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II.1. Il polo vaticano I P VII N : C II

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CAPITOLO II

I

L SISTEMA MUSEALE DA

P

IO

VII

A

N

APOLEONE

:

TRA DECLINO ED ELABORAZIONE DI NUOVI MODELLI

II.1. Il polo vaticano

Al momento dell’insediamento a Roma delle truppe comandate dal generale Miollis il complesso monumentale vaticano usciva da un’articolata fase di ristrutturazione degli spazi e di riordino delle collezioni. Tra il 1800 e il 1808 un piano organico di interventi aveva risollevato le sale dallo stato di desolazione e di abbandono nel quale erano cadute a seguito delle «irruzioni spoliatrici» del periodo giacobino1, ovvero

dell’insediamento dello Stato Maggiore dell’esercito2.

Ad una ricognizione, eseguita tra il 22 aprile e il 13 maggio del 1800, nei giorni immediatamente precedenti l’ingresso in città del neoeletto Pio VII, al maggiordomo dei Sacri Palazzi Carafa, a Gaetano Marini, prefetto della Biblioteca, e all’architetto Vincenzo Martinucci, sottoforiere, lo stato dei beni era apparso disastroso3. La Pinacoteca allestita da papa Braschi nelle sale adiacenti la Galleria dei Candelabri - in quella che è oggi la Galleria degli Arazzi - somigliava ad un appartamento saccheggiato, mancante di circa venticinque dipinti4. Il Cortile Ottagono e la Sala delle

1 Torno ad utilizzare l’espressione di Camille de Tournon: Etudes statistiques sur Rome et la partie occidentale des Etats Romains, II, Paris 1831, p. 258. Di palazzi pontifici «spogliati dai nemici dell’ordine» parlò Canova a Napoleone nel 1802 (A. D’Este, Memorie di Antonio Canova, Firenze 1864; ed. cons. a cura di P. Mariuz, Bassano del Grappa 1999, p. 127).

2 G.A. Sala, Diario romano degli anni 1798-1799, in Scritti di Giuseppe Antonio Sala pubblicati sugli autografi da Giuseppe Cagnoni, Roma 1822; ristampa anastatica a cura di V.E. Giuntella - R. Tacus Lancia, Roma 1980, pp. 66 e 116.

3 C. Pietrangeli, I Musei Vaticani. Cinque secoli di storia, Roma 1985; ed. cons. The Vatican Museums, Rome 1993, pp. 133-136.

4 Allestita tra il 1789 e il 1790, la pinacoteca aveva chiuso il programma di lavori cominciato

con la costruzione del museo di antichità. La sua istituzione aveva contribuito a dare visibilità al principio della contiguità tra la storia (e l’arte) pagana e la storia (e l’arte) cristiana di Roma. Organizzata secondo criteri di simmetria visiva e di similarità iconografica, al modo di un musée parterre, era giunta alla fine del secolo in un assetto comprendente un centinaio di dipinti, provenienti dal palazzo del Quirinale, da San Pietro e da altre chiese romane, dalle raccolte della compagnia di Gesù e da passate campagne di acquisti. Cfr. G. Moroni, s.v. Musei di Roma, in Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni, XLVII, 1847, pp. 91, 95; O. Michel, Exempla virtutis à la gloire de Pie VI e C. Pietrangeli, La Pinacoteca Vaticana di Pio VI, in “Bollettino Monumenti, Musei e Gallerie Pontificie”, III, 1982, pp. 105-141 e 143-200; M.F. Abita, La sfortunata storia della prima “Galleria di Quadri” di Pio VI in Vaticano: 1789-1797, in “Ricerche di storia dell’arte”, 66, 1998, pp. 67-78; M.A. Quesada, La quadreria del Collegio Romano: cronaca di una scoperta e A.M. de

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Muse avevano l’aspetto di gipsoteche (Fig. 22); la Sala Rotonda era decimata (con le nicchie, un tempo occupate da statue e busti colossali, desolatamente vuote, Fig. 23), così come quella della Biga. Al posto delle sessantaquattro sculture più prestigiose del Museo Pio-Clementino, allontanate da Roma tra la primavera e l’estate del 1797, figuravano i calchi in gesso realizzati frettolosamente prima della partenza5.

Tutte le descrizioni del Vaticano pubblicate in lingua inglese negli anni della prima Restaurazione - quando l’afflusso dei turisti d’oltremanica riprese considerevolmente - non tralasciarono di sottolineare con disappunto tanta desolazione. Nel 1802 John Chetwode Eustace - che fu fra gli ultimi a visitare la Pinacoteca prima dello smantellamento e del trasferimento delle tele superstiti negli appartamenti papali - scrisse di un luogo utile all’esercizio del gusto ma non certo in grado di offrire esempi di eccellenza nell’arte. Si disse ammirato dalla quantità dei dipinti, meno dalla loro qualità, giudicata inferiore a quella delle tele conservate nelle chiese romane6.

Trasformò inoltre la descrizione del museo di antichità in un aperto atto d’accusa alla politica prevaricatrice e antilibertaria di Napoleone. Oppose cioè ad un esaltato giudizio sull’aspetto delle sale la denuncia della loro condizione corrente, frutto di un atto di appropriazione indebita, paragonabile alle razzie perpetrate a danno dei monumenti romani dalle popolazioni barbariche. «I Francesi che in ogni invasione sono stati il flagello dell’Italia e hanno rivaleggiato o piuttosto hanno superato la rapacità dei Goti e dei Vandali - annotò - hanno posato le loro mani sacrileghe

Strobel e M. Serlupi, Clemente XIV e Pio VI fondatori di nuovi musei. La dispersione delle collezioni gesuitiche e la loro assimilazione nelle raccolte vaticane, in Athanasius Kircher. Il Museo del mondo, catalogo della mostra (Roma, 2001), a cura di E. Lo Sardo, Roma 2001, pp. 277-285 e 287-291; M. Moschetta, Cenni storici sulla formazione della Pinacoteca Vaticana, in Il Museo senza confini: dipinti ferraresi del Rinascimento nelle raccolte romane, a cura di J. Bentini - S. Guarino, Ferrara e Milano 2002, pp. 339-347 (in part. pp. 339-342). Spogliata dai commissari direttoriali delle cinque opere maggiori (il Martirio di Sant’Erasmo di Poussin, il Martirio dei Santi Processo e Martiniano di Valentin, il Martirio di San Pietro di Guido Reni, il Miracolo di San Gregorio di Andrea Sacchi e l’Incredulità di San Tommaso, copia dal Guercino), nel periodo repubblicano era stata riconosciuta come il luogo di ricovero dei più prestigiosi dipinti provenienti dagli edifici religiosi soppressi, citata nei documenti come «pubblico museo». Cfr. P.P. Racioppi, Roma, le arti e la Rivoluzione. Il patrimonio storico-artistico al tempo della Repubblica Romana (1798-1799), tesi di dottorato in Storia e conservazione dell’oggetto d’arte e d’architettura, Università degli Studi Roma Tre, a.a. 2004-2005 (in particolare pp. 83-94). La lista dei venticinque dipinti mancanti al sopralluogo del 1800 è in: Pietrangeli, 1985; ed. cons. 1993, pp. 134-136.

5 La lista delle opere requisite è in: Pietrangeli, 1985; ed. cons. 1993, pp. 128-130. Ma si

vedano anche: D’Este, 1864, pp. 222-238; Vivant Denon directeur des musées sous le Consulat et l’Empire. Correspondance (1802-1815), a cura di M.A. Dupuy - I. le Masne de Chermont - E. Williamson, II, Paris 1999, pp. 1207 ss.

6 J.Ch. Eustace, A classical Tour through Italy, 2 voll., London 1802; ed. cons. A Tour Through Italy, exibiting a view of its scenery, its antiquities, and its monuments […], I, London 1813, p. 301.

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sull’incomparabile collezione del Vaticano, strappato i capolavori dai piedistalli, e trascinato via gli stessi dai templi di marmo, li hanno trasportati a Parigi e consegnati alle soffocanti e tetre stanze, o piuttosto stalle, del Louvre»7. Spregevole gli apparve lo smantellamento della Sala delle Muse, magnifico consesso di saggi, poeti e oratori al cospetto di Apollo e delle sue ancelle; un’assemblea, degna della gloria del Parnaso, purtroppo dispersa, con le Muse «sottratte alla luce e allo splendore del Vaticano» e «ora murate in una stanza sepolcrale, dove una singola finestra diffonde, attraverso un muro massiccio, pochi pallidi raggi di sole sulle loro lugubri nicchie». Disperazione più che sollievo gli arrecò la vista dei calchi in gesso dell’Apollo, del Laoconte e delle altre sculture del Cortile Ottagono8. Il colpo inferto ad un simile, magnificente,

deposito di antichità, area sacra ai cultori del bello, gli apparve dunque un insulto al grandioso progetto, maturato in seno alla Roma di Winckelmann e di Visconti, del museo inteso come spazio neutro e laico, capace di conciliare opposizioni e diversità, e di porsi dunque al di sopra delle appartenenze politiche ed ideologiche9. Per denunciare la violenta negazione di quel nobile ideale, più che per fornire un’informazione oggettiva, egli descrisse contestualmente il Louvre come un luogo buio, opprimente, funereo, come il teatro della morte.

