky, Schafe, LeDoux, 2000). Il FC uditivo modifica l’attività neurale in LA in modo simile all’induzione long-term potentiation (LTP) ( McKernan & Shinnick-Gallagher, 1997) . Queste osservazioni suggeriscono che un meccanismo LTP-simile sottostà all’acquisizione della paura in LBA e perciò il consolidamento della memoria della paura in LBA e

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l’LTP possono essere caratterizzati da meccanismi molecolari comuni. Infatti il consolidamento della memoria della paura di tipo uditivo viene distrutto in maniera dose-dipendente dalla somministrazione, all’interno di LBA, di inibitori della sintesi proteica e di PKA. Questi risultati sono in accordo con la letteratura a riguardo dell’LTP, nella quale viene mostrato che la distruzione farmacologia sia della sintesi proteica, sia di PKA blocchi selettivamente L-LTP (fase tardiva o

late) nell’ippocampo, mentre ha poco effetto su E-LTP (fase precoce o early) (Frey, Huang, Kandel, 1993; Nguyen & Kandel, 1996). E-LTP

e L-LTP sono caratterizzate da distinti meccanismi molecolari. La fase precoce, che dura da minuti a ore, non richiede la sintesi di proteine e di RNA; la fase tardiva, che dura da ore a giorni, è dipendente dalla sintesi di RNA e di proteine e richiede l’attivazione della proteinchinasi cAMP dipendente (PKA). Questi risultati suggeriscono che il consolidamento della memoria della paura in LA e l’LTP condividono un substrato molecolare comune(Shafe & LeDoux, 2000).

Altri studi hanno supportato una correlazione tra FC e LTP a livello delle sinapsi nell’amigdala (Maren & Fanselow, 1995). Manipolazioni farmacologiche, come l’applicazione di antagonisti dei recettori N-metil-D-aspartato (NMDA), che prevengono l’induzione dell’LTP

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(nell’area CA1 dell’ippocampo) attenuano selettivamente l’acquisizione del FC quando applicati all’amigdala (Miserendino, Sananes, Melia, Davis, 1990; Fanselow & Kim, 1994) .

L’ LTP viene definito come il duraturo potenziamento attività-dipendente dell’eccitabilità sinaptica, che viene indotto da una stimolazione tetanica ad alta frequenza ( Bliss & Homo, 1973; Dudai, 1989; Bliss & Collingridge, 1993; Barnes, 1995; Jeffery, 1997 ) . Dopo la stimolazione tetanica è rilevato un primo, breve e decrescente potenziamento (STP) (Malenka, 1991; Bliss & Collingridge, 1993; Schulz, Cook, Johnston, 1994), seguito da un secondo potenziamento più duraturo (LTP) .

L’analisi degli effetti del CFC sull’eccitabilità sinaptica a livello dell’ippocampo è stata effettuata tramite la stimolazione tetanica ad alta frequenza (HSF) su fettine di cervello (slices) della regione CA1 dell’ippocampo di ratti sottoposti al paradigma comportamentale del CFC (sperimentali) a distanza di 24 ore fino a 7 giorni (Sacchetti, Ambrogi Lorenzini, Baldi, Bucherelli, Roberto, Tassoni, Brunelli, 2002). I ratti condizionati esibivano freezing duraturo quando posti nuovamente nello stesso apparato di condizionamento (retrieval test) sia 15 minuti dopo che 7 giorni dopo il condizionamento. Agli stessi intervalli di tempo, altri soggetti sperimentali, ovvero exploration

