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1. Il genere del bestiario dal Medioevo al Novecento INTRODUZIONE

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INTRODUZIONE

“La nostra vita è un bestiario, è un serraglio addirittura”1

1. Il genere del bestiario dal Medioevo al Novecento

Il fatto che il bestiario sia un genere tipicamente medievale comporta la ovvia conse-guenza che la sua diffusione sia stata prevalentemente manoscritta. Prevalentemente ma non esclusivamente, se è vero che la circolazione dei bestiari, in latino o nei di-versi volgari, continuò anche durante tutto il corso del XV secolo, cioè anche dopo l‟introduzione della stampa. Così accanto ai manoscritti è possibile elencare un nu-mero non irrilevante di edizioni. Fra gli incunaboli spicca il Physiologus di Teobal-do2, la cui importanza e la cui diffusione capillare sono state messe in risalto dai la-vori di Dora Faraci3.

Si trattava in genere di libri che potremmo considerare di consumo, e prodotti per la maggior parte dei casi nel nord dell‟Europa, fra Parigi, la Germania (Colonia, Lipsia) e le Fiandre (Delft, Deventer); mentre in Italia mancano gli incunabuli e le edizioni primo-cinquecentesche si dislocano in tipografie periferiche ed in piccoli centri, co-me Mondovì e Savona, e son dovute a stampatori che producevano libri di carattere popolare. Ciò è forse da mettere in relazione al fatto che in Italia la nuova pratica

1 Cfr. Reliquie (FD), in Prose e racconti, a c. e con introduzione di Marco Forti. Note ai testi e varianti

a c. di Luisa Previtera, Milano, Mondadori, 1995, pp. 144-147.

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Tra le varie traduzioni e rivisitazioni del Fisiologo avvenute durante il Medioevo, spicca quella in metrica latina, scritta XI secolo da un certo Teobaldo, che si trova in An Old English Miscellany, 1872.

3 Cfr. Dora Faraci, Considerazioni su parola e immagine nella tradizione dei bestiari medievali, in

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pografica era connessa più strettamente e precocemente che altrove alla letteratura alta, ad una cultura che guardava come modelli agli antichi e che si poneva, in primo luogo con la figura di Aldo Manuzio, il problema della fondazione di una classicità volgare, a cui Pietro Bembo, di Manuzio intimo collaboratore, avrebbe dato la norma linguistica.

Del resto nel corso del Cinquecento le edizioni di bestiari rapidamente scompaiono da tutta l‟Europa. Un lungo periodo di eclissi, che si interrompe verso il finire del se-colo con un‟edizione del Fisiologo4

attribuito ad Epifanio; una ripresa ormai lontana

dallo spirito che informa i manoscritti medioevali e da riallacciare piuttosto alla voga ormai dilagante della letteratura emblematica5. La diffusione di Orapollo6 è uno dei fenomeni che nel corso del Quattrocento avevano segnato il processo di logoramento del valore simbolico degli animali, così come veniva tradizionalmente proposto dai bestiari. Altro elemento che può essere significativo in tal senso e del quale andrebbe verificata la consistenza è l‟accostamento, all‟interno dei manoscritti, di favole eso-piche ai capitoli dei bestiari propriamente detti, dei quali in certi casi si presentano come un completamento.

Nei bestiari ogni animale viene inteso come un segno, la sua natura fisica è il corri-spettivo di un significato morale fisso come fissa è quella natura, con le sue caratteri-stiche, le quali sono ciò che definisce lo specifico animale. Ma quando il bestiario comincia a includere nel proprio seno elementi tratti dalla tradizione esopica, si

4 Il Fisiologo (Physiologus) è una piccola opera redatta ad Alessandria d'Egitto, probabilmente in

am-biente gnostico, tra il II e il IV secolo d.C. da autore ignoto. Esso contiene la descrizione simbolica di animali e piante (sia reali che immaginari) e di alcune pietre, i quali, presentati in chia-ve allegorica attrachia-verso alcune citazioni delle Sacre Scritture, rimandano a significati metafisici ine-renti alle realtà celesti o al comportamento umano. Quest'opera ha avuto molta fortuna nel Medioevo tanto da ispirare numerose imitazioni.

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È significativo che Mario Praz ricordi le due edizioni cinquecentesche del Physiologus di Epifanio nel suo studio sulla letteratura emblematica, Studies in 17th century imagery, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1964.

6 La prima edizione del testo greco degli Hieroglyphica di Orapollo, approntata nel 1505 da Aldo

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tamina con un genere in cui gli animali, che anche lì dominano la scena, non hanno delle caratteristiche fisse, che coincidano con la loro natura e siano loro proprie, re-stando stabili qualunque cosa accada. Insomma, il significato simbolico dell‟animale non è un dato acquisito, ma ha un valore relazionale, per il rapporto con le situazioni in cui esso è inserito e con gli altri personaggi della storia. Ed il valore simbolico te-nuto presente non è quello proprio del singolo animale, ma quello della storia nel suo complesso, quale risulta dai reciproci rapporti che si instaurano all‟interno di una si-tuazione narrativa: il che vuol dire che ogni animale non ha inscritti in sé per propria stessa natura uno o più significati precisi, ma si definisce in rapporto ad un particola-re contesto, che lo può vedeparticola-re ora in una ora in un‟altra posizione. Quindi mentparticola-re il bestiario parte dagli animali e li interpreta come segni di una realtà più profonda, Orapollo al contrario muove dall‟esigenza di simbolizzare, di creare un linguaggio simbolico; il senso di tale linguaggio però non dipende dalle proprietà degli oggetti simboleggianti, ma dall‟intelletto di chi costruisce quei simboli. Insomma, non si parte dall‟intrinseca simbolicità della natura, ma dalla volontà dell‟uomo di costruire dei simboli, di esprimersi per simboli.

Pierio Valeriano7, il cinquecentista traduttore in italiano e commentatore del testo di Orapollo, organizza i dati desunti da quest‟autore e diventa un punto fermo in mate-ria, ripreso ampiamente per secoli. Con questa nuova consapevolezza si comprende che l‟attività umana di costruire dei simboli ha l‟effetto di far venire alla luce una realtà che altrimenti resterebbe celata: ciò che si scopre, diversamente che nel

Phy-siologus, non è una verità trascendente, di ordine superiore, ma un differente e più

7 Giovanni Pietro Bolzani Dalle Fosse, meglio noto con gli pseudonimi di Pierio Valeriano, Bolzanio

Pierio o semplicemente Valeriano, è stato un umanista, teologo e scrittore italiano. L‟opera principale di Bolzanio sono gli Hieroglyphica, composti da ben sessanta libri ognuno dei quali si occupa della descrizione di un animale, di una pianta o di una parte del corpo.

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profondo strato della realtà naturale. Non che venga a mancare la fede nel sopranna-turale, ma solo che le sfere si separano.

La misura della portata di questo cambiamento di prospettiva si ha, spostandosi avan-ti di alcuni decenni, se si prende in considerazione il nuovo filone della letteratura emblematica, destinato a un vastissimo sviluppo. Con la letteratura emblematica, ac-canto all‟idea di una corrispondenza naturale fra oggetto rappresentato e concetto, si accampa quella dell‟arbitrarietà del simbolo, il quale si pone, più che come rivela-zione di una verità, come espressione di una dimensione soggettiva. Così se la lette-ratura emblematica rinvia al concetto, il bestiario rinvia all‟exemplum. Sarà opportu-no menzionare a questo punto Alciato8, i cui Emblemata, pubblicati per la prima vol-ta nel 1531, conobbero una quantità innumerevole di edizioni nelle varie lingue e diedero l‟avvio ad un genere che avrebbe celebrato i suoi fasti fra la seconda metà del XVI e il XVIII secolo. Alciato nell‟elaborare i suoi emblemi non si rifà a qualità intrinseche degli oggetti che ritrae, ma piuttosto si riallaccia a storie, a situazioni di tipo narrativo di cui rintraccia il significato, il valore, giustappunto emblematico9.

Proprio la dimensione soggettiva, il fatto di riallacciarsi a storie e a situazioni di tipo narrativo, tipico della letteratura emblematica, può rappresentare uno snodo fonda-mentale per giungere a tracciare un quadro dell‟evoluzione del genere arrivando alla sua riqualificazione nel Novecento.

Il termine “bestiario”, nell‟uso che ne fanno gli autori moderni, ha certamente una re-lazione semantica con quello che fino ad ora abbiamo chiamato bestiario medioevale, una relazione di tipo metaforico, di analogia con i testi tradizionali.

8 Giovanni Andrea Alciato o Alciati (Milano, 8 maggio 1492 – Pavia, 12 Gennaio 1550) è stato un

giurista e insegnante italiano.