In termini simili, seppur con una forza polemica minore, si espresse Joseph Forsyth, autore dei Remarks on antiquities, arts, and letters, during an excursion in Italy, in the

year 1802 and 1803, il quale antepose a qualunque altra considerazione sulle sale

espositive la nota che nessuno, tranne un francese, avrebbe potuto visitarle senza

7 Eustace, 1802, ed. cons. 1813, pp. 296-297. 8 Idem, pp. 298-299.

9 Numerose le riflessioni sul significato del Pio-Clementino nella sua fase aulica. Da ultimo: P.

Liverani, Dal Pio-Clementino al Braccio Nuovo, in Pio VI Braschi e Pio VII Chiaramonti. Due pontefici cesenati nel bicentenario della Campagna d’Italia, atti del convegno (Cesena, maggio 1997), a cura di A. Emiliani - L. Pepe - B. Dradi Maraldi, Bologna 1998, pp. 27-41; Idem, The Museo Pio-Clementino at the Time of the Grand Tour, in “Journal for the History of the Collections”, XII, 2, 2000 (b), pp. 151-159; Idem, La nascita del Museo Pio-Clementino e la politica canoviana dei Musei Vaticani, in Canova direttore di musei, atti della prima settimana di studi canoviani (Bassano del Grappa, 1999), a cura di M. Pastore Stocchi, Bassano del Grappa 2004, pp. 75-103 (in part. pp. 80-82); O. Rossi Pinelli, Per una “storia dell’arte parlante”: dal Museo Capitolino (1734) al Pio-Clementino (1771-91) e alcune mutazioni della storiografia artistica, in Intellettuali ed eruditi tra Roma e Firenze alla fine del Settecento, a cura di L. Barroero - O. Rossi Pinelli, numero monografico di “Ricerche di storia dell’arte”, 84, 2004, pp. 5-23. Nel suo valore di spazio neutro, luogo di incontro tra culture e sensibilità diverse, il museo si fece scenario, nel 1784, dell’incontro tra il protestante Gustavo III, re di Svezia, e Pio VI. Un episodio immortalato in due celebri tele di Bénigne Gagneraux (Stoccolma, Museo Nazionale; Praga, Galleria Nazionale) e in un rilievo bronzeo di Pietro Paolo Spagna (Città del Vaticano, Biblioteca Vaticana).

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provare dispiacere10. Similmente si espresse John Salmon, il quale chiuse le sue pagine sul Vaticano con il commento che «le sopra menzionate statue di Apollo, il gruppo del Laoconte, l’Antinoo, il Torso, l’Ercole, il Commodo, il Demostene, il Traiano etc. […] sono ora state trasferite a Parigi»11.

Un sentimento misto di dolore e rassegnazione trapela dalle pagine dei diari e della corrispondenza di altri viaggiatori. Madame de Staël, per esempio, in visita notturna al Pio-Clementino nel 1805, pianse la partenza dei più celebri marmi, giudicando i calchi, che pur aveva ammirato a villa Medici, un inadeguato palliativo12. Tristi

apparvero i gessi al drammaturgo tedesco August Kotzebue, che definì comunque la galleria di antichità «un tempio delle muse che non ne esiste un secondo»13.

In maniera disomogenea si pronunciarono invece gli estensori delle guide e delle descrizioni di Roma d’inizio secolo. Se Mariano Vasi aggiornò infatti il celebre

Itinerario istruttivo con la segnalazione delle modifiche intervenute agli spazi e con la

denuncia del trasferimento dei marmi a Parigi14, Giuseppe Antonio Guattani, autore della Roma descritta e illustrata, ignorò del tutto i cambiamenti. Raccontò cioè il museo di antichità come se nulla fosse intervenuto a scompigliarlo, presentando, per esempio, il Cortile Ottagono nell’allestimento stabilito al tempo di Pio VI: «Segue il Portico, una volta Cortile delle Statue; di figura ottagona […]. In questo nobilissimo peristilio, fra’ molti marmi preziosi, vi fanno la conversazione tre capi d’opera dell’arte greca, siano originali, siano copie, come tu vuoi, o come vogliono e pretendono alcuni moderni scrittori. L’Antinoo […] delizia del celebre Pussino; il famoso Apollo del Belvedere, la prima delle statue antiche; il Laoconte, gruppo de’

10 J. Forsyth, Remarks on antiquities, arts, and letters, during an excursion in Italy, in the year 1802 and 1803, London 1812; ed. cons. 1835, p. 202.

11 J. Salmon, An historical description of ancient and modern Rome, London 1800, p. 262

(citato in: Abita, 1998, p. 67).

12 S. Balayé, Les carnets de voyage de Madame de Stael, Genève 1971, pp. 248-249.

13 A. Kotzebue, Souvenirs d’un voyage en Livonie, à Rome et à Naples, faisant suite aux souvenirs de Paris, III, Paris 1806, pp. 330-336. «Il locale è talmente strabiliante, è un tale tempio delle muse che non ne esiste un secondo. Anche oggi, e nonostante i Francesi abbiano portato via gli ornamenti più belli, è ancora e resterà forse sempre il primo Museo del mondo. Tutto ciò che i più bei tempi dell’arte presso i Greci e i Romani hanno prodotto di prezioso, tutto ciò cha ha ornato anticamente i templi, i bagni, i palazzi, le tombe, le piazze pubbliche e i circhi, è qui riunito» (p. 330).

14 M. Vasi, Itinerario Istruttivo di Roma antica e moderna, II, Roma 1804. «Benché come

ognun sa, verso la fine dello scorso secolo, vari capi d’opera di scultura siano passati a Parigi, ciò non ostante a questi essendo stati sostituiti i gessi; e di giorno in giorno, per l’indefessa cura del Regnante Sommo Pontefice, aumentandosi sempre più di preziosi monumenti, non lascia d’essere questo luogo il più superbo, ed il più magnifico che possa da umana mente immaginarsi» (p. 592).

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gruppi antichi e moderni»15. Diversamente procedette Angelo Dalmazzoni che, nella sua guida dell’Urbe edita prima in inglese (1803) e poi in francese (1804), omise tanto la descrizione dei gessi quanto quella degli originali, preferendo additare al visitatore i marmi sfuggiti alla confisca16. Mentre Michelangelo Prunetti informò i lettori della

mancanza di «famosi marmi antichi, che ora si trovano sotto altro cielo», minimizzando però la portata delle perdite subite17. La convinzione che denunciare

l’assenza dei capolavori antichi significasse mettere in discussione il primato culturale della città - con la conseguente riduzione dei flussi turistici - fu probabilmente all’origine di scelte tanto originali.

Anche le contemporanee descrizioni letterarie non registrarono comunque le mutilazioni intervenute alla collezione archeologica. Esse continuarono piuttosto, sulla scia della tradizione settecentesca, ad enfatizzare il significato concettuale del Pio-Clementino: quello di estremo, e più riuscito, omaggio dei moderni alla società e alla cultura classica, nei suoi paradigmi etici non meno che formali. Oppure, in altri casi, proposero un’interpretazione del museo in chiave sentimentale, con una sottolineatura del valore spirituale ed etico dell’esperienza estetica.

Alessandro Verri vi ambientò la sesta delle sue Notti Romane (1804), incentrata sul racconto della visita delle ombre degli Scipioni all’antica villa dell’imperatore Nerone, sul monte Vaticano. Ne forgiò, nell’occasione, l’immagine di sacrario della storia greco-romana, realizzato dall’uomo moderno con tale reverente rispetto e accuratezza da suscitare negli antenati commozione e gratitudine: «Quando vi penetrarono [nei locali], e videro il meraviglioso artifizio delle dipinture in ogni parete, ed i prodigi de’ pennelli imitatori della greca sublimità […]; quando in ispaziose aule disposti ammirarono i simulacri de’ loro numi, le immagini de’ loro eroi, quelle de’ celebrati uomini, e insieme le urne loro, le inscrizioni delle tombe, le are, gli arredi de’ riti sacri, i Penati domestici, le suppellettili, le armi, gli ornamenti femminili, le monete; quando così ogni memoria, o appartenenza de’ loro modi e costumi conobbero servate non solo per curiosità, ma con pietosa venerazione, allora vidi ch’erano tutti gli spettri compresi da inesplicabile meraviglia e insieme da tenera contentezza. Vidi a molti grondare dagli occhi le stille di gioia; altri con volti splendidi per essa, trascorreano

15 G.A. Guattani, Roma descritta e illustrata, II, Roma 1805, p. 85.

16 A. Dalmazzoni, The antiquarian or the guide for foreigners to go the rounds of the antiquites of Rome, Rome 1803, pp. 218-225; Idem, L’antiquaire ou la guide des étrangers pour le cours des antiquités de Rome, Rome 1804, pp. 220-227.

