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5. LA LEGISLAZIONE RIVOLUZIONARIA I. Intermezzo: alla vigilia della Rivoluzione

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5. LA LEGISLAZIONE RIVOLUZIONARIA

I. Intermezzo: alla vigilia della Rivoluzione

Le differenti tesi sin qui delineate costituiscono le pietre miliari di un dibattito che ebbe il suo esito legislativo maturo nel corso della Rivoluzione. Nel periodo che va dall'emanazione dei sei decreti del 30 agosto 1777 allo scoppio della Rivoluzione le schermaglie tra i librai di provincia e gli editori parigini non accennarono a diminuire. Il malcontento della corporazione di Parigi suscitato dalle nuove disposizioni dell'autorità reale ebbe pieno sfogo in una serie di istanze e di mémoires volti a riproporre in forma perentoriamente assertiva le tesi del giurista d'Hericourt e di Diderot.

Sebbene privi di idee che potremmo ritenere originali, questi scritti testimoniano il compimento di un netto cambiamento di orizzonte culturale: ciò che sino agli inizi della seconda metà del XVIII secolo costituiva materia problematica e da argomentare diviene assioma evidente di per se stesso. Esemplare sotto questo profilo è l'istanza redatta dall'avvocato Cochu su commissione della corporazione parigina, la quale recita: «Se esiste una proprietà sacra, evidente, incontestabile, questa è senza dubbio quella degli autori sulle loro opere. [...] Questa verità è talmente inattaccabile che il decreto del 30 agosto le rende omaggio, ammettendo la perpetuità del privilegio nella persona dell'autore e dei suoi eredi»1.

Le rimostranze dei librai parigini puntarono a estendere agli editori quanto era stato riconosciuto all'autore, eliminando quindi la distinzione tra privilegi a carattere perpetuo concessi agli autori e privilegi di natura temporanea concessi agli editori: la cessione dell'opera avrebbe dovuto comportare il pieno trasferimento all'editore dei privilegi goduti dall'autore, in virtù della cessione del diritto di proprietà ad egli riconosciuto. Tali istanze si rivelarono controproducenti: l'amministrazione reale ne liquidò infatti le richieste non apportando delle sostanziali modifiche normative. Il decreto interpretativo del 30 luglio 17782, accogliendo le considerazioni fatte

pervenire all'amministrazione reale dall'Accademia Francese, rafforzò ulteriormente la posizione contrattuale dell'autore; l'art. 2 dispose infatti: «Ogni autore che avrà ottenuto a suo nome il privilegio della sua opera, non solo avrà il diritto di farla vendere da sé, ma potrà anche far stampare a proprie spese la sua opera da uno stampatore quante volte vorrà e farla vendere in tal modo per suo conto dal libraio che avrà scelto, senza che i contratti o le convenzioni che farà per stampare o vendere un'edizione della sua opera possano essere considerati cessione del suo privilegio». Se l'autore avesse disposto di risorse economiche o di notorietà tali da consentirgli di stampare e

1 Edouard Laboulaye e Georges Guiffrey, La propriété littéraire au XVIIIe siècle, Recueil de pièces, L. Hachette, Parigi, 1859, pp. 160-161.

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vendere la propria opera senza che il contratto stipulato con lo stampatore e con l'editore contemplasse la sua esplicita cessione, egli avrebbe potuto continuare a godere perpetuamente del privilegio concesso.

Questo provvedimento rappresentò un ulteriore colpo inferto alle fondamenta del potere della corporazione parigina e costituì al contempo motivo di soddisfazione per tutti quegli autori, e tra questi Voltaire, che ritenevano che la gestione autonoma dell'attività editoriale ad opera degli stessi hommes de lettres fosse l'unica alternativa esperibile alla pratica dello sfruttamento editoriale3.

La creazione della figura giuridica dell'autore fu quindi opera della regolamentazione emanata dal regime monarchico. Sebbene il privilegio d'autore rappresentasse una grazia reale e non si potesse ancora parlare di riconoscimento giuridico di una proprietà di diritto in capo all'autore, la regolamentazione monarchica e il dibattito pre-rivoluzionario fecero da volano all'emersione dei moderni diritti d'autore preparando il terreno all'esportazione in Francia del modello britannico. Come scritto da Eugenio Di Rienzo, «il diritto di editoria più che nascere come una creazione originale all'interno del moderno diritto privato industriale appare come una modificazione delle istituzioni giuridiche e delle regolamentazioni corporative, già impostate dal potere statale nell'epoca del Mercantilismo»4. Il diritto d'autore nato dalla Rivoluzione francese, sebbene incorpori

concezioni d'essenza personalista, è ispirato in primo luogo da considerazioni giuridico- economiche, così come l'era stato a sua volta il privilegio d'autore. Occorre quindi ripercorrere le tappe salienti della storia rivoluzionaria del dibattito sul diritto d'autore e sulla proprietà intellettuale per comprendere come l'evoluzione del sistema giuridico e istituzionale ha di volta in volta articolato e modellato l'universo dei discorsi e per riconoscere nel processo storico gli elementi di continuità e di discontinuità.

3 Cfr. Eugenio Di Rienzo, Alcuni appunti sulla nascita del diritto d'autore ed editore nel settecento francese in

Sociologia della Letteratura, n° 1-2, 1978, p. 21.

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II. La Rivoluzione: “diritto di proprietà limitata”

L'abolizione di tutti i privilegi nella notte del 4 agosto 1789, la proclamazione della libertà di stampa ed il progressivo smantellamento degli organi corporativi e di censura5 ebbero effetti

dirompenti sullo stato del settore editoriale. L'editoria parigina fu attraversata da una profonda crisi economica poiché, approfittando del vuoto legislativo, una miriade di piccole officine tipografiche cominciarono a rifiorire erodendo rilevanti parti di mercato e rispondendo all'esplosione della domanda di giornali e pamphlets6. La storica Carla Hesse ha rilevato dall'analisi dei fondi di

fallimento degli Archivi della Senna che tra il 1789 ed il 1793 almeno ventuno librai e stampatori parigini dichiararono fallimento7. Per arginare l'effetto domino innescato dalle dichiarazioni di

insolvenza, il 4 agosto del 1790 giunse provvidenziale la manna di un sussidio reale dell'ammontare di 1.200.000 lire8. L'assenza di regolamentazione e la soppressione dei cardini amministrativi del

settore editoriale comportarono una situazione di pressoché totale anarchia, all'interno della quale libelli di ogni sorta, scritti anonimi e pamphlets sediziosi pubblicati da impresari di ventura poterono circolare liberamente.

