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Academic year: 2021

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PARTE PRIMA

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CAPITOLO 1

IL POST-UMANO: CENNI GENERALI

Humanists saw themselves as distinct beings, in an antagonistic relationship with their surroundings. Posthumans, on the other hand, regard their own being as embodied in an extended technological world.1

The Posthuman Manifesto

Il primo ad introdurre il termine “Posthuman” nell’ambito degli studi umanistici fu Ihab Hassan, teorico della letteratura, nell’articolo “Prometheus as Performer: Toward a Posthumanist Culture?” del 1977. Il testo è presentato in uno stile non convenzionale, ossia sotto forma di una commedia in cui attraverso la metafora del mito di Prometeo, l’autore esprime la nuova condizione dell’uomo contemporaneo caratterizzata da un radicale cambiamento indotto dalla scienza e dalla tecnologia, ed annuncia l’avvento della cultura postumanistica:

we need first to understand that the human form may be changing radically and thus must be revisioned. We need to understand that five hundred years of humanism may be coming to an end, as humanism transforms itself into something that we must helplessly call posthumanism (…) At present posthumanism may appear variously as a dubious neologism, the latest slogan, or simply another image of man’s recurrent self-hate. Yet posthumanism may also hint at a potential in our culture, hint at a tendency struggling to become more than a trend2.

Hassan è quindi ottimista, considera la pressante necessità di una nuova definizione del concetto di umano come una nuova possibilità di comprendere le nostre potenzialità all’interno di un contesto più ampio, “where art, technology, and the

1R. PEPPERELL, The PostHuman Condition: consciousness beyond the brain, Bristol-Portland, Intellect

Books, 2005, p. i.

2 I. HASSAN, “Prometheus as Performer: Toward a Posthumanist Culture?”, in The Georgia Review,

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existential search for a unified sensibility will play significant roles”3.

Di fatto l’invasività del progresso tecnologico e scientifico ha portato alla necessità di una revisione della concezione dell’essere umano e di una condizione con cui filosofi e scrittori devono fare i conti mettendone in discussione gli stessi fondamenti ontologici.

Dalla metà del Diciannovesimo secolo, quando Charles Darwin espone le sue teorie, si pongono le basi scientifiche per discutere la futura evoluzione dell’uomo. Rispetto alle altre specie animali, l’evoluzione umana è però troppo lenta per essere compresa appieno. L’irruzione sulla scena della tecnologia cambia il rapporto dell’uomo con la selezione naturale. In particolare l’uso delle cosiddette bio-tecnologie apre la prospettiva sempre più concreta di manipolazione genetica a fini “migliorativi”, anche se il concetto stesso di miglioramento è ambiguo, in quanto subentrano implicazioni etiche su cui ancora oggi si discute.

Tutto ciò ha dato origine alla nascita di una nuova interpretazione dell’essere umano: il new human.

1.1 IL NEW HUMAN NELLA STORIA

L’idea di new human o “nuovo umano” non è però un’idea recente. La ritroviamo anche nella storia moderna. Gli studiosi sono concordi nell’individuare nel Rinascimento il momento in cui nasce e si sviluppa una vera e propria consapevolezza di sé e di un nuovo umano, dando origine alla cosiddetta visione antropocentrica: “humanity’s development of a new self-understanding has been thematized as the creation of a new human since the Renaissance, when the anthropocentric view yielded a series of attemps to define the human in new ways”4. Questa visione pone

l’essere umano al centro dell’Universo, discostandosi così della precedente visione teocentrica medievale per cui Dio era motore della realtà e della storia e l’uomo una fragile creatura sottoposta al suo disegno provvidenziale. Con l’Umanesimo viene ad

3M.D. THOMSEN, The New Human in Literature, London-New York, Bloomsbury Academic, 2013, p. 59. 4Ibidem, p. 6.

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affermarsi un’idea ottimistica dell’uomo, capace di contrastare il gioco capriccioso della fortuna e di costruirsi il proprio destino. Le facoltà intellettive umane, come la razionalità e la capacità di controllare gli impulsi, sono valorizzate e perfino esaltate. Tramite di esse, l’uomo può realizzare le proprie potenzialità e dominare il proprio comportamento e quello della natura. Il nucleo dell'Umanesimo si può riassumere quindi con la celebre affermazione attinta dal mondo classico latino secondo cui egli è “ homo faber ipsius fortunae”, ripresa da Giovanni Pico della Mirandola in De Hominis

Dignitate; secondo Pico era prerogativa specifica dell'uomo forgiare se stesso ed il

proprio destino nel mondo oltre che dominare la natura. L’uomo ha la capacità di autodeterminarsi grazie alle sue facoltà intellettive e deduttive, scegliendo se elevarsi e tendere a Dio o degradarsi a livello delle bestie. E’ questa facoltà di scegliere che rende l’uomo una creatura superiore rispetto agli animali.

Ciò che si evince ed emerge in modo preponderante dall’impostazione antropocentrica umanistica è la dualità uomo-animale, dicotomia contro la quale si scaglia il postumanesimo. Ad infliggere un duro colpo alla teoria antropocentrica furono gli studi evoluzionistici di Darwin, che, con il saggio The Origin of Species (1859) definirà il meccanismo della selezione naturale per cui anche l’uomo sarebbe un prodotto casuale insieme alle altre creature della Terra.

Fin dalla loro nascita, metà Novecento circa, gli studi postumanistici si concentrano dunque proprio su questo aspetto, ossia sulla critica e il superamento dell’antropocentrismo e sulla riconsiderazione della figura umana in base ai progressi della scienza. I filosofi e teorizzatori del post-umano, propongono una nuova concezione dell’essere umano sostenendo che l’età contemporanea non sia più il tempo dell’antropocentrismo e dell’umanesimo, “colpevoli” di distinguere l’essenza dell’uomo dall’essenza animale, considerata un’alterità fonte di pericolo e contaminazione.

Con il nuovo secolo e le innovazioni della tecnologia, l’alterità è da identificarsi non più con l’animale ma con le macchine. Come vedremo, la maggior parte degli studiosi sono concordi nell’affermare che la nuova condizione umana, o meglio, la nuova frontiera antropologica non debba destare preoccupazioni apocalittiche ma

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alimentare la consapevolezza che esistano potenziali nuove forme di esistenza.

1.2 LA NASCITA DEGLI STUDI SUL NEW HUMAN: IL POST-HUMAN

Il progetto postumanistico tiene ben presenti due riferimenti che hanno contribuito alla realizzazione delle espressioni dell’umanità, ossia: l’alterità animale e l’alterità tecnologica, quest’ultima vista “come prolungamento ed estensione, nuova carne dell’uomo in grado di modificare profondamente la performatività della nostra specie”.5 Secondo la visione post-umanistica l’essere umano contemporaneo deve

interagire con le alterità che di fatto contribuirebbero alla costruzione della propria identità.

