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CAPITOLO III La produzione poetica di Henry Vaughan

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CAPITOLO III

La produzione poetica di Henry Vaughan

1. La formazione

Come anticipato nel primo capitolo, Vaughan è, insieme a Donne, uno dei più importanti poeti metafisici. Similmente al suo predecessore, la formazione, gli studi, le conoscenze e le esperienze convengono nella sua produzione artistica contribuendo a completare il quadro complessivo della sua personalità poetica. Vaughan, inoltre, arriva alla scrittura metafisica in seguito ad una crisi personale che gli permette di raggiungere quella grandezza per la quale oggi gode di notevole fama.

Le idee che accompagnano la sua prima educazione sono improntate alle tradizioni del suo paese, il Galles. Insieme al fratello gemello, Thomas, egli studia per sei anni sotto la guida di un rector, il quale insegna loro anche il latino. In effetti, la conoscenza, da parte di Vaughan, di questa lingua è profonda, come è testimoniato da un gruppo di poesie composte appunto in questa lingua, oltre che da un ampio corpus di traduzioni che egli compie da autori classici, come Orazio e Boezio e raccolte in Olor Iscanus (1651).

I due fratelli si recano qualche anno dopo ad Oxford. Qui si apre davanti al giovane Vaughan l‟ampio mondo della cultura, della religione e della politica, che all‟epoca aveva nelle città di Oxford e Cambridge, dopo Londra, i centri più vitali. Sebbene in questo contesto la Nuova Scienza trovasse già ampio consenso e nonostante fosse ben avviato l‟insegnamento della geometria, della matematica e dell‟astronomia, sopravvive comunque la tradizione medievale impregnata di magia e occultismo.1 Inoltre, la presenza

del fratello Thomas, uno degli studiosi più autorevoli del suo tempo, affermatosi proprio nel campo della filosofia ermetica, pone Henry nelle condizioni più favorevoli per approfondire notevolmente la conoscenza di questa disciplina. Come vedremo nelle sezioni successive di questo elaborato, saranno appunto queste conoscenze a lasciare evidenti e numerose tracce nel suo linguaggio poetico.

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Verso la fine del 1640, Vaughan si reca a Londra per studiare legge negli Inns of Court, l‟istituzione più ricca di vita culturale e intellettualmente tra le più stimolanti di tutta l‟Inghilterra (Leardi 1967, p. 4): qui John Donne aveva già tenuto i suoi celebri discorsi pubblici, qui si davano rappresentazioni teatrali e musicali. È questo ambiente particolarmente dinamico a costituire il terreno fertile per la crescita letteraria del giovane Henry, specialmente attraverso il contatto con un gruppo di artisti di grande importanza per il futuro sviluppo della scrittura di quest‟ultimo: i poeti della scuola di Donne (Cowley, Davenant, Michael Drayton, Sir Thomas Overbury, Randolph, e altri).

Il linguaggio della poesia di Vaughan, specialmente quella devota, rivela la sua assidua lettura delle Sacre Scritture. Dall‟altra parte la traduzione di trattati di medicina ermetica (come The Chymists Key di Nollius del 1657) e la professione di medico, intrapresa in quegli anni, rivelano gli altri due forti interessi di Henry. Nell‟ambito ermetico, poi egli fornisce persino un contributo personale. In aggiunta alla nozione ermetica di medicina universale, cioè di pietra filosofale come panacea agente sui metalli e sull‟uomo, Vaughan sviluppa anche il concetto ad essa correlato di „elemento conservativo che viene donato da Dio agli

uomini e che i medici dovrebbero potenziare nell‟uomo attraverso la prescrizione di una vita moderata e un regime severo. Questo elemento è analogo a quello che Paracelso chiama „Quintessenza o balsamo protettore.2

2. La crisi personale

Gli anni della formazione di Vaughan sono quelli in cui iniziava a prendere corpo un profondo processo di trasformazione personale che iniziò prima con una crisi religiosa e che avrebbe condotto alla sua conversione (Leardi 1967, p. 6). Questo evento ebbe luogo probabilmente, tra il 1644 e il 1650, cioè negli anni immediatamente precedenti la pubblicazione di Silex Scintillans, la sua raccolta poetica maggiore (pubblicata in due edizioni, la prima nel 1650 e la seconda nel 1655). Quest‟ultima svela, appunto, l‟avvenuta rivoluzione spirituale e intellettuale nell‟uomo e nel poeta, un cambiamento così radicale da far pensare ad un‟esperienza più incisiva di una semplice maturazione psicologica. È

2R.H.W

ALTERS, “Henry Vaughan and the Alchemists”, in The Review of English Studies, Oxford

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egli stesso a prendere atto del cambiamento di rotta in ambito spirituale e letterario nella prefazione alla seconda edizione, sostenendo che coloro i quali si trovano privi di talento nel versificare possono essere definiti come semplici traduttori e ammettendo di essere stato egli stesso in questa situazione per diversi anni ma di esserne finalmente uscito come un uomo che sia guarito da una malattia: “I myself have, for many years together, languished of this very sickness; and it is no long time since I have recovered”.3 Vaughan

riconosce, quindi, di non aver avuto, per diverso tempo, quello spirito creativo che distingue i grandi autori dai semplici traduttori quindi i veri creatori dai semplici esecutori.

Non è un caso che all‟inizio della raccolta egli collochi una poesia che cristallizza, artisticamente, la crisi avvenuta in lui attraverso la messa in rilievo sin dal titolo del tema fondamentale di tutta la sua opera, “Rigeneration”. In questa poesia egli appunto presenta, in forma allegorica, l‟avvenuta rigenerazione dalla vita mondana all‟ascesa a Dio, sotto forma di ascesi spirituale. All‟inizio dell‟opera egli afferma di sentirsi ancora legato alle frivolezze terrene e al peccato che offuscano la sua mente ( “sin/ Like clouds eclipsed my mind”, vv. 7-8). Una volta trovato Dio, i suoi sensi scoprono una nuova primavera ed egli vede il mondo e la vita panteisticamente, come interamente pervase dal divino (“Found all was chang'd, and a new spring/ Did all my senses greet”, vv. 35-6): a questo punto, l‟io poetico percepisce l‟avvenuto rinvigorimento dei propri sensi ed è pronto a trascendere le apparenze per ricongiungersi alla realtà divina. È in seguito a questa conversione che egli decide di diventare un poeta religioso: l‟impulso verso la divinità ispirerà da qui in avanti tutta la sua produzione seguente, compresa la seconda edizione di Silex Scintillans.

Prima di interrogarci sulle ragioni psicologiche profonde e sugli esiti estetici che questo momento determinante ha avuto sull‟evoluzione intellettuale e spirituale di Vaughan, occorrerà prima ripercorrere brevemente le tappe fondamentali della sua parabola artistica, dalle prime opere, spesso ancora pedissequamente ossequiose verso moduli estetici tradizionali epocali, alla produzione più tarda, invece più compiuta, matura e innovativa.

3 The Works of Henry Vaughan, edito da L.C.MARTIN, The Clarendon Press, Oxford 1957, vol. 2,

p. 193. D‟ora in avanti tutti i componimenti citati saranno tratti da questa edizione. I corsivi, se non diversamente specificato, saranno miei.

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54 3. La prima produzione poetica

Tra il 1640 e il 1680, Vaughan compone le sue prime opere, cioè i Poems, il volume di poesie e traduzioni intitolato Olor Iscanus (1651) e parte di Thalia Rediviva (1678). Nella prima raccolta (Poems), egli si dichiara apertamente ammiratore di Ben Jonson e di Donne. Infatti, in “To my Ingenuous Friend R.W.”, Henry descrive gli “Elysian fields” (v. 26) come uno spazio intellettuale edenico in cui vorrebbe rifugiarsi con “R. W.”, un amico al quale è legato da un “ancient Love” (v. 25). Nei suoi Campi Elisi Vaughan pone prima di tutto quelli che egli considera i suoi maestri: “First, in the shade of his owne bayes, / Great BEN…” (vv. 29-30). Si tratta di una chiara allusione, a sua volta funzionale a una dichiarazione di appartenenza poetica, a Ben Jonson, al tempo considerato un padre della lirica contemporanea. In questa fase della produzione egli si dedica, infatti, alla poesia d‟amore come l‟intendeva la corte di Carlo I, ossia sensuale, ironica e blasfema nella sua mescolanza di sacro e profano (Leardi 1967, p. 10). Vaughan, tuttavia, capisce poco la novità del linguaggio donniano e jonsoniano tanto che in lui permangono i petrarchismi, che i due poeti avevano oramai abbandonato da tempo. Ad esempio, in “To Etesia Going Beyond Sea” (Thalia Rediviva) dopo l‟attacco drammatico di “Go, if you must, but stay and know/ And mind before you go, my vow” (vv. 1-2), reminiscente degli stilemi donniani (in particolare l‟abrupt opening, l‟uso di una diction colloquiale e l‟uso della logica a fini seduttivi), la poesia prosegue con versi come “Now to those happy Shades I‟le go/ Where first I saw my beauteous Foe” (vv. 5-6), ritornando quindi allo stilema petrarchesco del primo e indimenticabile incontro (“Where first I saw”, v. 6) con la donna amata, a sua volta basato sulla messa in rilievo dell‟emozione e della subordinazione dell‟io poetico alla donna.