L'Assemblea Nazionale fu investita quindi del compito di colmare il vuoto normativo avendo cura innanzitutto di reprimere i reati commessi a mezzo stampa, coerentemente alla riserva di legge contenuta nell'art.11 della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino9.

La forte scossa tellurica che colpì il monopolio commerciale dell'editoria parigina indusse i suoi membri a farsi portavoce del malcontento diffuso, avendo buon gioco nell'associare la diffusione di libelli sediziosi alla mancanza di adeguata protezione economica. Nella sessione del 12 gennaio 1790 il deputato Charles Lameth giunse a testimoniare che un libraio parigino gli aveva confessato che «non guadagnando niente a stampare delle opere di un certo valore, si era deciso a pubblicare dei libelli, e che ne tirava fuori dai suoi torchi venti mila esemplari a settimana»10. Una copiosa

letteratura pro e contro gli infâmes libellistes ebbe ad oggetto la circoscrizione dei limiti della

5 Décret de l'Assemblée Nationale du 17 mars 1791 in Collection générale des décrets rendus par l'Assemblée

Nationale, Baodouin, Parigi, 1791, pp. 52-62.

6 Cfr. Henri-Jean Martin, Storia e potere della scrittura, Laterza, Bari, 1990, p. 440.

7 Carla Hesse, La sort des imprimeurs et libraires parisiens après la chute de la Chambre Syndicale en 1791, in Roger Chartier e Daniel Roche, Livre et Révolution, Mélanges de la bibliothèque de la Sorbonne, Aux amateurs de livres, Parigi, 1989, p. 25.

8 Ibidem, p. 28.

9 «La libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell'uomo; ogni cittadino può quindi parlare, scrivere, stampare liberamente, salvo rispondere degli abusi di questa libertà nei casi determinati

dalla legge» (corsivo mio).

http://www.textes.justice.gouv.fr/index.php?rubrique=10086&ssrubrique=10087&article=10116

10 Philippe-Joseph-Benjamin Buchez e Pierre-Celestin Roux, Histoire parlamentaire de la Révolution française, Paulin, Parigi, 1834, vol. 4, p. 270.

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libertà di stampa11.

Fu in questo clima di caos generalizzato e di acuta crisi economica che il primo progetto di legge concernente la stampa vide la luce. Esso fu presentato il 20 gennaio 1790 all'Assemblea da Emmanuel Sieyès a nome del Comitato per la Costituzione e attribuito dai commentatori contemporanei, oltre che al suo relatore, anche al marchese di Condorcet12.

L'analisi della proposta di legge induce a dar credito a tale indicazione di paternità: la disciplina dei reati a mezzo stampa è del tutto analoga a quella tratteggiata nei Fragments sur la liberté de la presse da Condorcet e la teoria della giuria delineata da quest'ultimo trova nell'articolato della proposta concreta applicazione al mondo della carta stampata.

Il titolo del progetto è rivelatore: Projet de loi contre les délits qui peuvent se commettre par la voie de l'impression et par la publication des écrits et des gravures13.

Dopo aver annoverato la libertà di stampa tra i diritti naturali dell'uomo e attribuito ad essa la funzione di «sentinella e vera custode della libertà pubblica»14, Siéyès tenne a precisare a più riprese

nel corso della sua presentazione che la proposta fu concepita in relazione allo stato di cose esistente e per questo motivo si previde di limitarne gli effetti a soli due anni a partire dal giorno della sua promulgazione: «La legge che vi proponiamo non è perfetta, non è neanche buona quanto quella che sarà facile fare tra due anni; voi ne conoscete la ragione: è stato necessario legarla all'ordine attuale delle cose»15. Il suo relatore ne riconobbe quindi i limiti e auspicò la formulazione

di una legge di più ampio respiro nell'arco dei due anni successivi.

L'art. XIV della proposta di legge sancisce: «Il progresso dei lumi e di conseguenza l'utilità pubblica si ricongiungono alle idee di giustizia distributiva per esigere che la proprietà di un'opera sia assicurata all'autore dalla legge. Di conseguenza, ogni persona che si è dimostrata colpevole di aver stampato un libro nel corso della vita di un autore, o a meno di dieci anni dopo la sua morte, senza il suo consenso espresso o per iscritto, o quello dei suoi aventi causa, sarà dichiarata contraffattore; e come tale sarà condannata al risarcimento dei danni, che non eccederanno il valore di mille esemplari dell'opera contraffatta: inoltre, gli esemplari contraffatti che potranno essere sequestrati saranno riconsegnati all'autore, e pagati a coloro che li avranno acquistati in buona fede, a spese di colui che sarà giudicato responsabile dell'edizione furtiva; infine gli stessi torchi del

11 Cfr. Lionello Sozzi, “Élévation” funzione delle Lettere e libertà di stampa tra rivoluzione e restaurazione in

L'utile, il bello, il vero: il dibattito francese sulla funzione della letteratura tra Otto e Novecento, Quaderni del

seminario di filologia francese, ETS, Pisa, 2002, pp. 26-35.

12 François Lanthenas, De la liberté indefinie de la presse, Parigi, 1791, p. 6.

13 L'intero progetto di legge è riportato in Philippe-Joseph-Benjamin Buchez e Pierre-Celestin Roux, op.cit., pp. 273-288.

14 Ibidem, p. 276. 15 Ibidem, p. 279.

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contraffattore potranno essere confiscati e venduti a beneficio dell'ufficio dei poveri»16.

Il progetto di legge veicola una nuova concezione del diritto di proprietà dell'autore sull'opera: esso diviene espressione di un diritto naturale al servizio del bene comune sulla base dell'assunto che la protezione temporanea ma duratura dei diritti del creatore favorisca la circolazione delle idee a vantaggio dell'interesse generale.