Il dibattito sull’identità dell’uomo e sel suo rapporto con animali e tecnologia ci riporta ad una tematica tra le più antiche, il rapporto natura–cultura. La coppia natura–cultura ha di per sé una funzione epistemologica in quanto è utile per la nostra investigazione sull’umano. Il paradigma che ha dato origine a questa dicotomia è basato sull’assunto per cui l’uomo, dal punto di vista biologico, è un essere incompleto. “Il paradigma dell’incompletezza è la sponda dualistica che cerca di salvaguardare l’uomo come qualcosa di speciale e sostanzialmente differente da tutto il resto”6.

Questa binarietà, quindi, ha avuto il difetto di semplificare troppo la complessità dell’essenza umana e di crearle attorno una sorta di gabbia che non le permette di dialogare con l’alterità. Questa dicotomia è tipica dell’antropocentrismo ontologico, criticato in quanto incapace di leggere il cambiamento e l’accelerazione dei processi di contaminazione operata dallo sviluppo tecnologico del Novecento, “as we enter the high technological era, marked by increasing automation, rather than the mechanisation of the industrial era, we can see the perceived relationship between gods, nature and humans is changing again”7. Come osserva Marchesini:

Mentre la cornice umanistica ritiene l’uomo un essere incompleto ma compiuto, per cui ha senso ricercare una nuova condizione originale, svincolare il mondo non umano

5R. MARCHESINI, Post-human: verso nuovi modelli di esistenza, Torino, Bollati Boringhieri, 2002 p. 45. 6Ibidem p. 12.

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da qualsiasi interferenza con l’ambito umano, considerare tutto ciò che non è umano una cosa e non un partner, per il postumanesimo l’uomo è semplicemente un essere transazionale etero-riferito. L’uomo per il postumanesimo è plurale, non può nemmeno comprendere se stesso se non capisce il dialogo e l’ibridazione operata con la realtà esterna8.

L’idea che l’uomo sia un essere imperfetto che si completa attraverso la cultura è uno dei capisaldi della tradizione occidentale che ha, però, contribuito al radicamento della dicotomia in termini autoescludenti e alla creazione di altre dicotomie, come naturale-artificiale o istinto-ragione, queste si pongono come barriere ontologiche che impediscono di cogliere appieno la complessità del sistema uomo e l’importanza del dialogo che egli deve avere con l’alterità. La prospettiva dantesca “fatti non foste per viver come bruti, ma per seguire virtute e canoscenza”9, ben ci ricorda come,

tradizionalmente, l’uomo abbia da sempre avuto il continuo bisogno di distinguersi dalle altre specie animali e come ne voglia prendere le distanze in modo superbo. Nella visione classica infatti l’alterità animale è considerata fonte di pericolo e degrado per il rischio di contaminazione dell’idea di purezza perseguita dall’uomo, ma l’ossessiva ricerca della purezza ontologica non ha fatto altro che portare l’uomo all’isolamento.

Il postumanesimo si prefigge di andare oltre questa concezione monolitica e ritiene che valutare l’uomo per la sua presunta incompletezza sia sempre riduttivo e non ne colga la complessità.

1.3 L’IBRIDAZIONE CON L’ALTERITA’ ANIMALE

Ma perché è così importante l’alterità animale? Secondo Marchesini, gli animali hanno da sempre rappresentato l’unica vera alterità con cui l’uomo può costruire dei ponti coniugativi. Questa partnership ci ha permesso di allargare il nostro dominio comportamentale e di mutare la nostra identità. Si parla in questo caso di zoomimesi per cui si ha “una piena modificazione identitaria, un vero e proprio processo di

8R.MARCHESINI op. cit., pp. 13-14.

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contaminazione acquisizione dell’alterità per eccellenza dell’uomo, ovviamente il teriomorfema”.10 L’uomo, infatti, avrebbe ripreso un’infinità di modelli e di possibilità

esistenziali dal mondo animale quando ancora non possedeva un equipaggiamento tecnologico e gli animali erano fonte di conoscenza da cui attingere per incrementare le probabilità di sopravvivenza. Essi quindi rappresentano la seconda chiave di lettura del mondo dopo gli strumenti cognitivi innati:

La morfologia animale rappresenta un vero e proprio dizionario di possibilità e di soluzioni applicative, peraltro molto efficaci e opportunamente tarate agli scopi proprio perché modellate dal quel formidabile artigiano che è la selezione naturale. Le proporzioni di un’ala, l’idrodinamicità di un pesce, sono tutti suggerimenti a pronto consumo11.

Per il postumanesimo la relazione uomo-animale è l’archetipo di ogni relazione umana con l’alterità. I modelli animali sono atti ibridativi in quanto l’uomo se n’è servito durante il suo percorso evolutivo come fonte di cultura. Ne deriva che l’uomo ha la capacità, e la necessità, di ibridarsi con il mondo esterno, natura ed animali: “people like to look at animals even to learn from them about human beings and human society, we polish an animal mirror to look for ourselves”12.

Emblematico è a tal proposito la tendenza tipicamente umana di zoomorfizzare ciò che ci circonda: la forma animale da sempre suscita sull’uomo un fascino cui non riesce a resistere, e non è di certo casuale che egli ne tragga ispirazione in quanto modello per la realizzazione di entità aliene o cyborg sia nella letteratura che nell’industria cinematografica. Questo meccanismo di ricorso all’icona animale prende il nome di “zoopoiesi”. Il processo zoopoietico

serve per costruire identità nuove, non necessariamente animali: il mostro, l’alieno, il demonio, l’angelo e il folletto sono esempi di questo appello al teriomorfismo ogniqualvolta si desidera dar forma a una realtà non umana, dà vita a diverse realtà e

10R. MARCHESINI, op. cit., p.114. 11Ibidem p.116.

12D. HARAWAY, Simians, Cyborgs, and Women, The Reinvention of Nature, London, Free Association

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all’universo delle forme ibride, ossia delle possibilità di allargare il dominio epistemologico dell’uomo13.

Per concludere, possiamo quindi affermare che l’interazione con l’animale è il fulcro fondamentale per l’orientamento umano e il nucleo centrale della conoscenza. Non più oggetto ma partner di conoscenza, l’animale rappresenta l’elemento imprescindibile da cui partire per comprendere al meglio il nostro approccio con la tecnologia.

Il postumanesimo sostiene una visione di contiguità tra gli animali e le macchine mettendo in discussione i principi per cui gli animali sono ritenuti non coivolte nell’evoluzione tecnologica cosi come le tecnologie, strumenti, al pari delle tecnologie, sotto il totale controllo dell’uomo.

1.4 IL RAPPORTO UOMO-STRUMENTO

Al modello dicotomico uomo-animale corrisponde il modello uomo-strumento precursore del rapporto uomo- tecnologia e tecnologia-natura, “our bodies are the product of tool-using adaptation which predates the genus Homo”14, afferma Donna

Haraway e di fatto la storia dell’umanità e dello sviluppo tecnologia è una storia che dura da milioni di anni.