9 Cfr. Raffaele Morabito, Dal bestiario alla letteratura emblematica in Dora Faraci (a cura di)

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Tuttavia, il bestiario letterario novecentesco non è certo una “rielaborazione” del stiario medioevale. Come afferma Cristiano Spila: “la rifunzionalizzazione del be-stiario nel Novecento si muove verso la riscrittura di un genere, cercando di conser-varne le caratteristiche di inventario e di narrazione di animali, ma imponendo tutt‟altra finalità […] Il secolo XX ha concepito l‟animale come l‟altro-da-sé e l‟ha collocato in uno spazio prima di tutto psichico. […] Affievolitesi ormai, l‟autonomia e la capacità significativa dell‟allegoria medievale e barocca, emerge la dimensione interiore della visione animale. Il testo ha ormai perduto la traiettoria, anzi il legame conoscitivo di Bestia-Funzione allegorica, per acquistare una figuralità meramente poetica, tutta letteraria, riferita al momento di approfondimento lirico dell‟io, alla meditazione sul destino di morte dell‟uomo e della natura”10.

Infatti, il termine di “bestiario”, come siamo abituati ad interpretarlo, evoca l‟idea di una tassonomia naturalistica, una classificazione e un inventario di esemplari fauni-stici, ma nel Novecento esso diventa più un gioco poetico o il modello per una paro-dia di strutture.

Possiamo considerare come prodromo di questo atteggiamento mentale Il Bestiario

ovvero il Corteggio d‟Orfeo (1911) di Apollinaire, in cui le figure di animali sono

vere e proprie allegorie della poesia e del lavoro poetico11.

Da questa prospettiva altri significativi bestiari del Novecento possono essere consi-derati.

La metamorfosi (1911) di Franz Kafka, dove l‟empatia con l‟animale si presenta

co-me empatia con la materia psichica, l‟insetto-Samsa conserva un carattere

10 Cfr. Cristiano Spila, Forme e problemi del simbolismo animale: il genere del bestiario nel

Novecen-to in Dora Faraci (a cura di) Simbolismo animale e letteratura, Roma, Vecchiarelli ediNovecen-tore, 2003, pp.

253-264: 254.

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mente allegorico. Anche se l‟empatia con l‟animale non sempre è garanzia di costitu-zione di un Bestiario; del resto l‟opera di quest‟autore non è classificabile come tale, anche se l‟animale come forma mostruosa, fantastica, immagine dell‟inquietudine in-teriore è prerogativa dell‟opera di Kafka, il quale mette a fuoco elementi onirico-psichici e tonalità fantastiche con risultati sconcertanti.

Anche nell‟opera di Alberto Savinio abbiamo la rottura dell‟incantesimo dell‟immagine allegorica dell‟animale, che viene psicologizzato come sogno o visio-ne o incubo, diventando un vero e proprio feticcio psicologico. Nel surrealismo lo sguardo dell‟animale si dirige sempre verso il buio, intento a cose misteriose. Un tale sguardo è il nucleo originario del bestiario occhiuto e ornitologico di Savinio12.

Il Bestiario (1957) di Arturo Loria è invece una raccolta poetica animalistica,

oscil-lante tra realismo e metafora, composita, eterogenea e abbastanza articolata. Con Lo-ria l‟effetto misterioso che l‟animale esercita sull‟uomo fa sì che la natura diventi più potente della poesia; e l‟animale diviene così non soltanto l‟emblema stesso della poesia, ma anche il simbolo della perenne ricostituzione del tutto.

Il Primo Libro delle Favole (1952) di Carlo Emilio Gadda, apparentemente sganciato dall‟intento e dall‟ideologia del bestiario, propone in realtà la prospettiva animalisti-ca in relazione alla problematianimalisti-ca della scrittura. Gli animali gaddiani sono tutte vec-chie conoscenze della favolistica che si sono trasformate nel tempo in altrettante ipo-stasi allegoriche. Le favole di Gadda sono legate alla scrittura, ma venate sempre di polemica amarezza perché metaforico specchio di una dolorosa condizione umana; anche in Gadda gli animali prendono il posto degli uomini in quanto specchio con-forme dei vizi e delle storture umane. Il filone favolistico è uno dei grandi veicoli di

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diffusione del simbolismo degli animali, ma l‟ottica di questo è naturalmente assai diversa da quella del bestiario. Nella favola gli animali rappresentano la metafora dello specchiamento nell‟uomo.

Inoltre esemplare, ed insieme esemplificativa, si può considerare la rappresentazione del bestiario in autori come Saba, Tozzi, Landolfi, Caproni, Manganelli, Sciascia, Tabucchi, ma anche Gianna Manzini, Anna Maria Ortese, Djuna Barnes, Angela Carter e Jenette Winterson13.

Parallelamente a questo tipo di approccio, circolano nel Novecento esperienze poeti-che poeti-che in qualpoeti-che modo riflettono un elemento caratteristico del Bestiario come modello letterario tradizionale: l‟interpretazione delle proprietà dell‟animale in base a moduli figurali-allegorici e morali pratici, fondata sull‟osservazione della natura.

Eccone alcuni esempi:

- Manual de zoologia fantàstica (1957) di Jorge Luis Borges; - Bestiario (1965) di Julio Cortázar;

- The complete Poems (1972) di Marianne Moore; - Il gatto in noi (1986) di William S. Burroughs14.

Tuttavia Enza Biagini a proposito dei Bestiari del Novecento afferma che “l‟universo letterario contemporaneo […] ha per lo più privato gli animali letterari del valore di

exemplum morale e della veste sacra e fantastico-simbolica, propri della tradizione

allegorica […] assumendoli a tema descrittivo nella poesia e in prosa […] gli „anima-li letterari non allegorici‟ hanno piuttosto finito per condividere lo statuto ambivalen-te, fantasmico, onirico e reale, dei „correlativi oggettivi‟ o degli oggetti poetici

13 Cfr. Enza Biagini, La critica tematica, il tematismo e il “Bestiario” in Enza Biagini, Anna Nozzoli

(a cura di) Bestiari del Novecento, Roma, Bulzoni, 2001, pp. 9-20: 16.

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centeschi. Non di rado, cioè si comportano come „soggetti‟ […] persino nella forma più canonica del bestiario, quella della favola, gli animali si raccontano, riflettono come „soggetti‟”15

.

Si può dire che l‟antica rappresentazione allegorico-morale dei vizi e delle virtù at-traverso i bestiari rinviava, come si sa, ad una visione della saggezza, della moralità, come prerogativa dell‟ascesi umana, invece le forme ibride, per lo più soggettivizzate delle bestie novecentesche, mescolano i confini naturali e simbolici e, su un altro piano, sacro e profano16.

A prima vista, quindi, grandi distanze e differenze contraddistinguono il modo in cui l‟antico compilatore di bestiari e il moderno poeta si rapportano all‟universo simboli-co degli animali: all‟interno dei due diversi approcci va però evidenziata un‟analogia fondamentale, che consiste nella presenza (più o meno palese) di una struttura pro-fonda alla quale è possibile ricondurre coerentemente le varie occorrenze faunistiche.

Ovviamente, la volontà che presiede a tale organizzazione risponde a un diverso principio compositivo: cosciente e sistematico nel passato, inconsapevole e comun-que attuato al di fuori di classificazioni esplicite in epoche più recenti17.

La peculiarità delle moderne letterature si attesta, infatti, secondo Antonino Musu-meci, proprio “nell‟insistito incontro esplorativo con la realtà, in un bisogno di ricer-ca di un sostrato di relazioni signifiricer-canti che possono offrire un nesso di ordine, di causalità, di certezza, quasi conato ad esorcizzare quel cerchio, analitico e sociale,

15 Cfr. Enza Biagini, op. cit., p. 15. 16 Cfr. Ivi, p. 18.

17 Cfr. Rossella Bo, Tra cielo e terra: viaggio attraverso i simboli animali della donna nella “Bufera”

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che stringe sempre più la fragile nostra esistenza. Ne deriva un‟attenzione minuta, scrupolosa, a volte quasi microscopica, all‟oggetto extra-umano”18.

Si inserisce qui quella componente della poesia moderna che Anceschi ha definito come “la poetica degli oggetti”19

.

La partecipazione di Montale a questa poetica è ben nota20.

Ma oltre all‟interesse per l‟oggetto in sé, esiste e persiste nella poesia di Montale un‟ossessiva presenza animalesca. È una presenza così continua da divenirne una co-stante, così varia da costituirne un vero bestiario. Caratteristica esclusiva non solo della poesia, ma anche della prosa, soprattutto in Farfalla di Dinard, dove gli animali scorrazzano liberamente ed assiduamente.

Quindi, il ricchissimo “bestiario” che percorre fittamente le pagine poetiche e non dell‟opera di Montale non può certamente lasciare indifferente il lettore che, attratto dalla continuità e dalla poliedricità di queste manifestazioni, finisce per sospettare che dietro di esse si celi una struttura organizzativa ben delineata, una precisa volon-tà, comunicativa da parte dell‟autore.

