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Capitolo 1 Fratture: Generalità e Classificazione

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Academic year: 2021

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Fratture: Generalità e Classificazione

1.1 GENERALITA’ SULLE FRATTURE

Il termine “frattura” indica l’interruzione dell'integrità strutturale dell'osso; può essere di origine traumatica o spontanea, come in caso di frattura patologica.

La maggior parte delle fratture è causata da un trauma diretto di entità tale da superare i limiti di resistenza dell’osso stesso, come spesso avviene in seguito ad incidenti automobilistici o cadute. In questo caso la frattura si verifica nel punto di impatto o vicino a questo. Una forza indiretta, invece, può provocare la frattura ad una certa distanza dal punto di applicazione trasmettendosi, attraverso l’osso o il muscolo, ad un’area dell’osso vulnerabile che si rompe in modo prevedibile. A questo proposito si possono ricordare le fratture della tuberosità tibiale, dell’olecrano e del condilo laterale omerale. Un movimento incoordinato o un’eccessiva contrazione muscolare può esitare in questo tipo di fratture (Denny, 1998; Mancini & Morlacchi, 2002).

Se l’osso è colpito da un processo patologico sistemico o locale, come formazioni tumorali, cisti o disturbi causati da squilibri dietetici od ormonali, può andare incontro a frattura anche in seguito ad un trauma di lieve entità; in questo caso il fattore responsabile della frattura è la diminuita resistenza dell’osso e, per questo, si parla di frattura patologica (Denny, 1998; Mancini & Morlacchi, 2002).

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1.2 CLASSIFICAZIONE DELLE FRATTURE

La necessità di riconoscere e racchiudere in gruppi le varie tipologie di frattura ha accompagnato fin dalla sua nascita la traumatologia. L’utilità evidente è quella di relazionare il tipo di frattura con il meccanismo traumatico e quindi poter “intuire” la gravità della lesione ossea e delle eventuali lesioni associate (legamentose, vascolari, etc.). Inoltre, la codifica delle fratture permette, nei controlli a distanza, di riconoscere quale o quali fossero i trattamenti più adatti e quali d’altro canto più svantaggiosi. L’elaborazione di un sistema classificativo rigoroso fu iniziato negli anni Sessanta da Müller e collaboratori che diedero origine alla classificazione AO, ancora oggi in continuo aggiornamento e definizione (Dorigotti et al., 2006).

Si tratta di un sistema preciso e rigoroso ma per questo difficile da ricordare e talvolta “macchinoso” per cui nella pratica clinica si utilizzano più frequentemente delle classificazioni derivate o semplificate (Dorigotti et al., 2006).

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La classificazione generale AO

(Dorigotti et al., 2006; Goulet & Hak, 2001).

La classificazione AO ha il suo fondamento nell’osservazione e nella descrizione razionale ed univoca di una frattura da parte del Chirurgo. Si formano conseguentemente divisioni in sedi, tipi, gruppi e sottogruppi delle fratture, codificati con un codice alfanumerico.

Sede

Con la sede si vuole indicare il distretto osseo e il segmento interessato. A) Distretto osseo

Le ossa o le regioni ossee (i binomi radio-ulna e tibia-perone vengono considerati ciascuno come un osso lungo) vengono numerate su base

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puramente convenzionale (omero n.1, radio-ulna numero n.2, femore n.3, tibia-perone n.4, rachide n.5, bacino n.6, polso-mano n.7, piede n.8).

B) Segmento

Ogni frattura viene ulteriormente localizzata relativamente al segmento interessato in prossimale (1), diafisaria (2), distale (3); esiste un’eccezione, il segmento malleolare (tibiale e peroneale), classificato come quarto gruppo (4). Fatte queste considerazioni, ad esempio, una frattura diafisaria di omero si classifica con il codice 12 (1 per la sede omero e 2 per il segmento diafisario).