Sin dalla preistoria, infatti, l’uomo ha agito spinto dalla necessità di creare nuovi utensili. Secondo quanto emerge dagli scavi archeologici, già l’australopithecus, scimmia antropomorfa nostro progenitore, grazie alla struttura bipede, al dito opponibile e alla capacità quindi di poter tenere oggetti in mano, si serviva di oggetti di fortuna che trovava lungo le rive dei fiumi, pietre e rami, per procacciare e tagliare il cibo. Gli antropologi ritengono che gli australopitechi non fossero capaci di costruire utensili, ma solo di utilizzare ciottoli per scopi semplici, come appunto spezzare o percuotere.

13R. MARCHESINI, op. cit., p.127. 14D. HARAWAY, op. cit., p. 22.

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Il primo oggetto tecnologico, riconosciuto come tale in quanto “costruito” appositamente, è un ciottolo di fiume scheggiato di proposito per ottenere un bordo affilato, rinvenuto nella valle del fiume Omo, in Etiopia, che risale a 2,5 milioni di anni fa. Come dimostrato anche da recenti studi15, si tratterebbe della prima testimonianza

dell’interdipendenza della specie umana con i prodotti tecnologici, che anche se vengono usati da altre specie animali, non sono per esse indispensabili come invece accade per la specie umana fin dagli albori:

Humans are not the only creatures that use tools; chimpazees, vultures, sea otters, even insects will sometimes pick up a twig to get a stone to get a food. Only humans however, could not survive without tools, and only humans have in turn been shaped by the tools they use16.

L’evoluzione della specie umana è dunque stata influenzata dall'uso degli utensili che di fatto ne ha modificato la struttura anatomica, come dimostra ad esempio il passaggio dall’australopithecus al genere Homo habilis, ritenuto l’antenato dei moderni hominidi:

Gradually, the ability to walk upright, to manipulate objects with their hands, and to manufacture tools transformed not only the way of life of the Australopithecus but their very nature and anatomy. After millions of years, they evolved into a different genus, to which anthropologists give the name Homo or hominid, from the Latin word for “man.” We cannot say that creatures with large brains “invented” tools; rather, brains, other anatomical features, and tools evolved together to create these creatures, our ancestors.17

Se in origine la creazione e l’uso di nuovi strumenti era legata ad una questione di sopravvivenza, avvantaggiando chi ne usufruiva, con il passaggio al genere degli Hominidae ben presto il loro uso fu legato ai fini di assoggettamento di altre tribù . Oltre a consentire la sottomissione di altri uomini, gli utensili permisero “la conquista

15J. DE HEINZELIN, JD. CLARK, T. WHITE, W. HART, P. RENNE, G. WOLDEGABRIEL, Y.BEVENE, E. VRBA,

“Environment and behavior of 2,5 million-year-old Bouri hominids” in Science Vol. 284, 1999, p. 625-29.

16D.HEADRICK, Technology: A World History,Oxford, Oxford University Press, 2009, p. 14. 17Ibidem p. 15.

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della natura” a partire dalla scoperta del fuoco. Grazie ad essi, gli uomini impararono a gestirlo a loro favore. Come afferma la Haraway questa condizione è alla base del nostro rapporto alienato con la natura in quanto essa è concepita unicamente come elemento da dominare. Ciò porterà implicitamente alla legittimazione del dominio della tecnologia sull’essere umano:

Gazing at the tools themselves, we may choose to forget that they only mediate our labour. From that perspective, we see our brains and our other products impelling us on a historical course of escalating technological domination; that is, we build an alienated relation to nature. We see our specific historical edifice as both inevitable human nature and technical necessity. This logic leads to the superiority of the machine and its products and ensures the obsolence of the body and the legitimacy of human engineering18.

Sicchè, come affermava Heidegger, l’essenza dell’uomo contemporaneo si ritrova in “un uomo abbandonato alla vertigine delle sue produzioni, affiché da se stesso si distrugga e annienti nella nullità del niente”19.

Come abbiamo visto, dunque l’evoluzione umana è connessa a stretto filo alle innovazioni tecnologiche. Possiamo quindi affermare che lo sviluppo tecnologico è il fattore primario che controlla l’evoluzione delle civiltà.

Gli antropologi sono concordi nell’identificare sette tecnologie che hanno contrassegnato la storia dell’umanità20. A queste tecnologie corrisponde una

trasformazione della posizione dell’uomo all’interno del mondo, la quale comporta un maggior potere nei confronti della natura, investita antropologicamente e tecnicamente:

1. la tecnologia degli utensili, “bones and stones able to control fire”21che

si sviluppa in stretta dipendenza con la filogenesi umana e si specifica come unico agire tecnico fino alla sedentarizzazione e all’agricoltura;

18D. HARAWAY, op. cit., p. 22.

19M. HEIDEGGER, “Oltrepassamento della metafisica” in Saggi e Discorsi, trad. a cura di VATTIMO G.,

Milano, Mursia, 1976, p. 47.

20I. McNEIL, An Encyclopaedia of the History of Technology, London, Routledge, 1990, p.5. 21Ibidem p.5.

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2. l’età del metallo, “when increasing specialization of tasks encouraged change in social structures”22;

3. la prima Età della Macchina, “that of the first clocks and the printing press, when knowledge began to be standardized and widely disseminated”23;

4. l'inizio della produzione in quantità, quando “with the early application of steam power, the factory system began irreversibly to displace craft-based manufacture”24;

5. l'età del Vapore, che influenzò tutti i settori della vita economica e sociale;

6. il rapido diffondersi del motore a combustione interna.

7. la settima ed ultima è il presente, ovvero l'Età Elettrica ed Elettronica, “which promises to change human life more swiftly and more radically than any of its predecessors”.25

Alla base di questo interesse tecnologico-antropologico che collega lo specifico di certe innovazioni c’è il rapporto dell’uomo con il mondo e la ridefinizione della nostra posizione all’interno di esso e all’interno del “reale”.

Popitz anticipa le teorie del postumanesimo e coglie il nucleo della questione, quando propone un collegamento tra l’impostazione tecnologica, quella biologica e sociologica che permette di sviluppare l’indagine sul nesso organismo umano (corporeità) e tecnica. Se si prendono in considerazione i grandi processi di innovazione tecnologica e sociale, secondo quanto afferma Popitz, ciò che emerge è il fatto che ogni società è artificiale. In particolare, oltre alle sette ere tecnologiche identificate da McNeil, egli parla di due rivoluzioni tecnologiche, la sedentarizzazione a partire dall’8000 a.c e la tecnologia delle macchine del XVIII sec., che dà avvio all’automatizzazione e a quelle tendenze che evolveranno nella microelettronica e nelle odierne tecnologie del nucleo.

22Ibidem. 23Ibidem. 24Ibidem. 25Ibidem.