2. Gli animali nell’opera montaliana: presenze e significati

Obiettivo principale di questo studio è quello di delineare un quadro generale dell‟enorme ed assidua presenza faunistica all‟interno dell‟opera montaliana, tenendo conto del fatto che alcuni dei messaggi fondamentali dell‟opera di questo autore ci

18 Cfr. Antonino Musumeci, Il bestiario montaliano, “Italica”, 55, (1978), pp. 393-401: 393.

19 Cfr. Luciano Anceschi, Le poetiche del Novecento in Italia, Milano, Marzorati, 1962, pp. 115-125. 20

Cfr. Luigi Blasucci, Montale, Govoni e l‟“oggetto povero”, “La Rassegna della letteratura italiana”, XCIV (1990), pp. 43-63, poi in Gli oggetti di Montale, Bologna, Il Mulino 2002, pp. 15-47: 30 “Il rapporto tra Govoni e il Montale maturo, è anzitutto individuabile nella ripresa da parte di Montale, […] di immagini che in Govoni possono dirsi topiche: dove l‟ascendenza è suggerita dal carattere re-cursivo di quelle immagini nel modello, ma talvolta da precise coincidenze linguistiche”.

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giungono spesso attraverso la mediazione di animali; e considerando il ruolo che la bestia ha rivestito in campo letterario fin dall‟antichità, indossando a tutti gli effetti i panni del personaggio o configurandosi quale emblema particolarmente efficace del-la natura umana, di cui spesso incarna vizi e virtù.

Alla luce di quanto detto, lo studio è stato così articolato: attraverso lo spoglio delle concordanze di Savoca21 è stata creata un‟appendice con l‟elenco dei nomi di animali presenti nell‟opera poetica montaliana, indicando di volta in volta: la raccolta poeti-ca, il titolo della poesia e il numero del verso di riferimento. Inoltre al termine dell‟elenco è stata aggiunta una piccola lista per classificare le voci generiche (ani-male, belva, bestia, insetto, pesce, rettile, roditore, uccello), gli animali immaginari (drago, fenice, strige, unicorno) e le costellazioni (ariete, cancro, capricorno, orsa).

Successivamente sono state redatte cinque schede relative ad altrettanti animali: l‟anguilla, il cane, il falco, il gallo cedrone e il porcospino; dove per ogni animale si è tenuto conto (fin dove è stato possibile) delle presenze all‟interno dell‟opera monta-liana, dei vari referenti biografici, dei significati simbolici e dei precedenti letterari ai quali il poeta ha potuto far riferimento.

I risultati dello spoglio hanno così delineato e confermato un vero e proprio bestiario.

Le presenze animali in totale sono circa centocinquanta: i più numerosi sono gli uc-celli22, di cui si contano quasi cinquanta presenze; a seguire i mammiferi, che sono

21 Cfr. Giuseppe Savoca, Concordanza di tutte le poesie di Eugenio Montale, Firenze, Olschki, 1987. 22 Lucia Impelluso, La natura e i suoi simboli, Piante, fiori, animali, Milano, Electa, 2003, p. 288, a

proposito degli aspetti simbolici degli uccelli: “In genere quasi tutte le culture hanno assegnato, all‟immagine degli uccelli, intesa soprattutto come emblema dell‟anima umana, significati positivi. Nonostante siano associati a visioni favorevoli, talvolta nell‟immaginario mitologico gli uccelli sono portatori di sventura. In genere comunque anche nell‟antichità gli uccelli raffiguravano, come le far-falle, l‟anima umana che abbandona il corpo al momento della morte. Anche la cultura religiosa, ere-ditando l‟antica simbologia, vede nell‟uccello l‟immagine dell‟anima. Secondo alcuni esegeti invece l‟immagine del volatile è direttamente simbolo di Gesù. Gli uccelli possono apparire nelle

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raffigura-all‟incirca una quarantina; gli insetti invece contano meno presenze, non più di tren-ta; i pesci sono poco più di una ventina (più due celenterati: polipo e medusa, un mollusco: seppia, e tre crostacei: aragosta, paguro e astice); per concludere rettili e anfibi, che insieme contano una decina di presenze.

Il tutto senza contare le sottovoci (varianti grafiche, nomi alterati, nomi in lingue di-verse dall‟italiano, sinonimi, razze, nomi propri, termini letterari, e altre qualifiche), che insieme sono quasi una settantina.

Estendendo l‟indagine alle poesie disperse pubblicate negli anni successivi, la lista si arricchirebbe di nuove voci: ad esempio troviamo l‟avvoltoio di Turbamenti23,

l‟antilope di I giorni dell‟antilope furono tormentosi24

, e il cardellino e la tigre di La

casa di Olgiate25.

È utile a questo punto fornire qualche dato statistico. L‟animale più citato da Montale è il “cane”, che raggiunge all‟incirca venti presenze, seguito dal cavallo, che è pre-sente ben diciassette volte, e dal topo, dodici volte. Bisogna poi considerare che

Far-falla di Dinard integra ampiamente il bestiario montaliano: la vipera, il cinghiale, lo

struzzo, il canguro, l‟orso, il cardellino, la zebra, il castoro, vongole, succiacapre o tettacapre, sanguisuga, cincia, muggini, calamari, barbe, gazza, aringhe, martora,

zioni dei quattro elementi a indicare l‟aria, mentre se sono ritratti in una gabbia possono rimandare all‟inganno”.

23 Cfr. Turbamenti in Lettere e poesie a Bianca e Francesco Messina 1923-1925, a cura di Laura

Bari-le, Milano, Scheiwiller, 1995.

24 Cfr. I giorni dell‟antilope furono tormentosi in La casa di Olgiate e altre poesie, a cura di Renzo

Cremante e Gianfranca Lavezzi, Milano Mondadori, 2006.

25 Cfr. La casa di Olgiate, in La casa di Olgiate e altre poesie, a cura di Renzo Cremante e Gianfranca

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cinciallegra, pantegana, furetto, cincillà, lontra, vitello, sparviero, faraona, caviale, rombo, baccalà, ostriche, arselle, gambero26.

Inoltre, spiccano due racconti presenti sempre in Farfalla di Dinard27, nei quali

Montale fa alcune considerazioni generali sul suo bestiario privato.

Il primo racconto è La Busacca, pubblicato sul “Corriere della Sera” del 4 dicembre 1947, e poi aggiunto alla raccolta a partire dal 1960, andando ad occupare la quinta posizione nella prima parte, ovvero subito dopo La regata, prosa con la quale condi-vide ambientazione e protagonista. La vicenda vede il personaggio di Zebrino alle prese con la busacca, un misterioso uccello con cui il ragazzo intende consacrare la sua prima e ultima esperienza di caccia:

La varietà degli uccelli di passo erano per lui nomi soltanto, che facevano poco vibrare la sua immaginazione. Ma con alcuni pennuti di stanza, il succiapietre, la busacca egli aveva stretto amicizia fin dai primi anni. Che li avesse visti davvero sarebbe stato pre-tendere troppo. […] La busacca…eh la busacca‟ disse come per significare che biso-gnava cercarla lontano in altri liti28.

L‟esperienza assume per Zebrino un valore conoscitivo. Il miracoloso incontro con l‟animale, in cui il protagonista spera, ripete, ma da un certo punto di vista sliricizza il motivo dell‟attesa del miracolo, fulcro della gnoseologia montaliana negli ultimi

Ossi di seppia e nelle Occasioni.

26 Cfr. Giuliano Manacorda, Giuliano Manacorda, Bestiario Montaliano in La poesia di Eugenio

Mon-tale. Atti del Convegno Internazionale tenuto a Genova dal 25 al 28 novembre 1982 pubblicati a cura

di Sergio Campailla e Cesare Federico Goffis, Firenze, Le Monnier, 1984, pp. 118-130:122.

27 Cfr. Farfalla di Dinard, in Prose e racconti, a c. e con introduzione di Marco Forti. Note ai testi e

varianti a c. di Luisa. Previtera, Milano, Mondadori, 1995.

28Cfr. La Busacca (FD) in Prose e racconti, a c. e con introduzione di Marco Forti. Note ai testi e

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Il secondo racconto in questione è Reliquie, pubblicato sul “Corriere della sera” il 28 agosto 1948, per essere inserito in Farfalla di Dinard a partire dal 1960. Il protagoni-sta ha per interlocutrice una figura femminile (personaggi nei quali non è difficile ravvisare Montale e la sua compagna, Drusilla Tanzi). Il motivo delle reliquie si rea-lizza soprattutto nell‟evocazione di animali cari alla fantasia o alla memoria dei pro-tagonisti tra cui: gli sciacalli dei Mottetti e i cani fidati di Finisterre, e la Volpe dei

Madrigali privati, con effetti di allusività rispetto ai precedenti testi montaliani.