17 M. Prunetti, L’osservatore delle Belle Arti in Roma ossia esame analitico de’ monumenti antichi, e moderni spettanti alla pittura, scultura e architettura, II, Roma 1808, pp. 268-291.

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ansiosi contemplando le immagini loro proprie o de’congiunti; altri stavano innanzi alcun simulacro di celebrato uomo, taciti e pensierosi godendone lo aspetto. Talune sembianze io ravvisai nella moltitudine le quali somigliavano a qualche immagini ivi presente […]. Come le api ronzano su’ fiori, così gustavano gli spettri quegli innumerevoli oggetti. Né mi sembrava dovessero mai allontanarsene per la insaziabile brama di ammirarli, se altra non gli avesse infine distolti, quella cioè di conoscere il rimanente della patria loro»18.

Diversamente madame de Staël - che pur ebbe consuetudine con Verri nei mesi di soggiorno capitolino e arrivò a definirlo, in una lettera a Vincenzo Monti, «l’uomo più distinto di questo paese»19 - preferì consegnare del Pio-Clementino l’immagine di un

luogo apportatore di soddisfazione morale, anticipando la riflessione di Johann Wolfgang Goethe, tra i primi estimatori dell’impresa di papa Braschi20. Nel romanzo Corinne ou l’Italie dedicò varie pagine al resoconto della visita della protagonista, suo

alter-ego, al complesso vaticano, descrivendo la sosta nel museo come un’esperienza profondamente spirituale, in grado di avvicinare l’uomo alla bellezza assoluta e alla sfera divina: «Corinne fece notare a lord Nelvil quelle sale silenziose dove sono riunite le immagini degli dei e degli eroi, dove la più perfetta bellezza, in un riposo eterno, sembra gioire di se stessa. Nel contemplare quei tratti e quelle forme ammirabili, si rivela io non so quale disegno della provvidenza sull’uomo […]. L’anima si eleva in quella contemplazione a delle speranze piene di entusiasmo e di virtù; poiché la bellezza è una nell’universo, e, sotto qualsiasi forma essa si presenti, eccita ogni volta un’emozione religiosa nel cuore dell’uomo. Quale poesia in quei visi dove la più sublime espressione è fissata per sempre, o i più grandi pensieri sono rivestiti di un’immagine sì degna di loro!»21.

Pur taciuta in tali, straordinarie, rievocazioni poetiche, la condizione del Pio-Clementino fu cagione - ad apertura di secolo - soprattutto di affanni e

18 A. Verri, Le Notti Romane; ed. a cura di R. Negri, Bari 1967, pp. 253-255. Il romanzo fu

composto dallo scrittore in due riprese, edite rispettivamente nel 1792 e nel 1804. Ebbe un grande successo, soprattutto in Francia, per un totale di trentadue ristampe e otto traduzioni nel decennio compreso tra il 1804 e il 1814. Cfr. C. Springer, The Marble Wilderness. Ruins and Representation in Italian Romanticism, 1775-1850, Cambridge University Press 1987, pp. 39-41.

19 A.-L.-G. Necker, Madame de Stäel, Correspondance générale, tome V, deuxième partie, Le Léman e l’Italie, 19 mai 1804 - 9 novembre 1805, texte établi et présenté par B.W. Jasinski, Paris 1985, p. 495. Lettera a Vincenzo Monti del 7 febbraio 1805.

20 J. W. Goethe, Italienische Reise, 1817-1829; ed. cons. Viaggio in Italia (1786-1788), Milano

1991, pp. 466-468.

21 A.-L.-G. Necker, Madame de Staël, Corinne ou l’Italie, 1807; ed. cons. a cura di S. Balayé,

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preoccupazioni22. La volontà di riconsegnare al museo un ruolo centrale all’interno del sistema delle arti si scontrò in effetti da una lato con la scarsa disponibilità delle finanze pontificie e dall’altro con la difficoltà di apportare variazioni al progetto allestitivo originario, “vecchio” di appena trent’anni e assolutamente coerente con l’architettura.

Stando ad Antonio D’Este, «con amarezza ricordava Canova le perdite che aveva sofferto la sede delle belle arti, con la cessione de’ suoi capolavori nella malaugurata pace di Tolentino; ed era sempre in cima de’suoi pensieri di trovare il modo di ripararle, almeno in parte»23. Fu dunque per avviare la rinascita del museo che l’artista suggerì, prima ancora che l’idea della galleria Chiaramonti prendesse corpo, l’acquisto di due rilievi e del colossale Ritratto di Augusto di proprietà Mattei, a rischio di esportazione. Nel 1802, approfittando dell’appoggio di Carlo Fea, neo commissario alle Antichità, promosse inoltre l’ingresso nella collezione del Tiberio seduto da Priverno, facendolo collocare - in verità senza alcuna coerenza, e forse in vista del trasferimento nella nuova ala24 - nella Sala degli Animali, in luogo del Nilo e del Tevere migrati in Francia25. Per ripopolare la Sala delle Muse sollecitò infine nel 1807 l’acquisto dalla famiglia Lancellotti di due statue femminili panneggiate (riconducibili iconograficamente ai prototipi perduti)26.

Da un punto di vista museografico, l’unica modifica sostanziale apportata dall’ispettore generale delle Belle Arti fu la muratura dell’arcone principale dei gabinetti angolari del Cortile Ottagono, un tempo occupati dall’Antinoo-Hermes, dall’Ercole-Commodo, dall’Apollo del Belvedere e dal Laoconte. Gli abbaini, previsti nell’architettura di Michelangelo Simonetti e visibili nelle incisioni di Vincenzo Feoli (Fig. 24), si trasformarono dunque nell’unica fonte di illuminazione delle sculture, in precedenza investite frontalmente dal riverbero dei raggi solari. Si trattava di una soluzione che non scaturiva dalla volontà di rendere meno evidente l’assenza dei capolavori quanto piuttosto dalla scelta di privilegiare per i marmi (temporaneamente

22 Sugli anni “bui” del Pio-Clementino le riflessioni scarseggiano. Si vedano comunque:

Pietrangeli, 1985 (ed. cons. 1993, pp. 131-138); P. Liverani, L’evoluzione della collezione vaticana di antichità tra il trattato di Tolentino e il congresso di Vienna, in Ideologie e patrimonio storico-culturale nell’età rivoluzionaria e napoleonica, atti del convegno (Tolentino, 1997), Roma 2000 (a), pp. 340-342; Liverani 2004, p. 84.

23 D’Este, 1864, p. 112.

24 Nel 1814 Jean-Baptiste Lawrence lo scorse nella galleria Chiaramonti, giudicandolo meno

bello di quello di Veio: J.B. Lawrence [G. Laoureins], Tableau de Rome vers la fin de 1814, Bruxelles 1816, p. 150.

25 Lo vide Forsyth, che ne annotò la recente acquisizione (1812; ed. cons. 1835, p. 203). 26 Liverani, 2000 (a), pp. 346-347.

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per i loro calchi in gesso) una luce di tipo zenitale, secondo l’orientamento prevalente nell’Europa illuminista e nei paesi di orbita francese27.

L’operazione che permise al Pio-Clementino di riconquistare in parte la centralità perduta fu comunque l’acquisizione - con rescritto papale del 10 agosto 1802 - del

Perseo trionfante e dei pugilatori Creugante e Damosseno di Canova: i primi marmi

moderni ammessi nelle sale, chiamati dunque al confronto o, come è stato scritto, alla “sfida rispettosa”28 con i modelli dell’antichità.

Il Perseo, in particolare, «gareggiatore delle grazie e delle forme greche»29, finì sul

piedistallo già occupato dall’Apollo del Belvedere, a simbolico risarcimento dell’oltraggio subito dalle proprietà papali. Nel 1802 Forsyth fu tra i primi a coglierne la programmatica vicinanza alle forme della più celebre scultura classica, descrivendolo come «posto in faccia al gesso dell’Apollo di Belvedere», quasi a «sfidarne il paragone»30. Una notazione, la sua, tanto pertinente da figurare, in

traduzione italiana, nella Vita di Canova di Melchiorre Missirini: «Queste due statue sono pari nel sentimento, nell’occasione e nel punto del trionfo: Apollo ha già lanciato la freccia, e Perseo ha già tronco il capo di Medusa»31.

Con i due pugilatori la sorte fu, in verità, meno generosa: malauguratamente separati al momento dell’ingresso nel museo32, vennero riuniti nel Cortile Ottagono soltanto negli anni successivi (entro il 1814)33. Contribuirono comunque, con l’evidenza

plastica delle loro forme atletiche, ad avallare la definitiva investitura di Canova a novello Fidia.