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Ogni metodo di autoconservazione richiede innovazioni artificiali. Ma nel processo della artificializzazione della natura e della società, si supera una soglia che è qualcosa di più di una semplice prosecuzione, magari con più rapidità, delle strategie di sopravvivenza già tracciate biologicamente ed ecologicamente. I nuovi artefatti e le nuove istituzioni sono costruzioni radicalmente artificiali. Se poi il concetto di società artificiale ricorda la modernità, è cosa auspicata: ciò che allora si è realizzato nel mondo sono dipendenze che determinano ancora oggi il nostro modo di vivere26.

Con il “macchinismo” si prende atto del ruolo di protagonista assunto dalla tecnologia delle macchine all’interno delle società, esso è l’espressione della capacità umana di riplasmare il dato e la realtà a misura d’uomo:

Non è un organismo, né un oggetto naturale di altro tipo, è un artefatto. Ma un artefatto che, diversamente da tutti quelli precedenti, agisce autonomamente. Un meccanismo automoventesi artificiale, quindi sicuramente un’entità di nuovo tipo. E corrispondentemente nasce un nuovo tipo di processo. A fianco dei processi naturali e ai processi dipendenti da azioni umane si affermano i processi meccanici. Se ci si interroga circa il tipo di dipendenza dell’uomo dalla macchina, bisogna riflettere su queste autonomia delle macchine. (…) L’agire umano diventa sempre più adeguato alle macchine, e deve diventarlo sempre di più27.

1.5 L’IBRIDAZIONE CON LE MACCHINE

Oggi la controparte dell’uomo è incarnata dalle macchine. Secondo le teorie postumanistiche le macchine sono pensate su archetipi animali e interpretate secondo canoni teriomorfi. Come l’alterità animale, i computer nello specifico hanno consentito all’uomo di estendere il proprio dominio epistemologico in quanto hanno una funzione diretta nell’acquisizione di conoscenze e, come ogni tecnologia, modificano la nostra performatività cognitiva, organizzando diversamente la nostra materia neurale:

Non possiamo ignorare il contributo di queste alterità nel processo di formazione di

26H. POPITZ, Verso una società artificiale, Roma, Editori Riuniti, 1996, p. 7. 27Ibidem p. 22.

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predicati umani e quindi il significato antropologico della relazione sociale con le alterità macchiniche. Sarebbe un errore imperdonabile ritenere che il computer sia un semplice strumento che utilizziamo rimanedone di fatto incontaminati, la tecnologia si incarna nell’uomo ossia trasformandone la carne e i predicati umani28.

Possiamo dunque parlare di una tecnologia non oppositiva ma pervasiva in grado di modificare il mezzo conoscitivo di un organo, “la questione centrale ci ricorda che in assenza di strumenti particolari, gli organi di senso e i pensieri, da soli, non avrebbero mai scovato i dettagli di capillari o l’anomalia di Saturno”29. Ciò avviene perché

l’oggetto tecnologico libera una quantità di informazioni che creano il “virus” della nuova esperienza che infiltra il modello epistemologico innato perfondendolo e spostando le sue prestazioni conoscitive, esso “non è un aggiunta, una protesi, ma di fatto inaugura all’interno dell’antroposfera una nuova performance sulle cui note l’intera sinfonia umana deve essere rinegoziata”30.

Bisogna tenere presente il fatto fondamentale che la tecnologia non è fissa ed immutabile, al contrario essa è in continua e rapida evoluzione soprattutto negli ultimi secoli, infatti:

The other significant point is that technology, like the evolution of life-forms; that spawned it, is inherently an accelerating process (…). The continued exponential growth of technology in the first two decades of the twentieth century matched that of the entire nineteenth century. Today, we have major transformations in just a few years' time. As one of many examples, the latest revolution in communications the World Wide Web didn't exist just a few years ago. “31.

O, come ci ricorda Morpurgo: “la velocità dei cambiamenti che si verificano nella società è tale che un adulto di più di cinquant’anni vive in un mondo che gli è estraneo, totalmente diverso da quello in cui si è formato, in un mondo in cui il figlio è spesso

28R. MARCHESINI, “Ruolo delle alterità nella definizione dei predicati umani”, in Apocalisse e Postumano

a cura di P. BARCELLONA, F. CIARAMELLI, R. FAI, Bari, Edizioni Dedalo, p. 56.

29E. BELLONE, I corpi e le cose, un modello naturalistico della conoscenza,Milano, Mondadori, 2000, p.

105-106.

30R. MARCHESINI, “Post-human”, cit., p. 251.

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per lui culturalmente estraneo e quindi non assicura la continuità con il presente”32.

In particolare, l’utilizzo delle “macchine” informatiche si è accresciuto negli anni della Seconda Guerra Mondiale, anni in cui hanno giocato un ruolo fondamentale a fini militari, e da lì in poi ha iniziato il suo sviluppo a ritmi vorticosi e inesorabili, tanto che gli studiosi parlano di inevitability of computation. Fu Gordon Moore, cofondatore di Intel con Robert Noyce, a dimostrare tramite un’osservazione empirica come nel periodo 1959-1965 il numero di componenti elettronici (ad esempio i transistors) che formano un chip, fosse raddoppiato ogni anno. Le sue osservazioni sono poi diventate leggi, conosciute come Prima e Seconda legge di Moore per cui “la complessità dei microcircuiti (per es., misurata dal numero di transistori per chip o per area unitaria) raddoppia periodicamente, con un periodo originalmente previsto in 12 mesi, allungato a 2 anni verso la fine degli anni Settanta e dall’inizio degli anni Ottanta assestatosi sui 18 mesi.”33 Ma, nel 1980, alcuni ricercatori, tra il prof. Hans Moravec

dell’Università Carnagie Mellon, David Waltz della Nippon Electric Company e Kurtzweil dimostrarono che i computer hanno avuto una crescita esponenziale della potenza molto prima dell’invenzione del circùito integrato nel 1958 e anche del transistor nel 1947:

The speed and density of computation have been doubling every three years (at the beginning of the twentieth century) to one year (at the end of the twentieth century), regardless of the type of hardware used. As with any phenomenon of exponential growth, the increases are so slow at first as to be virtually unnoticeable. Despite many decades of progress since the first electrical calculating equipment was used in the 1890 census, it was not until the mid1960s that this phenomenon was even noticed. Even then, it was appreciated only by a small community of computer engineers and scientists. Today, you have only to scan the personal computer ads or the toy ads in your local newspaper to see the dramatic improvements in the price performance of computation that now arrive on a monthly basis. So Moore's Law on Integrated Circuits was not the first, but the fifth paradigm to continue the now one-century-long exponential growth of computing. Each new paradigm came along just when needed. This suggests that exponential growth won't stop with the end of Moore's Law34.