Un altro genere a cui si dedica il primo Vaughan è quello degli elogi letterari di amici o letterati, genere ampiamente diffuso nella poesia secentesca. Olor Iscanus e Thalia Rediviva contengono parecchi di questi omaggi, in cui però Vaughan, secondo la Leardi, raramente ottiene risultati poetici superiori all‟eredità jonsoniana, poiché gli manca un atteggiamento critico nei confronti degli autori in questione e delle loro opere. Egli sembra spesso servirsi degli elogi come mezzo per polemizzare in campo letterario. Così, in “Upon Mr. Fletchers Playes”, il poeta attacca i Puritani e la loro avversione nei confronti del teatro: “This, or that age may write, but never see/ A wit that dares run parallel with thee” (vv. 55-6). Essi,

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per quanto possano cimentarsi nella scrittura, non avranno mai lo stesso wit dei drammaturgi, come Fletcher.

Analizziamo adesso le caratteristiche formali che contraddistinguono la produzione poetica di Vaughan.

4. Le caratteristiche formali della poesia di Vaughan

Vaughan, sin dagli anni dalla sua formazione, è stato fortemente influenzato, nella stesura dei suoi componimenti, da altri autori e movimenti letterari. Questa non è una cosa inusuale in letteratura e in un giovane poeta, ma l‟abitudine di questo autore per il riuso prosegue costante fino alla fine della produzione.4

In Silex Scintillans, l‟influenza di Herbert è predominante. Henry ne rimaneggia i temi portanti (come il rapporto sinusoidale con Dio), prende in prestito molti stilemi caratteristici (come l‟associazione heart-stone), ne adotta la metrica (come ad esempio la rima spezzata in “Disorder and Frailty”), fino a spingersi a imitarne persino i titoli (si pensi a quanto accade, ad esempio, in “The Storm”, “Man” o in “Peace”). Riguardo in particolare alle forme metriche, egli è affascinato soprattutto dalle anomalie ritmiche che in Herbert sono regolarmente associate a sentimenti timicamente disforici (come in “The Altar”) e che Vaughan riprende, ad esempio, in “Disorder and Frailty”. In questo componimento vi sono infatti due forme metriche, il tetrametro e il dimetro, che vengono caricate di valenza simbolica. Esse si alternano nella descrizione del rapporto uomo Dio, indicandoci, rispettivamente i poli disforici ed euforici di questa relazione timica. La polarità è a sua volta relativa a due sentimenti: l‟ottimismo, nel caso dei poli euforici, e la depressione, nel caso di quelli disforici.

Ci sono, secondo Bennett,5 due peculiarità nella prima produzione poetica di Vaughan.

La prima è che questo autore non appare mai interessato all‟isotopia centrale del singolo testo, dato che egli sembra più giocare con un‟immagine dominante, ritardandone l‟utilizzo che si verifica finalmente nell‟ultima stanza. L‟altra particolarità è la sua preferenza nel trarre le immagini dall‟ambiente campestre, anche quando il suo modello è

4 J.BENNETT, op. cit., pp. 71-2. 5 Ibid.

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Donne, il quale, come poeta urbano, raramente guardava in quella direzione (Bennett 1953, p. 72). Da ciò deriva, perciò, l‟utilizzo complesso e stratificato del conceit come cristallizzazione retorica unica e originale di queste due caratteristiche. Ad esempio, in “To Amoret, of the Difference „twixt Him, and Other Lovers, and What True Love is” non sembra che ci sia una relazione logicamente convincente tra il comportamento della luce al tramonto (“Those spurious flames suck'd up from slime and earth/ To their first, low birth”, vv. 5-6) e i “Sublunary Lovers‟ hearts” (v. 15), cioè gli amanti che non possono sopravvivere alla separazione perché dipendenti l‟uno dall‟altro, proprio come i corpi sublunari. Le due osservazioni rimangono separate e sembrano essere tenute insieme arbitrariamente, a differenza di quanto avviene invece nel tipico conceit donniano.

L‟impressione lasciata dai primi testi di Vaughan è che il metaphysical conceit sia per lui una moda che egli accetta passivamente, piuttosto che un poetic device strutturalmente integrato nel testo per comunicare espressivamente e in modo indiretto una nozione più articolata e complessa. La sua poesia diventa autenticamente lirica solo nel momento in cui descrive la natura. Nessun altro tra i seguaci di Donne guardava la terra, il cielo, l‟acqua, gli uccelli e i fiori con la stessa emozione e delicatezza con cui lo fa Vaughan. Ad esempio, spesso Vaughan utilizza l‟immagine di un fiore o di una pianta per metaforizzare i movimenti della propria psiche: così in “Regeneration” si stabilisce una corrispondenza diretta tra il mondo naturale e quello interiore, dove il primo esercita concreti effetti sul secondo: “surly winds/ Blasted my infant buds” (vv. 6-7). Proprio questa intima consapevolezza del legame individuato con la natura e la capacità di modellizzare i più minuti particolari di questo rapporto è ciò che lo rende un poeta di spicco rispetto agli altri autori della sua epoca.

Oltre al sentimento intuitivo e immediato che scaturisce dalla contemplazione diretta e particolareggiata della natura, nella produzione poetica di Vaughan ha un ruolo fondamentale anche la relazione tra Dio e l‟uomo. Questi due aspetti sono reciprocamente collegati: più precisamente, il secondo conferisce uno spessore mistico e metafisico alle osservazioni del mondo esterno, per cui l‟esplorazione della propria fede è complementare al delinearsi della sua concezione della natura. Dall‟essere un semplice ornamento o illustrazione, la sua recettività naturalistica diventa il cuore pulsante della poesia. Secondo Bennett, Vaughan emerge dal contatto con Herbert come poeta metafisico, non perché tale fosse quest‟ultimo ed egli ne costituisse una mera imitazione, ma perché scatta in lui quel

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cambiamento cognitivo, appunto di tipo metaphysical che lo rende in grado di correlare due esperienze cruciali ma potenzialmente estranee l‟una all‟altra, come lo sono la vita spirituale del fedele e la percezione del mondo concreto fenomenico naturale. È proprio il verso metafisico a permettergli di trovare un nesso logico ed emozionale tra la fede e la fascinazione per le bellezze del mondo.6

Per comprendere meglio la questione dei rapporti intertestuali con i suoi predecessori, prendiamo in considerazione Amoret. Nell‟ottica di Bennett, quando Vaughan decide di realizzare quest‟opera sulla scorta della consuetudine scrittoria metafisica, lo fa comportandosi da pedissequo imitatore:7 i suoi argomenti risultano elaborazioni di ciò che

aveva visto già fare ad altri. Infatti, nella vera poesia metafisica, il paragone intellettuale esprime la consapevolezza di un mondo in cui le parti separate e apparentemente non collegate sorprendentemente si richiamano a vicenda. Nella falsa poesia metafisica, quella manieristica e imitativa, invece, la relazione contemplata dipende da una somiglianza del tutto superficiale e convenzionale. Egli manca della consapevolezza donniana delle implicazioni nascoste tra le pieghe delle relazioni umane, così come non ha ancora acquisito la sobrietà concettuale e formale propria di Herbert, pur essendo incontestabilmente il più lirico fra i tre.8 Forse, è tuttavia questa la particolarità che

conferisce alla produzione poetica di Vaughan il peculiare carattere di esprimere autenticamente percezioni uniche e irripetibili al di sotto dell‟apparente acquiescenza a moduli espressivi altrui e a stilemi convenzionali.