Per comprendere a pieno la portata dell'articolo XIV occorre rilevare che, aboliti i privilegi e la censura preventiva, l'imperativo del legislatore in epoca rivoluzionaria era definire la responsabilità penale dell'autore: l'autore doveva essere esplicitamente nominato nel testo e farsi carico dell'onere di un eventuale processo, ma egli si vedeva al contempo riconosciuto in contropartita il diritto di proprietà sull'opera. Al nome dell'autore veniva attribuita quindi una duplice funzione: strumento di regolazione della conoscenza e segno della titolarità di un'opera. Non a caso, l'articolo in questione corona la disciplina repressiva dei reati a mezzo stampa. All'art. VI si può infatti leggere: «Se un'opera invita direttamente i cittadini a commettere un crimine, o se, essendo stata pubblicata otto giorni prima che il crimine sia stato commesso, si giudica che abbia incitato a commetterlo, coloro che sono responsabili di quest'opera potranno essere perseguiti e puniti come complici di questo crimine»17.

Se è vero che, seguendo la formulazione di Michel Foucault, «i testi, i libri, i discorsi hanno cominciato ad avere realmente degli autori (invece che personaggi mitici, invece che grandi figure sacralizzate e sacralizzanti) nella misura in cui l'autore poteva essere punito, vale a dire nella misura in cui i discorsi potevano essere trasgressivi»18, è altrettanto storicamente confermato che l'autore ha

iniziato ad essere designato quale proprietario del testo da lui redatto e ad esercitare di conseguenza dei diritti di proprietà su di esso solo nel momento in cui la sua responsabilità civile e penale veniva estesa a casi in cui la sua implicazione poteva essere alquanto dubbia e le pene connesse alla pubblicazione di scritti anonimi venivano inasprite.

Sebbene l'art. 17 della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 26 agosto 1789 proclamasse la proprietà quale diritto sacro e inviolabile e ne contemplasse l'alienazione solo in caso di necessità pubblica, legalmente constatata, e previo conferimento di una congrua indennità, il diritto di proprietà che l'autore si vedeva riconosciuto aveva carattere sui generis configurando una sorta di “diritto di proprietà limitata” poiché il legislatore ne vincolava il suo effettivo godimento alla vita dell'autore e a dieci anni dalla sua morte. Si tratta quindi di un compromesso pragmatico raggiunto in sede politica per contemperare due esigenze:

• la remunerazione economica e la definizione dei limiti di responsabilità penale dell'autore,

16 Ibidem, p. 283, corsivo mio. 17 Ibidem, p. 281.

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• la salvaguardia di un dominio pubblico dai confini non troppo angusti.

Il progetto di legge realizzava un bilanciamento dell'interesse dell'autore e degli interessi del pubblico, alla cui base si poneva la convergenza tra gli interessi commerciali degli editori e gli imperativi politici dell'Assemblea.

Il compromesso proposto sollevò un vespaio di polemiche; i giornali ne evidenziarono il carattere eccessivamente repressivo puntando l'indice in particolar modo contro l'art. VI del progetto19.

Esso scontentò tutte le parti in causa: non fu gradito dagli autori, in particolar modo dai drammaturghi, poiché l'art. XXI sanava la situazione dei titolari di privilegio garantendone il godimento sino a scadenza; subì il fuoco incrociato dei pubblicisti libertari che rivendicarono il libero accesso agli scritti e dei membri della corporazione parigina che tentarono di riesumare il codice del 1723 per legittimare la validità dei propri privilegi20.

In un vibrante pamphlet intitolato «De la liberté d'enoncer, d'écrire et d'imprimer la pensée» il conte Louis-Félix Guynement de Keralio lanciò un accorato appello affinché l'abolizione dei privilegi non si traducesse nell'introduzione di un regime proibitivo sotto nuove sembianze, difendendo a spada tratta il diritto del lettore di fare un numero illimitato di copie dell'opera data alle stampe, in quanto legittima conseguenza del diritto reale di proprietà in capo all'acquirente del libro, e riconoscendo agli autori i soli diritti morali.

Per quanto riguarda le loro opere (le opere degli autori che intendono trarre un guadagno dalla pubblicazione, ndt), essi saranno sottomessi a questo principio d'eterna verità, un libro venduto, consegnato e pagato appartiene all'acquirente: un'opera consegnata, venduta al pubblico, appartiene solo al pubblico; l'esemplare che un cittadino ha pagato costituisce un suo bene, una sua cosa; gli appartiene; ha diritto di farne ciò che gli pare. Il libraio che l'ha stampato per primo può ristamparlo, quando lo vorrà, come ogni altro cittadino, senza che l'autore possa pretendere niente; e costui può anche farlo stampare in seguito a suo rischio e pericolo21.

Occorre rilevare che questa tesi non era condivisa solo dai pubblicisti libertari, se un grande autore settecentesco come Condillac giunse a dichiarare: «Tutti quegli uomini che rendono pubblica la propria opera facendola stampare devono di conseguenza abbandonare ogni pretesa di proprietà su questa, e considerarla ormai con la stessa indifferenza che avrebbero per opere prodotte da altri. Il

19 Cfr. Alma Söderhjelm, Le Régime de la presse pendant la Révolution française, Slatkine Reprints , Ginevra, 1971, p. 123.

20 Cfr. Procès-verbaux des comités d'agriculture et de commerce de la Constituante, de la Législative et de la

Convention, publiés et annotés par Fernand Gerbaux et Charles Schmidt, Imprimerie nationale, Paris, 1906-1937, t.I,

pp. 518-519.

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solo diritto che essi possono riservarsi legittimamente è quello di correggere ciò che essi vi troveranno di errato o di inesatto»22.

Persino un ricco editore come Charles Panckoucke, pur condividendo l'impianto generale della proposta di legge e sostenendo posizioni originali rispetto al resto degli editori, giudicava che la durata del diritto di proprietà dell'autore dovesse essere modulata diversamente. In un articolo intitolato «Sullo stato attuale della stampa» apparso il 6 marzo 1790 sulle colonne del giornale Mercure de France egli scrisse, rivolgendosi ai colleghi editori: «So che diversi membri sono già convinti che la proprietà di un libro è diversa da quella di un terreno, d'una casa, d'un contratto; che queste due proprietà non possono essere assimilate. La prima ha bisogno di una protezione, di una sorveglianza sempre attiva, affinché non se ne venga privati da un momento all'altro; l'altra può essere sottratta solo ottenendo nei tribunali la nullità dei titoli di proprietà. Non sarebbe conveniente, Signori, fissare la durata di questa specie di Privilegio?»23. Sostenendo il principio di

buon senso per cui «un privilegio limitato, ma esclusivo è preferibile ad una proprietà eterna che non potrà mai essere esclusiva»24, Charles Panckoucke, negli abiti dell'editore illuminato, si

pronunciò a favore dell'adozione di una disciplina legislativa analoga a quella dello Statute of Anne. Non potremmo, per quest'aspetto, seguire ciò che è praticato in Inghilterra? Ogni autore ha un godimento di 14 anni per la sua opera; se sopravvive a questo termine, ottiene altri 14 anni di godimento; e alla scadenza di questo secondo periodo, il suo libro appartiene al pubblico. La Nazione ha pensato, a ragione, che questo modo fosse idoneo a conciliare l'interesse privato con l'interesse generale; che poiché i buoni libri contribuiscono a rischiararla e ad estendere la sua gloria all'esterno, fosse giusto favorire i suoi scrittori; perché se si vuole averne, occorre o che il governo ricompensi dignitosamente i loro lavori, o che essi abbiano un godimento esclusivo dei loro scritti nel corso di un certo numero di anni che li metta in grado di trarre tutti i frutti che ogni cittadino ha il diritto di attendersi dalla sua attività e dal suo talento25.

