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Capitolo 2

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Capitolo 2

L’opus Doliare

“I bolli laterizi non vanno considerati come un ramo indipendente della scienza archeologica , ma sono in stretto collegamento con l’epigrafia, con la topografia, con la storia, con il commercio e con l’industria”. G.Lugli1

2.1. Lateres e opus testaceum: origine e diffusione

Il laterizio è un elemento costruttivo che contraddistinse il modo di edificare dei romani. Esso cominciò ad essere utilizzato come elemento di copertura già a partire dal VII sec. a.C.: i più antichi esempi di tetti realizzati con tegole cotte si trovano in Grecia e sono quelli del tempio arcaico di Apollo a Corinto, datato verso il 700 a.C.2. Successivamente venne

utilizzato per la costruzione delle mura urbane, sia in Oriente, area geografica in cui nacque, sia in Italia, dove arriva grazie alla mediazione della Magna Grecia e dell’Etruria (IV secolo a.C. - III secolo a.C.). Elementi cronologici sicuri sono dati dai mattoni con bollo dei Mamertini di Messina e di Reggio Calabria, i primi databili al 283 – 265 a.C., mentre i secondi al 280 a.C. Alla prima metà del III secolo a.C. sono datati i mattoni prodotti dalla fornace di Veleia e quelli utilizzati nelle tombe ellenistiche di Reggio Calabria, mentre quelli delle mura dell’ultima città con bollo τειχέων sono stati collocati cronologicamente nella seconda metà del IV secolo a.C3.

1 LUGLI 1957, p. 564. 2

RIGHINI 1990, p. 277. Attualmente sono limitate le conoscenze di strutture costruite in mattoni cotti databili al IV secolo a.C. Un maggior numero si ha per l’età ellenistica: il Nekromanteion, il muro del mercato, il Pritaneo di Cassiope in Epiro. Altre testimonianze provengono dal Peloponneso databili tra il II e il I secolo a.C.

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Il caso delle mura di Arezzo, ricordate sia da Vitruvio (2, 8, 11) sia da Plinio (Nat. Hist. 35, 173), ci dà conferma del precoce utilizzo del laterizio. La verifica delle fonti scritte è arrivata dallo scavo archeologico del 1918: il tratto esplorato lungo una decina di metri e spesso 4, 5 m era costituito da grandi mattoni cotti legati con malta. L’intero spessore del muro era realizzato in mattoni. La costruzione risale ad un‘epoca anteriore alla conquista romana (fine IV- inizio III sec. a.C.)4.

L’uso del laterizio si generalizza solo in età romana con l’introduzione dell’opus testaceum o latericium che avrà larga diffusione.

Il luogo e il momento esatti in cui si

diffuse la tecnica costruttiva in laterizio sono stati definiti in passato in base a studi prettamente epigrafici e letterari: da tale impostazione prendono le mosse le riflessioni di G. Lugli, per anni punto di riferimento indiscusso in questo ambito di studi archeologici. Lo “storico dell’edilizia romana” nega la validità di quanto detto da Vitruvio nel II libro del De Architectura (scritto tra il 40 e il 30-25 a.C.)5. Egli osserva che la structura testacea

descritta dall’autore latino non ha nulla a che fare con quella che mostrano i monumenti romani. Secondo le osservazioni fatte dal Lugli poche erano le costruzioni ai tempi di Vitruvio realizzate in mattoni cotti. Le sue conclusioni sono state sovvertite dalle indagini archeologiche e dalle osservazioni ricavate dallo scavo condotto dal 1978 nella colonia latina di Fregellae sotto la direzione scientifica di Filippo Coarelli6. Qui è stata messa in

luce una domus la cui costruzione risale senza ombra di dubbio al IV secolo a.C.: le zoccolature basali, attribuibili alla prima fase edilizia della dimora, sono state costruite

4 NEGRELLI 1999, pp. 88 – 89. 5

Ulteriori rifermenti alla tecnica latericia vengono fatti nel I e nel V libro della stessa opera: De Arch, I, 5, 8: << (…) ubi sunt saxa quadrata sive silex sive caementum aut coctus later sive crudus, his erit utendum>>; De Arch, V, 10, 2: << (…) laterculis bessalibus pilae struantur ita dispositae uti bipedales tegulae possint supra esse conlocatae>>.

6 COARELLI 2000, pp. 87 – 95.

Fig. 13 - Villa dei Sette Bassi sulla via Latina (140-150 d.C.) (ADAM 1989, p. 153).

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tramite la tecnica laterizia7. Inizialmente essa si diffuse soprattutto in edifici e sepolcreti di

carattere privato, e occasionalmente venne adottata per la costruzione di edifici pubblici. L’opus latericium o testaceum, venne impiegato su grande scala solo a partire dalla dinastia giulio-claudia: esso forniva una maggiore resistenza e stabilità alle strutture, in più era adatto per le costruzioni che dovevano sopportare grossi sbalzi di temperatura come i bagni, per quelle sottoposte all’azione dell’umidità e al forte calore e per quelle esposte alle variazioni atmosferiche e alle infiltrazioni d’acqua, come le terrazze, le cisterne, le stanze sepolcrali, le fogne ecc.

Da non trascurare i benefici economici: in termini di produzione, i laterizi erano molto convenienti perché potevano essere realizzati velocemente e in grande quantità.

L’insieme dei progressi in campo costruttivo e i vantaggi economici legati alla produzione fecero sì che la tecnica latericia divenisse il comune sistema di muratura durante l’impero. Svetonio scrive che quando Augusto salì al potere, si trovò davanti una città che poteva essere definita latericia (Aug 28: << (…) marmoream se relinquere, quam latericiam accepisset>>).

Fu Tiberio, con la sua casa sul Palatino e con i castra praetoria a portare per primo in facciata l’opera laterizia, costruendo le pareti con due cortine di mattoni triangolari, posti con la base all’esterno e infarcendo lo spazio intermedio con una miscela di sassi e di malta (opus cementicium). La stessa venne utilizzata per la costruzione della Casa di Caligola e per la Domus Aurea di Nerone.

Con l’impero di Domiziano tutte le fabbriche urbane furono costruite in opus doliare poiché era adatto per la costruzione di quelle pareti curve e mistilinee di cui si arricchì l’architettura imperiale.

Il nome più usato per definire la tecnica laterizia durante l’impero è opus doliare che si trova inciso sui mattoni stessi; con tale termine s’indica anche il lavoro d’impasto e di cottura dei medesimi; più raramente viene usata l’espressione opus figlinum doliare, opus figlinum ecc. Mentre quest’ultimo termine abbraccia tutti i prodotti di argilla lavorata e cotta, dalle statue ai mattoni, dalle ollae alle suppellettili 8, opus doliare ne copre solo una

7 Per quanto riguarda la colonia di Fregellae esistono sicuri agganci cronologici, desumibili dalla tradizione letteraria e

dallo scavo archeologico: essa venne fondata su un terreno vergine nel 328 a.C., venne distrutta nel 320, nuovamente ricostruita nel 313 per essere definitivamente demolita nel 125 a.C.