Il racconto è importante perché è in buona parte incentrato sulla figura dell‟“ocapi”, un particolare animale, così definito dal poeta:

Proprio l‟ocapi, quel buffo animale mezzo capra e mezzo porco di cui volevi eternare la memoria […] „Mezzo porco?‟ disse lui agitandosi? „Di‟ mezzo asino, mezzo zebra, mezzo gazzella, mezzo angelo. Un esemplare unico al mondo di una specie che si cre-deva scomparsa da secoli. Volevo andare apposta a Londra per vederlo allo Zoo. Trema di terrore se vede gli uomini: è troppo delicato per stare tra belve come noi29.

Giunti a questo punto è utile constatare che, dato per buono il numero approssimati-vo delle bestie, ciò che colpisce a prima vista è soprattutto la densità animale presen-te nell‟universo montaliano, di molto superiore a quella di altri poeti del Novecento italiano.

D‟altra parte, già altri studiosi hanno fornito dati riguardanti la presenza e l‟importanza degli animali nell‟opera poetica montaliana; gli studi specifici non sono molto numerosi, ma comunque forniscono risultati puntuali e interessanti.

29 Cfr. Reliquie (FD) in Prose e racconti, a c. e con introduzione di Marco Forti. Note ai testi e

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Di seguito tenterò di ricostruire un quadro generale della critica riguardante questa materia.

Giuliano Manacorda, ad esempio, a proposito della presenza animale in Montale ten-ta di stilare un numero approssimativo di presenze, affermando che “lo zoo poetico montaliano è abitato da circa centocinquanta animali, un terzo dei quali „uccelli‟, po-chi meno i „mammiferi‟, ancor meno gli „insetti‟, quindi i „pesci‟, i „rettili‟ e final-mente gli „anfibi‟ con l‟unico esemplare della „rana‟ triplicato tuttavia dalla presenza di „ranocchi‟ e „girini‟. […] l‟approssimazione del numero totale, è dovuta sia ai si-nonimi (topo, sorcio, scricciolo-reatini, alcione-martin pescatore, serpenti-angui, ric-cio-porcospino) sia soprattutto ai diminutivi (gatto-gattini, topo-topolini, falco-falchetto, maiali-maialini, porcelli-porcellini, capre-capretti, vermi-vermiciattolo), ma non, come si può credere, „gallo-galletto di marzo‟ (che è invece il nome ligure dell‟upupa30

) o superlativi (formiche-formiconi) o dispregiativi (merlo-merlaccio) sia anche all‟indicazione dell‟animale con denominazioni generali (uccelli ventidue vol-te, pesci nove volvol-te, insetti sei volvol-te, rettili una volta) o con riferimento alla razza (alano, bassotto, bedlington, bulldog, cavolaia, soriano) sia infine alla pronuncia del nome dell‟animale in un contesto che lo sottrae al bestiario o perché compreso in espressioni fatte (sentiero da capre, cavallo di Troia o degli scacchi, zampe di gallina, giuoco dell‟oca, scale a chiocciola, a passo di lumaca, marché aux puces) o perché detto a proposito di animali artificiali (grillo di celluloide, cane di legno, topo

30 Celebre protagonista dell‟Osso breve Upupa ilare uccello calunniato. Sappiamo che Montale ne possedeva una imbalsamata regalatagli da Goffredo Parise, come si legge in Matteo M. Pedroni, Cac-cia all‟upupa. Premesse di un “osso” montaliano (1892-1923), in Marco Praloran 1955-2011. Studi

offerti dai colleghi delle università svizzere raccolti da Simone Albonico, a cura di Silvia Calligaro e

Alessia Di Dio, Pisa, ETS 2013, pp. 209-28: 210. Giorgio Orelli, L‟“upupa” e altro, “Strumenti criti-ci”, V (1971), 15, pp. 237-263:254, invece, oltre a sottolineare il fatto che le “calunnie” sono da ricol-legare alle upupe luttuose e cimiteriali della tradizione poetica italiana (Parini, Foscolo, Carducci), ri-corda che “il motivo dell‟upupa è quello, ben montaliano, del tempo sospeso, della tensione o atten-zione cosmica in corrispondenza a „qualcosa‟, a un „oggetto‟ emerso dall‟indistinto, dall‟amorfo, a un „dove‟; della dilatazione dell‟istante nel tempo”.

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d‟avorio), o perché il nome ha assunto un significato traslato come „gorilla‟ o „giraf-fa‟”31

.

A questo proposito Antonino Musumeci ricorda che, a parte l‟anguilla e la seppia, che sono diventate, per il lettore occasionale, le presenze più montaliane tra il bestia-rio di Montale, “gli animali più numerosi sono quelli dell‟aria (farfalle, zanzare, ron-dini, piccioni, merli) e più ancora quelli della terra (cani, formiche, cicale, cavalli, gatti, topi, grilli)”32

.

Dati questi che sembrano confermare i risultati qui raccolti, soprattutto quanto al numero di presenze e all‟interesse profondo che lo scrittore nutre per la zoologia. Come abbiamo avuto modo di vedere, infatti, Montale nei suoi scritti non si limita ad utilizzare solo voci generiche come animale, uccello, pesce, etc., ma menziona spes-so animali di specie diverse. La sezione maggiormente interessata da questo atteg-giamento è l‟ornitologia, che risulta essere non solo la parte più corposa ma anche la più variegata di tutta l‟opera33

.

Tale densità animalesca, quindi, comporta necessariamente un uso variato delle tante presenze, anche se esse spesso non sembrano costituire un corpo espressivo organico, quale manifestazione di un‟ideologia univoca, ma ognuna è in grado di conservare una maggiore pregnanza di significati.

Manacorda a questo proposito afferma che “in verità, il contatto di Montale con le bestie ha, nella grande maggioranza dei casi, un‟origine sensibile di cui mantiene l‟impronta anche quando il senso giunge a discostarsi da quella prima testimonianza.

31 Cfr. Giuliano Manacorda, art. cit., p. 118. 32

Cfr. Antonino Musumeci, art. cit., p. 394.

33 Cfr. Marco Villoresi, Come leggere “Ossi di seppia” di Eugenio Montale, Milano, Mursia, 1997,

pp. 94-95: “Nella folta presenza animale spiccano gli uccelli, quasi sempre identificati col nome della specie, tranne il non meglio specificato „uccello di mare‟ di Maestrale. Siamo di fronte ad uno sfoggio di cultura ornitologica che avrà modo di mostrarsi operante anche nelle successive raccolte”.

(16)

Sono sensazioni soprattutto auditive e visive, ma talvolta anche olfattive, tattili e del gusto, quelle che lo colpiscono e che vengono registrate con grande esattezza termi-nologica. […] I versi degli animali non sono mai accennati genericamente ma sempre con il verbo appropriato […] il trillo della „capinera‟, il latrare dei „cani‟ e il bramire dei „cervi‟ […] Talora più sfumate, ma egualmente esatte, le notazioni visive: l‟„anatra‟ e gli „asini‟ neri, la „colomba‟ e le „farfalle‟ bianche, i „balestrucci‟ bianchi e neri […] E sarà facile vedere come la precisazione terminologica sia il risultato in primo luogo di un‟attenta conoscenza degli oggetti”34

.

Inoltre, spesso, nell‟universo montaliano l‟elemento umano è in grado di instaurare un duplice rapporto con l‟elemento animale. Da una parte c‟è l‟uomo che agisce, nel bene e nel male, sull‟animale e dall‟altra parte c‟è l‟azione compiuta al contrario, dall‟animale sull‟uomo, poiché essa non si limita al gesto o al conseguente stato d‟animo, come ad esempio il rimorso di aver schiacciato la mosca o la formica, ma contribuisce a delineare la psicologia tipica dell‟uomo, il quale decide di ritenere si-nistra la cornacchia, e giunge a definirsi dalla figura stessa dell‟animale tra il martire e il coniglio, più degno della talpa o del grillo, a essere trasformato in lupo, e si po-trebbe andare anche oltre. All‟identificazione si affianca anche la figura del parago-ne, spesso per rappresentare aspetti del comportamento dell‟uomo (troviamo bambini che sciamano come pecchie, i mendicanti come cani bastardi), o per metaforizzare il suo essere (i fascisti che s‟infognano come topi di chiavica). Un diverso genere di identificazione (che approfondirò successivamente) è quello della denominazione del personaggio, che ha in “mosca o insettino” e in “volpe” i suoi esempi più famosi, a cui si aggiungono “mia rondine”, “mia formica”, “mio grillo”. Una serie di

34

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vi che può nascere dalle caratteristiche fisiche del soggetto o dalla tenerezza con cui risuonano di consueto certi nomi di animali35.