32G. MORPURGO, cit. in R. MARCHESINI “Post-human”, pag. 272

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Le teorie postumanistiche sostengono che la rivoluzione informatica del XX secolo ha introdotto nuovi strumenti per la comprensione del mondo e soprattutto dei nostri processi cognitivi (come vedremo più avanti con la cibernetica). Come afferma Marchesini, infatti, la macchina ha forzato l’epistemologia antropocentrica modificando il nostro modo di essere uomini apportando contenuti non umani imprevedibili, arricchendo l’antroposfera di nuove dimensioni ed attivano un fondamentale volano di conoscenza. Anche Popitz scrive:

L’effetto antropocentrico dei processi tecnologici si interrompe con la tecnologia delle macchine. L’opera della costruzione delle macchine è elevata espressione della capacità umana di riplasmare il dato a misura d’uomo, viene creata una cosa che dispone di forza e mobilità come l’organismo umano, ma con un’efficienza incomparabilmente superiore; e nel contempo proprio con questa creazione viene messa al mondo una nuova entità, un nuovo processo che espone l’uomo a una eterodeterminazione per mezzo di ciò che ha creato35.

Popitz sottolinea quindi come la costruzione della macchina incarni la capacità dell’uomo di plasmare la realtà e allargare le proprie fonti di conoscenza.

Pierre Lévy, filosofo e pioniere negli studi dell’impatto di internet sulla conoscenza umana, è stato uno tra i primi studiosi ad affermare che le tecniche informatiche hanno permesso la cosiddetta “conoscenza mediante simulazione”, in quanto esse annullano la distanza tra soggetto e oggetto, quindi tra uomo e macchina. Sulla stessa onda Pepperell afferma:

Properly programmed, computers could become entire, self-contained worlds, which scientists could explore in ways that vastly enriched their understanding of the real world. In fact, computer simulation had become so powerful by the 1980s that some people were beginning to talk about it as a “third form of science”, standing half way between theory and experiment.

A computer simulation of a thunderstorm, for example, would be like a theory because nothing would exist inside the computer but the equations describing sunlight, wind, and water vapour. But the simulation would also be like an experiment,

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because those equations are far too complicated to solve by hand. So the scientists watching the simulated thunderstorm on their computer screens would see their equations unfold in patterns they might never have predicted (…)We are coming to rely on the computer as a means of modelling more complex natural phenomena, including thought itself36.

La perdita di confine soggetto-oggetto dà vita a un universo di virtualità che permette l’atto ibridativo tra uomo e macchina. Ma cosa si intende per “virtualità”? “Virtuality is the cultural perception that material objects are interpenetrated by information patterns”37, afferma K. Hayles. E ancora: “normally virtuality is associated with

computer simulations that put the body into a feedback loop with a computer generated image”38. Con le tecnologie informatiche e computerizzate accade che il

mondo reale venga interpenetrato dal flow delle informazioni del mondo computerizzato “virtuale”.

Quello su cui i teorici sono concordi è che la rivoluzione strutturale dei nuovi media, incluso lo sviluppo del world wide web, ha obiettivamente modificato il modo di viaggiare delle informazioni e messo in discussione il concetto tradizionale di spazio-tempo e di realtà, portando di conseguenza all’annullamento del confine tra soggetto (uomo) e oggetto (macchina). The Medium is the message, affermava Marshall McLuhan, ovvero è il mezzo inteso come qualsiasi nuova tecnologia che determina l’informazione stessa indipendentemente dal suo contenuto. McLuhan pubblica il suo libro nel 1964, gli anni in cui assiste alla nascita dei mass media e alla crescente globalizzazione ( è il primo a parlare di “villaggio globale”).

Negli anni successivi emerge preponderante l’istantaneità del messaggio, ovvero la capacità di comunicazione in tempo reale. Come sostenuto da Bauman, il concetto di istantaneità “denota l’assenza del tempo in quanto fattore dell’evento e dunque in quanto elemento nel calcolo di valore. La quasi istantaneità dell’epoca software inaugura la svalutazione dello spazio”39. Il risultato è una svalutazione

36R. PEPPERELL, op. cit.,p.36.

37 K. HAYLES, How we became PostHuman: Virtual Bodies in Cybenetics, Literature, and Informatics,

Chicago-London, The University of Chicago Press, 1999, p. 13

38Ibidem, p.14.

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spaziale per cui non esiste più alcuna differenza tra lo spazio che intercorre tra mittente e ricevente:

il mutamento in questione è l’odierna irrilevanza dello spazio, mascherata sotto forma di annullamento del tempo. Nell’universo software del viaggio alla velocità della luce, lo spazio è attraversabile letteralmente “all’istante”: la differenza tra “lontano” e “vicino” è cancellata. Lo spazio non pone più limiti all’azione e alle sue conseguenze, e conta poco o nulla; ha perso il proprio “valore strategico”40.

Quella che si crea e che viviamo è una condizione di eterno tempo “live”, o tempo globale per dirla con Virilio. Lo stesso concetto di realtà è messo in discussione. Le nuove tecnologie di fatto hanno cambiato il concetto di “reale”. Con la rete e con l’esperienza del virtuale ha preso vita il cosiddetto cyberspazio, il luogo in cui il movimento si svincola dallo spazio fisso in cui predominano proprietà e dinamiche del tutto nuove come dell’istantaneità, la replica infinita, l’accessibilità, l’interattività, l’interconnessione, tutti aspetti che vanno a formare un nuovo spazio antropologico, come lo definisce Lévy. La realtà del nuovo spazio antropologico è dinamica, in movimento e non univoca, virtuale.

Questa nuova dimensione ha suscitato in studiosi e scrittori varie riflessioni. Tra i più acuti indagatori della virtualizzazione della realtà si annovera il sociologo e filosofo francese Jean Baudrillard. Partendo dallo studio e dall’osservazione delle nuove tecnologie informatiche e dei nuovi media, Baudrillard ha scritto una serie di saggi in cui assistiamo alla maturazione delle sue controverse teorie da cui letteratura e cinema hanno preso spunto. Egli sostiene come il mondo della tecnologia, dei media e del digitale crei una falsa realtà, che con la sua pervasiva invadenza, diventa alla fine la sola dimensione. Con la diffusione del virtuale, il massimo dell’irrealtà diventa il massimo della realtà: “pensate in tempo reale, vivete in tempo reale, il vostro pensiero è codificato dal computer.”41Siamo tutti inglobati in un processo di finzionalizzazione

sistematica di cui il mondo è oggetto. Le nuove tecnologie non fanno altro che realizzare continuamente il sogno di una realtà superiore depurata da qualsiasi germe

40Ibidem p.132.