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(ratti che avevano liberamente esplorato l’apparato ma senza ricevere scosse elettriche), shock-only (ratti che avevano ricevuto lo stesso numero di scosse ad un’uguale intensità pari a quella dei condizionati, ma con le scosse compresse temporalmente così che i ratti non potevano associare US al contesto) e naive (mai entrati nell’apparato), non esibivano la risposta condizionata di freezing (Sacchetti, Ambrogi Lorenzini, Baldi, Bucherelli, Roberto, Tassoni, Brunelli, 2002). Il CFC influenza la risposta sinaptica ippocampale: infatti HFS produceva una diminuzione nell’ampiezza del potenziamento a breve e a lungo termine (STP e LTP), se paragonati ai valori dei soggetti di controllo naive. LTP era minore nelle slices dei gruppi “condizionati” e exploration preparate 15 minuti dopo il condizionameto. A distanza di 1 giorno dal CFC, solo le slices dei “condizionati” mostravano una minore LTP. Infine a 7 giorni di distanza l’ampiezza risulta essere invariata anche nei soggetti “condizionati”. Questi risultati mostrano che nelle slices ottenute da animali condizionati, HFS induce una minore STP e LTP rispetto ai valori di controllo. La diminuzione di STP è presente solo nelle slices preparate immediatamente dopo CFC fino a poche ore dopo. La diminuzione di LTP è ancora presente 24 ore dopo ma non più 7 giorni dopo. Entrambe le modificazioni appaiono essere chiaramente correlate al processo di apprendimento

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(associazione contesto-US) , poiché tali variazioni non sono osservate nelle slices dei soggetti shock-only. Nei soggetti exploration sono presenti diminuzioni dell’LTP, ma solo immediatamente dopo il condizionamento, e l’STP non risulta mai essere modificata. L’assenza di modificazioni nelle preparazioni ottenute da animali

shock-only, conferma dati precedenti, i quali hanno evidenziato che

l’emozionalità, l’attività muscolare e gli stimoli nocicettivi di per se non sono sufficienti a dare inizio al processo di apprendimento e ad innescare le variazioni nell’eccitabilità ippocampale connesse all’apprendimento stesso (Fanselow, 1990; Milanovic, Radulovic, Laban, Stiedl, Henn, Spiess, 1998; Sacchetti, Ambrogi Lorenzini, Baldi, Bucherelli, Roberto, Tassoni & Brunelli, 2001 ). I dati ottenuti sui soggetti exploration, sono in linea con altri dati, i quali mostrano che ratti esposti a un ambiente “arricchito” esibiscono una diminuzione dell’LTP (Waters, Klintsova, Foster, 1997). Gli stimoli contestuali di per se, però, non influenzano l’induzione di STP, che non viene modificata nei soggetti exploration. Ciò suggerisce che tale modificazioni dell’LTP, non siano dovute a effetti non specifici e generalizzati dell’attività esplorativa sulle funzioni ippocampali, ma siano specificamente correlate ai meccanismi di induzione dell’LTP.

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STP risulta però diminuire nei soggetti condizionati, ma solo subito dopo il condizionamento. Questo suggerisce che le modificazioni dell’STP sono chiaramente correlate al processo di apprendimento dell’associazione CS-US (che si verifica immediatamente in seguito all’addestramento negli animali condizionati) e non a eventi successivi quali il consolidamento dell’associazione CS-US.

La differenza tra STP e LTP, già basata su meccanismi biochimici ed elettrofisiologici, è ulteriormente sottolineata dal fatto di essere differentemente influenzate da processi associativi (Bliss & Collingridge, 1993) . L’affermazione, che il processo associativo mnemonico è la causa principale del decremento nell’induzione di STP e LTP, poggia sull’ipotesi che sia STP, sia LTP condividono meccanismi comuni i quali portano all’elaborazione specifica dell’apprendimento (Rioult-Pedotti, Friedman, Donoghue, 2000) . Tali risultati mostrano che il processo mnemonico influenza STP e LTP a tempi diversi in relazione a fasi mnemoniche diverse. Immediatamente dopo la sessione di addestramento, quando sia STP che LTP sono basse, entrambe sottendono i meccanismi neuronali della memoria a breve termine (Abel & Kandel, 1998). Invece, durante la successiva fase di consolidamento, solo l’induzione dell’LTP viene ad essere aumentata. I meccanismi biochimici e