4.1. Il rapporto con John Donne

Oltre a Jonson, anche Herbert e Donne contribuiscono alla formazione di Vaughan tanto da occupare un posto centrale, sul piano dei nessi intertestuali, nelle sue opere. Tra questi, però, è soprattutto il maggiore esponente della poesia metafisica a lasciare un segno evidente nella produzione di Vaughan, sia nella prima produzione sia in quella più

6 J.BENNETT, op. cit., pp. 76-7. 7 Ibid.

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matura. Molti sono i punti di contatto e molte le differenze che contribuiscono a delineare il particolare rapporto tra i due.

Sebbene egli si ricolleghi a Donne per la ricerca di quella poesia che fa propria tutta l‟esperienza umana, materiale e spirituale, e che costituisce la grandezza dei metafisici, piuttosto diversi sono i risultati che ottiene la sua poesia: vi si riscontrano metafore estrapolate dal linguaggio della scienza, dell‟astronomia, della filosofia, della religione, del mondo contemporaneo, ma esse non sono espresse con la medesima studiata spontaneità come invece accade per Donne. Mettendo a confronto, ad esempio, l‟immagine dei “Sublunary Lovers‟ hearts” di Vaughan e i “sublunary lovers” di Donne (“A Valediction: Forbidding Mourning”, v. 13), vediamo che, nel primo caso, l‟immagine resta isolata e scollegata da tutto il resto (si veda il paragrafo 3.4.), mentre nel secondo caso la metafora è perfettamente calata e integrata nel suo contesto. Come quest‟ultima, tutte le metafore astronomiche presenti nel componimento donniano (quali “moving of the earth”, v. 9, “spheres”, v. 11) sono, invece, parte di una complessa allegoria astronomica su cui Donne costruisce il testo e che ha quindi valore strutturale e non meramente contenutistico.

Anche dal punto di vista della configurazione strutturale i versi di apertura di molti dei suoi componimenti riecheggiano apertamente alcuni incipit donniani: “Here, take again thy Sack-cloth!” verso iniziale di “Upon a Cloke Lent Him by Mr. J. Ridsley” (Olor Iscanus) è equiparabile a “Here, take my Picture” che apre l‟Elegie V donniana. Questi versi possiedono lo stesso abrupt opening, lo stesso drammatico appello a un interlocutore, un appello che, se in Donne è sostenuto lungo tutto il componimento, in Vaughan si spegne, invece, quasi immediatamente al verso seguente. Osservando contrastivamente questi incipit, è anche possibile notare come in Vaughan sia più limitata un‟altra caratteristica della poesia donniana, cioè l‟uso del linguaggio colloquiale che Donne adopera regolarmente per concretizzare le immagini più complesse o per ottenere arguti effetti di contrasto e paradosso. In Vaughan, invece, ritroviamo, invariabilmente e, spesso, ingiustificatamente, espressioni quotidiane accanto a termini letterari aulici o arcaici, come “airie paths” o “drowsie fields” in “To My Ingenuous Friend, R. W.”, vv. 38 e 39.

Rispetto a questi elementi e al loro differente uso da parte dei due poeti, Garner, uno dei maggiori commentatori di Vaughan, opportunamente e spietatamente, scrive: “where a poet like Donne quite plainly uses outworn cosmology and natural philosophy as

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metaphors, Vaughan often asserts them for their own sake”.9 Ciò che per uno è un mezzo

espressivo fondamentale di trasposizione strutturale di movimenti interiori a fini espressivi, per l‟altro è un elemento di contemplazione fine a se stesso. In “In Amicum Foeneratorem”, ad esempio, similitudini astronomiche sono usate per un mero gioco retorico finalizzato all‟abbellimento superficiale: “And hence this bag more Northward layd I guess/ For „tis of Pole-star force” (vv. 10-1). La finalità, qui, consiste nell‟illustrare con ironia l‟attrazione esercitata sul poeta dalla borsa piena dell‟amico.

Vaughan dunque, imita Donne ma non è Donne: quest‟ultimo percepisce le contraddizioni e i paradossi della condizione umana, della religione, del linguaggio, fornendocene una trasposizione poetica di notevole complessità intellettuale. Come sappiamo, il conceit e il wit sono gli strumenti ideali a comunicare tale sensibilità. In Vaughan manca l‟aperta curiosità per il mondo umano nella sua interezza, per le sue contraddizioni e anche per le sue irriducibili assurdità. Egli prova ad interessarsi al mondo esterno, alla società e alla cultura contemporanea, ma l‟unico desiderio che ha è quello di sfuggire a tutto questo. Questo è l‟unico vero sentimento che traspare dalla sua poesia e che, come vedremo, costituirà il tema principale della produzione matura, nobilitato ed elevato dall‟ispirazione religiosa.

4.2. Le tematiche principali

Le opere sopra citate mostrano con particolare evidenza la presenza di alcune tematiche ricorrenti nell‟opera di Vaughan. In questo paragrafo, indagheremo nel particolare, tre, fra le più rilevanti per questo studio: la natura, la religione e la classicità.

La natura è un‟isotopia fondamentale, è ciò da cui egli parte per dare forma alle sue poesie e che lo accompagnerà nella totalità della sua produzione poetica. Inizialmente essa è solo un dettaglio piacevole che fa da cornice alle situazioni presentate nei componimenti, manifestandosi in tutte le molteplici forme: fiori, animali, luce e stelle. Si pensi, ad esempio, a “Upon the Priory Grove”, un testo in cui il poeta crea un suggestivo quadro

9 R.GARNER, Henry Vaughan: Experience and the Tradition, University of Chicago Press, Chicago

1959 e R.H.WALTERS, “Henry Vaughan and the Alchemists”, in The Review of English Studies, XXIII

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naturale con l‟inserzione di vari elementi particolari: “hail” (v. 1), “raven” (v. 8), “owl” (v. 8), “leaves” (v. 10 ), “oak” (v. 12), “flowers” (v. 18). Questi si rivelano puri accessori di un discorso più ampio, che a sua volta ruota attorno alla nostalgia dei tempi felici vissuti dall‟io poetico insieme all‟amata. La pioggia (“hail”, v. 1), infatti, bagna il luogo verdeggiante (“leafy house”, v. 1) delle prime passeggiate compiute dalla fanciulla (“[…] on whose soft bosom laid/ My love‟s fair steps”, vv. 4-5) e in cui gli amanti sperimentarono l‟innocenza del loro primo amore (“our first innocence and love”, v. 35).

Nella seconda fase della produzione di Vaughan, quella successiva alla conversione (avvenuta probabilmente tra il 1644 e il 1650), l‟imagery naturalistica acquisisce maggiore spessore, divenendo progressivamente l‟oggetto portante della sua scrittura, tanto da essere messa al servizio dell‟esperienza amorosa e di quella religiosa. In quest‟ambito si colloca l‟immagine fondamentale della luce, che ricorre spesso sia nella prima produzione poetica che in Silex Scintillans. Ad esempio, in “Cock-crowing” essa è associata a Dio, il quale viene a sua volta descritto con l‟epiteto di “Father of lights” (v. 1).10 Oltre a ciò, sono

numerosi gli elementi naturalistici presenti nel testo carichi di forti valenze simboliche (“cock”, “bird”, entrambi al v. 3 e “lily”, v. 48) e di cui ci occuperemo più approfonditamente in un secondo momento, essendo fortemente legati alla simbologia alchemica. Possiamo quindi affermare che in Silex Scintillans Vaughan contempli molte immagini già adoperate in precedenza da Donne ma con esiti differenti. La luce, i fiori, gli uccelli, il tramonto e le stelle se prima gli servivano da cornice, appaiono, ora, nella produzione matura, come i termini fondamentali del suo pensiero e della sua scrittura: essi si trasformano, pertanto, da elementi accessori a tratti centrali dell‟imagery. Vedremo, ad esempio, che in “Cock-crowing”, un elemento naturalistico come il gallo rivesta un ruolo centrale nel testo, essendo stato caricato di un‟enorme valenza simbolica, tanto da diventare addirittura fondamentale per la comprensione dell‟isotopia che stratifica l‟intero componimento: il simbolo alchemico delle nozze mistiche.