Le nuove acquisizioni e le immissioni di calchi in sostituzione degli originali perduti non comportarono comunque la dismissione dell’ordinamento settecentesco, fissato sulle pagine dell’Indicazione antiquaria del pontificio Museo Pio-Clementino in

27 A. Mottola Molfino, Il libro dei musei, Torino 1991, pp. 28-40; V. Plagemann, Musée et Panthéon. L’origine du concept architectural du musée, in Les musées en Europe à la veille de l’ouverture du Louvre, atti del convegno (Parigi, 1993), a cura di É. Pommier, Paris 1995, pp. 213-241. Sulla scelta dell’illuminazione zenitale per il Braccio Nuovo del Museo Chiaramonti (1817-1822): Liverani, 1998; Idem, 2004, pp. 96-98. Sul contesto lombardo: A. Scotti Tosini, Finestre e lucernari a Brera: un aspetto delle sistemazioni museali napoleoniche, in Ideologie e patrimonio storico-culturale, 2000, pp. 281-292.

28 A. Pinelli, La sfida rispettosa di Antonio Canova. Genesi e peripezie del “Perseo trionfante”, in “Ricerche di storia dell’arte”, 13-14, 1981, pp. 41-56.

29 D’Este, 1864, p. 120.

30 Forsyth, 1812; ed. cons. 1835, p. 205.

31 M. Missirini, Vita di Antonio Canova, Prato 1824; ed. cons. a cura di F. Leone, Bassano del

Grappa 2004, p. 144.

32 Forsyth, 1812 (ed. cons. 1835, p. 206); Prunetti, II, 1808, p. 287. Guattani e Kotzebue

individuano uno dei due pugilatori nella Galleria dei Busti (Guattani, II, 1805, p. 86; Kotzebue, III, 1806, p. 333).

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Vaticano di Pasquale Massi (1792) e della Descrizione […] del Museo Pio-Clementino di Mariano Vasi (1794)34. Le sculture risparmiate dai commissari francesi

rimasero cioè nella posizione assegnata loro, tra il 1771 e il 1792 circa, da Giovanni Battista ed Ennio Quirino Visconti: distribuite nelle sale secondo rigorose categorie tematiche, con l’obiettivo di sollecitare al pubblico una riflessione estetica più che storica o erudita35.

Per supplire alle spoliazioni seguite al trattato di Tolentino il pontefice Chiaramonti, piuttosto che attentare alla forma del Pio-Clementino, preferì costruire una nuova galleria archeologica. Nei mesi successivi all’emanazione dell’editto Doria-Pamphjli - che stabilì lo stanziamento da parte del governo di diecimila scudi annui per l’incremento delle collezioni pubbliche di antichità - egli individuò nella parte settentrionale del cosiddetto Corridoio del Bramante lo spazio adatto ad ospitare il museo che avrebbe portato il suo nome36. Si trattava di un lungo ambiente, al tempo

34 P. Massi, Indicazione antiquaria del pontificio Museo Pio-Clementino, in Vaticano stesa da P.M. cesenate custode del museo, Roma 1792; M. Vasi, Descrizione della Basilica di San Pietro e del Palazzo Vaticano cioè delle Logge e Camere di Raffaello e del Museo Pio-Clementino, Roma 1794.

35 Le vicende della costituzione e dell’edificazione del Pio-Clementino sono state ampiamente

trattate dalla storiografia critica. Mi limito qui di seguito a segnalare i più esaurienti contributi in materia: C. Pietrangeli, Scavi e scoperte di antichità sotto il pontificato di Pio VI, Roma 1958; Idem, I Musei Vaticani al tempo di Pio VI, in “Rendiconti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia”, XLIX, 1976-1977, pp. 195-233; Pietrangeli, 1985 (ed. cons. 1993, pp. 49-110); G.P. Consoli, Il Museo Pio-Clementino. La scena dell’antico in Vaticano, Modena 1996; G. Spinola, Il Museo Pio-Clementino, 1, Città del Vaticano 1996; Idem, Il Museo Pio-Clementino, 2, Città del Vaticano, 1999; S. Pasquali, Roma antica: memorie materiali, storia e mito, in Roma moderna, a cura di G. Ciucci, Roma-Bari 2002, pp. 342-347; Rossi Pinelli, 2004. Fondamentali le riflessioni contenute nel volume: F. Haskell - N. Penny, Taste and the Antique. The Lure of Classical Sculture 1500-1900, New Haven - London 1981; trad. it. L’antico nella storia del gusto. La seduzione della scultura classica 1500-1900, Torino 1984. Su Giovanni Battista Visconti si vedano: Consoli, 1996, pp. 37-38; D. Gallo, I Visconti. Una famiglia romana al servizio dei papi, della Repubblica e di Napoleone, in Roma tra fine Settecento e inizi Ottocento, a cura di Ph. Boutry - M. Travaglini, numero monografico di “Roma moderna e contemporanea”, II, 1, gennaio-aprile 1994, pp. 77-90. Su Ennio Quirino: O. Rossi Pinelli, Osservare, confrontare, dubitare: Ennio Quirino Visconti e i fondamenti della storia dell’arte antica, in Villa Borghese. I principi, le arti, la città dal Settecento all’Ottocento, catalogo della mostra (Roma, 2003-2004), a cura di A. Campitelli, Ginevra - Milano 2003, pp. 123-130. Sulla decorazione pittorica della Sala delle Muse: F. Leone, in Temi antiquari e letterari come allegoria politica. La decorazione pittorica della Sala delle Muse del Museo Pio-Clementino, in La città degli artisti nell’età di Pio VI, a cura di L. Barroero - S. Susinno, numero monografico di “Roma moderna e contemporanea, X, 1-2, 2002, pp. 131-152. Fondamentali inoltre per comprendere la cultura all’interno della quale il progetto maturò: R. Assunto, L’antichità come futuro, Milano 1973; A. Ottani Cavina, Il Settecento e l’antico, in Storia dell’arte italiana, II.2, a cura di F. Zeri, Torino 1982, pp. 599-660.

36 Sulla genesi, il significato e la forma del Museo Chiaramonti si vedano: D’Este, 1864, pp.

113-118, 134-135; M.A. De Angelis, Il primo allestimento del Museo Chiaramonti in un manoscritto del 1808, in “Bollettino dei Monumenti Musei e Gallerie Pontificie”, XIII, 1993,

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occupato dalla prestigiosa collezione epigrafica vaticana, spoglio di decorazioni e lastricato con «logoro pavimento di mattoni a spiga, e d’ogni lato aperto alle intemperie delle stagioni»37.

Il papa assegnò a Canova, nella veste di ispettore generale delle Belle Arti, il compito degli acquisti, necessari, oltre che a risarcire le lacune della collezione, a mettere a tacere le lamentele degli antiquari, degli artisti e degli esponenti della nobiltà capitolina, duramente penalizzati dalle misure proibizionistiche contenute nel dettato legislativo del 1802. In cinque anni l’artista selezionò più di mille marmi, per l’acquisizione dei quali fu investita la somma di circa settantamila scudi38. Ad essi si unirono sculture già presenti nei magazzini, statue ed erme giunte dai giardini e dalle stanze del Quirinale o da altri appartamenti privati: un numero di reperti pari, se non superiore, a quello delle opere conservate nel Pio-Clementino.

Canova affidò ad Antonio D’Este (Fig. 25) e ai suoi figli, Giuseppe e Alessandro (Fig. 26), la responsabilità del trasporto delle sculture in Vaticano, dei restauri e della messa in opera39. Dal 1805 Antonio, in particolare, fu incaricato del controllo delle “note di

spesa”, sorta di registri dei pagamenti da disporre in favore dei lavoratori giornalieri e dei fornitori di materie prime; una mansione svolta a titolo gratuito per due anni, che lo mise nella condizione di sollecitare al papa la nomina a conservatore del museo, con autorità estesa sul Pio-Clementino (al tempo diretto solo nominalmente da Gaetano Marini). Il 18 marzo del 1807 Pio VII acconsentì, fissando la remunerazione mensile alla cifra di quattordici scudi, e stabilendo la dipendenza della carica dalle direttive del maggiordomo dei Sacri Palazzi e dell’ispettore generale delle Belle Arti40.

pp. 81-126; Pietrangeli, 1985 (ed. cons. 1993, pp. 142-144); Liverani, 1998, pp. 27-41; Liverani, 2000 (a), pp. 339-353; Liverani, 2004, pp. 75-103 (in part. pp. 85-92).

37 Citazione tratta da: De Angelis, 1993, p. 82, nota 2.

38 D’Este, 1864, p. 116. Agli stanziamenti governativi si aggiunsero gli introiti del gioco del

Lotto, come è specificato nella memoria conservata in: ASV, Fondo Sacri Palazzi Apostolici, Titoli, 108, 5 agosto 1831 (in copia: ASMV, busta 14e).