8 Plinio, Naturalis Historia 31.46, 31.130, 34.113, 35.66, 39.189, specialmente 35.159. Ex figlinis è inoltre una formula

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parte 9: a cominciare dall’inizio del II secolo, e in particolar modo dall’età adrianea, fino al

III secolo d.C. , sesquipedali, bipedali e tegole vengono definiti come opus doliare.

Il termine deriva da dolium, vaso, (principale lavoro dei figuli e degli officinatores) e con esso si fa riferimento a tutto il materiale edilizio: mattoni di misure standardizzate, tegole, mattoni speciali, tubi.

L’individuazione di stessi nomi e stessi bolli laterizi su mortaria, dolia, sarcofagi di terracotta ha dimostrato che i manufatti venivano prodotti nelle medesime figlinae e quindi si fanno rientrare nella categoria di opus doliare anche le merci prima menzionate.

L’opus doliare dal punto di vista tecnico presenta alcune caratteristiche peculiari: gli impasti sono poco depurati e ricchi di additivi per garantire la coesione e la resistenza necessarie per oggetti così pesanti 10.

Il materiale laterizio bollato fa parte della categoria epigrafica dell’instrumentum domesticum.

2.2.Precisazioni sulla produzione laterizia

E’ bene precisare quali tipi di laterizi venivano utilizzati dai Romani. In passato si è insistito sul significato di latericium, termine utilizzato per indicare il mattone crudo, mentre testa o opus testaceum veniva riservato per indicare il mattone cotto11:

originariamente esisteva solo lateres, successivamente con l’avvio della produzione di laterizi cotti il nome venne affiancato dall’aggettivo coctus o coctilis e introdotto anche il lemma testa.

Nella bibliografia si trova una distinzione fallace: per molto tempo si è pensato che lateres coctis indicasse una forma intermedia di laterizio cotto all’aria aperta e laterizio cotto in

9 Opus doliare è un termine attestato esclusivamente sui bolli laterizi (STEINBY 1974 – 1975; p. 11). 10 CELUZZA 1985, pp. 59 -60.

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forno12. In realtà lateres coctus è il mattone cotto: la definizione veniva utilizzata in un

periodo marginale in cui continuava ad essere utilizzato il mattone crudo. Quando il primo divenne dominante si usò il termine crudus. Tra l’età repubblicana e l’inizio dell’età augustea la tecnica del mattone cotto prese il sopravvento e così si finì per eliminare la distinzione lessicale; da questo momento in poi later indicò l’intera produzione13.

Nel De Architectura vengono menzionati tre tipi di mattoni:

- i bessales, cioè di 2/3 di piede (19,7 cm); di forma quadrata, venivano solitamente divisi in due triangoli lungo la diagonale, che restava visibile sulla faccia esterna del paramento. Venivano impiegati maggiormente per la realizzazione di pilae di sostegno delle suspensurae14(colonnine che sostenevano i pavimenti, specialmente degli ambienti termali, permettendo il passaggio di aria calda), e per essere messi in opera di taglio e a spina di pesce (opus spicatum) per il rivestimento dei pavimenti di alcuni ambienti.

- i sesquipedales, erano mattoni quadrati con il lato di un piede e mezzo (pari a 44, 4 cm). La riduzione del mattone portava alla realizzazione di 2 rettangoli o di otto o sedici triangoli15.

- i bipedales, cioè di due piedi per lato pari a circa 59 cm; venivano suddivisi in otto o sedici triangoli ma erano più comunemente utilizzati interi, come ricorsi per livellare, o come ghiere per gli archi. Erano quelli che più frequentemente erano destinati al taglio.

12 Lugli leggendo il passo di Vitruvio V,10, 2, traduce ed interpreta il termine tegulae come materiale edilizio cotto in

fornace, lateres come mattoni crudi.

13 COARELLI 2000, p. 88. 14 ADAM, 1989.

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In alcuni casi per facilitare la messa in opera, i sesquipedali erano muniti di una presa lungo uno dei lati corti, che consisteva in una fessura adatta all’alloggiamento delle dita. Due piccole bugne poste diagonalmente venivano lasciate sporgere su una delle due facce in modo tale da lasciare uno spazio tra un mattone e l’altro, necessario per impedire la fuoriuscita della malta durante la messa in opera dei mattoni.

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Fig. 14 - Divisione dei mattoni quadrati di misure correnti. (ADAM 1988, p. 159).

La forma quadrata dei mattoni conferiva un maggior potere di adattamento del materiale da impiegare in plurimi scopi: essi venivano spezzati in forme ridotte a seconda dell’utilizzo; nelle costruzioni di paramenti murari, veniva lasciato internamente il lato spezzato del mattone perché questo aderiva con maggiore efficacia all’opera cementizia rispetto al mattone con lati lisci e regolari.

In condizioni ottimali di cottura esso assumeva un aspetto compatto e rossastro, inversamente se il processo di cottura rimaneva incompleto il materiale fittile assumeva delle colorazioni giallastre con consistenza friabile e sfaldabile, per difetti di cottura si poteva presentare grigio-verdastro con crepe, bolle superficiali, grossi vacuoli interni e superficie vetrosa.

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Tegulae erano dette sia quelle che ricoprivano i tetti, sia i mattoni fabbricati per altri scopi (per esempio i mattoni destinati alla costruzione dei forni di riscaldamento16). Quelle

utilizzate per le coperture ma reimpiegate spesso come materiale edilizio e in determinate tipologie di sepoltura, sono elementi piatti dello spessore di cm 3,5 circa; il colore è rosso vivo, o rosso bruno, a causa di una forte cottura della materia prima per una migliore resistenza agli agenti atmosferici; l’impasto è assai compatto. Nella messa in opera della copertura, le tegole erano accostate l’una all’altra e sopra, nel punto di incontro delle alette, venivano appoggiati i coppi (imbrices)17.

Le dimensioni dei vari tipi di tegola potevano variare ma in forma contenuta, poiché testimonianze archeologiche e testi giuridici provano l’esistenza di misure standardizzate per la fabbricazione dei materiali edili: le misure differenti possono spiegarsi con le molteplicità d’impiego del materiale.

Dal punto di vista tecnico le caratteristiche morfologiche di ciascuna tegola dipendono dal telaio in cui venivano formate. Nella prima età imperiale essa è formata da un trapezio regolare di un piede e mezzo di base e due piedi d’altezza (ca. cm 44/48 x 60/63); è spessa circa 3 cm e ha due bordi a listello diritto che terminano un po’ prima dell’estremità inferiore, mentre s’ingrossano in prossimità dell’estremità superiore punto in cui la tegola presenta in corrispondenza degli spigoli due ammorsature che consentono l’incastro tra l’una e l’altra nella messa in opera.

La forma della tegola rimane nei secoli essenzialmente inalterata, l’unica variazione si nota nella dimensione dei bordi che anticamente presentano una forma più plastica mentre in età successive assumono forme più rigide e i listelli si fanno più sottili. Tra i laterizi, le tegole sono i materiali più frequentemente bollati.