Strettamente connesso al tema naturalistico è, poi, quello religioso: nella bellezza della natura, il Vaughan maturo e panteistico vede la manifestazione della potenza di Dio. Tutte le creature diventano esseri da contemplare con ammirazione estatica perché in loro è

10 Il processo che attraverso la luce annuncia la presenza della divinità è detto „fotagogia‟

(termine che deriva dal greco φωταγωγία e che significa „deduzione luminosa). Cfr. la Biografia

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racchiuso lo spirito divino. Il poeta, rinnovato grazie alla conversione avvenuta, riesce ora a concepire la natura in maniera nuova: egli la umanizza e la rende viva poiché in essa risiede il Creatore. La connessione tra le due tematiche, quella naturalistica e quella religiosa, è motivata nella visione del mondo di Vaughan, dall‟adesione da parte dell‟autore alla dottrina ermetica delle corrispondenze, una concezione cosmologica in base alla quale tutte le cose esistenti, sia nel mondo materiale che in quello spirituale, siano intimamente collegate tra lo loro (Faivre 2006, p. 488). Secondo questa dottrina esistono, tra tutte le parti dell‟universo, sia sul piano del macrocosmo sia su quello del microcosmo, analogie che possono essere di due tipi: quelle presenti in Natura (quindi tra i metalli e i pianeti, tra i pianeti e il corpo umano) e quelle tra la Natura (il cosmo) e i testi sacri, come la Bibbia. Quest‟ultimo rapporto implica che la conoscenza dell‟uno da parte dell‟adepto favorisca anche una più approfondita comprensione degli altri (Faivre 1994, pp. 10-1). Così in The Elizabethan World Picture, Tillyard scrive: “[…] the works of Nature present, even in an incomplete fashion, the visible reflection of the invisible work of God”:11 questa

relazione permette di conoscere e comprendere entrambi gli aspetti in quanto essi sono l‟uno la rivelazione dell‟altro.

Oltre a ciò, molte sono le intersezioni tra il codice naturale e quello religioso. La luce della sera, ad esempio, in “They are all gone into the world of light” è identificata con l‟effetto esercitato nella mente individuale da parte del pensiero della morte. Quest‟ultima è definita appunto come “the world of light” (v. 1). La relazione stretta, qui presupposta, tra morte e luce sembra aproblematica, se viene considerata secondo l‟ottica cristiana: in questa visone del mondo, che presuppone l‟immortalità dell‟anima la morte è, infatti, soltanto un momento di passaggio dal mondo terreno, corrotto, ad uno migliore, fatto di luce: il Paradiso. La morte è, quindi, positiva poiché assume una valenza catartica e costituisce la dimensione esistenziale nella quale la sua unione con Dio finalmente si realizza. Per tale motivo, “the world of light” è introdotto in questo componimento nei termini di uno spazio in cui è presente la luce, un luogo di illuminazione per l‟uomo, in cui l‟unione di quest‟ultimo con Dio finalmente si realizza.

In Vaughan la luce ha anche una valenza gnostica e neoplatonica. Essa è, infatti, in queste correnti filosofiche, un simbolo assai diffuso per designare lo stato di ritorno

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all‟innocenza primigenia durante il quale si sperimenta l‟illuminazione spirituale. Quest‟ultima è la visione pura che l‟uomo possiede quando è “Shin'd in [his] Angell-infancy” (“The Retreat”, v. 2) ossia quello stato felice e incorrotto, antecedente alla nascita, in cui ci si trova quando non si sa ancora cosa sia la colpa: la si scoprirà vivendo e facendo esperienza della vita materiale proprio come accade ad Adamo nell‟Eden. Nascere significa cadere in una condizione di dimenticanza di questo stato primigenio, detta di ignoranza, e che potrà essere rettificata soltanto tramite la graduale e difficile acquisizione di una conoscenza illuminata, la gnosis. Quest‟ultima potrebbe essere spiegata nei termini di quella inestimabile conoscenza sperimentata dall‟anima del pensiero platonico quando entra nel regno celeste per poi procedere alla reincarnazione e all‟illuminazione spirituale (Faivre 2006, p. 982).

Non mancano poi, nella scrittura di Vaughan, allusioni a tematiche di provenienza classica, ma con un‟importante caratteristica peculiare: questi temi vengo sottoposti a originale rielaborazione, in linea con la sensibilità lirica vaughaniana. Si pensi, a titolo d‟esempio, al motivo dei Campi Elisi, che Vaughan presumibilmente desume da Orazio e Boezio e adopera per alludere alla nostalgia per un mondo ideale, al momento perduto o non ancora sperimentato da parte dell‟io poetico. La ragione di questa scelta tematica è riconducibile, non soltanto alla volontà, tipicamente metafisica, di dare sfoggio di erudizione, ma anche alla valenza che i Campi Elisi hanno nella mitologia classica. Essi erano considerati luogo in cui, dopo la morte, risiedevano gli uomini più amati dagli dei, gli eroi. Qui l‟uomo vive nella totale e perenne serenità e sperimenta la reincarnazione descritta da Platone. Per Vaughan, uomo religioso, i Campi Elisi sono riletti in chiave religiosa e corrispondo all‟Eden, luogo in cui le anime si trovano più vicine al Creatore e vivono in pace con se stesse, nella piena illuminazione divina. Ad esempio, in “To My Ingenuous Friend, R. W.”, al di là della descrizione della vita terrena, il poeta sogna il momento in cui, dopo la morte, la sua anima e quella dell‟amico si incontreranno, appunto, “into the Elysian fields” (v. 26). Vaughan, quindi, spera che la sua anima sia destinata a quel luogo paradisiaco di eterna serenità e che simbolicamente rappresenta, per lui, la condizione più alta dello spirito. È ravvisabile, dunque, una corrispondenza tra la religione e la mitologia nello stato di beatitudine che accompagna le anime quando raggiungono l‟Eden o i Campi Elisi: in entrambi i casi, esse sperimentano l‟illuminazione divina.

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Molti dei temi e delle immagini del Vaughan maturo, quello metafisico, sono invece ripresi, nella maggior parte dei casi, dall‟ermetismo e costituiranno il terreno fertile sul quale egli incentrerà la scrittura successiva alla crisi mistico-esistenziale. Dato che la dottrina ermetica costituisce la visione del mondo su cui si struttura Silex Scintillans, sarà opportuno parlarne più nel dettaglio introducendone le caratteristiche fondamentali, sia sul piano teorico sia su quello pratico, tramite l‟analisi di alcuni testi esemplari.

5. Il rapporto con l’ermetismo e l’alchimia 5.1. L’ermetismo: definizione

In English the word “hermeticism” designates: a) the Alexandrian Greek texts and teachings (called Hermetica) from the beginning of our era, associated with the name of Hermes Trismegistus, as well as works and currents directly inspired by the Hermetica, chiefly from the sixteenth century onwards; b) Alchemy; both a) and b) simultaneously and in a general manner most of the forms taken by modern esotericism. Nevertheless, to designate a), the word “hermetism” is much more appropriate. This is the word that is now used in the sense by most scholars to avoid confusion.12

Questa è la definizione che Faivre, uno dei più illustri e accreditati studiosi contemporanei dell‟argomento, fornisce del concetto di „ermetismo‟ nel suo celebre Access to Western Esotericism. Allo stesso Faivre si deve la spiegazione del concetto più ampio e generale di „esoterismo occidentale‟ entro cui si colloca la dottrina ermetica: “It covers entire areas of material presenting common elements […] that are united under the same heading by the West” (Faivre 1994, p. 6). Si tratta di un umbrella term che designa un complesso insieme di culture e tradizioni composite di grande importanza per la comprensione della cultura europea.

Nel complesso mondo culturale dell‟esoterismo occidentale, è situato, quindi, l‟ermetismo. Si tratta di un corpus di dottrine filosofiche che probabilmente si formano tra il II e il III sec. a. C. ad Alessandria d‟Egitto. Il termine viene fatto tradizionalmente derivare da Hermes Trismegistus, una figura più mitica che storicamente individuabile, al quale si deve, secondo molte correnti esoteriche, la nascita stessa dell‟alchimia. Egli era ritenuto l‟autore di un certo numero di trattati che divennero famosi sotto il nome di

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Hermetica, una raccolta a sua volta suddivisa in tre gruppi di testi: il Corpus hermeticum, il Dialogo di Asclepio e la Tabula Smaragdina, nota anche come Emerald Tablet (Lembert 2004, p. 14). Quest‟ultima è forse la più conosciuta e citata da parte degli alchimisti europei, essendo considerata il compendio di tutti i principi fondamentali della dottrina e della pratica alchemiche. La nozione essenziale e comune alle tre raccolte è basata sulla già citata teoria delle corrispondenze, una concezione cosmologica in base alla quale tutte le cose esistenti, sia nel mondo materiale che in quello spirituale, si trovano intimamente collegate tra loro (Faivre 2006, pp. 10-1).