Questo riferimento alla disciplina britannica non godeva di unanime consenso tra gli editori, per buona parte dei quali, al contrario, «l'esempio degli inglesi non può controbilanciare l'eterna giustizia!»26.

La lobby degli editori riuscì a indurre i Comitati per l'agricoltura ed il commercio ed il Comitato per

22 Cit. in Maurice Pellisson, Les hommes de lettres au XVIII siècle, Parigi, 1911, pp. 105-106.

23 Charles Panckoucke, Sur l'état actuel de l'imprimerie, in Mercure de France, 6 marzo 1790, pp. 37- 38. 24 Charles Panckoucke, Des chambres syndacales de la France, in Mercure de France, 23 gennaio 1790, p. 182. 25 Charles Panckoucke, Sur l'état actuel de l'imprimerie, in Mercure de France, 6 marzo 1790, p. 38.

26 François Hell, Rapport fait à l'Assemblée nationale par M. Hell, député du Bas-Rhin, sur la propriété des

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la Costituzione ad elaborare un nuovo progetto di decreto avente ad oggetto la proprietà delle produzioni scientifiche e letterarie in seguito all'ennesima istanza motivata da ragioni di necessità ed urgenza.

[Il sign. Hell] ha riferito dell'istanza dei sign. Jean-Marie Bruyset, Pierre- Marie Bruyset e figli, stampatori di Lyon, volta a ottenere una legge, che assicuri agli autori la proprietà delle loro opere e ne proibisca le contraffazioni con delle pene abbastanza dure per reprimere l'avidità dei contraffattori.

Ha detto che questa legge è tanto più urgente poiché in questo momento si sta contraffacendo il dizionario del sign. Valmont de Bomare di 15 volumi, la cui edizione è apparsa solo da 15 giorni e che è costata 500.000 lire, la cui perdita ridurrà alla mendicità l'autore e gli stampatori27.

Il deputato del Basso-Reno François Hell fu incaricato di stilare il progetto di legge che fu presentato all'Assemblea Nazionale nell'estate del 1791. L'intero impianto del testo ruota attorno alla divisa “distruggere la parola, consacrare la cosa”, dove la parola da eliminare era quella di privilegio e la cosa da salvaguardare era la proprietà illimitata dell'autore, o più precisamente dell'editore.

Scrive Hell nel suo progetto di decreto:

La prima fra tutte le proprietà è quella del pensiero; essa è indipendente, essa è anteriore a tutte le leggi, così come l'invenzione e la fonte di tutte le arti e la proprietà primigenia delle loro produzioni. Tutte le altre proprietà non sono che delle convenzioni, delle concessioni della società; quelle dello spirito e del genio sono dei doni della natura; esse devono essere al di sopra di ogni minaccia28.

Riformulando tesi diderottiane, il deputato distingue tra la parte spirituale e la parte materiale dell'opera. Mentre la prima, una volta pubblicata, diviene proprietà comune, la seconda, intendendo per essa non solo la mera carta ma l'intera composizione della manifattura, appartiene al contrario esclusivamente all'autore e costituisce il patrimonio di cui godranno moglie e figli, perché essa è così inerente all'autore, che senza di lui l'opera non sarebbe esistita. Nel progetto è quindi possibile

27 Procès-verbaux des comités d'agriculture et de commerce de la Constituante, de la Législative et de la Convention, publiés et annotés par Fernand Gerbaux et Charles Schmidt, Imprimerie nationale, Paris, 1906-1937, t. II, pp. 255-256.

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rinvenire tesi d'essenza personalista seppur mitigate dal riferimento alla sola parte materiale del testo. Dalla distinzione tra supporto e discorso non deriva però una formulazione coerente dei rispettivi diritti dell'autore e del pubblico, bensì l'ingiunzione all'assemblea di abolire la parola, così come era già stato operato, ma conservare l'atto di garanzia della proprietà letteraria equiparata alla proprietà di qualsiasi altra cosa. L'art. III del progetto di decreto recita infatti:

Tutte le proprietà letterarie, garantite da un atto tutelare (nominato privilegio) e tutte le convenzioni mediante le quali sono state o saranno trasmesse a dei cessionari, saranno mantenute e rispettate come quelle concernenti ogni altra proprietà29.

Al sigillo monarchico doveva quindi semplicemente sostituirsi quello repubblicano mediante l'iscrizione nel registro del tribunale del commercio del nome dell'autore, del suo cessionario o dei suoi eredi, «segno pubblico della loro proprietà»30, del titolo dell'opera e del numero e formato dei

volumi. Pene severe erano previste per il contraffattore il quale, tra le altre cose, sarebbe stato esposto per tre ore nella pubblica piazza recando in testa la scritta “Ladro Contraffattore”.

Le argomentazioni del giurista d'Hericourt sono riprese da Hell e utilizzate per salvaguardare i privilegi esistenti e contrastare la differenziazione operata tra proprietà intellettuale e qualsiasi altro oggetto di proprietà. Cambiano i contesti storici, ma le tesi dei librai che godevano o avevano goduto di privilegi e dei giuristi che ne sostenevano le posizioni restano sostanzialmente le stesse.

L'argomento lockeano, mediante il quale veniva operato il «passaggio cruciale dalla proprietà delle cose alla proprietà di sé, e dalla proprietà di sé alla proprietà dell'opera»31, aveva ormai

permeato la letteratura giuridica divenendo tema costante all'interno delle molteplici variazioni.