Altro dato non trascurabile è quello dell‟assenza in Montale di tutta quella serie di animali mitologici e mostruosi o metamorfizzati o inventati dal diverso impasto di più corpi, insomma tutta quella zoologia fantastica che affolla religioni e leggende di tutti i popoli e i bestiari medioevali.

Le poche citazioni che ho registrato in appendice, infatti possono essere considerate solo come semplici metafore di una situazione tutta moderna e pratica, come la Feni-ce che emerge dalle immondizie, o il drago ligure del secondo Mottetto, o quello il cui sangue si assimila al colore dell‟alberaia sul muro in Elegia di Pico Farnese. Analogamente sono assenti dai versi di Montale le produzioni deliranti dei sogni. In

Nel sonno il canto delle Strigi appare solo come una premonizione quasi obbligata

nella sua popolarità di una imminente o presente disgrazia.

Fondamentale è anche il diverso uso del materiale faunistico lungo la storia che va dagli Ossi di Seppia al Quaderno dei quattro anni. Esso non è equamente distribuito, toccando il minimo negli Ossi e il massimo nella Bufera che ne ha quasi il doppio, seguita da Satura e dal Quaderno. Ma più che il dato quantitativo è la diversa qualità dell‟uso che distingue le raccolte. Il carattere prevalentemente sensibile si fa sempre più esplicito man mano che si avanza da Satura al Diario al Quaderno, dove il lin-guaggio che esprime il mondo animale è sempre più prossimo al colloquiale, all‟espressione umile che riflette la vita quotidiana.

35 La mosca presso i Greci era un animale sacro in rapporto con Zeus e Apollo, e la formica è simbolo

di attività industriosa e di previdenza. E della rondine nei “Bestiari d‟amore” si dice che se i suoi ron-dinotti vengono acciecati, li guarisce con una medicina sconosciuta; ma della volpe si legge che è se-gno del demonio, perché è di tale natura che, quando ha fame e non trova da mangiare, si sdraia sulla terra rossa come fosse morta e immersa nel sangue, e quando vengono gli uccelli che la credono morta e le vogliono mangiare la lingua, tira fuori i denti, li prende per la testa e li divora; ed ancor oggi, co-me è noto, è considerata animale pieno di inganni, forse più ipocrita che astuto. Informazioni desunte da Giuliano Manacorda, art. cit., p. 121.

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Anche in questo caso si può ricostruire un quadro generale da alcuni contributi critici sulla materia.

Riprendendo ad esempio la classificazione che Antonino Musumeci propone nel suo studio36, si può dire che in Ossi di seppia le categorie del bestiario più in evidenza sembrano essere “l‟animale-fonema” e “l‟animale-corrispondenza”. In questa raccol-ta, infatti, spiccano alcuni suoni inconfondibili: suoni secchi, brevi, acuti, stridenti. Sono suoni legati a una serie di animali che attestano la loro presenza più con il loro grido che visualmente: “gazzarre degli uccelli”, “frusci di serpi”, “cricchi di cicale”, etc. Essi sono anche vere e proprie definizioni di poetica: la poetica dell‟essenzialità dei Limoni. L‟impressione finale spesso in questi componimenti è affidata ad un ac-cumulo di immagini affini che suscitano echi e parvenze, animali che elucidano un destino, oppure ontologizzano una norma esistenziale come il “cavallo stramazzato” di Spesso il male di vivere.

Anche in Le Occasioni ritroviamo fonema” insieme con “l‟animale-corrispondenza”, ma anche “l‟animale-occasione”, che con la sua presenza in un evento apparentemente insignificante rivela poi la linea di un disegno unitario e con esso dà lo scatto alla poesia: il primo è la farfalla di Vecchi versi e gli ultimi in ordine di apparizione sono i porcospini di Notizie dall‟Amiata. L‟altra categoria è costituita dall‟animale che si pone come intermediario gratuito tra il poeta e una realtà non immediatamente percepibile, ad esempio fornendo un messaggio di gioiosa fratellan-za come il bassotto festoso che latrava in Verso Vienna, o che può creare funesti pre-sentimenti di un tempo di esaurite alternative come il topo di Barche sulla Marna.

Ma è nella Bufera che la presenza animalesca si fa massiccia.

36

(19)

Antonino Musumeci parla di tutta una serie di animali che possono essere definiti “buferici”. Sono animali da incubo, come il sorcio di Lungomare e il “polipo che in-sinua/ tentacoli d‟inchiostro tra gli scogli” di Serenata Indiana. Anche il poeta e Cli-zia, più che in qualsiasi altra raccolta, vestono la loro maschera animalesca: la parte del poeta è quella dell‟ “ululo / del cane di legno” di Ballata scritta in una clinica, quella di Clizia è invece la parte della “cesena” di in L‟ombra della magnolia, ma anche la parte ambivalente della Volpe protagonista assoluta di Se t‟hanno

assomi-gliato, Da un lago svizzero e Anniversario. Un‟ulteriore funzione degli animali nel

terzo volume montaliano è quella di popolare la solitudine buferica con lo scatto del ricordo, ad esempio il “pesce prete, il pesce rondine, l‟astice e il lupo della nassa” di

Proda di Versilia. Ma la Bufera è soprattutto il volume dell‟Anguilla, emblema di un

programmatico senso di rinnovo, di fiducia che dalla non-vita possa emergere la vita. La Mosca apre l‟ultimo periodo poetico di Montale, quello di Satura e di Diario del

‟71 e del ‟72, e ne definisce quasi una certa domestica tonalità. Anche in questo

Montale più recente la presenza degli animali è folta ed insistita. L‟ansia del metafi-sicizzare gli animali si è pacata, e questi rimangono presenze amichevoli e spesso fraterne. In quest‟ultimo spazio poetico montaliano la funzione primaria degli anima-li è anzitutto quella di occasionare il ricordo, come i falchi di Xenia II, il porcospino di A pianterreno i grilli e le lucciole di Si andava, “il cagnuccio di legno” dei

Na-scondigli. Vi è un senso sempre più esplicito di pietas, che a volte si rivela nel

rimor-so ad esempio per aver schiacciato una zanzara sul muro in Provo rimorrimor-so per aver

schiacciato e a volte si riafferma nella reclamata innocenza per non aver mai ucciso

una lucertola in Si andava o il rondone raccolto sul marciapiede in Il Rondone. In

Sa-tura, e più ancora in Diario, è evidenziato un altro uso del bestiario montaliano,

(20)

dell‟antica favola degli animali, non più moraleggiante come quella di Esopo né fe-stosa come quella di Trilussa. Sono brevi favole a commento, dedicate a minuziosi aspetti della quotidianità umana come ad esempio “la vecchia tartaruga” di In un

giardino „italiano‟37

.

D‟altra parte Manacorda, propone la seguente ripartizione dello zoo poetico monta-liano: “negli Ossi di seppia la percezione sensibile come strumento conoscitivo e il senso letterale come suo oggetto cedono ad intuizioni più misteriose e significati più riposti e complessi. Il titolo stesso della raccolta, se da un lato sembra richiamare immediatamente il paesaggio marino, dall‟altra, e con maggiore incisività, si pone come duplice metafora, della vita e del linguaggio: l‟aspirazione ad un vivere „scabro ed essenziale‟ […] Ecco i „conigli‟ con la loro danza indicare le vie di dolci esigli, e l‟„upupa‟, nunzio primaverile, ed ecco soprattutto il „falco alto levato‟, segno del be-ne […] così come la persa „cicala‟ è segno trepido e fioco della precarietà del vivere e la „crisalide‟ è invece segno conclamato del „prodigio fallito‟ […] La „farfalla‟ chiude in Riviere il volume degli Ossi e apre nei Vecchi versi quello delle Occasioni, simbolo di una non sgradevole condizione memoriale nel primo caso, allegoria della morte di cui reca il segno nel proprio corpo nel secondo. È „l‟insetto orribile‟ che tornerà nel momento in cui Montale vorrà toccare il punto più basso dell‟abiezione

37

Interessante l‟analisi di Marco Sonzogni, Un‟“apparizione meravigliosa, quasi inverosimile”:

trac-ce di musa nei versi di “In un giardino „italiano‟”, “Studi d‟italianistica nell‟Africa australe”, 24

(2011), pp. 58-82:65, che, grazie ad un informazione offerta da Contini a proposito della proprietaria del giardino „italiano‟, identificata con una certa signora americana, Edith Farnsworth (1903-1978), statunitense e coetanea di Irma Brandeis, offre una lettura dei versi di In un giardino „italiano‟, che “possono essere letti come una sincera testimonianza dell‟incontro, subito solidale, tra due persone segnate dall‟età e prossime a raggiungere la fine del loro tempo. Ecco allora un „signore italiano‟ e una „signora americana che passeggiano in un giardino all‟italiana, accompagnati da una tartaruga che riconoscono essere molto più prossima alla condizione di altri esseri umani. L‟animale, quindi, è subi-to trasfigurasubi-to a simbolo: esempio silenzioso di dignisubi-tosa sopportazione delle avversità e dei mali del mondo; inestinguibile talismano (a dispetto della menomazione, segno impietoso della fragilità uma-na) dentro e allo stesso tempo fuori dal tempo-proprio come la poesia”.