39 Su questo particolare aspetto dell’attività dei D’Este: M. R. Sforza, Antonio d’Este a Roma, 1755-1803: il completamento della sua formazione tra compravendite, copie, restauri e collezioni d’antichità, in Sculture romane del Settecento, I. La professione dello scultore (Studi sul Settecento Romano, 17), Roma 2001, pp. 261-288; S. Zizzi, Antonio D’Este (1754-1837). Antiquario, restauratore, primo direttore dei Musei Vaticani, in “Antologia di Belle Arti” (Studi sul Settecento, III), n. s., 63-66, 2003, pp. 161-181. Manca ad oggi un profilo biografico di Giuseppe D’Este, che svolse l’attività di incisore sotto la guida di Giovanni Volpato, mentre notizie su Alessandro si trovano in: P. Mariuz, s.v., in Dizionario Biografico degli Italiani, 39, Roma 1991, pp. 424-425. Si veda pure la scheda biografica contenuta in: Il palazzo del Quirinale. Il mondo artistico a Roma nel periodo napoleonico, a cura di M. Natoli - M.A. Scarpati, II. Roma 1989, p. 31.

40 D’Este, 1864, p. 132; Zizzi, 2003, pp. 166-167. La data della nomina di D’Este è riportata in

una memoria redatta dal figlio Alessandro nel 1824, conservata in: ASMV, busta 12, fasc. 4, f. 14. Trascritta nell’appendice documentaria (XXVIII).

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Contestualmente Pietro Massi venne assunto come custode, in aggiunta al fratello Tommaso, sorvegliante dell’altra galleria di antichità. Un reclutamento - che pesò sulle casse pontificie per sette scudi al mese - da spiegarsi con la discendenza da Pasquale, primo custode del Pio-Clementino, e da inserirsi, dunque, all’interno del sistema della “raccomandazione” ovvero della segnalazione da parte di familiari41. Per il fidato collaboratore di Canova si trattava di un alto riconoscimento, paragonabile soltanto a quello assegnato dai pontefici Ganganelli e Braschi a Giovanni Battista e Filippo Aurelio Visconti, direttori del Pio-Clementino rispettivamente dal 1771 al 1784 e dal 1784 al 180042. Un’investitura che trasferiva sugli artisti la gestione delle istituzioni museali, fino all’occupazione giacobina ad esclusivo appannaggio degli antiquari43.

Il passaggio di responsabilità dagli eruditi ai professori del disegno suggellava, nello specifico, l’avvenuto cambiamento di status della statuaria classica che, nel corso della seconda metà del Settecento, aveva in parte abbandonato l’identità di “documento”, complemento delle fonti storiche e letterarie, per assumere quella di “monumento”, testimonianza del bello, offerta all’ammirazione degli artisti e dei filosofi. Un cambiamento di condizione che si era consumato proprio in Vaticano, al momento dell’allestimento del Pio-Clementino, quando il museo, perdendo in parte il ruolo di luogo della memoria e della storia, aveva acquistato la condizione di spazio consacrato alle arti e alla riflessione estetica. Le scelte collezionistiche dei Visconti si erano in effetti discostate decisamente dalla linea Bianchini-Maffei, che aveva suggerito a Capponi l’impianto del Museo del Campidoglio, per aderire piuttosto alla linea Winckelmann, che aveva guidato l’ordinamento di villa Albani44.

Sono le biografie canoviane - e in particolare quella scritta da Antonio D’Este - ad accennare alla linea progettuale seguita da Canova nelle trattative d’acquisto dei marmi. Consapevole dell’impossibilità di eguagliare la qualità dei pezzi ceduti alle armate napoleoniche, lo scultore impostò una strategia fondata sull’accumulo di opere di seconda grandezza, di modo che «di mano in mano che coll’annuo assegnamento de

41 Pietro venne assunto con rescritto del maggiordomo dei Sacri Palazzi Apostolici a seguito

dell’udienza papale del 26 marzo 1808. Tommaso aveva invece iniziato a lavorare in Vaticano ben prima, come aiutante del padre, forse già nel 1789, all’età di dieci anni. Percepiva nel 1808 nove scudi al mese. Cfr. De Angelis, 1993, p. 82, nota 5. Dei due si tornerà a parlare nelle pagine successive, in particolare nel paragrafo III.4.

42 Entrambi i Visconti rivestirono la carica di direttori del Pio-Clementino in qualità di

commissari delle Antichità.

43 Cfr. infra (III.2).

44 Sulla trasformazione dell’identità e delle finalità delle gallerie di antichità nella Roma del

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10,000 scudi si acquisterà qualche oggetto migliore e più bello, si leverà il mediocre, e si formerà una raccolta degna del Vaticano»45. Concepì dunque la galleria come

un’entità in evoluzione, dotata di un assetto semi-definitivo, ordinato nell’insieme ma disponibile a modifiche e aggiustamenti. Una creatura in fieri, lontana dal modello, difficilmente modificabile, del Pio-Cementino. A guidarlo fu il convincimento che fossero degni delle attenzioni sovrane e del pubblico non soltanto gli oggetti artisticamente pregevoli ma anche quelli più modestamente rappresentativi della storia e della religione pagana.

Superando il pregiudizio che aveva escluso dagli allestimenti precedenti i pezzi qualitativamente meno pregevoli, Canova arricchì la raccolta di parati decorativi e di elementi portanti. Procedette alternando ad una quadratura fitta di busti celebrativi e di ritratti - disposti su due piani di mensole - uno spazio occupato da statue a grandezza naturale, accostate per affinità tipologica o tematica. In entrambi i casi incassò sulle superfici murarie bassorilievi e trabeazioni, in qualche caso esposte senza subire restauri integrativi. Un fattore di assoluta novità quest’ultimo, al quale soltanto di recente la storiografia critica ha attribuito una valenza estetica. L’acquisizione, in ambito museale, dell’autosufficienza da parte del frammento è stata cioè riconosciuta non tanto come una concessione al “pittoresco” piranesiano, quanto come un segno della penetrazione nel cuore del neoclassicismo di una sensibilità romantica. All’inizio dell’Ottocento, a Roma in particolare, al rudere venne in effetti riconosciuta la specificità di «testimonianza di uno stato originario non trasfigurato da manomissione improprie»46.

L’abbandono del museo dei capolavori non dipese soltanto dal dissesto delle finanze pontificie, di cui si è abbondantemente detto. Furono gli scritti di Quatremère de Quincy, largamente diffusi nell’ambiente culturale romano del primo Ottocento, ad indirizzare Canova verso una simile scelta. Molti passaggi delle Lettres à Miranda - catalizzatrici delle attenzioni dell’artista già al momento della prima diffusione, nel 1796 - sembrano chiarire perfettamente le intenzioni che ispirarono l’allestimento della nuova ala vaticana. Nella quarta lettera, per esempio, Quatremère sostiene che «non si saprebbe dire, in effetti, se l’inferiorità stessa delle opere più o meno prive di bellezza […] non serva ancor di più della superiorità delle altre, alla ricerca del bello e

45 D’Este, 1864, p. 117.

46 Cfr. O. Rossi Pinelli, Restauri, rifacimenti, copie: i musei e il gusto per il “frammento”, in Il primato della scultura: fortuna dell’antico, fortuna di Canova, atti della seconda settimana di studi canoviani (Bassano del Grappa, 2000), a cura di M. Pastore Stocchi, Bassano del Grappa 2004, pp. 13-26 (in part. pp. 18-19).

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all’insegnamento delle arti», aggiungendo inoltre che «nelle opere inferiori dell’antico, poste accanto a quelle eccellenti, vi è una proprietà dimostrativa, una virtù istruttiva, che i capolavori isolati non saprebbero procurarci. È che in questo caso, come in molti altri, talvolta si sente meglio attraverso la privazione che attraverso il godimento. Sì, tutti questi gradi secondari dei prodotti dell’antico servono più di quanto si possa dire allo studio del bello e del vero, sia come soggetti di dimostrazione sia come termini di paragone, che danno tanto più risalto e fanno tanto più brillare le opere superiori». Guidato dalla convinzione che il giudizio estetico, atto preliminare alla creazione artistica, fosse il frutto del paragone e della relazione tra esemplari diversi, l’intellettuale francese conclude infine che «la conoscenza del bello […] si forma attraverso una specie di scala comparativa che classifica i modelli dell’arte, i livelli tra loro e crea una sorta di gerarchia di merito»47.

Tali riflessioni conferirono all’allestimento un’organizzazione antitetica rispetto a quella del Pio-Clementino, centrata sull’isolamento del capolavoro e sulla creazione di insiemi di grande impatto visivo ed emotivo. Un’organizzazione riproposta da Ennio Quirino Visconti nelle Salles des Antiques al primo piano del Louvre48.

Quanto alla forma architettonica - frutto del cambiamento di destinazione d’uso di un locale preesistente, con il minimo sforzo economico e tempi ridottissimi - essa non ebbe niente in comune con la varietà delle soluzioni e la strabiliante ricchezza di ornati della galleria confinante. Le poche immagini superstiti - con le pareti rivestite di un’intonacatura neutra, le volte spoglie e l’illuminazione uniforme, proveniente dalle alte finestre affacciate sul cortile del Belvedere - ne trasmettono un aspetto austero, quasi dimesso (Fig. 27).