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molecolari di consolidamento, che hanno luogo nell’ippocampo, avvengono entro le 24 ore seguenti la sessione di acquisizione (Ambrogi Lorenzini, Baldi, Bucherelli, Sacchetti, Tassoni, 1996; Abel & Kandel, 1998) . Perciò, i processi di induzione dell’LTP potrebbero essere correlati alle modificazioni dell’eccitabilità dovute al consolidamento mnemonico. Sette giorni dopo l’acquisizione, l’LTP non mostra più modificazioni. Nell’ippocampo ci sono modificazioni della risposta sinaptica precisamente misurabili durante il processo di memorizzazione. Il condizionamento e l’esplorazione riducono l’abilità di indurre la plasticità sinaptica e delineano una temporalità differente per quest’effetto sull’STP e sull’LTP.

Oltre all’ippocampo e all’amigdala, è noto che pure la corteccia cerebrale è coinvolta nell’apprendimento delle risposte condizionate alla paura (Lacroix, Spinelli, Heidbreder, Feldon, 2000; Vouimba, Garcia, Baudry, Thompson, 2000). In particolare, è stato visto che le cortecce prefrontale, PFC, frontale, FC, parietale, PAC, e peririnale, PC sono coinvolte nell’apprendimento e nella memorizzazione di CFC (Sacchetti, Baldi, Ambrogi Lorenzini, Bucherelli, 2002). I siti di interesse sono stati inattivati con lidocaina (LIDO) somministrata per mezzo di microiniezioni 5 minuti prima del condizionamento; questo composto blocca le attività neuronali per un dato tempo in maniera

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reversibile e perciò non possono intervenire circuiti vicarianti che oscurino i risultati. PFC, FC, PAC e PC giocano ruoli contemporanei ma distinti nella memorizzazione del freezing condizionato a CS e al contesto. L’inattivazione di PC indeboliva la ritenzione della memoria a breve termine di entrambe le tracce mnemoniche mentre l’inattivazione di FC e di PAC a questo stadio indeboliva solo il freezing al CS acustico. Allo stesso intervallo, l’inattivazione di PFC migliorava la ritenzione di entrambe le tracce. In contrasto, l’inattivazione di tutti e quattro i siti era seguita da un’amnesia significativa della memoria a lungo termine per entrambe le tracce. PFC è connessa con l’amigdala, un sito chiave per l’acquisizione della paura, ed è stato supposto che PFC eserciti un’azione inibitoria sulle attività dell’amigdala (Morgan & LeDoux, 1995) .

PAC e FC non giocano ruoli essenziali nel CFC (Acquas, Wilson, Fibiger, 1996) , però giocano un ruolo importante nell’elaborazione della memoria a lungo termine, poiché 72 ore dopo il CFC erano danneggiate entrambe le tracce mnemoniche, compresa quella del contesto.

L’integrità funzionale della corteccia peririnale (PC) è rilevante durante la fase di consolidamento. Infatti la sua inattivazione con LIDO è seguita dal danneggiamento della memoria. L’inattivazione

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danneggia le memorie a breve e a lungo termine sia di CS che del contesto. E’ stato mostrato che l’integrità funzionale di PC è necessaria per la memorizzazione di entrambe le tracce mnemoniche fino a 8 giorni dopo la fase di acquisizione (Sacchetti, Ambrogi Lorenzini, Baldi, Tassoni, Bucherelli, 1999a;b).