Il coppo o embrice (imbrex) benché complementare alla tegola viene utilizzato radamente. Esso è ricavato da uno stretto trapezio di terracotta incurvato e destinato a coprire le fessure tra le tegole. Le dimensioni dei coppi (lunghezza media 57-58 cm) possono variare e sono strettamente legate a quelle delle tegole poiché dovevano concordare nella lunghezza, mentre la larghezza doveva essere sufficiente a coprire lo spazio di congiunzione tra le due tegole.

La fabbricazione dei coppi era più laboriosa rispetto agli altri tipi di laterizi poiché era ostico mantenere il raggio di curvatura durante le fasi di essiccazione e cottura. Danno

16 FORCELLINI 1940. 17 LUGLI 1957, p. 557.

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testimonianza dei numerosi inconvenienti che potevano sopraggiungere durante le fasi di fabbricazione la netta maggioranza numerica di coppi costituenti scarti di lavorazione rinvenuti a fianco alle fornaci rispetto alle altre tipologie di laterizi.

Fig. 15 - Tipi di tegole e coppi (LUGLI 1957).

Il materiale laterizio essiccato poteva essere cotto nel focolare all’aperto o in fornaci; di regola e per economia, esso veniva cotto nel focolare all’aperto con la tecnica a catasta: i manufatti venivano impilati sul terreno in più strati tra i quali veniva infilato il combustibile, in modo da formare una catasta di grandezza variabile. Essa veniva ricoperta da cocciame e altri scarti legati con argilla grossolana al fine di creare una camicia protettiva che la isolasse dagli agenti atmosferici e che evitasse la dispersione di calore. A distanze regolari si lasciavano degli sfiatatoi per favorire la fuoriuscita dei gas di reazione. Il combustibile veniva acceso in uno degli angoli della catasta, successivamente il fuoco si propagava per irraggiamento verso i manufatti circostanti. L’irregolarità del tiraggio poteva provocare sbalzi di temperatura che spesso davano come esito finale prodotti di modesto valore: il laterizio presentava macchie o aloni superficiali. Solitamente la percentuale degli scarti era molto elevata.

In situazioni in cui la disponibilità economica del produttore era maggiore e vi era necessità di una sicura riuscita della cottura i laterizi venivano cotti in fornaci solitamente costituite da un prefurnium, un corridoio interrato, nel quale avveniva l’accensione del combustibile e una camera di combustione, anch’essa interrata18; tale ambiente era

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La parte inferiore delle fornaci veniva interrata per dare maggiore stabilità alla struttura, per conferire maggiore resistenza ai ripetuti shock termici e per diminuire la dispersione di calore. Ulteriore vantaggio offerto dall’interramento della fornace era dato dal fatto che la camera di cottura veniva così a trovarsi al livello del terreno, il che facilitava il carico e lo scarico dei manufatti da cuocere (ADAM 1988).

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separato dalla camera di cottura da un piano forato su cui veniva appoggiato il materiale allo stato grezzo.

Per evitare dispersione di calore la fornace era chiusa da una volta forata composta da anfore o tubi fittili ricoperti di argilla o, in strutture meno complesse, da un graticciato provvisorio di legno isolato internamente ed esternamente con uno strato d’argilla.

Fig. 16 - Forno per mattoni.

A. focolare o a camera di riscaldamento. B. Porta per l’introduzione del combustibile che verrà parzialmente ostruita durante la cottura. C. Suola perforata per il passaggio del calore. D. Mattoni da cuocere impilati nel forno. E. Ingresso per l’introduzione dei mattoni totalmente murato durante la cottura. F. Riserva di combustibile. G. Mucchi laterali di mattoni, pietre e argilla con funzione isotermica.

Dopo la cottura, si procedeva talvolta al taglio dei laterizi utilizzando una sega o una martellina, così da ottenere elementi rettangolari e triangolari più piccoli (bessales).

In molti casi si è constatato che laterizi e ceramiche venivano cotti nelle stesse fornaci; in quelle adibite alla cottura esclusiva di laterizi poteva mancare il piano forato: i mattoni venivano impilati di taglio, intervallati da spazi per favorire il passaggio d’aria calda che spinta verso l’alto, assicurava una cottura omogenea.

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Quelli che poggiavano sul combustibile erano molto resistenti e fungevano essi stessi da piano d’appoggio per i successivi che venivano impilati uno sull’altro fino a formare una catasta; il tutto era poi isolato da uno strato d’argilla19.

Le fornaci generalmente erano collocate al di fuori degli abitati per questioni di sicurezza (pericolo di incendi), oppure in prossimità di corsi d’acqua e d’importanti vie di transito, per favorire il trasporto delle materie prime e, alla fine del ciclo manifatturiero, del prodotto ultimato.

2.3. Cronologia e tipologia dei bolli

Un elemento caratterizzante della produzione laterizia è il marchio di fabbrica, spesso utilizzato dagli archeologi per definire cronologia e funzionamento dell’attività edilizia. A seconda del luogo e dello sviluppo del mercato, il bollo assume forme e caratteristiche differenti.

L’uso di apporre i marchi s’attesta nel mondo di cultura greca a partire dal IV secolo a.C.; su di essi apparivano indicazioni di diverso tipo: nome dell’edificio a cui erano destinate le tegole, sia esso un edificio pubblico o un tempio (in questo caso veniva riportato il nome della divinità a cui era consacrato), nome della città, nome di un magistrato, o del fabbricante o del donatore, simboli figurati della città o del dio20.

La pratica di applicare il bollo sui laterizi si diffonde anche in ambito romano a partire dalla tarda età repubblicana (II- I secolo a.C.). Nel tempo varia sia la frequenza di utilizzo, sia le forme degli stessi: quella rettangolare, la più antica, rimarrà la più attestata all’infuori di Roma.

19 CUOMO DI CAPRIO 1971/1972, pp. 401- 404; CUOMO DI CAPRIO 2007, pp. 506 – 529.

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Fig. 17 - Tipologia bolli: 1) I secolo a.C. – CIL, XV, 966, 7 . 2) Età flavia (69-96) – CIL, XV, 1000

a. 3) Età di Nerva (96-98) – CIL, XV, 1356. 4) Iscrizione datata con precisione nel 123 dalla menzione dei consoli Apro(niano) et Pae(tino) co(n)s(ulibus) – CIL, XV, 801. 5) Età di Vespasiano (69-79) decorazione di un sistro (CIL, XV, 1097f). 6) Età di Traiano (98-117) (CIL, XV, 811d). 7) Iscrizione datata nel 150 (Antonino Pio) grazie alla menzione dei consoli Gallicano

et Vetere Cons(ulibus), decorata con bucranio- CIL, XV, 1221a. 8) Bollo con monogramma di

Costantino – CIL, XV, 1563. (ADAM 1989).

Come si può notare da Fig. 17, i bolli più antichi sono rettangolari, successivamente assumono la forma a mezzaluna le cui punte vanno progressivamente a formare un cerchio. La tipologia rettangolare riapparirà nel tardo impero21.

Inizialmente i bolli dell’area urbana assumono le stesse caratteristiche di quelli che altrove venivano utilizzati per marchiare tegole e altro opus doliare, ma anche prodotti ceramici in genere.