Nel XV secolo, l‟ermetismo entra nel circuito culturale del mondo occidentale. Questo avviene nel 1471, grazie alla traduzione del Corpus hermeticum ad opera di Marsilio Ficino, illustre fiorentino studioso di Platone, il quale, su commissione di Cosimo de‟ Medici, traduce quest‟opera dal greco al latino (Faivre 1994, p. 58). Grazie al suo lavoro, emerge presto la necessità di stabilire una relazione tra le varie dottrine, esaltando allo stesso tempo il lavoro umano: l‟uomo per Ficino non è semplicemente un microcosmo che riflette passivamente il macrocosmo, ma è invece un individuo dotato di poteri straordinari, al momento sopiti, come la capacità di decidere sia il suo destino sia di modificare la propria collocazione nella gerarchia degli esseri (Faivre 1994, p. 61). Il contesto culturale in cui si colloca questo lavoro è, infatti, quello rinascimentale, che vede la filosofia permeata dalla tensione verso l‟Uno. In quest‟ottica, discipline come la matematica, la geometria e l‟astronomia risultano connesse tra loro nella volontà di dar vita a un sapere unitario e coeso. Per di più, in questo momento culturale domina, soprattutto nel fiorentino, l‟Umanesimo, ossia la visione dell‟uomo, condivisa anche da Ficino, come centro dell‟universo. Quest‟ultimo aderisce, a tal proposito, all‟idea neoplatonico-cristiana di un Dio che disperde il suo amore nel mondo in un movimento circolare, al fine di suscitare nuovamente negli uomini il desiderio di ricongiungersi a lui. Al centro di questo processo c‟è una costante tensione verso l‟unione, mentre l‟uomo, fatto a immagine e somiglianza di Dio è chiamato da Ficino, nel trattato Theologia platonica (1474), copula mundi, ossia il centro focale del creato, essendo colui che tiene legati in sé gli opposti dell‟universo.

Nel periodo di nostro interesse, ossia quello in cui opera Vaughan, l‟Inghilterra è nel pieno della Restaurazione. Nel corso di due secoli, il lavoro di Ficino aveva raggiunto gran parte dell‟Europa ed era arrivato anche in Gran Bretagna insieme alle traduzioni da Platone (Lembert 2004, p. 19). Si pensa, dunque, che Vaughan abbia attinto a questi saperi

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non soltanto direttamente, ma anche tramite gli scritti di suo fratello Thomas, da cui apprende le dottrine neoplatoniche e il pensiero del celebre esoterista, alchimista, astrologo e filosofo rinascimentale, Cornelius Agrippa (1486-1535).13 Oltre a ciò, Henry si

dedica alla lettura e alla traduzione di trattati di medicina ermetica e di opere di Paracelso (Leardi 1967, p. 7). È grazie a tali letture che Vaughan entra in contatto con l‟immaginario ermetico, dal quale, come vedremo nel paragrafo successivo, trae nozioni e conoscenze che si riveleranno fondamentali per la sua attività artistica.

5.2. Le influenze ermetiche nella poesia di Vaughan

La critica vaughaniana è concorde nell‟affermare che siano stati principalmente due i fattori decisivi, nel vissuto di Henry Vaughan, nel contatto tra il poeta e l‟ermetismo: la vicinanza al fratello Thomas durante gli anni della formazione (1638-1647) e la conversione cristiana.14

Thomas, infatti, era un autorevole filosofo e aveva pubblicato, sotto lo pseudonimo di Eugenius Philalethes, otto trattati alchemici che devono molto alla dottrina ermetica.15

Dalla lettura di Silex Scintillans, è possibile ravvisare numerose analogie tra i testi di Henry e gli otto volumi di filosofia ermetica pubblicati da Thomas. Queste analogie sono particolarmente evidenti nel linguaggio, nell‟imagery e nella semantica profonda, e costituiscono la prova più certa dell‟influenza ermetica su questo autore.

Fondamentale nell‟approccio di Henry alla dottrina è anche, accanto all‟influenza importante esercitata su di lui dal fratello, la conversione alla fede cristiana, in seguito alla quale Vaughan si isola progressivamente dal mondo circostante, rinunciando alle relazioni mondane. È, questo, un periodo di forte introversione che si traduce anzitutto in una propensione all‟introspezione, portandolo ad esplorare il mistero della sua psiche più profonda. Tutto ciò fa scaturire in lui, accanto all‟interesse per la visione del mondo cristiana, anche quello per le dottrine occulte. In questo periodo, la ricerca di Dio prende

13 F.KERMODE, “The Private Imagery of Henry Vaughan”, The Review of English Studies, Vol. 1,

No. 3, Oxford University Press, Oxford 1950, p. 210.

14 Cfr. per questo, R.GARNER, Op. Cit., pp. 107-22.

15 Cfr. M.WILLY, Three Metaphysical Poets: Crashaw, Traherne, Vaughan, Longmans, Green & Co.,

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presto anche la forma di un percorso alla ricerca di se stesso, che a sua volta assume le caratteristiche tipiche di un‟indagine spirituale esoterica.

Questo fenomeno è spiegabile grazie al ricorso alle teorizzazioni junghiane sulla psiche alchimistica. Secondo questo studioso, la relazione tra alchimia e religione riguardo l‟introspezione è riconducibile al processo d‟individuazione: esso consiste in un fatto naturale e inconscio di rettificazione psichica che conduce gradualmente alla realizzazione e alla scoperta di un centro interiore in cui le opposizioni si controbilanciano armonicamente, collaborando al benessere psichico del Sé.16 La psiche umana è

caratterizzata da una fondamentale antinomia, quella di coscio e inconscio. Questa contrapposizione viene modellizzata, secondo Jung, in vari modi a seconda del contesto culturale in cui si colloca il singolo individuo, in questo caso, il poeta. Vaughan, nello specifico, si rifà alla religione cristiana che, a partire dal Genesi, estende l‟originale inimicizia tra la donna e il serpente a una relazione bipolare e conflittuale tra i sessi. L‟opposizione inconscia fondamentale è così simboleggiata dall‟antinomia di genere: maschile vs. femminile.17

La teoria junghiana pone, comunque, sullo stesso livello il maschile e il femminile.18 Per

questo modello non gerarchico, Jung attinge alla filosofia ermetica, che appunto considera i due principi alla pari (Lembert 2004, p. 88). Basti pensare all‟Opus Alchemicum, in cui il principio maschile e quello femminile contribuiscono in egual modo, ciascuno con la propria funzione, alla creazione della pietra filosofale. Pertanto, nella realizzazione del processo junghiano d‟individuazione è fondamentale l‟unione dinamica degli opposti senza annullamento reciproco. Essa trova espressione nel simbolismo alchemico con l‟immagine delle nozze mistiche, mentre sul piano spirituale si aggancia all‟archetipo dello hieros gamos.

Sebbene non ci siano prove certe riguardo a entrambi gli aspetti relativi al rapporto tra Vaughan e l‟ermetismo, ossia l‟influenza del fratello e la conversione, la produzione letteraria ci fornisce tutti gli indizi necessari a ricostruirne gli aspetti peculiari. Nei suoi testi, troviamo un gran numero di allusioni ai processi psichici sopra nominati e che ci consentiranno di capire quello che avviene nell‟uomo Vaughan in questo cruciale periodo

16 C.G.JUNG, Psicologia e Alchimia, Boringhieri, Torino 1981, p. 38.

17C.G.JUNG, Mysterium Coniunctionis, in Opere, vol. 14, Boringhieri, Torino 1989, pp. 88-91. 18 C.G.JUNG, Memories, Dreams, Reflections, Collins Fount Paperbacks, London 1977, p. 228.

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della sua produzione artistica. Un periodo in cui egli sperimenta un‟esperienza di forte introiezione che non soltanto lo porterà alla conversione cristiana ma che lo condurrà anche alla scoperta di se stesso e in cui la scrittura artistica funge da catalizzatore e strumento catartico delle numerose opposizioni emotive che agitano la sua psiche, così complessa e recettiva.