PC gioca un ruolo molto importante nella memorizzazione delle risposte alla paura ed ha un ruolo specializzato nella memoria e nell’apprendimento avversivi. PC è una delle più importanti stazioni di connessione tra la neocortex e le strutture subcorticali; infatti, sia nei roditori che nei primati, PC è il punto in cui convergono le informazioni dalle aree associative e da strutture sottocorticali, come mostrato da evidenze morfologiche (Suzuki, 1996), elettrofisiologiche (Vann, Brown, Erichsen, Aggleton, 2000) e comportamentali (Sacchetti, Ambrogi Lorenzini, Baldi, Tassoni, Bucherelli, 1999a;b) . Però, è stato riportato che lesioni irreversibili di PC attenuano la paura condizionata a un CS senza alcun effetto sull’apprendimento contestuale alla paura (Herzog & Otto, 1998) , ma sono stati riportati anche dati opposti, ovvero lesioni di PC produrrebbero danni alla memoria condizionata al contesto e non a CS (Bucci, Phillips, Burwell, 2000) .

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E’ noto che l’assenza funzionale dell’amigdala durante l’acquisizione è seguita da amnesia al CS acustico e al contesto. Invece l’assenza funzionale dell’ippocampo induce amnesia solo per la ritenzione del contesto (Phillips e LeDoux, 1992; Sacchetti, Ambrogi Lorenzini, Baldi, Tassoni, Bucherelli, 1999a;b).

Poiché ancora non è noto attraverso quali vie l’informazione contestuale arrivi all’ippocampo, quanto è emerso dall’inattivazione di specifiche aree cerebrali supporta la corrente ipotesi secondo la quale l’informazione contestuale potrebbe arrivare all’ippocampo dalla corteccia peririnale (PC) (LeDoux, 2000) .

1.4 Contextual fear conditioning (CFC) e modificazione

dell’espressione genica

E’ noto che il CFC dipende dall’integrità strutturale dell’ippocampo e dell’amigdala. Studi molto recenti hanno iniziato a mettere in evidenza i possibili geni coinvolti nell’instaurarsi del CFC tramite l’utilizzo di tecniche di biologia molecolare come il microarray (Mei, Li, Dong, Jiang, Wang and Hu, 2005). In questo lavoro sperimentale sono stati individuati cambiamenti dinamici nel livello di espressione di 222 geni nell’amigdala e di 145 geni nell’ippocampo a partire da

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0,5, 6 e 24 ore dopo il CFC. Sorprendentemente i pattern di espressione genica e anche i singoli geni sono significativamente differenti nell’amigdala e nell’ippocampo e solo un esiguo numero di geni mostra una regolazione simile in entrambe le aree cerebrali. La maggior parte dei geni la cui espressione risulta modulata in seguito a CFC a livello dell’amigdala codifica per proteine strutturali e per proteine di adesione cellulare tipiche delle strutture sinaptiche, dendritiche e assonali come ad esempio l’actina, la spectrina cerebrale, la tubulina e le proteine associate ai microtubuli (van Rossum & Hanisch, 1999). Altri geni individuati sono coinvolti nel

turn-over e nella regolazione fisiologica dei recettori ionotropici,

come ad esempio la proteina associata al recettore GABAA

(GABARAP), che lega tale recettore sia in vivo che in vitro. Tale proteina modula la cinetica del canale promuovendo il clustering dei

recettori GABAA interagendo con i microtubuli. GABARAP viene

sottoespressa in seguito a CFC e ciò indica che gli effetti inibitori GABA-mediati vengano diminuiti per permettere l’aumento dell’eccitabilità sinaptica.

La regolazione dei recettori AMPA è uno dei meccanismi che alterano plasticità sinaptica (Malinow & Malenka, 2002). In seguito a CFC vengono sovraespressi geni quali la subunità GluR1 del recettore