29 Ibidem, p. 11. 30 Ibidem, p. 11.

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III. Drammaturghi vs compagnie teatrali

Nel corso della Rivoluzione il dibattito sul diritto d'autore si fece più concitato per l'esacerbarsi del conflitto che opponeva i drammaturghi alla Comédie Française. A partire dalle lettres patentes del 21 ottobre 168032 i privilegi per le opere di teatro venivano concessi esclusivamente ai direttori

teatrali, che detenevano in tal modo il monopolio dei diritti di rappresentazione. Agli autori spettava regolarmente un nono degli introiti netti della rappresentazione di un'opera teatrale in cinque atti, finché il guadagno ricavato dagli spettacoli non scendeva al di sotto di 300 lire d'estate e 500 lire d'inverno nel corso di due rappresentazioni consecutive. Il regolamento del 1757 elevò questi importi a 1200 lire d'estate e 800 d'inverno33. Grazie a questo tipo di regolamentazione, la Comédie

Française era diventata titolare dei privilegi sulla maggior parte dei testi teatrali, svolgendo un ruolo paragonabile a quello della Corporazione parigina degli editori. I drammaturghi non solo dovevano accettare gli scampoli degli introiti teatrali, ma anche il giudizio insindacabile della compagnia a cui i testi erano sottoposti. Questo stato di cose indusse gli autori teatrali a rivolgersi ai parlamenti per denunciare gli abusi di potere perpetrati dalla Comédie Française e contestare le frodi di bilancio a danno degli autori. Per dirimere le crescenti controversie nel 1776 Richelieu incaricò Beaumarchais di consultare i registri della Comédie34. Di fronte al rifiuto opposto dalla compagnia, Beaumarchais

dovette attendere l'occasione offerta dalla rappresentazione de “Il Barbiere di Siviglia” per richiedere il resoconto puntuale dei suoi onorari35. La controversia si prolungò a causa dell'offerta di

un compenso forfettario da parte della compagnia. Ad una temporanea conciliazione si giunse solo con i decreti dell'11 marzo e del 12 maggio 1780, mediante i quali fu stabilita una modulazione degli onorari un po' più vantaggiosa per l'autore. Restò tuttavia irrisolto il nocciolo del conflitto: la Comédie continuò a beneficiare dei privilegi escludendo gli autori dal loro godimento.

All'indomani dello scoppio della Rivoluzione, le voci dei drammaturghi si levarono dinnanzi all'Assemblea Nazionale. Nella sessione del 24 agosto 1790 il drammaturgo Jean François de La Harpe si fece portavoce delle richieste degli autori teatrali denunciando lo stato di assoggettamento nei confronti delle compagnie di attori. Poiché le compagnie teatrali, ed in particolar modo la

32 Cfr. Augustin-Charles Renouard, Traité des droits d’auteur dans la littérature, les sciences et les beaux-arts, Parigi, 1838, vol. 1, pp. 203-204.

33 Cfr. Claude Alasseur, La Comédie Française au 18ème siècle étude économique, Mouton & Co., Parigi, 1967, p. 42.

34 Cfr. Marie-Claude Dock, Etude sur le droit d'auteur, Librairie générale de droit et de jurisprudence, Paris, 1963, p. 143.

35 L'intera querelle è sintetizzata in modo ironico e beffardo dallo stesso Beaumarchais nel Compte rendu de l'Affaire

des auteurs dramatiques et des comédiens français (1780) riportato in Jan Baetens, Le combat du droit d'auteur anthologie historique, Les impressions nouvelles, Parigi, 2001, pp. 47-54.

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Comédie Française, detenevano la titolarità esclusiva del diritto di rappresentazione delle opere teatrali solo in virtù dei privilegi concessi, una volta sancita l'abolizione di quest'ultimi ad opera del legislatore repubblicano, veniva meno il fondamento di legittimità del loro monopolio; di conseguenza l'autore, in qualità di unico titolare del diritto di proprietà sull'opera, doveva essere libero di farla rappresentare da più compagnie teatrali ricavandone i guadagni pattuiti. Il riconoscimento del diritto di titolarità dell'opera e la garanzia della libertà di rappresentazione avrebbero così assicurato al drammaturgo un netto miglioramento della propria condizione economica. Rivolgendosi ai direttori teatrali Jean François de La Harpe afferma:

La vostra proprietà è esclusiva solo in virtù di un privilegio; non lo è più, dal momento in cui esso è venuto meno. Voi possedevate da soli ciò che per sua natura era comunicabile ad altri, secondo la volontà dell'autore proprietario; si trattava di un abuso. Voi continuerete a possedere ancora, ma non in modo esclusivo. La sola cosa che avete pagato all'autore è il diritto di rappresentare la sua opera; lo conserverete. L'esclusiva, che era costretto a lasciarvi, non l'avevate da lui, ma da un privilegio. Il privilegio non esiste più; l'esclusiva muore con lui e ciascuno riacquista i propri diritti36.

Nel corso della relazione La Harpe controbatte il sofisma mediante il quale si equipara la proprietà dell'opera a quella di un terreno applicando alle opere teatrali l'argomento già avanzato da Condorcet nei Fragments sur la liberté de la presse: le compagnie teatrali erano legittimamente titolari del diritto di rappresentare l'opera teatrale, ma non in modo esclusivo, perché l'opera teatrale può essere fruita e rappresentata da più compagnie contemporaneamente senza che l'una privi l'altra del suo godimento. Per quanto riguarda invece i contratti in cui l'autore accettava che l'opera teatrale appartenesse alla compagnia in seguito alla caduta degli introiti al di sotto di una certa soglia, La Harpe evidenzia che tali contratti erano inficiati da un vizio di fondo concernente l'espressione della volontà dell'autore: il privilegio esclusivo imponeva all'autore di sottostare ai dettami della compagnia a cui cedeva i diritti di rappresentazione poiché le sorti dell'opera erano interamente nelle mani di quest'ultima, visto che non esistevano altri canali attraverso cui l'autore avrebbe potuto ricavare dei guadagni.

I contratti legano coloro che li hanno stretti. Si, quando sono volontari da entrambe le parti: ma il vostro privilegio esclusivo vi metteva nella condizione di dettar legge a chiunque volesse

36 Jean François de La Harpe, Adresse des auteurs dramatiques à l’Assemblée Nationale, prononcé par M. de La

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essere messo in scacco; ogni contratto in cui una parte è nella condizione di dettar legge all'altra è nullo di diritto37.