Come intuibile, Canova individuò nella selezionata e ristretta cerchia degli artisti il pubblico di riferimento. Alla chiusura dei lavori si disse convinto che ogni più minuto frammento potesse ritenersi fonte di ammaestramento per scultori, «professori

47 A.C. Quatremère de Quincy, Lettres sur le préjudice qu’occasionneroient aux Arts et à la Science, le déplacement des Monuments de l’art de l’Italie […], Paris 1796; ed. cons. Lettere a Miranda, con scritti di E. Pommier, introduzione, traduzione e cura di M. Scolaro, Bologna 2002, pp. 191-192.

48 Cfr. A. McClellan, Inventing the Louvre. Art, Politics and the Origins of the Modern Museum in Eighteenth Century Paris, Cambridge 1994, pp. 148-154; Dominique Vivant Denon. L’oeil de Napoléon, catalogo della mostra (Paris, 1999-2000), a cura di P. Rosemberg - M.A. Dupuy, Paris 1999, pp. 153-156: Ph. Malgouyres, Le Musée Napoléon, Paris 1999, pp. 11-35; D. Gallo, Le musée Napoléon et l’histoire de l’art antique, in Les vies de Dominique-Vivant Denon, atti del convegno (Paris, 1999), a cura di D. Gallo, II, Paris 2001, pp. 685-723.

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architetti» e «studenti della parte decorativa», in maggioranza pittori49. Ribadì il concetto negli anni successivi, prima al cospetto delle gerarchie napoleoniche e poi di quelle pontificie. «Quello che non è ammirabile per un viaggiatore, ed un grande - scrisse nel 1820 - lo può essere, e lo è per un’artista, il quale trova l’utile suo in ogni minima cosa; il più lieve oggetto è capace di destargli un’idea, il più minuto fragmento lo porta alla cognizione di una parte importante o riguardo alla mitologia, o alla storia, o alla cronologia, o al costume, o all’arte»50. Da “professore” e “intendente” - ha sostenuto di recente Ranieri Varese - egli interpretò il museo soprattutto come una struttura di supporto alla formazione accademica, preposta a fornire una gamma di modelli in grado di stimolare, nel rispetto della tradizione, la creatività individuale51.

Che il suo fosse un pensiero condiviso è dimostrato peraltro da quanto asserito da Guattani e Filippo Aurelio Visconti nell’introduzione al catalogo illustrato del Chiaramonti. Plaudendo alla nuova prova della munificenza pontificia, i due riconobbero agli «avanzi delle antiche fabbriche» convenuti in Vaticano principalmente il compito dell’educazione dei giovani talenti. Si dissero inoltre convinti che una raccolta così cospicua, seppur non omogenea dal punto vista qualitativo, ponesse gli artisti e gli artigiani «nella più sicura strada della nobile imitazione della natura»52.

Concordemente a tale interpretazione, il frontespizio del monumentale volume (Fig. 28), inciso da Alessandro Moschetti su disegno di Andrea Pozzi, propose lo stemma Chiaramonti fiancheggiato dalla figura seduta di un genio delle arti (con gli strumenti della pittura, scultura e architettura ai piedi) e da una nutrita serie di erme, vasi e bassorilievi, sull’esempio del dipinto di Bernardino Nocchi con l’Allegoria del Museo

Pio-Clementino (Roma, Museo di Roma). Un’immagine dall’inequivocabile carattere

49 «[Canova] volle che ancora gli oggetti di architettura e di ornato facessero parte di quella

raccolta; al che non era stato pensato nell’erezione del Museo Clementino-Pio. E ciò fece con sano accorgimento; imperocché i frammenti d’architettura e di ornato, furono poscia riconosciuti utili, non solo ai professori architetti, ma utilissimi agli studenti della parte decorativa: e bene il mio amico diceva, non esservi divorzio fra le arti sorelle: e con più forza replicava; «sempre si raccolgono monumenti di scultura e di pittura; ora perché l’architettura non si cura e si lascia?». D’Este, 1864, p. 117.

50 Memoria di Antonio Canova sulla specificità dei musei romani, luoghi destinati alla custodia degli oggetti di maggiore e minore pregio (minuta), 1820: ASMV, busta 7, fasc. 8, f. 1. Trascritta nell’appendice documentaria (XXVII).

51 R. Varese, Canova e l’idea di museo, in Canova direttore di musei, 2004, pp. 103-125 (in

part. pp. 105-106).

52 F.A. Visconti - G.A. Guattani, Il Museo Chiaramonti aggiunto al Pio-Clementino da N.S. Pio VII P.M., I, Roma 1808, p. V. Il museo aprì al pubblico sul finire del 1807, come ricorda l’iscrizione sistemata al suo ingresso: Pietrangeli, 1985; ed. cons. 1993, p. 143.

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encomiastico che, identificando la nuova galleria come deposito dell’antico, ne esaltava pure il valore di luogo della contemporaneità.

Al modello del Chiaramonti si sarebbero ispirate le iniziative promosse da Canova nel periodo francese. I fondamenti teorici alla base di quell’impresa avrebbero cioè regolato la sistemazione delle aree espositive aperte al pubblico tra il 1811 e il 1814. Alla vigilia dell’ingresso a Roma di Miollis gli ambienti vaticani a disposizione dei

grand tourists, degli eruditi e degli artisti non si limitavano comunque ai due musei di

antichità.

Sul lato meridionale del Cortile del Belvedere continuavano a rimanere aperte le sale raggiungibili dall’atrio della basilica di San Pietro: la Sala Regia, la Cappella Sistina, la Cappella Paolina e la Sala Ducale; mentre l’appartamento Borgia, con le pitture di Pinturicchio «patite e guaste»53, era ridotto a poco più che un locale di passaggio. Al

secondo piano del palazzo pontificio le Logge e le Stanze di Raffaello richiamavano il maggior numero di presenze. Gli itinerari di visita suggeriti da Vasi, da Guattani e da Prunetti davano ai locali affrescati dall’Urbinate precedenza rispetto alle gallerie archeologiche, l’accesso alle quali era consentito dalla Biblioteca o, preferibilmente, dal Corridoio del Bramante54.

Affidate al governo di Canova al momento della nomina a ispettore generale delle Belle Arti, le “sale delle pitture” ricaddero, a partire dal 1806, sotto la sorveglianza di due custodi, incaricati pure delle pulizie: Pietro Sirletti (che si occupò delle Logge e delle Stanze) e Filippo Colarelli (che si occupò della Cappella Sistina e degli ambienti adiacenti)55. Esse passarono sotto l’autorità di Camuccini il 26 luglio del 1809, tre

settimane dopo l’arresto di Pio VII da parte del generale Radet. In quel giorno il maggiordomo del papa, monsignor Benedetto Naro, investì il pittore, al tempo principe dell’Accademia di San Luca, del ruolo di ispettore delle Pitture del Vaticano, disattendendo il parere, contrario, di Canova (che non tardò a produrre un reclamo)56.

53 Prunetti, II, 1808, p. 252.

54 Vasi, II, 1804, pp. 568-591; Guattani, II, 1805, pp. 81-89; Prunetti, II, 1808, pp. 246-291.

Dell’itinerario di visita suggerito ad apertura di secolo si tornerà a parlare al paragrafo IV.2.

55 Così è scritto in: ASMV, busta 4, fasc. 2, f. 2.

56 Parla dell’episodio in toni pacati: C. Falconieri, Vita di Vincenzo Camuccini e pochi studi sulla pittura contemporanea, Roma 1875, p. 76. Vi accenna con fastidio: D’Este, 1864, p. 158. Un riferimento in: M. Pavan, I Musei Vaticani, il Canova e il governo napoleonico (1809-1814), in Studi in onore di Elena Bassi, Venezia 1998, p. 138.

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Fino al 17 ottobre del 1811, quando presentò personalmente a D’Este le proprie dimissioni57, fu dunque Camuccini a rilasciare agli studenti i permessi di

frequentazione dei locali58 e a pianificare gli interventi conservativi. Soprattutto la condizione delle Stanze fu cagione presumibilmente di preoccupazioni e affanni, dato il degrado della pellicola pittorica, in qualche parte rialzata e nel complesso oscurata da uno spesso strato di polvere e dal fumo delle candele. Già Mary Berry, giovane rappresentante dell’upper class inglese, in visita a Roma nel dicembre del 1783, aveva in effetti annotato sul diario di viaggio che i locali erano «scuri e sporchi» e che «la stanza dove si trova la Scuola di Atene è quella che ha maggiormente sofferto a causa del tempo e dell’incuria»59. La preoccupazione per la possibile perdita delle pitture era

stata inoltre all’origine della proposta canoviana (da datarsi al 1802) di ingaggiare un copista per la riproduzione integrale, e a grandezza naturale, degli affreschi60.