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AMPA, indicando il coinvolgimento della regolazione di tale recettore dopo CFC; viene sovraespresso anche l’inibitore della proteina fosfatasi 2A (PP2A) la quale defosforila i recettori AMPA e CaMKII. La sovraregolazione di tale inibitore indica quindi una possibile alterazione della via di trasduzione del segnale . Risultano essere aumentate anche SAM-9, un membro della superfamiglia delle fosfolipasi D e la chinasi-5-fosfato-4-fosfatidilinositolo (PIP5K), proteina notevolmente ridotta a livello della corteccia frontale dei malati di Alzheimer. Mei e coll. hanno individuato l’aumento dell’espressione anche di altri geni, noti per essere correlati con malattie mentali umane. Un esempio è il gene correlato al cromosoma X fragile (FXR1), che codifica per una proteina che lega l’RNA. Topi

knockout per FXR1 mostrano gravi deficit nel CFC. Dato che FXR1 è

localizzata a livello delle spine e dei dendriti dei neuroni e sembra avere un ruolo nella regolazione trascrizionale di mRNA specifici, l’aumento della sua espressione in seguito a CFC suggerisce che FXR1 sia una molecola importante nella formazione della memoria. L’espressione di geni specifici della glia viene aumentata in seguito al CFC ((Mei, Li, Dong, Jiang, Wang and Hu, 2005)). Questo dato è in linea con la recente osservazione che la glia sia coinvolta nei fenomeni che controllano il numero di sinapsi in vitro e con la

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possibilità che la glia possa giocare un ruolo importante nei cambiamenti che sono alla base della plasticità sinaptica (Ullian, Sapperstein, Christopherson, Barres, 2001). Infine, in seguito al CFC, mostrano cambiamenti anche molti geni importanti per la formazione o la stabilizzazione della mielina come la proteina basica degli oligodendrociti associata alla mielina (MOBP), la proteina proteolipidica (PLP) e la proteina specifica degli oligodendrociti (OPS) .

Fra i geni la cui espressione risulta modulata in seguito a CFC a livello dell’ippocampo, Mei e collaboratori hanno individuato il gene 14-3-3 regolatore della proteinchinasi, che è stato precedentemente identificato come un gene correlato all’apprendimento in Drosophila. La proteina 14-3-3 sembra interagire con l’estremità C-terminale dei recettori GABAB in cellule neuronali in coltura. Mei e collaboratori

hanno rilevato che in seguito al CFC, l’espressione della subunità α del recettore GABAA decresce. Questo suggerisce l’interessante

possibilità che la formazione della memoria del CFC includa

modificazioni dell’inibizione, mediata dai recettori GABAA,

dell’eccitabilità dei circuiti ippocampali. In seguito a CFC risultano essere poi sottoespresse la proteina di membrana associata alle vescicole (VAMP) e la sinaptotagmina. Anche la pantofisina, una

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proteina vescicolare associata alla sinaptotagmina e normalmente presente insieme alla VAMP, risulta essere sottoespressa in seguito al condizionamento. In aggiunta altre proteine coinvolte nell’assemblaggio e nella formazione delle vescicole sinaptiche, come l’endofilina I e l’ADP-ribosylation factor (ARF1) mostrano cambiamenti di espressione simili. Risultano poi essere sottoespresse anche le seguenti proteine: la serina/treonina fosfatasi 1(PP1) e 2A(PP2A), la proteinchinasi C e CaMKII, tutte quante proteine coinvolte nella modificazione della plasticità sinaptica. Molte delle proteine individuate nell’ippocampo da Mei e collaboratori, che mostrano modificazione della loro espressione in seguito a CFC, sono coinvolte anche nelle malattie della memoria dell’Uomo; ne sono esempio la proteina precursore dell’amiloide (APP) della malattia di Alzheimer e altre due proteine interagenti con APP: la catena leggera 1 della chinesina (KLC1) e il fattore di splicing U2AF65. Un altro gene coinvolto nei disturbi dell’apprendimento è il gene per la neurofibromatosi di tipo I (NF1). Esperimenti di perdita di funzione di tale gene, condotti sia sul topo che sulla Drosophila, possono portare a deficit mnemonici. Mei e collaboratori hanno riscontrato che l’espressione di NF1 risulta essere aumentata già 6 ore dopo il condizionamento, suggerendo quindi che NF1 sia un gene la cui