Nonostante Henry si isoli dal contesto sociale del suo tempo egli, per mettere per iscritto la propria sensibilità, ha bisogno di farlo in una forma socializzata e cuturale come lo è la poesia, un qualcosa che per lui è, in quel momento, troppo limitato nelle sue possibilità espressive. Sorge in lui, quindi, la necessità urgente di codificare un sistema cognitivo e linguistico creato ad hoc: ha insomma bisogno di nuove categorie descrittive e di un nuovo linguaggio che possano esprimere adeguatamente il diverso assetto del suo mondo interno. La conversione è la manifestazione più evidente di un cambiamento che in realtà si stava compiendo sia nella psiche profonda che nella personalità artistica di Vaughan. Il codice esoterico gli fornisce appunto gli strumenti adeguati all‟espressione di questo profondo mutamento interiore per lui ancora in parte oscuro e misterioso. Questo è dovuto alla peculiarità che questo codice culturale possiede come espressione simbolica della psiche individuale: esso è caratterizzato da emblemi e figure che, nella variante esoterico-filosofica si prestano alla perfezione a trasporre strutturalmente i moti dell‟animo umano dato che oggettivano per proiezione la particolare condizione vissuta dall‟individuo (Jung 1981, pp. 256-57). È per questo motivo, pertanto, che il linguaggio poetico di Vaughan, del periodo successivo alla conversione, si modifica radicalmente arricchendosi di tratti marcatamente esoterici.

Tale trasformazione linguistica è ciò che, all‟inizio del XX secolo, ha maggiormente attratto l‟attenzione della critica: l‟interesse degli studiosi è, appunto, diretto verso l‟interpretazione ermetica.19 In Vaughan, anche le immagini ermetiche, a cui si aggiungono

le allegorie riprese da altri codici culturali, come quello religioso e medico, fungono da mezzi espressivi del Sé piuttosto che da meri elementi completivi dell‟imagery e della

19 I più autorevoli nel campo sono Holmes, che nel suo lavoro Henry Vaughan and the Hermetic

Philosophy traccia un parallelo tra l‟ermetismo di Vaughan e quello di altri filosofi ermetici come

Ficino e Walters, che in “The Influence of Alchemy in the Poems of Henry Vaughan” trova corrispondenze tra Silex Scintillans e i trattati dell‟Hermetic Musaeum (L. Jennis, 1625). Si vedano a questo proposito: E.HOLMES, Henry Vaughan and the Hermetic Philosophy, Basil Blackwell, Oxford

1932 e R.H.WALTERS, “The Influence of Alchemy in the Poems of Henry Vaughan”, RES 23, 1947,

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diction. È questo il linguaggio che Vaughan sceglie per mettere su carta i moti dell‟anima, per dar voce a quella introiezione che man mano lo conduce a una totale scoperta e comprensione della sua stessa psiche.

Alla luce di queste considerazioni e nonostante le apparenze, il linguaggio biblico, seppure sia fortemente presente in questi componimenti, assume un‟importanza secondaria rispetto a quello ermetico. Il primo è un “conventional outlet” (Garner 1959, p. 6), cioè il linguaggio universale comunque legato a moduli espressivi stereotipati e lontani dall‟autentica sensibilità individuale, mentre il secondo è quello caratterizzante e fondante della sua poesia e della sua sensibilità più profonda. Questo si evince dal fatto che solo quest‟ultimo, e non il primo, è collocato dall‟autore al centro di una serie correlata di livelli di significazione più complessi e profondi, cioè un nucleo pulrisotopico.20

Lo stile e l‟imagery che nascono da questa peculiare commistione di tradizioni sono in linea con il modello metafisico di composizione testuale: il conceit di Vaughan intreccia intertestualmente osservazioni concrete della natura, il linguaggio biblico che scaturisce dalla conversione religiosa e, infine, le tematiche e il lessico ermetici. La particolarità sta nel modo in cui questi codici sono assimilati tra loro e usati non per semplice analogia ma come parti di un‟unica strategia coerente di autoanalisi e scoperta del Sé attraverso la scrittura artistica.

Il linguaggio vaughaniano diventa allora una continua trasposizione strutturale volta a restituire, nella sua interezza, l‟intensità di un‟esperienza del proprio mondo interno e che con parole o metafore comuni non poteva essere tradotta adeguatamente. Fondamentale in tal senso è, come vedremo nella sezione successiva, proprio l‟uso del codice alchemico, dato che esso si rivela un importante repertorio a cui attingere per la caratterizzazione e concretizzazione degli eventi in atto nella sua psiche: Vaughan, come tutti gli alchimisti, sperimenta la proiezione,21 oggettivando sulla materia alchemica i moti del suo stesso

inconscio e trasformando quindi il prodotto della sua attività poetica in uno specchio del

20 M.PAGNINI, Semiosi. Teoria ed ermeneutica del testo letterario, il Mulino, Bologna 1988, p. 77. 21 Il concetto di proiezione è descritto da Jung come un processo in cui l‟individuo si confronta

con una situazione, oggetto o persona nuova e vi trasferisce immagini, nozioni e caratteristiche personali. Gli alchimisti, in particolare, usavano i processi chimici simbolicamente, trasferendo il proprio inconscio sulla materia che cercavano di trasformare, leggendo quindi ciascuna fase dell‟Opus come un evento psichico preciso lungo il percorso di trasformazione spirituale in atto nell‟adepto durante il processo chimico. (Jung 1981, pp. 256-57).

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proprio mondo interno, tramite il quale questo stesso mondo potesse essere modellato e trasformato artisticamente.

5.3. Le influenze alchemiche

Henry, come anticipato, si focalizza sulla dottrina ermetica sviluppando nei suoi componimenti soprattutto il codice alchemico, intrecciandolo con l‟ermetismo e soprattutto con lo gnosticismo. Uno dei campi di intersezione tra le dottrine è quello della trasmutazione, simbolo centrale caro anche agli gnostici. Il processo di trasmutazione in alchimia ha una doppia valenza: in campo essoterico-pratico esso consiste nella trasformazione dei metalli in oro, in quello esoterico-filosofico nella conversione dell‟adepto comune in filosofo illuminato. In ambito gnostico, invece, esso è legato all‟idea di redenzione attraverso la conoscenza (Faivre 2006, p. 26). Faivre definisce così la trasmutazione in Access to Western Esotericism: “It consists in allowing no separation between knowledge (gnosis) and inner experience, or intellectual activity and active imagination if we want to turn lead into silver or silver into gold.” (Faivre 1994, p. 13). Per lui le condizioni necessarie alla realizzazione del processo sono l‟unione della conoscenza illuminata gnostica con l‟esperienza interiore poiché interdipendenti, e dell‟attività intellettuale con la vera imaginatio. Quest‟ultima è la componente essenziale dell‟esoterismo che consente all‟alchimista la creazione di un mondo immaginario con una sua precisa struttura (Faivre 1994, p. 21). Ciò avviene grazie alla proiezione di questo mondo su una realtà concreta, in questo caso la trasformazione dei metalli in atto nell‟alambicco. In tal modo l‟invisibile presente nella mente dell‟adepto, ciò che era immaginario, diventa visibile e reale. Jung, che sviluppa il concetto come “immaginazione attiva”, ridefinendolo come un‟attività autoanalitica e curativa della psiche individuale e parte integrante del processo di individuazione, intende quest‟attività come un dialogo tra l‟Io e l‟inconscio, un modo per guardare lucidamente e coscientemente nella parte invisibile, più profonda e sfuggente ma anche, più significativa, della nostra interiorità. Questo è ciò che avveniva, secondo Jung, anche nella psiche dell‟adepto: egli proiettando l‟inconscio, la parte invisibile, sull‟Opus alchemico, oggettivava i contenuti interiori, altrimenti sfuggenti e per lui inconoscibili, per cui il lavoro di purificazione dei metalli diventava un‟esperienza di

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trasmutazione spirituale individuale. In questo modo, salvando la materia, si formava anche la convinzione di redimere anche la sua anima (Jung 1981, p. 312).

Molti dei testi di Vaughan sono incentrati proprio sulla trasmutazione e in particolare sul sub-processo della “sublimazione”. Ad esempio in “Disorder and Frailty” i versi 31-3 rimandano a tale processo: “Thus like some sleeping exhalation/ Which, wak‟d by heat, and beams, makes up/ Unto that Comforter, the Sun” (vv. 31-3). Capiamo di essere di fronte alla sublimatio per la presenza di quei vapori (“sleeping exhalation”, v. 31) che si sprigionano tipicamente dal Mercurio, quando esso viene riscaldato dal fuoco nella fornace (“wak‟d by heat”, v. 32) e comincia quindi a dinamizzarsi, evaporando. L‟evaporazione è riconducibile, dunque, alla purificazione dell‟uomo per via del movimento ascensionale che caratterizza l‟anima durante l‟elevazione spirituale.