L’iscrizione nei primi esemplari è disposta su un’unica riga; di solito viene impressa solo

una sigla a lettere rilevate, grandi, senza apici

alle estremità.

In timbri dal cartiglio rettangolare con un solo

nome al genitivo la formulazione assai

semplice lascia dubbi sul ruolo rivestito dal personaggio all’interno del processo produttivo; solitamente si ritiene che esso si riferisca al possessore della figlina e non al produttore, ancor di più se il nome è legato agli scenari politici romani, o al ceto sociale elevato.

In presenza di più nomi, è possibile che si espliciti oltre quello del proprietario anche quello del conduttore della figlina e quella dei coloni, ovvero i lavoranti all’interno della fabbrica; in alcuni esemplari difatti si affiancano al nome le lettere COL, da sciogliere nella parola colonus.

21 STEINBY 1974 – 1975, p. 19.

Fig. 18 - Bollo ottogonale impresso su una tegola parte del piano di deposizione di una tomba vicino piazza di Porta

Maggiore a Roma (DE COLA –

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I bolli a lettere incavate, tanto comuni su

mattoni campani, africani ecc., sono rari su

quelli urbani e cronologicamente

limitati al I secolo d.C. ; grossi bolli a lettere

incavate (le lettere superano l’altezza di 2 cm)

sono invece riservati esclusivamente al primo

periodo adrianeo.

Con Claudio cominciano a comparire sigilli

in forma lunata e semicircolare con

lettere più eleganti che costituiscono un segno

di riconoscimento delle figline urbane. I

sigilli di forma lunata, sono

caratterizzati da un cerchio (orbiculus22) che col passare del tempo tende a

rimpicciolirsi23. La suddetta tipologia scompare sotto Caracalla ed appare invece una

forma ottagonale (fig. 18), a fianco di quella circolare che resta quella preferita24.

Dalla fine del I – inizi II secolo, l’aumento della produzione in seguito all’adozione dell’opus testaceum e mixtum come tecniche costruttive prevalenti, non comportò solo l’apertura di nuove figlinae, ma anche la riorganizzazione di quelle già esistenti. I cambiamenti si possono leggere anche mediante i bolli che da questo momento forniscono un maggior numero d’informazioni distribuite solitamente su due righe all’interno di un rettangolo: essi recano l’indicazione dei praedia, delle figlinae, il nome degli officinatores e più raramente dell’operaio.

Abbastanza frequenti sono le sigle, o abbreviazioni, impiegate per indicare il nome del gentilizio.

Nel II secolo si trovano sigle anche di tre lettere:

appartengono a questa tipologia, ad esempio, i bolli recanti il

22 Secondo il Cozzo l’orbicolo si forma gradualmente per il riavvicinamento dei due apici del segno falcato. Quando

nasce l’orbicolo, che il Cozzo vuole identificare col Sole, sparisce la falce che egli personifica con la Luna. Il fenomeno avviene per la necessità di ingrandire lo spazio sul quale segnare tutte le informazioni necessarie all’industria edilizia (LUGLI 1957, p. 564).

23 LUGLI 1957, pp. 557 – 573. 24 STEINBY 1974 – 1975, pp. 19 – 20.

Fig. 19 - Bollo di VOLVS (MANACORDA 2002, p. 194).

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nome VOLVS, prodotti nelle fornaci di Albinia e diffusi in diversi siti della costa toscana25.

I bolli con nessi complessi si diffondono in area tosco-romana: si osservi il caso di Euhemer(us), dove il nome dell’officinator e quello del dominus risultano concentrati in 5 - 6 lettere (vd. cap. 4) 26.

Nel 123 d.C. , durante il consolato di Q. Articuleius Paetinus e L.Venuleis Apronianus, i proprietari di figlinae cominciarono a munire i loro prodotti con la data consolare27. Dalle

indagini effettuate dal Bloch nel contesto urbano si è potuto constatare che a partire dal 123 d.C. la cerchia di persone che usava bolli personali era molto più estesa di qualunque altro periodo, ma dopo questo fatidico anno il numero dei materiali marchiati diminuì vertiginosamente28.

Una spiegazione che spesso è stata data è che dietro alla prassi di bollare con la data consolare ci sia un editto imperiale: Herbert Bloch pensò di aver trovato una fonte letteraria, ovvero un passo dell’opera anonima Epitome de Caesaribus29. Il testo parla di una riorganizzazione da parte di Adriano di persone coinvolte nella costruzione di edifici. Molto probabilmente venne emanata una legge speciale sulla produzione laterizia per lo sviluppo delle officine, le quali plausibilmente ottennero delle agevolazioni e furono quindi soggette ad una sorta di controllo.

L’abbondante fabbricazione di laterizi che si verificò in questo periodo portò alla creazione di un surplus che rimase invenduto; per tale motivo si trovano mattoni fabbricati nel 123 ancora in costruzioni erette dopo il 133.

25 VITALI 2006, pp. 237 – 242. Per ulteriori notizie sui ritrovamenti dei bolli VOLVS: BIZZARRI 1959, pp.

99-100;CIAMPOLTRINI- CIANFERONI – ROMUALDI 1982 – 83, pp. 183 – 241; GLIOZZO – MANACORDA - SHEPHERD 2004, pp. 191 – 216.; DUCCI – PASQUINUCCI – GENOVESI 2005, pp. 229 – 233.

26 Questo tipo di bolli viene collocato cronologicamente da più studiosi in un periodo che va tra la tarda repubblica e

l’età augustea (GLIOZZO – MANACORDA - SHEPHERD 2004, p. 199).

27 La datazione secondo la coppia consolare inizia nel 110 d.C.

28 A Roma sono stati recuperati 240 bolli diversi datati. Sull’industria laterizia a Roma: BOETHIUS 1941 pp. 152 - 156;

BLOCH 1947; LUGLI 1957; HELEN 1975; STEINBY 1974/75 pp. 7 – 132; STEINBY 1978, pp. 1489 – 1531; STENBY 1978/1979, pp. 55 – 88; TAGLIETTI – ZACCARIA 1971/1994, pp. 705 – 713; BRUUN 2005.

29

BLOCH 1959. Il testo, scritto da mano ignota, risale al IV secolo d.C. Purtroppo oltre alla menzione fatta nel lavoro di Bloch mancano tutt’oggi ulteriori studi sull’argomento (STEINBY 1978, p. 1504). Sull’Epitome de Caesaribus in generale è tutt’oggi valido il testo di J. SHLUMBERGER, Untersuchungen zur heidnischen Geschichtsschreibung des 4. Jahrhunderts n.. Chr., München 1974 (Vestigia, 18).

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Con la fine della grande fase espansiva della produzione, prima della vera crisi del sistema di bollatura, si assiste, a partire dal 164 d.C. , alla scomparsa della datazione epigrafica dei laterizi urbani, anche se qualche caso isolato torna a verificarsi, sia in Occidente (Britannia), sia in Oriente (Sardis); in Italia permane nelle aree in cui la produzione laterizia aveva radici più profonde (Cispadana e Etruria interna) fino all’età severiana. La quantità dei materiali bollati varia fortemente a seconda dell’epoca: sotto Domiziano si trova un mattone bollato su dieci, sotto Traiano uno su quindici, sotto Adriano uno su cinque, talvolta anche uno ogni due o tre. Varie spiegazioni sono state avanzate per motivare tale prassi. D. Manacorda nel suo contributo al volume The Inscribed Economy ipotizza l’esistenza di un intervento augusteo databile al 17 a.C. che tendeva a regolarizzare la pratica della bollatura30.