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espressione è finemente regolata durante i processi di memoria e apprendimento. A livello ippocampale è stata ritrovata anche una modificazione dell’espressione di geni che solitamente sono espressi in cellule non neurali, come ad esempio l’enzima glutamina-sintetasi gliale, la cui espressione risulta aumentare in seguito a CFC. Nei malati di Alzheimer, tale proteina risulta diminuire a livello degli astrociti. Un altro gene espresso solitamente a livello gliale è la vimentina, che mostra avere una sovraespressione dopo il CFC a livello dell’ippocampo (Mei, Li, Dong, Jiang, Wang and Hu, 2005). La vimentina è una proteina strutturale dei filamenti intermedi. Dato che i filamenti intermedi costituiscono la maggior componente del citoscheletro degli astrociti, un aumento dell’ espressione della vimentina, suggerisce che il CFC determini cambiamenti strutturali a livello degli astrociti.

E’ stato visto che CFC induce anche l’espressione di BDNF nell’ippocampo (Hall, Thomas, Everitt, 2000) . L’espressione di mRNA di BDNF, quantificata per mezzo della tecnica dell’ibridazione

in situ, risulta aumentata nell’area CA1 dell’ippocampo di ratti

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Questo aumento di espressione di BDNF nell’ippocampo durante il

CFC fornisce l’evidenza che BDNF è coinvolto nella plasticità

sinaptica nel SNC adulto.

Hall e collaboratori hanno dunque dimostrato la rapida e selettiva regolazione dell’espressione di BDNF durante l’apprendimento, indicando che la regolazione dell’attività di BDNF è un correlato dell’apprendimento ippocampale in vivo. Il fatto che solo BDNF, ma non altri geni precoci, quali zif268 e C/EBPβ, venga espresso selettivamente nell’ippocampo durante il condizionamento rappresenta una dissociazione tra l’induzione genica da parte dell’LTP e da parte dell’apprendimento; non sempre l’LTP è un correlato dell’apprendimento ippocampale. Un altro punto interessante è il fatto che l’aumento di BDNF nell’ippocampo durante è ristretto all’area CA1. Questa regione ha delle estese connessioni corticali e subcorticali che non dipendono da vie indirette attraverso altre aree cellulari dell’ippocampo e l’attivazione della trascrizione CRE-dipendente nell’area CA1 accompagna il condizionamento contestuale, suggerendo che quest’area possa essere importante nel condizionamento contestuale associativo.

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E’ stato visto che il CFC regola anche l’espressione di piccoli RNA (snoRNA) nucleolari specifici del cervello nell’ippocampo (Rogelj, Hartmann, Yeo, Hunt, Giese, 2003) .

Questi piccoli RNA nucleolari sono RNA non codificanti che dirigono il processamento dell’RNA ribosomale e nucleare attraverso metilazione e pseudouridilazione. Comunque alcuni di questi snoRNA sono esclusivamente espressi nel cervello e non sono coinvolti nel processamento dell’rRNA (Cavaille, Buiting, Kiefmann, Lalande, Brannan, Horsthemke, Bachellerie, Brosius, Huttenhofer, 2000) . Dall’analisi del pattern di espressione genica, per mezzo della tecnica dell’ibridazione in situ, è emerso che, in seguito a CFC, MBI-36, MBII-48 e MBII-52 avevano un livello di espressione più alto nella parte ventrale dell’ippocampo rispetto alla parte dorsale, mentre l’espressione di MBII-85 era uniforme, suggerendo che i primi tre snoRNA possano avere un ruolo nel consolidamento della memoria contestuale.Inoltre MBII-48 e MBII-52 vengono rispettivamente

down- e up-regolati durante la fase precoce del consolidamento della

memoria contestuale di paura, suggerendo che entrambi siano importanti in funzioni cerebrali superiori e che il loro cambiamento di espressione sia specifico per l’associazione appresa tra contesto e scossa elettrica (Rogelj, Hartmann, Yeo, Hunt, Giese, 2003).

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