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di imperfezione e per questo divenuta “iperreale”, ovvero più reale del reale. In particolar modo, la TV e i media sono usciti da tempo dal loro spazio mediatico per investire la vita reale dall’interno, siamo indifesi dinanzi a questa perfezione virtuale. La parola chiave è: simulazione. Nella simulazione il mondo reale è scomparso e la distinzione tra reale e immaginario viene ricreata artificialmente: “con la realtà virtuale e tutte le sue conseguenze siamo giunti al limite estremo della tecnica, alla tecnica come limite fenomeno estremo. Oltre la fine, nulla è più reversibile, non ci sono più tracce e neanche nostalgia del mondo precedente.”42Quello che emerge è senza alcun

dubbio un senso di negatività e pessimismo per le sorti dell’uomo occidentale, ma non si tratta di una prospettiva futura, per Baudrillard il processo apocalittico di perdita di senso e di reale è già in atto e sta portando ad una nuova forma di terrore che ne rappresenta l’estrema conseguenza: la dis-alienazione per cui “tutto questo apparato digitale, numerico, elettronico non è altro che l’epifenomeno della profonda virtualizzazione degli esseri umani”43.

Oltre alla virtualizzazione umana e alla scomparsa della realtà con la sua sostituzione da parte del simulacro, il pensiero di Baudrillard apre e tocca una serie di altre tematiche che vengono riprese anche dalla letteratura contemporanea e che mi accingo ad appronfodire nella seconda parte di questo elaborato. Nello specifico, si tratta di tematiche quali il controllo mediatico sulle menti e la nascita di nuovi totalitarismi, l’eugenetica e la ricerca della perfezione nella definizione dell’uomo e sul mondo esterno.

Se per filosofi come Baudrillard e certa letteratura contemporanea la tendenza è considerare la tecnologizzazione e virtualizzazione un pericolo e una prospettiva non incoraggiante, per la filosofia postumana essa incarna una nuova potenzialità, anzi i teorici del postumanesimo sottolineano come sia necessario il superamento dell’opposizione manichea naturale-artificiale, così come l’opposizione tecnofili-tecnofobi, in quanto ciò non permette di comprendere con chiarezza la posizione dell’uomo e lo rende incapace di percepire la pluralità dei fenomeni naturali e degli enti. I cataloghi oppositivi non permettono di andare oltre, in quanto la conoscenza è

42Ibidem, p. 19. 43Ibidem, p. 13.

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ottenibile solo grazie al processo ibridativo con le macchine. L’innovazione tecnologica non allontana l’uomo dalla natura, ma, al contrario, permette una maggiore fusione con essa, come afferma Lévy, non si deve pensare in termini apocalittici il ruolo dell’informatica e delle tecniche di comunicazione a supporto digitale come letteralmente destinato a soppiantare l’umano, magari in vista dell’affermazione di un’intelligenza artificiale, ma “come componente essenziale di una costruzione di collettivi intelligenti in grado di favorire l’espressione delle potenzialità sociali che entrano in gioco”44, il cyberspazio diventa così lo spazio del sapere collettivo.

E ancora, Marchesini:

la macchina ha di fatto forzato l’epistemologia antropocentrica e ha modificato il modo di essere uomini, apportando contenuti non umani imprevedibili e quindi arricchendo l’antroposfera di nuove dimensioni, ovvero allargandola45.

1.6 L’ERA DELLA CONTAMINAZIONE

1.6.1 LA CIBERNETICA.

Un aspetto in particolare su cui il postumanesimo si concentra è la cibernetica, campo di studi che coinvolge la tecnologia dei sistemi artificiali e la biologia degli esseri viventi, l’ingegneria e le scienze umane. Coniato dal termine greco kybernetes, letteralmente “timoniere di una nave”, il concetto di cibernetica nasce nel XIX secolo.

Il termine viene poi ripreso nel 1947 da Norbert Wiener, matematico statunitense, il quale lo utilizza per il titolo del suo libro Cybernetics or Control and

Communication in the Animal and the Machine, da cui prende avvio l’omonima

corrente di pensiero. Come racconta K. Hayles, “cybernetics signaled that three powerful actors, information, control and communication, were now operating jointly to bring about an unprecedented synthesis of the organic and the mechanical”46.

44P. LÉVY, L’Intelligenza collettiva. Per un’antropologia del cyberspazio, trad. M. COLO’ e D. FEROLDI,

Milano, Feltrinelli, 1996, p. 31.

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La cibernetica infatti si basa sull’ipotesi “che vi sia una sostanziale analogia tra i ‘meccanismi di regolazione’ delle macchine e quelli degli esseri viventi e che alla base di questi meccanismi vi siano processi comunicazione e di analisi di informazioni”47.

Il nostro mondo è integralmente costituito di sistemi, vivi o non-vivi, intrecciati ed in interazione. Possono essere considerati come "sistemi" una società, un'economia, una rete di computer, una macchina, una cellula, un organismo, un cervello, un individuo, un ecosistema. Un sistema cibernetico può essere definito come un insieme di elementi in interazione. Queste interazioni possono essere degli scambi di materia, di energia o d'informazioni, che costituiscono una comunicazione alla quale gli elementi reagiscono cambiando di stato o modificando le loro azioni.

La comunicazione, il segnale, l'informazione e la retroazione sono delle nozioni centrali della cibernetica e di tutti i sistemi, organismi viventi, macchinari o rete di macchinari. Quando gli elementi sono organizzati in un sistema, le interazioni tra gli elementi danno all'insieme delle proprietà che non possiedono gli elementi presi individualmente, il tutto è superiore alla somma delle parti. È attraverso la retroazione, o feedback, che i sistemi sono in grado di “implementare, correggere, bloccare il loro operare, e allo stesso tempo, direzionare l’orientamento. Il feedback assicura loro una guida, da qui il temine ‘cibernetico’ e l’apparente saggezza di questi strumenti biologici o artificiali”48.

Lo scopo e il motore della nascita di questa scienza è confrontare l’essere umano e l’animale con la macchina proponendosi di studiare e creare macchine sempre più “intelligenti” ad alto grado di automatismo da un lato, e, allo stesso tempo, servirsi delle macchine per studiare l’uomo e determinate funzioni fisiologiche e intellettive. È da qui che prendono avvio i primi studi sull’intelligenza artificiale, più precisamente dalla Macy Conferences on Cybernetics che hanno luogo dal 1943 al 1954.

Come racconta Hayles, tra le figure fondanti spicca il neurofisiologo Warren McCulloch e Walter Pitt, suo collaboratore, i quali elaborano un teoria fondamentale nel campo della cibernetica, “the so called McCulloch-Pitts neuron”, che pur

47v. cibernetica, http://www.enciclopediatreccani.it/cibernetica. 48R. MARCHESINI, “Post-human”, cit., p. 326.

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modificato nel corso degli anni, per generazioni di ricercatori ha rappresentato il modello standard del funzionamento neuronale. Nello specifico i due ricercatori dimostrano come una rete neurale sia in grado di calcolare qualsiasi numero calcolato da una Turing machine. Come afferma sempre Hayles, “the proof was important because it joined a model of human neural functioning with automata theory”49. Il

fatto che le operazioni di calcolo di entrambe le reti convergessero dava conferma all’intuizione di McCulluch secondo cui “brains do not secrete thought as the liver secrete bile but they compute thought the way electronic computers calculate numbers”50.