La ragione del dato non va individuata solo tra le vicende storiche ma bisogna pensare anche a fattori legati alla produzione. Alcuni studiosi hanno dato una motivazione del tutto ipotetica tesa a chiarire perché la bollatura venisse praticata in modo apparentemente non sistematico e quasi arbitrario: si è pensato che i mattoni, una volta formati e prima della cottura finale venissero accatastati per l’asciugatura; il marchio poteva essere agevolmente messo solo sui manufatti esterni, mentre quelli posti internamente ancora umidi e molli, ne rimanevano privi per salvaguardare l’integrità dell’oggetto31.

I bolli laterizi scompaiono durante la metà del III secolo d.C. , per riapparire durante l’età di Diocleziano (284- 305 d.C.): il riutilizzo attesta la presenza di numerose officinae operanti sotto il controllo imperiale; nonostante qualche differenza formale, i bolli tardoantichi riportano le stesse informazioni contenute in quelli di II secolo d.C. , ovvero il nome del dominus, dell’officinator e del luogo di produzione32.

Si hanno sporadiche attestazioni di manufatti bollati nel corso del IV e del V secolo d.C. , durante il regno di Teodorico e Atalarico. Essi contengono un numero esiguo di informazioni relative alla produzione: s’imprime esclusivamente la proprietà poiché i pochi laterizi bollati di nuova fabbricazione messi in opera in edifici dal forte carattere evergetico hanno come unico scopo ricordare il nome dell’imperatore promotore della costruzione. Successivamente la pratica andrà estinguendosi.

30 MANACORDA 1993, pp. 46 – 51.

31 LUGLI 1957, p. 557; MINGAZZINI 1970, p. 405. 32 STEINBY 1986, pp. 149 -156.

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Fig. 20 - Mattone con inciso il nome di Teodorico, rinvenuto a Roma (HULSEN 1905).

2.3.1. Signa

Tra la fine della repubblica e gli inizi del principato compaiono nei bolli rettangolari e nelle prime forme orbicolate dei piccoli elementi decorativi, come palmette, stelle, edere, sagittae, ecc.33.

Tali componenti di carattere figurativo prendono nome di signa; il loro uso sembra non avere esclusivamente finalità decorative: i motivi convenzionali del I secolo, ovvero la palma, la corona, il caduceo34, il busto di Mercurio, il sistro, il bucranio ne rivelano il

carattere apotropaico – religioso.

Tipica dell’età traianea è la rappresentazione del busto di una divinità con ai lati i due attributi principali, oppure un attributo, con ai lati due palme. Una delle immagini più ricorrenti è quella della pigna.

Spesso la scelta dei motivi è facilmente spiegabile tenendo conto dell’attività che le persone menzionate nei bolli svolgevano: industria e commercio; taluni potevano far riferimento al cognomen del dominus o dell’officinator35.

I signa spariscono, insieme ai segni d’interpunzione decorativi, intorno all’anno 123 d.C. , quando i bolli si arricchiscono di indicazioni letterali.

2.3.2. Sigilli

33 Durante il II secolo la presenza dei signa aumenta di continuo fino a riguardare il 50 % dei bolli di area urbana sotto

Antonino Pio, per poi essere costante durante il periodo severiano (193 – 245 d.C.).

34 Il caduceo appare sulle monete repubblicane dall’82 a.C., nel 67 a.C. E’ molto frequente nel periodo compreso tra il

49 e il 39 a.C. (MATIJĂSIČ 1983, p. 965).

(16)

I sigilli per imprimere i bolli sui mattoni erano di legno, forse in bosso, che è una qualità di legno particolarmente resistente e utilizzato anche, come ricorda Columella, per la timbratura delle forme di formaggio36. Raramente sono stati trovati sigilli in bronzo: un

punzone di bronzo, probabilmente utilizzato per la bollatura di laterizi è stato rinvenuto a Castel Porpetto37; un altro, sempre bronzeo, utilizzato per laterizi o anfore è stato

rinvenuto ad Alba Fucens 38. Un timbro in bronzo è stato restituito dagli scavi in località

Stradello del Lupo, dove fra il I e il II secolo d.C. era attiva una fornace per la produzione di anfore vinarie di forma Dressel 2-4 e di laterizi, afferente in età romana all’Ager Volaterranus. Il sigillo reca il nome di G. Vere[…] 39.

Fig. 21 - Sigillo recante il nome di Vere recuperato durante gli scavi in località Stradello del Lupo (REGOLI – TERRENATO 2000, p. 86).

I caratteri erano quasi sempre incavati nelle matrici e quindi rilevati nei mattoni.

Le matrici dei sigilli, essendo di legno, erano periodicamente soggette a frattura considerando la forte percussione che subivano per imprimere l’argilla; per questo motivo venivano rinnovate spesso e in ogni sostituzione si cambiava qualche abbreviatura o qualche interpunzione.

36 Si è dedotto che gli stampi fossero per la maggior parte di legno perché non di rado sono visibili sul bollo le tracce

lasciate dalle fibre lignee del punzone utilizzato.

37 ZACCARIA – GOMEZEL 2000, p. 291. 38 CAMPANELLI 2002, pp. 47 – 49. 39 CHERUBINI – DEL RIO 1997, p. 138.

(17)

Proprio a causa delle enormi differenziazioni che sopraggiungevano al momento dell’impressione del bollo (legate per esempio alle varie tecniche di intaglio o al diverso stato di logoramento degli stampi), l’esame delle peculiarità grafiche delle lettere impedisce frequentemente di stabilire con certezza la cronologia del marchio.

2.4. Le figlinae doliari urbane ed extraurbane

Le figlinae doliari sono state suddivise dalla Steinby in urbane ed extraurbane in base al luogo di ritrovamento dei bolli figulini: urbani sono stati considerati quelli rinvenuti a Roma; analogamente vengono localizzate e definite le figlinae extraurbane. Tra quest’ultime è bene ricordare alcune sviluppatesi nell’area medio-adriatica, la quale offre il quadro più esauriente per quanto riguarda la produzione di età imperiale: la Pansiana, la Faesonia, la Solonas, la Cinniana e la Cartoriana40. La prima, attiva a partire dal I secolo

a.C., tramite i bolli chiarisce ciò che avvenne nel momento di passaggio dalla produzione privata alla produzione imperiale. Inizialmente la figlina era proprietà di Vibius Pansa (governatore della Gallia Cisalpina nel 45 a.C) e lo si deduce dal ritrovamento della serie di bolli recante il testo PANSAE VIBI; successivamente comparve una serie con il solo nome Pansiana attribuibile cronologicamente all’età di Augusto; a partire da Tiberio si usò timbrare il materiale da costruzione con il nome dell’imperatore seguito da quello della figlina, segno dell’avvenuto passaggio della manifattura nel patrimonio imperiale41. Le

merci in questo periodo arrivarono a toccare ambedue le sponde dell’Adriatico e in alcuni casi s’inserirono nell’entroterra nell’area del Delta Padano (Ferrarese e Polesine) 42. Dopo

un breve intervallo corrispondente ai regni di Nerva e Traiano cominciò la serie dei cosiddetti “bolli imperiali” in cui compare solo il nome dell’imperatore. Questa fase produttiva che durò circa un secolo, coincise con un restringimento della diffusione dei prodotti, indirizzati in massima parte allo sviluppo dell’edilizia pubblica di Ravenna.