Va inoltre precisato che per quanto riguarda i segmenti articolari prossimale e distale (1 e 3) di ogni distretto scheletrico non vi è distinzione tra segmento epifisario e metafisario: per convenzione per 1 o per 3 si intende l’area all’interno del quadrato il cui lato è lungo quanto la parte più larga dell’epifisi in questione.

Tipo

Il tipo esprime la morfologia della frattura, utilizzando a tale scopo le lettere A, B e C in maniera diversa a seconda ci si trovi in presenza di una frattura diafisaria o di una articolare.

Per le localizzazioni diafisarie: A=frattura semplice, B=frattura a cuneo, C=frattura complessa; per le articolari: A=extra-articolari, B=articolari parziali, C=articolari totali (fanno eccezione le fratture dell’omero prossimale, del femore prossimale e malleolari).

Quindi una frattura diafisaria omerale semplice ha per codice 12A (dove A rappresenta la morfologia “semplice” della frattura).

Gruppo e sottogruppi

Ciascun tipo di frattura può essere ulteriormente classificato in gruppi utilizzando il numero 1, 2 o 3. Quindi una frattura omerale diafisaria semplice

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obliqua sarà una 12A2 (A1=spiroide, A2=obliqua, A3=trasversa).

Le FRATTURE DIAFISARIE DI AVAMBRACCIO (classificate come 22) si classificano in maniera modificata rispetto allo schema precedentemente esposto per la presenza in tale sede di due segmenti scheletrici.

Il tipo A (frattura semplice) si suddivide in gruppo A1 di ulna con radio integro, A2 di radio con ulna integra, A3 di ambedue i segmenti ossei.

Il tipo B (frattura a cuneo) anch’esso si suddivide in tipo B1 della sola ulna, B2 del solo radio e B3 di ambedue i segmenti ossei (di cui almeno 1 interessato da una frattura a cuneo).

Il tipo C (frattura complessa) si caratterizza per un tipo C1, in cui ambedue i segmenti ossei sono interessati di cui l’ulna in maniera complessa; il C2 in cui è il radio interessato in maniera complessa, e C3 in cui la complessità della frattura coinvolge ambedue i segmenti.

2.2 Criteri di valutazione delle fratture

Come già accennato, la classificazione AO risulta molto indaginosa, per cui nella pratica veterinaria si definiscono le fratture mediante metodiche più dirette e “visive” prendendo in considerazione criteri diversi, come di seguito riportato (Marchetti, 1988; Denny, 1998; Mancini & Morlacchi, 2002; Toal & Mitchell, 2002; Johnson & Hulse, 2004).

• • •

• In rapporto all’integrità del mantello cutaneo che riveste la leva scheletrica sede della lesione traumatica, le fratture si distinguono in:

    fratture chiuse     fratture esposte

La frattura chiusa o semplice è quella nella quale la cute sovrastante rimane integra, mentre la frattura esposta o aperta o complicata è quella nella quale esiste comunicazione tra il sito di frattura e la ferita cutanea e quindi può

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facilmente inquinarsi. Queste ultime possono essere ulteriormente classificate, a seconda del meccanismo che determina la ferita penetrante e la gravità del danno tissutale, in fratture di I°, II° e III° grado.

Una frattura esposta di grado I è caratterizzata dalla presenza, in prossimità della zona colpita, di un piccolo foro penetrante causato dalla fuoriuscita all’esterno dell’osso. Quest’ultimo può essere o meno visibile nella ferita.

Nelle fratture esposte di grado II, la lesione dell’osso è accompagnata da una ferita cutanea di dimensioni variabili, determinata da un trauma esterno. Il danno riportato dai tessuti molli è generalmente maggiore rispetto a quelle di grado I. Anche se l’estensione del danno dei tessuti molli può variare, il grado di comminuzione della frattura è minimo.

Le fratture esposte di grado III sono caratterizzate da una grave frammentazione ossea associata ad un esteso danno tissutale, con o senza perdita di cute. Queste fratture sono in genere comminute causate da forze ad alta energia.

• • •

• A seconda del numero delle interruzioni scheletriche che interessano uno stesso segmento si distinguono:

  

 fratture unifocali (un solo focolaio di frattura) 

 

 fratture bifocali (due focolai di frattura) 

 

 fratture trifocali, ecc.