Sebbene la teoria abbia gettato le basi per i successivi studi sull’intelligenza artificiale, essa suscitò critiche tra psicologi e neurofisiologi, uno su tutti Hans Lukas Teuber. Teuber, fondatore della neuropsicologia, ribatte sostenne che la presenza di similarità tra i due sistemi cibernetici non implicasse che essi fossero uguali nella struttura o nei processi:

Your robot may become capable of doing innumerabile tricks the nervous system is able to do; it is unlikely that the nervous system uses the same methods as the robot in arriving what might look like identical results. Your model remain models51.

McCulloch rispose alle critiche in un articolo del 1947, in cui affermava che la sua teoria esprimeva una legge generale per cui “every circuit built by God or man can be exemplified in some form”52. Ma è proprio per questa generalità che la teoria viene

contestata dagli studiosi, e per lo stesso motivo risulta tutt’oggi non dimostrabile,o come dice Teuber, troppo astratta e non attuabile. Certamente “transforming the body into a flow of binary code pulsing through neurons was an essential step in seeing human being as an informational pattern”53, ma “the contingent aspect of the

experience was something they could not afford to ignore”54.

49K. HAYLES, op. cit., p. 58. 50Ibidem, p. 58.

51Ibidem, p. 59. 52Ibidem, p. 60. 53Ibidem, p. 61.

54J.Y LETTVIN, “Warren McCulloch and the Origins of A.I” in Cybernetic, Fairfax, Virginia, George Mason

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Come sostenuto anche da Marchesini, con le teorie di McCulloch-Pitts si è dimostrato come un comportamento possa essere istruito da un programma, ossia da un algoritmo, mediante la definizione a cascata delle espressioni comportamentali in patterns, ma senza tener conto dell’individualità e complessità degli stessi animali: “i più importanti studi di etologia e psicologia comparata hanno ormai acclarato che il pensiero animale esiste e si manifesta in modo molto complesso e differente nelle varie specie.”55 Dunque quello di cui non tengono di conto è il fatto che accanto a

determinazioni istruite di origine filogenetica, il processo ontogenetico si avvale di componenti che declinano la configurazione neurale secondo un processo ibridativo con il mondo.

Le neuroscienze oggi guardano al cervello in modo decisamente diverso rispetto agli anni delle Macy Conferences quando si pensava che l’organo fosse strutturato in modo rigido, infatti:

la plasticità è una caratteristica saliente di tutte le cellule nervose dotate del potenziale di reagire agli stimoli, di cessare di reagire (cioè abituarsi), di modificare la loro funzione in maniera più o meno permanente (…) bisogna considerare che la plasticità non riguarda soltanto i neuroni ma anche i diversi nuclei e le diverse aree del cervello56.

Per concludere con le parole di Marchesini:

L’architettura dell’encefalo, attraverso un pensiero selezionista, non percorre cioè un sentiero definito, un algoritmo che traduce in modo meccanico e infallibile delle istruzioni, ma letteralmente crea un’irripetibile e indeterministica configurazione. Per associare i due livelli sono indispensabili non un programmatore bensì un processo evolutivo e una storia individuale57

1.6.2 IL CYBORG

55R. MARCHESINI, “Post-human”, cit., p. 338.

56A. OLIVERIO, A. OLIVERIO FERRARIS, Nei labirinti della mente, Roma-Bari, Laterza, 1998, p. 7-8. 57R. MARCHESINI, “Post-human”, cit., p. 332.

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“A final and equally controversial way of changing humanity is through the integration of mechanical technology, particularly cybernetic technology”58.

Il XXI secolo si profila a tutti gli effetti come era della contaminazione: le pratiche biotecnologiche dell’ingegneria genetica, l’utilizzo sempre più invasivo di tecnologie capaci di interagire con il sostrato organico e la creazione di organi sintetici da apporre all’organismo vivente danno vita a nuove performatività, anzitutto, il cyborg.

La figura del cyborg ha suscitato dibattiti ed interrogativi tra gli studiosi, soprattutto per quanto riguarda le future ripercussioni sul genere e sul “corpo” umano. Il tema centrale è infatti “la riscrittura del corpo”, ovvero l’uomo riprogetta il proprio corpo e,come sostiene Marchesini, lo fa affidandosi al teriomorfo (tatuaggi, piercing, body art e similari) o al macchino morfismo, ovvero alle nanotecnologie e nuove strutture inorganiche. Dal secolo scorso, si assiste quindi a una radicale trasformazione dell’ontologia umana dovuta appunto l’invasività della tecnologia sul corpo.

La crescente invasività ha destato e continua a destare le maggiori preoccupazioni tra gli autori per il timore che le tecnologie, quindi le macchine, possano sovrastare l’uomo. Come afferma Dagnino,

l’unico modo in cui la nostra specie potrà prevenire il sorpasso, potrà cioè scongiurare l’avvento di una società dominata da macchine più intelligenti degli umani, è quello di incrementare la propria stessa intelligenza, la propria capacità conoscitiva59.

Toni apocalittici condivisi anche da Sloterdjik e Merlini, che sottolineano come sia già avvenuto l’avvento dell’era abitata e padroneggiata da forme intelligenti iper potenziate frutto della convergenza tra umano e macchinico:

Per quanto la tecnologia odierna operi in direzione del potenziamento del’’uomo

58M. THOMSEN, op. cit., p. 69.

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grazie a quella inedita convergenza tra umano e macchinico e per quanto il presente cibernetico sia in grado di mimare la complessità propria degli organismi simulando spontaneità, originalità e persino giocosità estetica, rimane il fatto che proprio alla base di questa convergenza, resa possibile dalla relativa continuità tra organico e inorganico e quindi tra fisica e biologia, risulta possibile immaginare il superamento stesso dell’umano in direzione di un oltre capace di soppiantare l’uomo, in quanto essere antiquato incapace di rispondere in modo sufficientemente performativo a nuove attese e nuovi standard operativi60.

Per questi studiosi, espressamente “tecnofobi”, tutto ciò porta all’accrescimento del senso di frustrazione, impotenza ed umiliazione dinanzi alla fine del proprio mondo.

Il Professor Noble si spinge oltre, affermando che “the pioneers of Artificial Intelligence, in quest of the immortal mind, have been sustained by the U.S. military-together with their disciples in Artificial Life, cyberspace, and virtual reality”61

evidenziando il legame tra tecnologia e controllo politico che porterà alla concretizzazione di un “orwellian future”62.

Gli ultimi anni hanno visto accrescersi una vera e propria polarizzazione tra autori appunto tecnofobi, i quali vedono nella tecnologia applicata all’uomo un concreto rischio, e autori tecnofili che ne evidenziano l’apporto positivo.