Fra i bolli laterizi dell’area urbana e quelli in uso nel resto della penisola vi sono delle differenze sia nelle forme adottate nel corso dei secoli, sia nel contenuto del testo: i primi si contraddistinguono per la formula più estesa che include le espressioni opus doliare, ex

40

ZACCARIA 1993.

41 MANACORDA 2000, p. 142.

42 I bolli della figlina si trovano dalle Bocche di Cattaro in Jugoslavia a San Benedetto del Tronto nelle Marche (MATJĂSIĂČ 1983 pp. 961 – 995; RIGHINI 1990, pp. 286 -287).

(18)

figlinis illis o illius, ex praedis, per le forme semicircolari, lunate o orbicolate, e infine per l’uso dei signa.

I bolli di area extra-urbana generalmente forniscono un numero di informazioni più ridotto: questa maggiore semplicità può essere il frutto di un mercato meno complesso e sviluppato, che tende a limitare le informazioni al nome del proprietario o del gestore della figlina, e talora al nome della figlina stessa.

Solo saltuariamente, fatta eccezione per i bolli della figlina Pansiana, sono presenti elementi decorativi.

(19)

2.5.

Spiegazione della bollatura nel periodo di massima fioritura della

produzione laterizia romana.

Il bollo laterizio riassume in sé una pluralità di informazioni relative alla proprietà delle materie prime e degli impianti, alla loro gestione e localizzazione, al tipo di prodotto, alla cronologia, raramente alla committenza e alla destinazione.

I contenuti e i dati che si possono ricavare dai bolli figulini possono essere di varia natura: - la cava d’argilla espressa con la formula “ex praediis” seguita dal nome del proprietario del fondo.

- la fabbrica, da riferire all’insieme degli edifici esistenti sul luogo perciò il nome si trova al plurale: “ex figlinis”affiancato dal nome del proprietario e in alcuni casi anche da quello del conductor. Quando in uno stesso bollo si esplicita sia la figlina sia l’officina, per la prima s’intende l’azienda in generale e per la seconda il singolo reparto in cui il laterizio è stato fatto.

- l’oggetto fabbricato: opus doliare, cui segue il nome di colui che lo ha fatto, o del luogo in cui è stato prodotto.

- il nome dell’officinator (capo-officina) o del servo, quest’ultimo specialmente nel caso di fabbriche imperiali, presente in periodi limitati.

- la data consolare, segnata in una riga separata, oppure nel centro del tondo minore, nei bolli lunati e circolari.

(20)

2.5.1. Figlinae e officinae

Il valore e il significato dei due termini sono stati analizzati da T. Helen43. Lo studioso ha

osservato che la parola figlinae (o praedia nel II secolo), apparsa sui materiali edili per la prima volta nel I secolo, è spesso accompagnata da un aggettivo, per esempio figlinae Marcianae o Domitianae.

Un tempo si pensava che con tale termine ci si riferisse alla “manifattura”, “brickworks”, “fabrik”, cioè allo stabilimento in cui avveniva la produzione del laterizio. Adesso si concorda nel ritenere che con il termine figlinae si alludesse alla cava d’argilla. La Steinby dà un’accezione più ampia al lemma, la studiosa ritiene che con figlinae ci si riferisca contemporaneamente non solo alla cava d’argilla ma anche ai mezzi di produzione, alle fornaci e alle tettoie necessarie per il funzionamento delle officine; la parola espressa al plurale può far supporre che ci si riferisca ad un distretto d’argilla che può includere all’interno un numero variabile di officinae44.

Una buona parte delle figlinae ha un nome chiaramente derivato dai praedia dove erano situate, e questi a loro volta richiamano quelli dei proprietari, a volte già lontani nel tempo quando la fabbrica compare per la prima volta sui bolli, a volte contemporanei.

Le locuzioni ex praedis huius, ex figlinis huius verrebbero ad equivalersi come indicazioni del proprietario del terreno. Praedia nei bolli laterizi significa terra di proprietà.

Raramente viene menzionato il nome della figlina in cui l’officinator agisce, quindi avendo come unica traccia una serie di nomi senza alcuna specificazione è difficile determinare il numero e gli individui operanti per lo stesso nucleated workshop industry.45

A seguito della riforma nel settore dell’industria edile effettuata dall’imperatore Aureliano (270 – 275), si sostituì il termine figlina con quello di officina: da questo momento in poi quelle che originariamente venivano chiamate figlinae divennero officinae, mentre le seconde vennero “ribattezzate” con il nome di stationes.

43 HELEN 1975. In seguito alla pubblicazione della monografia sullo studio dei laterizi, parecchi accettarono le

conclusioni dello studioso finlandese: MOREL 1976 a), pp. 505 - 506; T.P. WISEMAN, 1979, pp. 221 - 230; AUBERT 1994, pp. 236 – 238, mentre P. WEAVER, in un articolo del 1998 espone una teoria differente: egli sostiene che occasionalmente figlinae significa officina. Fra gli studiosi moderni contro l’interpretazione di Helen si trova R. FRIGGERI 1980, pp. 93 – 96 e L. CAMILLI 1988/1990, pp. 90 – 97.

44 AUBERT 1994, p. 238.

(21)

2.5.2. Dominus e officinator

Con gli studi di Dressel e poi del Bloch, sono stati introdotti i termini dominus e officinator da riferire alle persone menzionate nei bolli laterizi.

Dominus è stato inteso come proprietario, e officinator come capofficina subordinato al dominus o affittuario.

Nei bolli binominali, il dominus è semplicemente definito dall’espressione “proprietario di praedia” o figlinae, mentre la seconda persona è l’officinator.

Il nome di quest’ultimo potrebbe servire per tenere separate le varie produzioni delle officine in stretto contatto l’uno all’altra, ognuna sotto il controllo dell’officinator a sua volta alle dipendenze di un dominus.

I bolli con un solo nome rivelano l’inutilità di separare l’attività delle varie officinae; essi sono di gran lunga i più diffusi su tutta la penisola. In essi si coglie solo l’identità del possessore dei praedia46. La finalità dell’iscrizione può essere quella di attestare la destinazione del manufatto ad un edificio di proprietà del committente, che non deve necessariamente coincidere con il proprietario o gestore della figlina.