(21)

umana in Primavera Hitleriana. Nelle Occasioni troviamo anche il primo esplicito esempio di amuleto in forma di animale, il ben noto „topo bianco d‟avorio‟ di Dora

Markus; cui si aggiungerà nella Bufera il „bulldog di legno‟ […] E un altro amuleto

in figura animale sarà in Satura: un „grillo‟ in gabbia. Ma gli animali più misteriosi e più discussi delle Occasioni sono i „due sciacalli al guinzaglio‟38 del Mottetto, La

speranza di pure rivederti […] Ma può anche accadere, soprattutto se pensiamo alla Bufera o a Satura, che manchi „l‟occasione‟ e l‟immagine dell‟animale con il suo

verso o il suo movimento nasca da un‟idea o da un suggerimento culturale, come il canto delle „strigi‟ che ha nella stessa vulgata cognizione ornitologica il segno nega-tivo della sventura […] Nel Diario: per due volte la condizione personale del poeta è riferita ad animali, il „tarlo‟ che trafora lo stipo, simile a lui che sta trivellando a sua stessa insaputa il ceppo della vita; e il „paguro‟ che rovescia, la condizione umana condannata a diversa solitudine […] Nel Quaderno l‟uragano di „cavallette‟ e il pic-colo „falco-pescatore‟ finito in un vaso di terracotta, segnali della peripic-colosa sovrab-bondanza di uomini che non li salverà dalla distruzione […] sino agli animali che ri-badiscono la insistente polemica contro la storia, anche contro la storiografia, la qua-le falsifica la realtà perché ingigantisce ed eroicizza i minimi avvenimenti della cro-naca, i soli, poi, che veramente interessino, e trasforma il volo della „formica‟ in quello dell‟‟aquila‟ e il fischietto del „pipistrello‟ nella trombetta del dies irae.”39

.

Ed è sempre Manacorda a ricordare l‟importanza del valore simbolico che assumono le bestie in Montale, affermando che “l‟intera opera poetica montaliana è gremita, come d‟altronde è ben noto, di segni simbolici i quali sono i testimoni della insepara-bilità dell‟immanenza e della trascendenza, cioè, senza che si neghi il loro carattere

38

Cfr. Due sciacalli al guinzaglio in Il secondo mestiere. Arte, musica, società, a cura di Giorgio Zampa, Milano, Mondadori 1996, pp. 1489-93: “un emblema una citazione occulta, un senhal” invia-to da Clizia “quasi per emanazione” e perciò legainvia-to a lei al puninvia-to di non poter ricordare Modena senza rinnovare il pensiero che si ebbe di lei.

39

(22)

naturale, esigono una lettura che li superi cogliendone il senso sovrannaturale. E que-sti segni, sono assai frequentemente prelevati dal mondo animale. Ma in alcuni casi la figura della bestia non è soltanto una momentanea apparizione a chiarire o ribadire un concetto, ma si fa apertamente protagonista della poesia, quasi capovolgendo il consueto rapporto tra il simbolo e la cosa simboleggiata. In „Il gallo cedrone‟, anzi, tra il simbolo (l‟uccello) e la cosa (il poeta stesso) vi è assoluta immedesimazione, nella duplice inversa direzione, del poeta che vede nella sorte del gallo la sua stessa sino a sentire nel proprio petto la sua piaga, e della bestia che, a sua volta, nel rime-morare proprio dell‟agonia, umanizza i propri pensieri […] Non l‟immedesimazione, ma una profonda analogia espressa dalla parola che chiude la poesia, „sorella‟, è quella che troviamo in „l‟anguilla‟, il punto più alto anche per ragioni formali della poesia di Montale […] Un‟analogia, questa volta tra l‟animale e la donna amata, ma che probabilmente si spinge oltre. […] È in questa frequenza delle presenze e nella polivalenza dei loro sensi che un bestiario come quello montaliano, pur non organico né intenzionale, ha un suo specifico rilievo e un posto caratteristico accanto ad altri più scientemente programmati e condotti”40

.

Altra pista da seguire è quella dell‟evoluzione e delle varie riprese che gli animali già presenti nelle prime raccolte montaliane subiscono in scritti più recenti.

Antonella Mantovani41, ad esempio, oltre a seguire la pista del significato ricorrente che gli animali possono avere nella poesia montaliana, tenta di capire se tale signifi-cato di base possa subire dei mutamenti rilevanti a contatto con le nuove situazioni proposte nelle ultime raccolte, e lo fa partendo dalla poesia Al mare (o quasi) del

Quaderno dei quattro anni, poesia investita totalmente dalla violenza della realtà

40 Cfr. Giuliano Manacorda, art. cit., pp. 126-128.

41 Cfr. Antonella Mantovani, Per un bestiario montaliano: la pista di “Al mare (o quasi)”, “Otto/

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le ultime raccolte. La studiosa parte dalla costatazione che le tre immagini animale-sche presenti nel testo rappresentino al meglio questo processo di degradazione: il cane diventa urlante, gli scriccioli sono improvvisamente scomparsi e la cicala è mi-seramente morente.

Per quanto riguarda la figura del cane, possiamo già anticipare che essa subirà, in tale poesia, un mutamento in negativo; appartenendo nelle prime raccolte alla sfera salvi-fica, e arrivando a simboleggiare qui il male e l‟insensatezza delle cose.

Allo stesso modo importanti sono le considerazioni che la Mantovani propone sugli altri due animali, lo scricciolo e la cicala, fornendo insieme altri dati interessanti per la nostra ricerca, soprattutto riguardo all‟ornitologia montaliana: “esaminando gli uc-celli delle prime tre raccolte montaliane notiamo subito che Montale opera con estrema creatività all‟interno di una tradizione con la quale è in sintonia. Infatti l‟immagine ornitologica montaliana, sempre data in forma sublime, è la portatrice per eccellenza di quella salvificità, di quella miracolosità che si contrappongono ad una realtà fenomenica aberrante ed introducono il sospetto di una dimensione „altra‟ […] In parecchie poesie degli Ossi di Seppia si avverte una connessione fra alati in volo verso l‟alto e verità che salva. Emblematica in questo senso è Upupa, ilare

uc-cello calunniato…, nella quale l‟upupa, messaggero angelico, è immagine del

movi-mento alato, che magicamente arresta il tempo ed apre la strada al miracolo. Alla stessa sfera di significato appartengono gli uccelli di In limine, Quasi una fantasia, A

vortice s‟abbatte, Maestrale, Riviere. Esiste anche una breve molto concentrata parte

di uccelli da preda non avvicinabili che hanno a che fare con l‟insostenibile arsura dell‟Essenzialità indifferente: Non rifugiarti nell‟ombra, Spesso il male di vivere ho

incontrato, Gloria del disteso mezzogiorno, tutte appartenenti alla sezione Ossi di seppia. Compaiono infine degli uccelli impiegati quali preludio allo squarcio

(24)

libera-tore e metafisico o quali segno inquietante della sua impossibilità: „le gazzarre degli uccelli‟ nei Limoni, gli „schiocchi di merli‟ in Meriggiare pallido e assorto[…]. Un ornitologia di questo tipo si ritrova anche in Felicità raggiunta, si cammina,

Scen-dendo qualche volta, Crisalide, Incontro, arremba su la strinata proda, Flussi. Nelle Occasioni si consolidano i segni di positività salvifica e miracolosa degli uccelli. In Lindau la rondine è un simbolo positivo, portatore di vita. […] In Sotto la pioggia

l‟immagine della cicogna suggerisce la possibilità di una fuga verso spazi pericolosi e quasi inaccessibili ma apertissimi. […] Ma la poesia più significativa è senza dub-bio Stanze, nella quale compare per la prima volta uno sviluppo della valenza salvifi-ca nella direzione dell‟identità fra donna portatrice del divino ed immagine ornitolo-gica. […] Nello stesso tempo delle Occasioni diventano molto chiari e si sviluppano ulteriormente i germi di inquietudine connessi all‟immagine ornitologica in quanto preludio, forse ingannevole, del miracolo. Nel Carnevale di Gerti il „suono rauco delle colombe‟ che la donna tenta invano di arrestare è segno inquietante dell‟impossibilità di dilatare il tempo e di sfuggire quindi al suo tirannico dominio […] La grande novità ornitologica della Bufera è che in essa l‟identificazione fra uc-cello e donna salvifica diventa completa e fondamentale. Essa è particolarmente esplicita in Giorno e notte ed in L‟ombra della magnolia […] Nella Bufera continua-no i solchi che eracontinua-no stati aperti nelle opere precedenti: la salvificità miracolosa e le immagini inquietanti. […] l‟immagine ornitologica nel „primo‟ Montale è dunque chiaramente un‟immagine fondamentale, di alto significato soterico e formalmente presentata attraverso il registro della sublimità. Per quanto riguarda gli scriccioli, quelli di Al mare (o quasi) sono gli unici che compaiono nella poesia montaliana; al-tri scriccioli compaiono invece nella sua prosa. […] Ora di fronte a questa situazione di spaventosa aridità esistenziale di Al mare (o quasi) […] gli scriccioli sono stati