Nello specifico, chiari rimandi alchemici nell‟opera vaughaniana sono presenti già nel titolo della sua raccolta maggiore, Silex Scintillans: “silex”, infatti, è uno dei termini tipicamente usati dagli alchimisti per indicare la pietra filosofale.22 “Scintillans”, invece, fa

riferimento alla luce irradiata dalla pietra filosofale nella fase di rubedo, alla fine dell‟Opus. Dal punto di vista alchemico, quindi, si potrebbe pensare che il titolo della raccolta faccia riferimento proprio alla pietra filosofale, il prodotto principale, accanto all‟elisir, dell‟Opus Alchemicum.

Oltre alla connotazione alchemica ne vanno considerate altre, utili alla comprensione di questo emblema. La prima è quella cabalistica, secondo cui Dio si disperde nel mondo sotto forma di scintillae (Jung 1981, p. 322), pervadendo la materia.23 Infine, va considerata

la nozione che egli sembra riprendere da Paracelso e Agrippa di „pneuma divino, ossia lo

spirito che Dio ha immesso nella materia rendendola capace di purificazione ed elevazione. Vedremo che il concetto di scintilla divina è ascrivibile allo stesso Vaughan e al suo personale percorso spirituale. Egli intraprende in Silex Scintillans un viaggio interiore per cercare la luce che è in lui e trovare così se stesso.

L‟imagery alchemica si manifesta nella raccolta anche tramite i numerosi riferimenti al campo semantico del fuoco. Infatti, proprio come gli alchimisti scrivono dei procedimenti

22 “The stone […] is also denominated Silex (flint)”, cfr. L.JENNIS, “The Glory of the World”,

Hermetic Museum, Frankfurt am Mayn, Frankfurt 1625, p. 186.

23 Per le influenze cabbalistiche nell‟Inghilterra elisabettiana e primo-seicentesca, cfr. F.YATES,

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finalizzati alla produzione della pietra, allo stesso modo Vaughan fa spesso rifermento al processo di raffinamento della materia attraverso il calore. Il fuoco è l‟agente principale della trasmutazione alchemica, essendo considerato il più puro tra i quattro elementi (Abraham 1998, p. 76). Jung giustifica questa importanza riservata al fuoco nel sistema simbolico alchemico in due modi: anzitutto, secondo la visione del mondo cristiana, dal fuoco sono generate tutte le creature per infusione del soffio vitale (ritorniamo, quindi, al concetto di pneuma divino) e per questo motivo le sue fiamme circondano il trono di Dio. In secondo luogo, il fuoco distrugge tutte le cose composte restituendole all‟aria sotto forma di fumo (Jung 1981, p. 286). Così in “Dressing” il parlante implora Dio affinché possa raffinare (“refine”, v. 6) il suo spirito (“my gloomie Breast/ With thy clear fire refine”, vv. 6-7) appunto attraverso il fuoco divino.

La presenza di queste immagini nei componimenti vaughaniani contribuisce a rafforzare, quindi, l‟idea del forte coinvolgimento di Vaughan nella materia esoterica e alchemica, un‟idea che verrà ora esplorata in maniera più approfondita tramite l‟analisi di alcuni testi esemplari, selezionati appunto da Silex Scintillans.

6. Silex Scintillans: analisi testuali

Silex Scintillans è il lavoro che, dopo la crisi personale, spirituale e letteraria, colloca definitivamente Vaughan tra i poeti religiosi inglesi. Partendo dal frontespizio, possiamo anzitutto notare che esso reca l‟emblema di una selce su cui la mano di Dio scaglia un fulmine.

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La pietra ha la forma di un cuore sanguinante che sprigiona fiamme, mentre viene colpita dalla saetta.24 A questo emblema si possono attribuire varie interpretazioni. Una è

quella ermetica che associa la pietra filosofale alla medicina universale in virtù del potere guaritore che entrambe eserciterebbero sull‟uomo.25 Ancora, essa è spesso identificata con

Dio: come la pietra purifica i metalli, Dio purifica l‟anima umana dal peccato. Nel dare questo titolo all‟opera, probabilmente Vaughan pensa anche alla consuetudine, comune ai cristiani e ai filosofi ermetici, di riferirsi alla scintilla divina nell‟anima umana come sopita in un duro cuore di pietra:26 essa potrà risvegliarsi grazie alla preghiera e a un rapporto

stabile tra l‟uomo e Dio, quindi, per estensione dell‟analogia alchemica, grazie anche alla trasmutazione che condurrà l‟uomo ad una rigenerazione spirituale. Tutto questo è ciò a cui Vaughan intende aspirare nella stesura di Silex Scintillans.

Leggendo complessivamente l‟opera in quest‟ottica, si può notare come essa sia costruita come una spiritual autobiography, che narra di un processo spirituale ben preciso: il rapporto tra l‟uomo e Dio. Quest‟ultimo non può essere definito nei termini di una comunicazione trascendentale sempre serena e lineare. Al contrario esso ha un andamento ondotimico, caratterizzato da un‟alternanza euforico-disforica di sconforto e gioia o disperazione e certezza nella redenzione futura.

Sembrerebbe che Vaughan ambisca a far parte di quel gruppo di eletti scelti da Dio nella loro predestinazione alla salvezza secondo la dottrina protestante dell‟Elezione. Stabilendo un parallelismo tra questo principio e l‟alchimia, possiamo ravvisare una corrispondenza tra il cristiano eletto che ha in sé la scintilla divina, e l‟adepto esoterico che possiede, invece, l‟oro interiore sin dal principio dell‟Opus. Quest‟ultimo, a differenza degli alchimisti essoterici, i quali devono faticare per riuscire a produrre l‟oro materiale, ha la certezza di possedere già spiritualmente l‟oro filosofico, essendo quest‟ultimo un tesoro interiore che attende solo di essere scoperto e disvelato.

24 Bisogna tener presente che probabilmente Vaughan ha ripreso questa iconografia da Herbert.

Quest‟ultimo, infatti, in “The Altar” scrive: “A heart alone/ Is such a stone/ As nothing but/ Thy power doth cut” (vv. 5-8). Egli, nel descrivere il suo rapporto con Dio, paragona il proprio cuore morto (perché privo di sensibilità e spirito religioso) ad una pietra. Ed è questa pietra che costituisce la materia prima di cui è fatto il “broken altar” (v. 1) che, per analogia, è associabile al protagonista e al suo cuore spezzato.

25 R.H.WALTERS, op. cit., p. 107. 26 Ivi, p. 109.

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Analogamente a quanto avviene nel genere delle spiritual autobiography, in cui il cristiano annota le tappe del proprio percorso autoanalitico e introiettivo, alla ricerca della scintilla divina, celata nella propria anima, allo stesso modo, anche il lavoro compiuto dall‟adepto esoterico è un percorso di scoperta interiore le cui tappe sono religiosamente annotate e documentate nel diario di laboratorio, accanto agli appunti sugli esperimenti, alle recipes e alle istruzioni tecniche utili all‟Opus filosofico (Lembert 2004, p. 44). Il ruolo dell‟alchimia, quindi, è quello di concretizzare attraverso le sue metafore tale processo di introspezione che, esotericamente, condurrà all‟illuminazione divina, mentre essotericamente produrrà la pietra filosofale.

Similmente a quanto avviene in The Temple di Herbert, il resoconto della relazione uomo-Dio presente in Silex Scintillans costituisce un esempio di vera e propria autobiografia spirituale, più chiara di qualsiasi ritratto costruito attraverso dati o testimonianze. Dal momento che tale processo fa da collante dell‟opera intera, l‟ordine in cui le poesie si susseguono è scandito proprio dalle varie fasi del rapporto sinusoidale tra l‟io poetico e Dio. Nell‟analisi dei testi è quindi necessario tener conto del graduale maturare dei motivi poetici vaughaniani, parallelamente al maturare della consapevolezza del poeta e della sua lenta ricerca e scoperta di se stesso, un processo, questo che si svolge nella dimensione storica dell‟autore empirico ma che viene trasposto strutturalmente nel testo come un processo il cui protagonista è il soggetto fittizio dell‟io poetico.

Come già visto nei paragrafi precedenti, il testo che Vaughan pone in apertura della raccolta, “Regeneration”, è significativo poiché emblematico della crisi della propria vita e della propria arte nonché della voglia di diventare un uomo e un artista migliori tramite il raggiungimento di un equilibrio nel rapporto con Dio. Da qui in poi, perciò, i testi delineano in successione le tappe di una crescita spirituale, definita a sua volta da due temi contrastanti: uno esprime il senso di desolazione provato dal fedele in seguito alla separazione da Dio a causa del peccato e che colma lo spirito del poeta di angoscia. L‟altro è la gioia che anima il creato e che costituisce la prova tangibile del potere e dell‟amore di Dio. Rintracceremo ora queste importanti isotopie (il rapporto ondotimico tra l‟uomo e il Creatore e le fasi del processo alchemico) nei testi scelti per l‟analisi: “Disorder and Frailty”, “Cock-crowing” e “The Retreat”.