Helen critica l’interpretazione che viene data da Dressel, condivisa dal Bloch, riguardo al dominus e all’officinator: <<Dressel colloca nel gruppo dei domini tutte le persone menzionate nel bollo dal quale riceve alcune indicazioni sull’alto rango sociale di appartenenza>>. L’Helen sottolinea che i gruppi e le categorie devono essere stabilite sulla base dei bolli, e non dalle informazioni ricavate da altre fonti47. La conclusione dello

studioso è che nel dominus bisogna vedere il possessore della terra, (questa interpretazione si ottiene considerando anche il significato di ex figlinis huius e anche ex praedis huius); mentre l’officinator è colui che è strettamente legato alla produzione. Egli aggiunge inoltre che i domini, nella stragrande maggioranza dei casi senatori, giocavano un ruolo marginale nella manifattura; il loro coinvolgimento era ristretto al dare in affitto le terre in cui si trovavano le cave d’argilla, mentre gli officinatores, persone di rango più basso (uomini e donne liberi, spesso liberti e qualche volta anche schiavi), conducevano le imprese laterizie (le officinae), producevano i mattoni, trasportavano la merce e provvedevano allo smistamento.

A differenza di T. Helen, che vede nell’officinator un imprenditore che agisce in completa indipendenza dal dominus, la Steinby vede nel primo un appaltatore che produce per conto del secondo.

46 STEINBY 1982, pp. 227 - 237. 47 HELEN 1975.

(22)

Fra gli officinatores del II secolo si trovano anche schiavi ed ex liberti di officinatores, ma il loro numero tende a diminuire con il tempo48.

La Setala, ha individuato quattro categorie: 1) dominus

2) officinator

3) persone menzionate solo in bolli, non conosciuti come possessori di praedia o figlinae. 4)”potential domini”, ovvero uomini che possono essere equiparati a quelli della terza categoria, ma dalla quale differiscono per la nomenclatura caratteristica dei ranghi elevati della società di Roma e quindi da considerare plausibili possessori di praedia49.

Sempre la Setala, basandosi sugli studi effettuati dalla Steinby, indaga il ruolo delle donne nella produzione di laterizi e considera la loro posizione sia nelle vesti di dominae, sia in quelle di officinatores50.

Facendo un’analisi approfondita dei ritrovamenti fatti nell’Urbe, Setala ha potuto osservare che un numero significativo di dominae produceva laterizi durante il regno di Antonino Pio: esse erano per la maggior parte ereditiere, ma non mancano casi in cui si è constatato che un gran numero furono prime produttrici nella famiglia di appartenenza. L’incremento delle donne inserite in questo campo produttivo potrebbe essere legato al periodo di stagnazione economica che portò a ricercare nelle ricchezze ereditate una forma utile per avviare la ripresa finanziaria; la necessità di sfruttare il patrimonio precostituito o ereditato potrebbe essere la motivazione alla base del coinvolgimento del sesso femminile nella produzione di laterizi a partire dal 150 d.C.51.

2.5.3. Utilizzo e funzione dei bolli

Una spiegazione univoca ed esaustiva della funzione dei bolli non può essere data. I marchi potevano essere applicati per diversi motivi.

Si possono trarre conclusioni considerando l’oggetto e la posizione in cui veniva pressato il timbro: ad esempio le anfore venivano marchiate sul corpo e sul tappo, da ciò si deduce che il primo timbro aveva un valore legato al processo manifatturiero, mentre il secondo al

48

STEINBY 1993, pp. 139 - 143.

49 SETALA 1977.

50 Per approfondimenti sulla figura della “donna –artigiana” vd. MOREL 1989, pp. 245 – 247. 51 SETALA 2002, pp. 192-193.

(23)

ciclo di distribuzione; le giare d’argilla, i dolia, erano marchiati prima della cottura (anche se vi sono fonti che testimoniano che l’operazione avveniva in fase di commercio).

Tegole, mattoni, lucerne e prodotti in terra sigillata venivano contrassegnati esclusivamente durante la produzione, sebbene non manchino le eccezioni.

Vi sono cinque importanti ragioni per contrassegnare un manufatto: 1. Per indicare il possessore dell’oggetto

2. Per garantire la conformità agli standard di qualità o misura

3. Per facilitare il controllo pubblico del produttore o della produzione 4. Per promuovere il prodotto

5. Per fornire delle informazioni necessarie nelle fasi di produzione o di vendita

Il Manacorda riconoscendo che i bolli possono essere impressi per varie finalità, introduce una distinzione; egli parla di bolli di appartenenza e bolli di produzione:

- I bolli di appartenenza o destinazione accompagnano il prodotto in opera (e si tratta prevalentemente di tegole), prescindendo talvolta da un suo passaggio sul mercato.

- I bolli di produzione accompagnano il prodotto nella sua fase di commercializzazione, sino alla prima messa in opera del prodotto.

Il sistema della bollatura appare prevalentemente finalizzato al passaggio del prodotto sul mercato: consentendo di risalire al produttore, la bollatura avrebbe permesso di tenere sotto controllo la provenienza dei diversi lotti e poteva offrire quelle garanzie qualitative e metrologiche necessarie a gestire il rapporto tra produttore e cliente52.

Nel caso dei contenitori per il trasporto (dolia), il rispetto degli standard sia di qualità sia di misura erano condizioni necessarie per il carico, trasporto e scarico delle merci, e garantivano la corrispondenza tra il volume reale del bene e quello dichiarato.

Nel caso dei materiali da costruzione, il rispetto di certi canoni metrologici era fondamentale per la pratica della vendita a pezzo, per la necessità di conformarsi alle leggi del modus aedificiorum, o ancora, per avere la possibilità di utilizzare la tegola come unità di misura.

(24)

Fonti giuridiche tradiscono la necessità del rispetto di certi canoni qualitativi. L’integrità è richiesta in genere per tutti i vasa, ma con particolare riferimento ai dolia:

Dig53. 19.1.6.4

Pomponius 9 ad sab.

Si vas aliquod mihi vendideris et dixeris certam mensuram capere vel certum pondus habere, ex empto tecum agam, si minus praestes. sed si vas mihi vendidieris ita, ut adfirmares integrum, si id integrum non sit, etiam id, quod eo nomine perdiderim, praestabis mihi: si vero non id actum sit, ut integrum praestes, dolum malum dumtaxat praestare te debere. labeo contra putat et illud solum observandum, ut, nisi in contrarium id actum sit, omnimodo integrum praestari debeat: et est verum. quod et in locatis doliis praestandum sabinum respondisse minicius refert.

Dig. 19.2.19.1 Ulpianus 32 ad ed.

Si quis dolia vitiosa ignarus locaverit, deinde vinum effluxerit, tenebitur in id quod interest nec ignorantia eius erit excusata: et ita cassius scripsit. aliter atque si saltum pascuum locasti, in quo herba mala nascebatur: hic enim si pecora vel demortua sunt vel etiam deteriora facta, quod interest praestabitur, si scisti, si ignorasti, pensionem non petes, et ita servio labeoni sabino placuit.

La solidità, la firmitas è richiesta esplicitamente per i laterizi come afferma Vitruvio, e l’integrità è un requisito fondamentale per le tegole.

Vitruvio, De Archetectura, Liber II, 8, 19.