Mantenendo fermo l'obiettivo di assicurare una maggiore indipendenza e una condizione economica più favorevole agli autori, il progetto di La Harpe accoglieva le novità in materia di diritto d'autore introdotte dalla proposta di legge del gennaio 1790, sfrondandone le misure repressive e occupandosi specificamente delle pièces teatrali. Il combinato disposto degli art. 3, 4 e 5 del progetto di legge garantiva agli autori il diritto alla titolarità della propria opera per tutto l'arco della loro vita e cinque anni dopo la loro morte. L'autore aveva quindi diritto a dare il proprio consenso alla rappresentazione dell'opera a più compagnie teatrali secondo la propria volontà; passati cinque anni dalla sua morte, l'opera ricadeva nel dominio pubblico.

4°. Le opere degli autori viventi non potranno essere rappresentate su nessun teatro pubblico, in tutta l'estensione del reame, senza il loro consenso formale o per iscritto.

5°. Cinque anni dopo la morte degli autori, sarà permesso di rappresentare le loro opere su tutti i teatri, senza che nessuno possa esigere una retribuzione, a meno che essi non abbiano fatto una cessione particolare a tale o talaltra compagnia; nel qual caso, questa compagnia sarà la sola a rappresentarla finché sussisterà38.

Il progetto presentato da La Harpe ed in modo comparabile il precedente progetto di Sieyès contengono una concezione contrattualistica dei diritti d'autore all'interno della quale i diritti dei soggetti interessati, rispettivamente l'autore, le compagnie teatrali, il pubblico, ricevono un bilanciamento dettato dall'esigenza di garantire sia all'autore che alle compagnie la possibilità di sfruttamento economico dell'opera e di realizzare al contempo la diffusione ottimale dell'opera stessa. Ne consegue quindi una limitazione dei diritti patrimoniali riconosciuti agli autori.

Il tentativo di spezzare il dominio privilegiato della Comédie Française si spinse fino a configurare il diritto d'autore quale unica chiave adatta ad aprire le porte dei teatri ad una ventata di concorrenza capace d'innescare un processo virtuoso verso l'emancipazione degli autori ed una maggiore accessibilità delle opere per il pubblico.

Il comitato per la Costituzione, incaricato dell'esame dell'intera questione, decise di elaborare un apposito decreto per regolare la materia dei diritti d'autore in riferimento alle opere teatrali. Il decreto, la cui redazione fu attribuita a Honoré-Gabriel de Mirabeau39, fu approvato dall'Assemblea 37 Ibidem, p. 34.

38 Ibidem, pp. 38-39.

(13)

Costituente il 13 gennaio 1791 subito dopo il rapporto del deputato Isaac-René-Guy Le Chapelier, il quale sin dal suo incipit esplicitò le puntuali richieste dei drammaturghi.

I drammaturghi domandano la distruzione del privilegio esclusivo che pone nella capitale un unico teatro, a cui sono costretti a rivolgersi tutti coloro che hanno composto delle tragedie, o delle commedie di genere elevato; richiedono che gli attori affiliati a questo teatro non siano più, né di diritto né di fatto, i proprietari esclusivi dei capolavori che hanno reso illustre la scena francese; e, sollecitando per gli autori, i loro eredi o cessionari, la più completa proprietà delle loro opere, durante la loro vita e cinque anni dopo la loro morte, riconoscono, e anche invocano, i diritti del pubblico, e non esitano a riconoscere che dopo il termine di cinque anni, le opere degli autori sono una proprietà pubblica40.

Nell'esposizione di Le Chapelier argomenti d'essenza personalista si intersecano con perorazioni a favore della salvaguardia del dominio pubblico in linea di continuità con la petizione presentata da La Harpe. Anche nelle parole di Le Chapelier si propone nuovamente il modello britannico quale strumento di composizione degli interessi e viatico alla liberalizzazione del mercato delle opere e delle rappresentazioni teatrali. Dato il suo carattere intrinsecamente pubblico, l'opera intellettuale può essere sottoposta solo temporaneamente ad un regime di proprietà privata per motivi d'ordine utilitaristico.

La più sacra, la più legittima, la più inattaccabile, e se posso così dire, la più personale delle proprietà è l'opera frutto del pensiero di uno scrittore; tuttavia si tratta di un genere di proprietà del tutto differente dalle altre proprietà. Quando un autore ha consegnato la sua opera al pubblico, quando quest'opera è nelle mani di tutti, tutti gli uomini istruiti la conoscono, si sono impossessati delle cose belle che contiene, hanno affidato alla loro memoria i tratti più felici, sembra che, da questo momento, lo scrittore abbia associato il pubblico alla sua proprietà, o piuttosto gliela abbia trasmessa per intero. Tuttavia, siccome è estremamente giusto che gli uomini che coltivano il campo del pensiero traggano qualche frutto dal loro lavoro, bisogna che, durante tutta la loro vita e qualche anno dopo la loro morte, nessuno possa, senza il loro consenso, disporre del prodotto del loro genio. Ma, dopo il termine fissato, ha inizio la

Guillaume, Imprimerie nationale, Parigi, 1889, t.I, p. 52 e t.II p. 354; Honoré-Gabriel Riqueti Mirabeau, Œuvres de Mirabeau précédées d'une notice sur sa vie et ses ouvrages, par M. Merilhou, Lecointe e Pougin, Parigi, 1834, t.

III, p. 11.

40 Isaac- René-Guy Le Chapelier, Rapport fait par M. Le Chapelier, au nom du comité de Constitution, sur la pétition

des auteurs dramatiques, dans la séances du jeudi 13 janvier 1791, avec le décret rendu dans cette séance,

(14)

proprietà del pubblico e tutti devono poter stampare, pubblicare le opere che hanno contribuito a rischiarare lo spirito umano41.

Con l'approvazione del decreto del 13 gennaio 1791 le richieste dei drammaturghi circa la libera facoltà di aprire un nuovo teatro, il riconoscimento dei diritti d'autore, la libertà di rappresentazione e la salvaguardia del dominio pubblico furono pienamente accolte divenendo legge dello Stato. La successiva legge del 19 luglio 1791 disciplinò più specificamente lo svolgimento degli spettacoli introducendo delle norme a tutela della retribuzione dei drammaturghi. L'articolo 2 della legge previde infatti: «La convenzione tra gli autori e gli impresari degli spettacoli sarà perfettamente libera e né gli ufficiali municipali, né nessun altro funzionario pubblico potranno tassare le suddette opere, né moderare o aumentare il prezzo convenuto; e la retribuzione degli autori, convenuta tra loro o i loro aventi causa e gli impresari degli spettacoli, non potrà essere né sequestrata né bloccata dai creditori degli impresari degli spettacoli»42.