II.2. Il polo capitolino

All’impegno elargito per confermare al polo vaticano il ruolo di privilegiato deposito dell’antichità classica, Pio VII e i suoi consiglieri artistici opposero una certa noncuranza al riguardo del complesso capitolino. Occupati a restituire al Pio-Clementino il decoro perduto e ad allestire la galleria Chiaramonti, essi trascurarono

57 Lettera di Camuccini a D’Este, trascritta in D’Este, 1864, pp. 438-439.

58 Sull’esercizio della copia nelle Stanze Vaticane qualche riferimento in: “Dipingere in copia” a Roma (1750-1849): formazione artistica, mercato e cultura del restauro, tesi di dottorato in Storia e conservazione dell’oggetto d'arte e d’architettura, Università degli Studi Rome Tre, a.a. 2004-2005; Eadem, “Più vale una bella copia che un mediocre originale”: teoria, prassi e mercato della copia a Roma fra XVIII e XIX secolo, in Promuovere le arti: intermediari, pubblico e mercato a Roma fra XVIII e XIX secolo, a cura di S. Rolfi - S.A. Meyer, numero monografico di “Ricerche di storia dell’arte”, 90, 2006, pp. 23-31.

59 Mary Berry, un’inglese in Italia. Diari e corrispondenza dal 1783 al 1823. Arte, personaggi, società, a cura di B. Riccio, Roma 2000, p. 52. Per i commenti dei viaggiatori e degli artisti negli anni della Restaurazione si rimanda a: F. Giacomini, “Per reale vantaggio delle Arti e della Storia”. Vincenzo Camuccini e il restauro dei dipinti a Roma nella prima metà dell’Ottocento, in corso di stampa.

60 Missirini, 1824, pp. 164-165: «Avendo in seguito lo Scultore trovato li meravigliosi affreschi

del divino Raffaello nelle camere Vaticane correre gran pericolo di ruina per le scrostature dell’intonaco, a quelli co’ suoi accorgimenti soccorse, e al benefico Papa progettò insieme doversi deputare persona di nota abilità per la più perfetta imitazione della maniera dell’insigne autore, affinché pria che dette pitture dovessero maggiormente scapitare, se non per altro, per la irreparabile edacità del tempo, ei ne facesse copie esattissime della stessa grandezza degli originali, dalle quali ne risulterebbero doppj vantaggi: cioè che opere di tanto merito si ammirerebbero sempre nel loro bello, e collocate in siti convenienti tornerebbero di maggiore utilità alli giovani studiosi, oltre l’interessante decorazione di altri luoghi del Vaticano a maggior gloria e plauso del magnanimo Pontefice».

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di occuparsi delle collezioni custodite all’interno del palazzo Nuovo e del palazzo dei Conservatori - ridimensionate all’epoca del trattato di Tolentino.

È possibile recuperare informazioni sullo stato del Museo Capitolino ad apertura di XIX secolo dalla lettura di due memorie inviate da Agostino Tofanelli (Fig. 29) a Canova al momento della restaurazione di Pio VII. Tra il maggio del 1814 e il dicembre del 1816 il pittore lucchese, protagonista della stagione napoleonica, si rivolse in effetti all’ispettore generale delle Belle Arti per scongiurare il non ritorno all’assetto amministrativo e organizzativo pontificio. Promuovendo in blocco l’operato francese, egli denunciò l’insensatezza della doppia autorità - del papa (attraverso il maggiordomo dei Sacri Palazzi Apostolici) sulle opere e dei conservatori capitolini sugli spazi - sottolineando inoltre il degrado generalizzato degli ambienti, la penuria dei finanziamenti e le carenze dell’organico61.

Alloggiato nel palazzo Nuovo, il museo di antichità manteneva all’inizio dell’Ottocento solo in parte lo status giurisdizionale e la struttura amministrativa assegnatigli alla fondazione dal papa di casa Corsini, Clemente XII (1730-1740). Se, come da motu proprio del 29 novembre 1734, la Camera Capitolina, proprietaria dello stabile, continuava infatti a sostenere le spese di manutenzione e a pagare gli stipendi dei dipendenti62, era sopraggiunta l’istituzione della figura dell’ispettore generale delle Belle Arti a metterne in discussione le responsabilità (1802). Il dispaccio con il quale il pro-camerlengo Doria comunicava in via definitiva a Canova l’assegnazione del ruolo conteneva in effetti la precisazione che «la di Lei ispezione si estenda sui due Musei Vaticano, e Capitolino, sull’Accademia di San Luca»63.

La decisione, fortemente limitante le prerogative dei Conservatori, seguiva peraltro un’altra iniziativa analoga: la nomina, nel 1801, di Carlo Fea a custode o presidente antiquario del museo, incaricato della sovrintendenza sulle opere64. Fea era infatti

61 Le due memorie sono conservate in: ASMV, busta 4, fasc. 2, ff. 20-21. Sono trascritte

nell’appendice documentaria (XXI e XXVI).

62 Cfr. M. Franceschini, La presidenza del Museo Capitolino (1733-1869) e il suo archivio, in

“Bollettino dei Musei Comunali di Roma”, n. s., I, 1987, pp. 63-65.

63 M. Missirini, Memorie per servire alla storia della romana Accademia di San Luca fino alla morte di Antonio Canova, Roma 1823, p. 337.

64 Nomina avanzata con biglietto della Segreteria di Stato del primo maggio 1801; pubblicata

su un numero del Cracas del 1802. Cfr. C. Pietrangeli, I presidenti del Museo Capitolino, in “Capitolium”, 12, 1963, p. 606; Franceschini, 1987, p. 66, nota 16; M.A. De Angelis, Musei e istituzioni di belle arti. Cronologia del personale direttivo dal 1768 al 1956, in “Bollettino dei Monumenti, Musei, Gallerie pontificie”, XVIII, 1997, pp. 87-88.

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ligure e di natali borghesi, estraneo alla nobiltà cittadina e dunque scelto dal papa al di fuori del tradizionale novero dei candidati alla guida dell’istituzione65.

Si trattava, come è evidente, di tappe di quel processo di duplicazione delle competenze duramente criticato, a posteriori, da Tofanelli66. Da una parte, cioè, il

governo pontificio assicurava alla collezione una più stretta vigilanza e cura per conto dei suoi massimi funzionari, estranei alle fila dell’aristocrazia locale, dall’altra trascurava di sottrarre alla municipalità il controllo degli spazi, con il risultato che «da niuno veniva curato, come ne anche vi fosse stato questo Museo», e che «difficilmente, o mai […] si riunivano queste autorità per fare quei lavori che convengonsi ad un Museo»67.

Proprio alle autorità comunali, «idiote nelle arti», Tofanelli attribuì la responsabilità dell’uso improprio delle sale espositive. «Non conoscendo il pregio de i monumenti dell’antichità - scrisse - si servivano di questo Locale per usi non solo disdicevoli ad un Museo, ma di pregiudizio ancora agl’oggetti d’arte che vi si racchiudono: come sarebbe festini, e banchetti, per i quali i migliori gabinetti servivano di credenza, ed altro in preda gl’oggetti alla discrezione di facchini, e servitori». La denuncia del diffuso degrado comprese peraltro gli ambienti esterni, quali la piazza e i portici «affumicati dalle cappe de camini che sortivano fuori da tutte le porte terrene, e giornalmente ingombrati da corde e panni stesi»68.

Che, in verità, l’edificio necessitasse di interventi di manutenzione straordinaria, è possibile dedurlo dall’analisi delle vicende che coinvolsero la collezione di antichità “a l’époque de la Révolution”. A seguito del trattato di Tolentino, come noto, la galleria fu spogliata di diciotto sculture, trasportate a Parigi e ospitate al Louvre a

65 Stando ad un motu proprio del 1734 la nomina del successore di Alessandro Gregorio

Capponi, primo presidente antiquario del museo, sarebbe spettata ai conservatori, con l’obbligo di deputare un cavaliere romano. Nei fatti, fino agli anni Trenta dell’Ottocento, essa rimase prerogativa dei pontefici, che si limitarono a comunicare ai conservatori, tramite la Segreteria di Stato, il nominativo del prescelto. Cfr. L. Pompili Olivieri, Il Senato Romano nelle sette epoche di svariato governo da Romolo fino a noi […], II, Roma 1886, pp. 27-28; Franceschini, 1987.

66 Dell’inarrestabile sostituzione, tra Sei e Settecento, di funzionari locali con ufficiali di

nomina pontificia scrive anche: M. Piccialuti, Patriziato romano e cariche di Campidoglio nel Settecento, in Il Comune di Roma: istituzioni locali e potere centrale nella capitale dello Stato pontificio, a cura di P. Pavan, numero monografico di “Roma moderna e contemporanea”, IV, 2, 1996, pp. 403-421. Si veda inoltre: L. Nussdorfer, Il “popolo romano” e i suoi papi: la vita politica della capitale religiosa, in Roma, la città del papa. Vita civile e religiosa dal giubileo di Bonifacio VIII al giubileo di papa Wojtyla, a cura di L. Fiorani - A. Prosperi, Torino 2000, pp. 239-260.