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estromessi da questa poesia. […] Una situazione analoga a quella degli scriccioli si ha per quanto riguarda la „cicala‟ […] anche in questo caso ci troviamo di fronte a un simbolo che nella precedente tradizione montaliana è pienamente ed apertamente salvifico ed è legato a moduli formali sublimi. I valori fondamentali dei quali la cica-la montaliana è portatrice e simbolo sono cica-la poesia e l‟amore […] Esempcica-lari sono due poesie della Bufera: Incantesimo e L‟ombra della magnolia. […] È notevole che le uniche due cicale che Montale introduce nelle raccolte „satiriche‟ precedenti il

Quaderno di quattro anni conservano intatta la sublimità del loro contenuto,

perden-do invece la sublimità della forma. In Niente di grave (Satura, II) […] il „tuffo di sangue‟ che provoca il dimidiato canto delle cicale è un segno evidente della loro perdurante sublimità. In Imitazione del tuono (Diario del ‟71) la „raspa delle cicale‟ fa parte di una serie di immagini di mutevolezza, evanescenza, precarietà e inverosi-miglianza (la crusca, il vento, le cicale, il tuono a ciel sereno) che sono fra tutte le più vicine a „quel pieno‟ ossimorico e positivo che non è nell‟uomo; il tutto attraverso una forma ancora più degradata (la „raspa‟ delle cicale). Nella situazione di violentis-simo impatto frontale con la realtà che si verifica in Al mare (o quasi) la cicala muo-re, si estingue. […] La cicala della quale si parla è „l‟ultima cicala‟: l‟ultima della sua specie (finiscono le cicale perché finiscono l‟amore e la poesia) ma è anche l‟ultima in assoluto dei viventi, il simbolo della fine di tutto, della catastrofe silenziosa, della caduta nel buio: ciò che nella poesia Montale chiama „evanescenza‟, „dolce affatto del nulla‟”42

.

D‟altro canto, sono presenti in Montale riprese di animali che nelle ultime raccolte giungono ad avere, al contrario, tendenze quasi parodiche. Un esempio fra tutti è quello del porcospino, animale fortemente emblematico nelle Occasioni, che subisce

42

(26)

una netta trasformazione negli ultimi scritti, soprattutto nel linguaggio. Un linguag-gio sempre più vicino al colloquiale, con espressioni desunte dal mondo culinario: “ai porcospini piaceva la pasta al ragù”43

.

Altra funzione riservata agli animali nella poesia montaliana è quella di chiudere un componimento. È una tecnica evidentissima, favorita quasi in Ossi di seppia, ma poi abbandonata dopo la Bufera. Memorabili in Ossi di seppia: “il galletto di marzo” che scende sul paletto di Quasi una fantasia, la danza dei “conigli” di Ma dove cercare

la tomba, le scoccanti due “ghiandaie” di A vortice s‟abbatte, la spersa “pavoncella”

che precipita gioiosa in Scendendo qualche volta, il fischiare delle “lepri” di Egloga. Nelle Occasioni, “la greggia” che passa nella nebbia del suo fiato di Bagni di Lucca, i due “sciacalli” al guinzaglio di La speranza di pure rivederti, “la mandria lunare” invisibile sui colli di Bassa marea. In Bufera troviamo: il tardo frullo “d‟un piccio-ne” di Un natale metropolitano, “un‟anitra nera” in volo alzata in Da un lago

svizze-ro.

Per quanto riguarda il linguaggio che Montale utilizza in riferimento al mondo ani-male, i punti di riferimento obbligati sono sicuramente d‟Annunzio e Pascoli, già in-dagati negli studi rispettivamente del Mengaldo44 e del Bonfiglioli45. Da tali studi emerge che quantitativamente gli apporti puramente lessicali sono tutt‟altro che im-pressionanti: “osso di seppia”, le “api ronzanti”, il “bramire dei cervi”, gli “onagri” per D‟Annunzio; il “merlo”, le “siepi”, le “cicale”, i “balestrucci” e ancora gli

43 Cfr. Eugenio Montale, A pianterreno, in Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 1984, p. 365. La

pre-senza di animali in un contesto culinario è frequente in “Farfalla di Dinard”. Si vedano, ad esempio, i racconti Il bello viene dopo, Honey, In una „Buca‟ fiorentina, I funghi rossi, Signore inglese, Cena di

San Silvestro, Il condannato.

44

Cfr. Pier Vincenzo Mengaldo, Da D‟Annunzio a Montale, in Ricerche sulla lingua poetica

contem-poranea, Padova, Liviana, 1966; poi in La tradizione del Novecento. Prima serie, Milano, Feltrinelli

1975 (2a ed. Torino, Bollati Boringhieri 1996, pp. 15-115).

45 Cfr. Pietro Bonfiglioli, Dante, Pascoli, Montale, in Nuovi studi pascoliani, Bolzano-Cesena, Centro

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gri” per il Pascoli, con l‟aggiunta dell‟elemento auditivo, gli “schiocchi”, i “frusci”, gli “scricchi”. Anche se in realtà il Bonfiglioli giunge alla conclusione che nel lin-guaggio montaliano emergano piuttosto processi di aggettivazione che si possono de-finire in un certo senso gozzaniani, ai quali si aggiunge un‟autorizzazione di tipo dantesco, la quale concentra nella parola una energia essenziale; in conclusione si può dire che il pascolismo montaliano sia in realtà un anti-pascolismo. Un motivo in più per giungere a questa conclusione è, secondo Manacorda, “l‟assenza in Montale, soprattutto nel campo che ci interessa, dell‟onomatopea. Infatti restano del tutto estranei alla lingua poetica di Montale i riecheggiamenti dei versi degli animali, così cari al Pascoli”46

.

3. L’utilizzo di senhals animaleschi per le ispiratrici femminili

Altra pista da seguire per completare la nostra analisi è quella del paragone donna-animale. Montale infatti utilizza dei veri e propri senhals animaleschi per alcune del-le sue ispiratrici femminili: Clizia47, Volpe48, Capinera49 e Mosca50.

46 Cfr. Giuliano Manacorda, art. cit., p. 129.

47 Clizia è il soprannome dato da Montale a Irma Brandeis (1905-1990), critica letteraria e docente

statunitense di origini ebraiche, studiosa di Meister Eckhart e di Dante, di patristica e dei poeti metafi-sici inglesi. La Brandeis incontra Montale a Firenze nel 1933 e con lui stringe una intensa relazione, conclusasi definitivamente nel 1938, quando la donna è costretta a tornare negli Stati Uniti, a causa dell‟emanazione delle leggi razziali in Italia. Montale idealizza poeticamente la figura di Irma, che viene appunto chiamata nelle liriche con il soprannome-senhal di Clizia: essa rappresenta per il poeta l‟amore spirituale. Clizia non è mai descritta fisicamente, tranne in alcuni particolari simbolici: lo sguardo, i capelli, il passo. Montale con Clizia recupera il modello stilnovistico della donna-angelo (visiting angel) portatrice di salvezza, una salvezza possibile solo come fuga dal mondo e dalla storia. Per la genealogia del nome, cfr. Luperini: “Il nome di Clizia apparirà esplicitamente solo in La

prima-vera hitleriana, nella Bufera. Montale lo aveva desunto dal commento di Contini alle Rime di Dante

ove si legge, a proposito di un sonetto a Giovanni Quirini che Montale citerà appunto in questa poesia: „Clizia, figlia dell‟oceano ed amante del Sole, che, avendo per sua gelosia provocato la morte di Leu-cotoe, fu dal sole abbandonata e si trasformò in eliotropo o girasole, come narrano quelle Metamorfosi […]‟. Dalle Metamorfosi di Ovidio, un esametro, ripreso da Dante, sarà poi citato da Montale in La

primavera Hitleriana: „vertitur ad Solem mutataque servat amorem‟”. (Romano Luperini, Storia di Montale, Roma-Bari, Laterza, 1986, pp. 104-105).