La vittoria dei drammaturghi fu di breve durata. Le norme introdotte dalla legge del 13 gennaio 1791 furono ampiamente disattese dai direttori teatrali che, spalleggiati dalla negligenza dei tribunali, continuarono ad aggirare i pagamenti dovuti agli autori adducendo a giustificazione di tali inadempienze l'insostenibilità degli oneri finanziari di cui dovevano farsi carico e rifiutando l'applicazione retroattiva delle nuove disposizioni di legge.

Il 6 dicembre 1791 il Comitato sull'istruzione pubblica sotto la presidenza di Condorcet, a cui fu deferita la giurisdizione sulla questione della proprietà intellettuale in seguito al trasferimento di poteri dall'Assemblea Costituente all'Assemblea Legislativa avvenuto il primo ottobre 179143,

ricevette una delegazione di autori capeggiata da Beaumarchais, che denunciò la violazione dei diritti morali e patrimoniali degli autori perpetrata dai direttori teatrali e richiese delle misure coercitive volte a garantire l'effettiva efficacia delle norme in vigore.

Beaumarchais giudicò persino derisorio il fatto che il legislatore avesse dovuto riconoscere ciò che incontestabilmente è proprietà degli autori. Prescindendo dal carattere declamatorio del testo e dalla retorica incalzante, è possibile rilevare che la convergenza dell'estetica del genio creatore con l'esigenza di remunerazione del lavoro viene rafforzata dal riferimento alla sacralità del diritto di proprietà così come riconosciuto dall'art. 17 della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino.

41 Ibidem, p. 16.

42 Il decreto è interamente riportato in Augustin-Charles Renouard, Traité des droits d’auteur dans la littérature, les

sciences et les beaux-arts, Paris, 1838, vol. 1, pp. 317-318.

43 M. J. Guillaume, Procès-verbaux du Comité d'instruction publique de la Convention Nationale, Imprimerie Nationale, Parigi, 1891-1958, t.I, pp. I-IV.

(15)

Solo la mia proprietà, come autore drammatico, la più sacra di tutte le altre, poiché non mi proviene da nessuno e non può affatto essere contestata per dolo, frode o seduzione, l'opera concepita dal mio cervello, tutta armata come Minerva, da quello del signore degli Dei, solo la mia proprietà ha avuto bisogno che una legge pronunciasse che è mia, me ne assicurasse il possesso. [...]

Ma i direttori degli spettacoli hanno posto questo principio: «Autore drammatico – hanno detto – l'opera che è stata concepita da lei, è sua, ma non spetta a lei. Lei non ne trarrà alcun frutto: è nostra, poiché noi siamo da cent'anni, grazie alla lunga serie di abusi di un regime depredatore e la vostra indubbia debolezza, in grado d'arricchirci insieme a lui, senza rendervi neanche una minima parte del profitto che traiamo44.

Beaumarchais considera iniquo ed ingiusto nei confronti degli autori e dei loro eredi l'aver applicato alla proprietà intellettuale un regime differenziato rispetto agli altri oggetti di proprietà.

Se si ritenesse di doversi impietosire per tutti questi direttori di compagnie che si dicono sofferenti mentre s'impadroniscono delle nostre opere, che cosa si dovrebbe fare per gli autori, la cui proprietà non vale quasi niente durante l'arco della loro vita ed è del tutto persa dai loro eredi cinque anni dopo la loro morte? Tutte le proprietà legittime si trasmettono pure e intatte da un uomo ai suoi discendenti. Tutti i frutti del suo lavoro, la terra che ha dissodato, le cose che ha fabbricato appartengono, fino alla vendita che hanno sempre il diritto di farne, ai suoi eredi, chiunque essi siano. [...] La proprietà degli autori, a causa di un'eccezione sconfortante, è l'unica la cui eredità dura solo cinque anni, secondo i termini del primo decreto45.

Alle veementi proteste dei drammaturghi si sovrapposero quelle dei direttori teatrali di provincia che si rifiutavano di ottemperare a quello che ritenevano un duplice pagamento dei diritti d'autore: se il drammaturgo faceva pubblicare la propria opera teatrale e ne consentiva la vendita, l'acquisto di una o più copie da parte della compagnia teatrale doveva ritenersi sufficiente ad ottemperare gli obblighi derivanti dal riconoscimento dei diritti dell'autore. La pièce sarebbe quindi stata rappresentata liberamente da ogni compagnia che ne avesse acquistato una copia.

I direttori teatrali riuscirono temporaneamente a spuntarla: l'art. 1 del decreto adottato d'urgenza il 30 agosto 1792, presentato da Gilbert Romme, dispose che le opere teatrali pubblicate e messe in vendita prima del decreto del 13 gennaio 1791 e rappresentate nel periodo antecedente a questa data

44 Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais, Pétition à l'Assemblée Nationale contre l'usurpation des propriétés des

auteurs, par les directeurs de spectacles, Parigi, 1791, pp. 2-3.

(16)

sulla scena di teatri non parigini, senza la stipulazione di una convenzione scritta con gli autori e senza alcun reclamo legalmente constatato, potessero continuare ad essere rappresentate senza dar luogo ad una retribuzione degli autori46. Il decreto del 30 agosto 1792 riconosceva la validità dei

contratti conclusi prima del 13 gennaio 1792 tra autori e direttori teatrali consentendo quindi a quest'ultimi di godere dei privilegi concessi, ma ribadiva la disciplina prevista dalla legge del 13 gennaio 1791 per i contratti conclusi successivamente a questa data. L'art. 4 precisava che l'autore che avesse venduto la propria opera ad uno stampatore, avrebbe dovuto stipulare formalmente una riserva dei diritti di rappresentazione, i cui effetti sarebbero stati limitati a dieci anni47.

Tuttavia neanche questo decreto pose fine al conflitto tra drammaturghi e direttori teatrali, che si riaccese nella seduta del 10 novembre 1792 in seguito alla presentazione di una nuova petizione da parte dei drammaturghi che elessero a loro portavoce l'autore Marie-Joseph Chénier48 e

contestarono da un punto di vista sia formale che sostanziale l'adozione del decreto del 30 agosto 1792, il quale venne abrogato dal decreto del primo settembre 179349. Quest'ultimo sancì la piena

applicazione delle disposizioni della legge del 13 gennaio 1791 riconfigurando nuovamente i rapporti di forze tra autori e direttori di teatro a favore dei primi.