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74 6.1. “Disorder and Frailty”: il philosophical egg

Il testo, quarantaquattresimo nella raccolta, si compone di quattro blocchi di quindici versi ciascuno, in cui si avvicendano tetrametri e trimetri a rima alternata e baciata, più un distico finale a rima parziale. Quest‟ultima, ripresa dalle consuetudine stilistiche herbertiane, serve a mettere in risalto il tema centrale del componimento: ci viene illustrato, infatti, un particolare momento della relazione tra Dio e l‟uomo, in cui la catena della comunicazione si è temporaneamente interrotta. L‟andamento del poema è scandito dalle varie fasi in cui si articola l‟esperienza spirituale dell‟io poetico. Questa ha un andamento ondotimico, in quanto si struttura tramite un‟alternanza degli estremi timici euforico-disforici, di depressione e ottimismo, e ha come obiettivo il ripristino di un contatto stabile e continuo con il divino.

I principali codici culturali che si intersecano nel testo, come vedremo adesso, sono quelli neoplatonico, religioso e alchemico, appunto. Tra questi è proprio l‟imagery alchemica a dominare il componimento. Questo avviene a molteplici livelli del testo, ma è possibile anzitutto ravvisarne la presenza sul piano strutturale.

Tre delle quattro stanze del componimento sono infatti costruite su altrettante immagini alchemiche: la seconda (vv. 16-30) è incentrata sul principio maschile, cioè lo Zolfo, la terza (vv. 31-45) su quello femminile, ossia il Mercurio, e la quarta (vv. 46-60) sul sale che fa da mediatore tra i primi due. L‟obiettivo consiste nel trovare un equilibrio tra i principi alchemici e analogamente nel rapporto uomo-Dio. Nell‟ottica della visione olistica del mondo, che li contraddistingue e basata sulla dottrina delle corrispondenze, gli alchimisti credono che ci sia un‟unità soggiacente all‟intero Creato e che il microcosmo dell‟uomo costituisca un unicum con il macrocosmo dell‟universo (Lembert 2004, p. 38). Esistono, di conseguenza, corrispondenze tra micro e macrocosmo e quindi tra materia e spirito e tra uomo e Dio. Tutto ciò è racchiuso nel motto, tratto dalla Emerald Tablet, “As above, so below”:27 il macrocosmo corrisponde al microcosmo, l‟uno risiede nell‟altro e solo capendo

l‟uno possiamo comprendere l‟altro.

Tuttavia per Vaughan, come per l‟uomo protestante, la relazione col divino è complicata notevolmente da un grande divario che separa il Creatore dal creato e che va

27 “That which is below is like that which is above that which is above is like/ That which is

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necessariamente colmato: il Dio protestante, improntato a quello dell‟Antico Testamento è lontano e assente rispetto alle problematiche umane e impossibile da raggiungere. Possiamo, quindi, leggere il lavoro di Vaughan secondo questa prospettiva: egli mette in scena, come unici protagonisti del componimento, l‟anima umana e la divinità, nel tentativo di risanare la frattura ontologica enorme e potenzialmente insanabile che li separa.

L‟isotopia dell‟importanza di mantenere un rapporto stabile con Dio è modellizzata in tutte e quattro le stanze del testo attraverso precise metafore che mettono in luce il metaphysical conceit vaughaniano grazie all‟accostamento del motivo religioso ad altre tematiche, a loro volta apparentemente irrelate e incompatibili col primo. Nella prima stanza (vv. 1-15), la metafora è quella del viaggio-pellegrinaggio, attraverso il quale la materia e lo spirito sono personificati, l‟una come il pellegrino e l‟altro come il Dio che lo guida verso la meta. La seconda (vv. 16-30) è quella della crescita vegetativa, attraverso la quale l‟anima si innalza verso il divino come una pianta cresce al sole. Nella terza stanza (vv. 31-45), la metafora è quella dei vapori atmosferici che si generano dall‟evaporazione dell‟acqua: quest‟ultima è associata alla materia che si eleva grazie al calore. Infine, nella quarta (vv. 46-60), ritroviamo l‟immagine dell‟uovo fecondato: il seme impiantato nell‟uomo da Dio al momento della creazione può sbocciare per mezzo della grazia divina. È significativo che sia proprio la metafora del viaggio ad aprire il testo, poiché colloca l‟esperienza del protagonista in uno scenario ben preciso: si tratta di un pellegrinaggio in cui chiaramente, sarà Dio a fare da guida (“guide”, v. 4) all‟anima del pellegrino. Fin da subito, si palesa l‟attivazione di uno dei codici culturali sopra menzionati, quello neoplatonico: “When first thou didst even from the grave/ And womb of darkness becken out” (vv. 1-2). In questi primi due versi, il termine “darkness” (v. 2) può far riferimento alla nozione neoplatonica di infanzia primigenia, secondo la quale vi sarebbe una dimensione antecedente la nascita in cui non siamo distinti dal divino e ci troviamo in una condizione edenica di purezza e innocenza. Questo stato è associato alla tomba (“grave”, v. 1), emblema della morte, ma anche equiparabile al non essere, allo stato esistenziale di chi non sia ancora nato quindi non viva ancora nel mondo materiale. Solo la volontà divina può mutare il non essere dell‟essere, facendo nascere la vita e salvando l‟uomo dall‟ignoranza del peccato: essa rimuoverà il velo che oscura l‟intelletto umano, conducendoci dunque verso l‟illuminazione della grazia.

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Oltre al collegamento con il neoplatonismo, i lessemi “darkness” e “grave” possono essere associati anche all‟immaginario alchemico. In particolare, essi alludono alla nigredo, ossia la fase del processo alchemico in cui la materia viene inizialmente distrutta e giace nell‟alambicco. Quest‟ultimo è identificato appunto come „tomba poiché contiene tutto ciò

che non è ancora. Il composto è stato infatti distrutto e condotto a quello stato di inconsistenza che precede la creazione della nuova materia, proprio come l‟anima è stata portata, quindi, alla condizione di ignoranza sopra citata. Di conseguenza, e come ricorda Paracelso nel suo motto “ogni decadenza è l‟inizio di una nascita”,28 la materia, come lo

spirito, è pronta a risorgere. Questo è ciò che l‟io poetico desidera fortemente: egli si prepara a nascere sotto la guida di Dio, il quale dovrà a sua volta condurre alla salvezza la “brutish soul” umana (v. 3). Per quanto riguarda “brutish soul”, si tratta di un concetto ripreso da Paracelso, il quale considera appunto l‟uomo come un essere formato da due parti, una divina (“the spark of God”),29 e una brutale e animalesca (“physical and

carnal”):30 la prima tende allo spirito, quindi alla perfezione di Dio, la seconda, invece, si

trova costantemente tentata dal peccato corruttore e perciò tende a degradarsi nella materia.

Nel corso di tutta la prima stanza, emergono gli elementi distintivi del rapporto tra l‟io poetico e Dio: la comunicazione trascendentale si è interrotta (“breaking the link/ „Twixt Thee and me”, vv. 9-10) ed è stata sostituita dal silenzio (“silence”, v. 11). Negli ultimi due versi di questo primo segmento testuale, però, l‟uomo ritorna sulla retta via: sebbene ammetta di aver spezzato lui questo rapporto (“quitting thy way”, v. 12), a causa della propria natura corrotta (“brutish soul”, v. 3) che l‟ha fatto cadere suo malgrado in tentazione, ora annuncia e proclama la propria fede (“I love Thee most”, v. 14). Egli è pronto a far prevalere la parte buona e divina che è in lui, e si sente, nonostante la sua natura in parte corrotta, più vicino al Creatore.

Dalla metafora del viaggio si passa, nella seconda stanza, a quella vegetale. In questa immagine la fede, che diventa sempre più grande nell‟anima dell‟uomo (“I grow”, v. 20) e inizia ad elevarsi (“stretch to thee”, v. 21), è paragonata ad una pianta. Quest‟ultima,

28 Cfr. J.JACOBI (ed), Natural Philosophy, Alchemy and Pharmaceutics, Paracelsus: Selected Writings,

N. Guterman (trad), Routledge & Kegan Paul, London 1951, p. 217.

29 J.JACOBI, op. cit., p. 321. 30 Ibid.

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