Sebbene la tendenza della maggior parte degli autori postumanisti sia tecnofila, il pensiero postumanistico considera la suddetta dicotomia come “espressioni dello stesso empito antropocentrico incapace di leggere il processo coniugativo dell’agire tecnologico”63, mentre esso si contraddistingue proprio per la sua capacità di

comprendere il significato coniugativo dell’agire tecnologico e di riconoscere l’importanza dell’alterità o eteroreferenza. L’ibridazione può destare turbamento in quanto può risultare un evento mostruoso che mette in discussione lo status quo. Ma per i filosofi del post-umano ciò può modificare il sostrato biologico facendo sì che la cultura non sia un completamento della natura ma il motore di essa, “non vi è una contrapposizione tra assunzione teriomorfa o macchinina, entrambe sono frutto di un

60F. MERLIN “ Antropologie in conflitto, catastrofe versus apocalisse”, in Apocalisse e Postumano, p. 75. 61D. NOBLE, The Religion of Technology,Harmondsworth, Penguin, 1999, p. 206.

62Ibidem, p. 206.

(25)

guardare avanti e ammettere un profondo bisogno di alterità”64.

A mio avviso è Donna Haraway caposcuola della cosìdetta Cyborg Theory a ben esemplificare il punto focale del dibattito cyborg-tecnologia e alterità affermando:

certain dualisms have been persistent in Western tradition; they have all been systemic to the logics and practices of domination of all constituted as others, whose task is to mirror the self. Chief among these troubling dualisms are self/other, mind/body, culture/nature, reality/appearance, God/man. The self is the one who is not dominated, the other is who holds the future, who knows that by the experience of domination, which gives the lie to the autonomy of the self (…) we find ourselves to be cyborgs, hybrids, mosaics, chimeras. There is no fundamental ontological separation of technical and organic65.

La filosofa vede dunque la caduta della dicotomia macchina-essere biologico come una diretta conseguenza del progresso tecnologico e scientifico. Ma è importante precisare che “although the cybernetic aspects, the construction of the posthuman does not require the subject to be a literal cyborg”66. Infatti il cyborg postumano è l’emblema

dell’epoca contemporanea postmoderna, “it is a kind of a dissasembled and reassembled postmodern collective and personal self”67. Per concludere con le parole

di K. Hayles: “the posthuman subject is an amalgam, a collection of hetereogeneous components, a material-informational entity whose boundaries undergo continuous construction and reconstruction”68.

1.7 RIFLESSIONI CONCLUSIVE SUL POST-UMANO.

Siamo giunti alle osservazioni finali su questa prima parte. Per ricapitolare, l’antropologia postumanistica sostiene che l’identità umana necessiti di una rilettura

64Ibidem, p. 550.

65D. HARAWAY, Cyborg manifesto, in op. cit., p.177-8. 66K. HAYLES, op. cit., p. 4.

67D. HARAWAY, op. cit., p.163. 68K. HAYLES, op. cit., p. 3.

(26)

globale alla luce del vertiginoso sviluppo tecnologico e scientifico dalla seconda metà del XX secolo. L’incursione sulla scena della tecnologia e la sua invasività nelle nostre vite mettono in discussione i confini chiaramente delimitabili dell’essere umano e ci costringono a fare i conti con nuovi interrogativi circa la nostra identità nell’era della post-modernità. L’idea dell’uomo come centro ontologico dell’universo e misura del mondo non sembra più adeguata alla complessità della realtà contemporanea.

Il pensiero postumanistico sostiene il necessario superamento del paradigma antropocentrico che domina il pensiero occidentale, accusato di autoreferenzialità, che ha portato l’uomo ad isolarsi ed elevarsi a dominatore della Natura. Il postumanesimo esalta al contrario l’importanza della interdipendenza con le eteroreferenze, ovvero le alterità, animale e macchinina, riconosciute come fondamentali partner di conoscenza. È solo attraverso la co-costruzione e l‘ibridazione con le alterità che l’uomo raggiunge la conoscenza e coglie appieno la complessità del divenire del mondo e di se stesso. Donna Haraway ad esempio propone di riconsiderare il nostro ruolo all’interno dell’universo e il senso del nostro rapporto di partnership originario con la natura: “Or we may focus on the labour process itself and reconstruct our sense of nature, origins, and the past so that the human future is in our hands. We may return from the tool to the body, in its personal and social forms”69.

La tecnologia stessa non è avvertita come minaccia ma come inevitabile partner per un nuovo modello di esistenza, essa non è un’istanza potenzialmente distruttiva ma, appunto l’inevitabile alterità con la quale costruire la propria identità. Come afferma Pietro Barcellona:

la manipolazione tecnologica del vivente, la prospettiva di una nuova integrazione tra uomo e la tecnica, fra uomo e la macchina, determina un salto nella stessa evoluzione della specie e spiazza totalmente le prospettive e i linguaggi tradizionali. Siamo entrati nell’epoca del postumano e della coincidenza del mondo con se stesso, in cui la posterità si presenta come mutazione dello statuto antropologico che sconvolge tutte le coppie oppositive, tutti i criteri distintivi, attraverso i quali si è operata la distinzione fra natura e cultura, oggettivo e soggettivo, vivente ed inorganico. Anzi, è proprio la categoria della distinzione/differenza che non riesce più a funzionare come ordinatore

(27)

della realtà70.

Ci troviamo di fronte ad un nuovo spazio antropologico per cui non esiste identità che non sia il frutto di un continuo scambio naturale e culturale con le alterità. Lo stesso prefisso POST non sta ad indicare un essere NON più umano ma al contrario indica una sua rigenerazione basata sulla nuova e più dinamica definizione di cosa significhi essere umano. Ciò che viene decostruito è il l’idea che l’antropologia classica umanista ha dell’uomo ma non il concetto di “essere umano”. Si apre così una nuova epoca di consapevolezza:

Inizia a prendere forma un nuovo modo di concepire la soggettività basato non più sul raggiungimento di una forma perfetta, assoluta e desiderabile per tutti gli uomini, né su un processo separativo e autarchico (autoreferenziale) dell’ontogenesi e tanto meno sulla stabilità (identità = identico), singolarità (identità = individuo), purezza (identità = incontaminazione). La soggettività inizia a giocarsi nella promiscuità ontologica, dove l’ibridazione e la contaminazione con realtà non-umane (animali o macchiniche) non rappresentano più minacce alla definizione identitaria, bensì divengono l’espressione più autentica della soggettività71.

E ancora

il punto focale del pensiero postumanistico e, a mio parere, l’unico percorribile nel futuro, poggia invece sulla capacità di riconoscere il significato coniugativo del fare tecnologico e l’importanza dell’alterità ossia dell’eteroreferenza, al fine di realizzare in concreto la declinazione dell’essere umano. Lo sviluppo tecnologico è pertanto legato a doppio filo alla salvaguardia del bacino del non-umano, perché di fatto è lì che è situato l’altro polo che consente lo scoccare della scintilla culturale72.

70P. BARCELLONA, L’epoca del Postumano. Lezione magistrale per il compleanno di Pietro Ingrao, Troina,

Città Aperta Edizioni, 2007, pp. 12-13.

71R. MARCHESINI, “Post-human”, cit., p.70. 72Ibidem, p. 550.

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