• • •

• In rapporto al livello scheletrico della lesione, le fratture sono definite:     diafisarie   

 metafisarie (prossimali e distali) 

 

 epifisarie (prossimali e distali)

Le epifisarie a loro volta possono essere divise in: intrarticolari ed extrarticolari.

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Talvolta alla frattura epifisiaria si associa la lussazione dell’epifisi fratturata; questa lesione traumatica è definita con il termine di frattura-lussazione.

• • •

• A seconda dell’estensione del danno scheletrico si distinguono: 

 

 fratture complete: se vi è interruzione totale della continuità ossea; 

 

 fratture incomplete: se è mantenuta parzialmente la continuità dell’osso.

Le prime, in dipendenza del decorso della rima, si classificano in: trasversali, oblique, spiroidi, complesse, comminute (figura 2.2.a); le fratture incomplete si distinguono in: fratture a legno verde (nei giovani animali), infrazioni (nei soggetti adulti), infossamenti.

Figura 2.2.a: Classificazione delle fratture in base alla direzione e numero delle linee di fratture.

A: Trasversa; B: Obliqua; C: Spiroide; D: Comminuta riducibile; E: Comminuta irriducibile. (Johnson & Hulse, 2004).

• • •

• In rapporto all’eventuale spostamento dei frammenti le fratture complete possono essere:

  

 composte: quando i frammenti di frattura restano a mutuo contatto o compenetranti tra loro;

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 scomposte: quando si è verificato lo spostamento dei frammenti. Tale spostamento può essere (figura 2.2.b):

- trasversale: in questo caso la linea di frattura si trova ad angolo retto rispetto all’asse longitudinale dell’osso (scomposizione laterale o con spostamento “ad latus”);

- longitudinale: fratture con variazione della lunghezza dell’osso o con spostamento “ad longitudinem”; se i due monconi si avvicinano si ha una dislocazione “ad longitudinem cum contractione”, se si allontanano, una dislocazione “ad longitudinem cum distractione”;

- angolare: fratture oblique o con spostamento “ad axim”, angolate rispetto all’asse longitudinale dell’osso; sono fratture oblique brevi quando l’angolo è uguale o inferiore a 45° e lunghe quando superiore a 45°.

- rotatorio: fratture con rotazione di un frammento sul suo asse longitudinale o con spostamento “ad peripheriam”.

Ovviamente queste scomposizioni elementari possono combinarsi fra loro dando origine a reperti anatomo-patologici di varia gravità.

Figura 2.2.b: Classificazione delle fratture in base allo spostamento dei capi ossei (Brunetti

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Si distinguono ancora: 

 

 fratture per distrazione o avulsione: nelle quali un frammento osseo è separato dalla trazione esercitata da muscoli, tendini o legamenti che si attaccano su di esso (fratture dell’olecrano o della cresta tibiale); 

 

 fratture compenetrate: nelle quali le estremità dell’osso fratturato si compenetrano l’una dentro l’altra;

  

 fratture per compressione: tipiche delle ossa vertebrali nelle quali una forza compressiva determina un accorciamento della vertebra;

  

 fratture per depressione: termine utilizzato per descrivere le fratture del cranio nelle quali l’osso affetto è “spinto all’interno”, determinando una deformità concava.

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• In base alla stabilità della frattura dopo il ripristino della posizione antomica si distinguono:

  

 fratture stabili: nelle quali i frammenti si incastrano dopo la riduzione e resistono alle forze di accorciamento; la maggior parte delle fratture trasversali risponde a questa caratteristica;

  

 fratture instabili: i frammenti non si incastrano a seguito della riduzione e non vi è resistenza all’accorciamento come nel caso di fratture oblique o comminute.

Figura

Figura 2.2.a: Classificazione delle fratture in base alla direzione e numero delle linee di fratture
Figura 2.2.b: Classificazione delle fratture in base allo spostamento dei capi ossei             (Brunetti

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