48

Si tratta di Maria Luisa Spaziani (1922-2014), poetessa, traduttrice e aforista italiana. La Spaziani incontra Montale nel 1949, e con lui inizia un‟assidua frequentazione, un sodalizio intellettuale carat-terizzato anche da un‟affettuosa amicizia. Montale la chiama Volpe per distinguerla dalla “Mosca”, sua moglie Drusilla Tanzi. Maria Antonietta Grignani, Dislocazioni. Epifanie e metamorfosi in

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Mon-Prima di addentrarci nell‟universo femminile montaliano bisogna però constatare che la consuetudine dell‟utilizzo dei senhals animaleschi per la caratterizzazione della donna è una tecnica ben consolidata nel panorama letterario novecentesco.

Paolo Orvieto nel suo studio sugli archetipi animali afferma che “alla donna-animale-angelo novecentesca mancano i tratti fisiognomici, è di nuovo, come ai gloriosi tem-pi dello Stilnovo, senhal, specchio in cui il poeta proietta la propria problematica ete-rosessualità, o mero scalpello per scardinare la crosta del frustante reale. Nella

rêve-rie dell‟uomo, la donna, come il grande archetipo junghiano della Madre, è da

sem-pre bipolare: animale (perdizione, regressione sem-prelogica), ma anche pronta a sfondare le terragne barriere biologiche per trasformarsi in soterica palingenesi, in divinità re-dentiva. La bestialità da sempre è accettabile solo nella misura in cui significa inno-cenza, liberazione dal tempo storico irreversibile, profano, continuo; e il contrario del tempo storico, profano, è il tempo archetipo (animale) del sacro […] pertanto solo la donna-animale realizza il supremo desiderio dell‟uomo, di annientare la storia e di ripristinare in un‟esistenza deteriorata, profana e insignificante (il mito perpetuo della caduta), la consacrazione, mediante l‟archetipo e la teofania, dello spazio profano, contaminato dalla storia (ogni storia, indipendente dai fatti realmente accaduti, de-turpa, uccide gli dèi). La donna recupera, con la sua „onnipotenza dei pensieri‟ il

tale, Lecce, Manni 1998, p. 121 precisa che il soprannome Volpe le era già stato dato dai familiari,

prima che conoscesse Montale. La volpe rappresenta per Montale un amore terreno e sensuale.

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Si tratta di Anna degli Uberti, sedicenne conosciuta nel corso dell‟estate 1919 a Monterosso e morta molti anni dopo quanto dichiara più volte Montale. Annetta rappresenta per il poeta il rapporto con la memoria e il confine incerto tra i vivi e i morti.

50

Drusilla Tanzi (Milano, 5 aprile 1885 – Milano, 20 ottobre 1963), moglie di Eugenio Montale che a lei ha dedicato due sezioni, Xenia I e Xenia II, della raccolta poetica Satura (1970). Ella sposò nel 1910 il critico d'arte Matteo Marangoni, da cui ebbe un figlio, Andrea. Appassionata studiosa e amica di Italo Svevo, conobbe Eugenio Montale, che nel 1927 ospitò a casa sua in via Benedetto Var-chi e con cui andò a vivere nel 1939 in via Duca di Genova. Secondo una lettera inviata ad Irma Bran-deis, Montale impedisce due volte il suicidio di Drusilla, che teme la partenza di Eugenio per ricon-giungersi a Irma (del cui rapporto parallelo era stata da lui informata) per gli Stati Uniti; tale partenza del poeta, paventata fino al 1938, in realtà non avverrà mai. La Tanzi sposerà invece Montale il 23 lu-glio 1962 (qualche anno dopo la morte di Marangoni), e morirà l'anno dopo al Policlinico di Milano, in seguito a complicazioni derivanti da una caduta e dalla conseguente rottura del femore.

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radiso dell‟animalità‟, esorcizza il terrore dell‟uomo deceduto di perdersi nell‟esistenza solo profana. La donna in quanto animale è perciò fede in un‟esistenza al di fuori della storia, negazione dell‟uomo che si fa creatore di storia: la rivelazio-ne51 (di Cristo, ad esempio) dà un unico significato trascendente, eterno e teleologi-co, e redime, il relativismo nichilista degli esistenzialisti e il materiale dialettico dei marxisti. Perciò […] donne e animali (in quanto animali) appartengono al rituale del tempo dell‟‟eterno ritorno‟”52

.

Per quanto riguarda Montale è soprattutto nella Bufera che le rappresentazioni ani-mali relative al mondo femminile sono particolarmente ricche e poliedriche, e si ad-densano intorno alle figure delle due protagoniste: l‟angelo e la Volpe53. Tale bipola-rismo non esclude certo altre presenze femminili nella raccolta (ad esempio quelle di Arletta e di Mosca). Il ruolo centrale di queste due figure è stato esemplarmente sin-tetizzato da Gilberto Lonardi nel suo scritto Beatrice e Antibeatrice54, termini nei

quali si riassumono i ruoli contrapposti e pure complementari delle due donne. Il percorso tematico indicato dal titolo di questo saggio definisce immediatamente la sfera di azione che compete a Clizia, ovvero quella della visitatrice angelica e soteri-ca, sostenuta da motivi e stilemi propri di un rivisitato stilnovismo, e la Volpe, che invece rappresenta la donna terrestre, passionale, vitale nel senso ampiamente

51 Anche la donna-Volpe di Montale è un Dio incarnato: “È amore questo? Di aver tanto desiderio,

tanta ammirazione tanta devozione per un dio incarnato?” scrive Montale alla Spaziani il 28 giugno 1951. La citazione è in M. A. Grignani, Dislocazioni, Epifanie e metamorfosi in Montale, Lecce, Manni, 1998, p. 59; ma tutto il volume è fondamentale per l‟analisi della figura della Volpe nella poe-sia montaliana.

52

Cfr. Paolo Orvieto, Donne di Saba e Montale e gli archetipi animali, in Bestiari del Novecento, a cura di Enza Biagini, Anna Nozzoli, Roma, Bulzoni, 2001, pp. 143-144.

53Cfr. Vinicio Pacca, Fonti narrative dei “Madrigali privati”, “Nuova rivista di Letteratura italiana”,

II, 1999, pp. 397-422: 398: “In un primo tempo, come risulta da un indice provvisorio della raccolta (contenuto in una lettera a Giovanni Macchia del 4 novembre 1949), Montale aveva pensato di chia-mare una sezione (comprendente testi poi confluiti sia in Silvae sia in Madrigali Privati) L‟angelo e la

volpe. Il titolo rendeva esplicita una contrapposizione che risulta comunque evidente: quella tra

l‟angelica Clizia e la terrena Volpe”.

54 Cfr. Gilberto Lonardi, Il vecchio e il giovane e altri studi su Montale, Bologna, Zanichelli, 1980, pp.

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vo del termine. I due percorsi sembrano opporsi a un primo sguardo, ma risultano poi essere la continuazione l‟uno dell‟altro, e tracciano una linea continua tra il cielo di Clizia e la grotta di Volpe.

Per quanto riguarda la figura cliziesca, è necessario esaminare brevemente le sue oc-correnze all‟interno delle Occasioni. In questa raccolta il personaggio di Clizia si configura come un doppio dell‟Io del poeta stesso, come una presenza a cui viene af-fidata ogni possibilità di salvezza attuale e futura. Nelle Occasioni si pone la fonda-zione del legame del poeta con Clizia, ed è qui che si rintracciano anche le sue prime manifestazioni animalesche. Nei Mottetti, la sezione più cliziesca della raccolta, la sua presenza si evidenzia soprattutto da un punto di vista pronominale e l‟identificazione concreta di questo “tu” è inizialmente assai vaga: se ne predica in-fatti più frequentemente l‟assenza, ingrediente fondamentale che permette al poeta di sublimare l‟essenza della figura femminile, trasformandola in immagine trascenden-tale. La vediamo comparire appieno nella sua natura di abitatrice di spazi aerei, ultra-terreni, di attraversatrice di “nebulose” nel XII Mottetto. È forse la prima, chiara traccia dell‟identificazione ornitologica di Clizia, attorno alla quale si andrà adden-sando un campo semantico composto da ali, penne, piume, voli, tutto ciò che pertiene alla sfera aerea e luminosa della donna angelicata e salvifica.

In Montale la scelta della rappresentazione ornitologica non appare certamente ca-suale, se consideriamo, come precedentemente detto, che negli Ossi essa è affidata alle creature alate che realizzano la connessione con il miracolo e con il numinoso: questo si consolida ulteriormente nelle Occasioni, con l‟aggiungersi della progressi-va identificazione tra gli uccelli e le apparizioni della donna-angelo55. Nella Bufera si

55 L‟associazione tra la donna, l‟angelo e gli uccelli non è certo infrequente nella poesia novecentesca

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