De ipsa autem testa, si sit optima seu vitiosa ad structuram, statim nemo potest iudicare, quod in tempestatibus et aestate in tecto cum est conlocata, tunc, si est firma, probatur; namque quae non fuerit ex creta bona aut parum erit cocta, ibi se ostendet esse vitiosam gelicidiis et pruina tacta. Ergo quae non in tectis poterit pati laborem, ea non potest in structura oneri ferendo esse firma. Quare maxime ex veteribus tegulis tecti structi parietes firmitatem poterunt habere.

La Steinby ha dato un apporto importante allo studio delle testimonianze epigrafiche trattate; è colei che ha interpretato i bolli come forme sintetiche di un contratto locatio – conductio. In essi, secondo la studiosa si trovano tutti gli elementi di un contratto: c’è il prodotto, ovvero l’oggetto del “patto da stipulare” indicato con il termine opus doliare o opus figlinum oppure, con una definizione più specifica, tegula; seguono i nomi del locatore e del conduttore (dominus e officinator), ovvero le due parti contraenti.

A seguito dell’accordo tra il dominus e l’officinator s’instaura un rapporto di locatio conductio operis faciendi: l’officinator mette a disposizione solo la sua competenza e la manodopera, mentre la materia prima e il prodotto finito sono di proprietà del locatario il quale dirige i lavori. Il possessore del materiale grezzo e del prodotto finito copre il ruolo di

(25)

locator, mentre colui a cui vengono messe a disposizione le risorse produttive copre il ruolo di conductor.

Il dominus, indipendentemente dallo status dell’officinator, sia egli un libero imprenditore, liberto, schiavo o salariato, rimane proprietario del prodotto54; ma il suo

ruolo non si limita a questo, difatti egli è implicato nelle dinamiche di vendita, oltre ad essere il primo “usufruitore” della merce55.

Contro la visione del bollo come un contratto di locatio conductio operis faciendi si pone la teoria di Aubert: egli nega che nel bollo si possa vedere un accordo stipulato tra il dominus e l’officinator poiché manca una componente essenziale che rende plausibile tale affermazione, ovvero la specificazione del prezzo da pagare56.

2.5.4. Dal bollo all’organizzazione produttiva dei laterizi

E’ stata già messa in luce l’esigenza dei domini di distinguere la produzione dei vari officinatores che dovevano lavorare uno accanto all’altro e forse usare le stesse fornaci. Tale spiegazione è ipotizzabile quando il bollo evidentemente non si rivolge all’utente: ciò lo si deduce dalla difficoltà di lettura per la cattiva impressione, per i nomi abbreviati alle sole iniziali o espressi tramite forme molto stringate, o sostituiti da immagini (vd. il caso di Euhemerus, cap. 4).

Le “firme impresse” erano indispensabili per definire la quantità della produzione di ogni officina, un conteggio che veniva fatto dopo la cottura e che serviva per il calcolo del compenso, oppure per verificare che fosse stato effettuato il lavoro pattuito. Per tale scopo poteva bastare il bollo con il solo nome dell’officinator oppure un marchio figurato.

Il bollo, utilizzato come segno di riconoscimento, serviva per distinguere i prodotti di diversi domini che usavano le stesse tegularia.

Il sistema di bollatura di II secolo d.C. nasce per esigenze organizzative centrali: l’aumento d’informazioni, l’uso di serie molto articolate sono da collegare ad un sistema produttivo espanso, in cui i centri manifatturieri non più totalmente autonomi, sono sottoposti ad una

54 STEINBY 1982, p. 233. 55

In questo caso non sarebbe il conductor a pagare per la fruizione della figlina, ma al contrario il proprietario di essa avrebbe dovuto pagare il produttore nel vero senso della parola per la quantità pattuita di tegole, mattoni, doli ecc., che rimarrebbero di proprietà del dominus. (STEINBY 1983, p. 220).

(26)

forma di supervisione centrale57. E’ in questa fase che s’inseriscono nell’industria

dell’edilizia personaggi importanti come i senatori, e in epoca più tarda, gli imperatori; saranno quest’ultimi ad utilizzare formule di bollatura molto articolate e che protrarranno l’utilizzo della data consolare. Quest’ultima s’inserirebbe in un sistema di controlli connesso con la creazione di riserve di materiale finiti e con fenomeni di sovrapproduzione58.

Boethius e Mingazzini59 collegano l’indicazione della data con la certificazione di qualità, e

in particolare con la stagionatura del prodotto.

Vitruvio dà una risposta al perché della datazione nel De Archithectura (II, 8, 19): De ipsa autem testa, si sit optima seu vitiosa ad structuram, statim nemo potest iudicare, quod in tempestatibus et aestate in tecto cum est conlocata, tunc, si est firma, probatur; namque quae non fuerit ex creta bona aut parum erit cocta, ibi se ostendet esse vitiosam gelicidiis et pruina tacta. Ergo quae non in tectis poterit pati laborem, ea non potest in structura oneri ferendo esse firma. Quare maxime ex veteribus tegulis tecti structi parietes firmitatem poterunt habere.

L’autore latino raccomanda l’utilizzo dei mattoni vecchi per le costruzioni. Gli anni consolari esplicitati sui laterizi testimoniavano all’acquirente che i mattoni erano fatti in un certo anno, e ciò costituiva la garanzia del tempo di stagionatura.

57 BRUUN 2005. 58 BLOCH 1947.

(27)

Concludendo:

In ultima analisi si può affermare che dietro ai bolli si celano una serie di informazioni le quali riflettono esigenze diverse, a seconda della maturità del contesto economico (produttivo e commerciale) e giuridico cui fanno riferimento:

• Esigenza primaria dell’attestazione di proprietà

• Certificazione di qualità e di adeguamento metrologico • Finalità pubblicitaria

• Legame con i processi produttivi e alla distribuzione

Il bollo non si colloca in ambienti artigianali ristretti, in piccole imprese legate ad un mercato poco sviluppato: la vicenda aretina del passaggio del bollo in planta pedis intorno al 15 d.C. testimonia l’esigenza organizzativa che nasce durante il massimo sviluppo dell’industria ceramica dell’Italia centrale.

In assenza di un’organizzazione produttiva complessa o in una situazione di autoconsumo il bollo non ha ragione d’esserci.

L’uso del bollo s’intensifica quando massimo è lo sforzo produttivo e levitano gli investimenti dei ceti dominanti urbani e municipali in questo settore dell’economia: ciò si verifica nel II secolo.

Nel III secolo d.C. i bolli mancano: si è proposta come spiegazione l’affermazione del monopolio imperiale60, che renderebbe inutile l’esplicitazione

di tutti i dati presenti nei bolli di II secolo e primo fra tutti la proprietà dell’oggetto. La ricomparsa sotto Diocleziano si potrebbe spiegare come forma di controllo e riconoscimento della produzione nell’ambito dell’amministrazione pubblica.

(28)

Figura

Fig.  13  -  Villa  dei  Sette  Bassi  sulla  via  Latina  (140-150 d.C.) (ADAM 1989, p
Fig. 14 - Divisione dei mattoni quadrati di misure correnti. (ADAM 1988, p. 159).
Fig. 15 - Tipi di tegole e coppi (LUGLI 1957).
Fig. 16 - Forno per mattoni.
+5

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