IV. Legge 19 luglio 1793: la dichiarazione dei diritti del genio

I drammaturghi non furono i soli a levare la propria voce in difesa dei diritti d'autore. Ad essi si affiancarono i compositori e gli editori di musica che il 2 giugno 1792 presentarono una petizione dinnanzi all'Assemblea Legislativa per sollecitare una legge contro le contraffazioni50. Le proteste

congiunte dei drammaturghi e dei compositori di musica pervennero all'esame del Comitato per l'istruzione pubblica il 20 febbraio 179351. Chénier fu designato come relatore del progetto di legge

sulle contraffazioni, mentre a Baudin venne affidato quello sulla proprietà dei drammaturghi. È a quest'ultimo che si devono le considerazioni preliminari che caratterizzarono la relazione di Joseph Lakanal del 19 luglio 179352.

46 M. J. Guillaume, Procès-verbaux du Comité d'Instruction publique de l'Assemblée Législative, Imprimerie Nationale,Parigi, 1889, t.I, pp. 96-97.

47 Ibidem, pp. 97-98.

48 M. J. Guillaume, Procès-verbaux du Comité d'instruction publique de la Convention Nationale, Imprimerie Nationale, Parigi, 1891-1958, t.I, pp. 52-53.

49 Ibidem, t. II, p. 353.

50 Lettres des auteurs et editeurs de musique à l'Assemblée Nationale, 2 giugno 1792, Archivi Nazionali, F 17, 1004A, 397. Cfr. Carla Hesse, Enlightenment Epistemology and the Laws of Autorship in Revolutionary France, 1777-1793, Spring, 1990, p. 127; M. J. Guillaume, op. cit., t. I, p. 348.

51 M. J. Guillaume, Procès-verbaux du Comité d'instruction publique de la Convention Nationale, Imprimerie Nationale, Parigi, 1891-1958, t.I, p. 347.

(17)

La vittoria politica dei giacobini non comportò significativi cambiamenti della disciplina sui diritti d'autore. Una volta epurato il Comitato per l'istruzione pubblica dei suoi membri girondini, gli interventi legislativi dei giacobini si collocarono nel solco di quanto già sancito a partire dal progetto di legge del 20 gennaio 1790 di Sieyès e Condorcet. Ironia della storia, furono i giacobini a varare la disciplina legislativa prevista da questo progetto, nato e pensato per arginare una situazione d'emergenza.

Il preambolo di Lakanal, mutuato dal progetto presentato da Baudin il 20 febbraio 1793, mostra il trionfo culturale dei moderni diritti d'autore grazie all'emersione di una posizione politicamente condivisa, che consentì al relatore della legge del 19 luglio 1793 di elevarla a «dichiarazione dei diritti del genio»53.

Di tutte le proprietà, quella che meno può essere soggetta a contestazioni, quella il cui accrescimento non può né ferire l'eguaglianza repubblicana, né adombrare la libertà, è incontestabilmente quella delle produzioni del genio; e se qualcosa deve far stupire, è che sia stato necessario riconoscere questa proprietà, assicurare il suo libero esercizio mediante una legge positiva, è che sia stata necessaria una grande rivoluzione come la nostra per ricondurci su questo punto, come su molti altri, agli elementi semplici della più comune giustizia.

Il genio ha elaborato nel silenzio un'opera che estende i confini delle conoscenze umane, dei pirati letterari se ne impadroniscono immediatamente e l'autore procede verso l'immortalità solo attraverso gli orrori della miseria [...]

A causa di quale fatalità l'uomo di genio, che consacra le proprie veglie all'istruzione dei suoi concittadini, deve sperare solo in una gloria sterile e non può rivendicare il tributo legittimo di un così nobile lavoro?

A seguito di una deliberazione meditata, il vostro Comitato vi propone di consacrare le disposizioni legislative che costituiscono, in qualche modo, la dichiarazione del diritti del genio54.

La legge del 19 luglio 1793 replica il dispositivo del progetto del 20 gennaio 1790, estendendo a compositori di musica, pittori e disegnatori il godimento dei diritti di proprietà sull'opera sino a dieci anni dalla morte dell'autore. A differenza del progetto di Sieyès, la legge non prevedeva alcuna sanatoria per i titolari di privilegi.

Se nella Francia d'Ancien Régime il privilegio d'autore è stato il vessillo innalzato prima dagli

53 Ibidem, t. II, p. 82. 54 Ibidem, p. 82.

(18)

editori parigini, poi dal potere monarchico per contendersi il controllo politico e lo sfruttamento economico della produzione pubblicistica, con la Rivoluzione Francese si assiste al consolidamento di una battaglia via via più autonoma, animata dagli stessi autori, i quali si fanno promotori di un nuovo contratto sociale volto a scandire temporalmente la titolarità dei diritti di proprietà sulle opere.

Le leggi del 13 gennaio 1791 e del 19 luglio 1793 non sciolgono, né avrebbero potuto sciogliere i nodi epistemologici alla base del dibattito sui diritti d'autore, ma configurano nuovi equilibri nel campo editoriale tramite il ridimensionamento del controllo dello Stato, che assurge a regolatore del dominio pubblico e censore ex post dei reati commessi a mezzo stampa, la riduzione della posizione monopolistica degli editori e la possibile autonomizzazione economica degli autori.

Il prevalere del paradigma della proprietà privata è conseguenza del fatto che la libertà dell'intellettuale di pubblicare e diffondere le proprie idee fosse parametrata alla possibilità di inserire l'opera all'interno di un circuito retto da leggi di mercato.

Sebbene gli accenti retorici del preambolo della legge del 19 luglio 1793 sembrino propendere per l'esaltazione dell'estetica del genio creatore, dalla lettura comparata della normativa prodotta nel corso del periodo rivoluzionario si può inferire che lo statuto sociale attribuito all'autore fu quello del funzionario pubblico che opera a favore del rischiaramento nazionale. È solo in questa chiave che si può comprendere l'integrazione operata dell'applicazione della teoria lockeana della proprietà con il riconoscimento dei diritti morali dell'autore e la condivisione di un dominio pubblico delle opere.

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