67 Appendice documentaria (XXI). 68 Appendice documentaria (XXVI).

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partire dall’estate del 179869. Tale, traumatica, asportazione fu seguita inoltre, al tempo della repubblica, dalla rimozione e fusione della statua del Clemente XII

benedicente di Pietro Bracci, collocata al centro della Sala Grande in pendant con il

colossale Innocenzo X di Alessandro Algardi (sopravvissuto per il pregio artistico)70.

Ispezioni dei commissari incaricati dell’imballaggio delle sculture, incursioni di soldatesche e di trasportatori, andirivieni di carrelli e casse di sicurezza si susseguirono nelle sale per almeno un triennio, con inevitabili ripercussioni sullo stato di conservazione delle antichità.

Un legame con i danneggiamenti provocati alle opere nel vortice degli avvenimenti rivoluzionari potrebbe avere la campagna di restauri commissionata, nel 1805, da Canova allo scultore Giuseppe Franzoni. Gli interventi, in verità di entità lieve, furono compiuti su diciassette marmi

,

comprendenti i sarcofagi di Diana ed Endimione e della Vita Umana, cinque busti anonimi, una figura di coccodrillo e nove statue, tra le quali il cosiddetto Fauno ebbro in marmo rosso antico, i Centauri Furietti, il gruppo dei Figli di Niobe, l’Agrippina sedente. Il restauratore procedette, specificamente, al rifacimento di piccole parti scultoree, oltre che alla pulitura e “ripatinatura” delle superfici71.

In quegli stessi anni nessuna nuova opera fece invece il suo ingresso nella raccolta. La campagna di acquisizioni promossa presso antiquari e artisti a partire dal 1802 escluse, come si è visto, dai destinatari il museo del Campidoglio.

L’allestimento nel suo complesso mantenne un assetto poco diverso da quello stabilito alla metà del Settecento dal marchese Alessandro Gregorio Capponi e dal suo successore Giovan Pietro Locatelli. Il primo, nel ruolo di custode (o presidente antiquario), aveva disposto nei locali la collezione del cardinale Alessandro Albani, in via di trasferimento all’estero e acquistata invece da Clemente XII con il proposito di

69 La lista completa è in: D’Este, 1864, p. 222. Si veda anche F.P. Arata, Il secolo d’oro del Museo Capitolino. Breve storia delle collezioni archeologiche dal pontificato di Clemente XII a quello di Gregorio XVI, in Il Palazzo dei Conservatori e il Palazzo Nuovo in Campidoglio. Momenti di un grande restauro a Roma, a cura di M.E. Tittoni, Pisa 1997, p. 95, nota 55. 70 L’opera era stata commissionata a Bracci dalla Camera Capitolina per celebrare la figura del

papa Corsini. Traggo l’informazione da: Racioppi, 2004-2005, pp. 56-57. La statua è nominata nella prima guida tascabile del museo: Museo Capitolino o sia Descrizione delle Statue, Busti, Bassorilievi, Urne sepolcrali, iscrizioni, ed altre ammirabili, ed erudite Antichità che si custodiscono nel palazzo alla destra del Senatorio vicino alla chiesa d’Aracoeli in Campidoglio, Roma 1750, p. 31.

71 Cfr. R. Carloni, I restauri di Giuseppe Franzoni, Michele Ilari e Domenico Piggiani nel Museo Capitolino, in “Bollettino dei Musei Comunali di Roma”, n. s., IX, 1995, pp. 63-82.

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garantirne il pubblico godimento (5 dicembre 1733)72. Il secondo vi aveva sistemato alcune sculture già appartenute ai Ludovisi, una serie di reperti “egizi” provenienti da Villa Adriana (in una saletta al piano terreno) e alcune testimonianze «del tempo di Costantino» (nel portico d’ingresso)73, che ancora all’inizio dell’Ottocento qualche

visitatore ammetteva di non gradire74. L’apertura del museo, nel 1736, aveva fatto seguito, lo si ricordi, all’emanazione di una Proibizione dell’estrazione delle statue di

marmo, o metallo, pitture, antichità e simili; provvedimento che aveva sancito il

divieto di esportazione degli oggetti d’arte, al fine di salvaguardare la memoria storica dell’Urbe, la sua vocazione turistica, oltre che di tutelare gli studi e la formazione di eruditi e artisti.

I viaggiatori di passaggio a Roma all’inizio dell’Ottocento registrarono con rammarico le perdite subite. In particolare Joseph Forsyth tuonò contro i francesi quando vide nella Gran Sala, accanto a marmi di qualità media, che definì «rifiutati», soltanto i gessi delle opere di maggior pregio: «il guerriero chiamato il Gladiatore Morente, la Venere, il Fauno, l’Apollo, il Mercurio chiamato impropriamente Antinoo, il Filosofo detto Zeno, la Musa qui detta Giunone, il gruppo di Cupido e Psiche»75. Lo stesso fece il drammaturgo tedesco Auguste Kotzebue, il quale si limitò però ad una visita sbrigativa, annotando nel diario di viaggio che «il miglior pezzo della collezione, il sarcofago di Alessandro Severo, è stato portato via dai Francesi, al suo posto un gesso»76.

I coevi autori delle guide e delle descrizioni della città sorvolarono sui recenti trafugamenti, analogamente a quanto fatto per il Vaticano: Guattani passò in rassegna

72 L’ultimo studio sulla figura di Capponi e sulla nascita del Museo Capitolino è: Statue di Campidoglio. Diario di Alessandro Gregorio Capponi (1733-1746), a cura di M. Franceschini - V. Vernesi, Roma 2005. Il volume segue una serie di contributi a firma dei due studiosi, e in particolare: M. Franceschini, La nascita del Museo Capitolino nel Diario di Alessandro Gregorio Capponi, in “Roma moderna e contemporanea”, I, 3, 1993, pp. 73-80; V. Vernesi, Alessandro Gregorio Capponi, “Statue di Campidoglio”: idea e forma del Museo Capitolino, in “Bollettino dei Musei Comunali di Roma”, n. s., XV, 2001, pp. 73-88. Sull’origine, il significato e la forma del museo si vedano inoltre: F.P. Arata, L’allestimento espositivo del Museo Capitolino al termine del pontificato di Clemente XII (1740), in “Bollettino dei Musei Comunali di Roma”, n. s. VIII, 1994, pp. 45-94; Idem, La nascita del Museo Capitolino, in Il Palazzo dei Conservatori e il Palazzo Nuovo in Campidoglio. Momenti di storia urbana di Roma, Pisa 1996, pp. 75-81; E. Kieven, “Trattandosi illustrar la patria”. Neri Corsini, il “Museo Fiorentino” e la fondazione dei Musei Capitolini, in “Rivista storica del Lazio”, VI, 9, 1998, pp. 135-144.

73 Arata 1996; Arata 1997. 74 Kotzebue, IV, 1806, p. 107.

75 Forsyth,, 1802; ed. cons. 1835, p. 213.

76 Kotzebue, IV, 1806, p. 107. La notizia risulta peraltro falsa; il sarcofago non partì da Roma.

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i gessi, non specificandone la natura di rimpiazzo degli originali, mentre Dalmazzoni e Prunetti omisero addirittura di annotarne la presenza77.

Tanto nella letteratura di viaggio quanto nella guidistica di primo Ottocento lo spazio dedicato al museo fu piuttosto limitato, segno dell’avvenuta marginalizzazione dai circuiti di visita della città78. Era stata d’altra parte l’apertura del Pio-Clementino a ridimensionare le ambizioni della raccolta e a confinarla al ruolo, pur significativo, di seconda collezione d’antichità dell’Urbe79. A partire dall’ottavo decennio del Settecento i flussi dei grand tourists erano scemati - mentre la vicinanza dell’Accademia del Nudo e della Pinacoteca aveva garantito la presenza degli artisti (Fig. 30). Nel soggiorno romano del 1783-1784 Mary Berry visitò, per esempio, soltanto due volte la raccolta capitolina, mentre si recò in Vaticano ripetutamente80. Lo stesso fece Goethe, il quale dichiarò espressamente che «i monumenti del Museo Capitolino sono in generale meno notabili di quelli del Pio-Clementino»81. Sulla sua

scia si mosse il più volte citato Eustace, che riservò alla raccolta una trentina di righe nel Classical Tour through Italy, impegnato come fu a descrivere, nel dettaglio, per quattro appassionate pagine, il museo dei papi Ganganelli e Braschi82. Gli stessi antiquari romani si espressero, in verità, con moderazione di toni al riguardo della collezione. A Mariano Vasi, per esempio, gli ambienti parvero nobili, degni della

77 Guattani, I, 1805, pp. 107-109; Dalmazzoni, 1804, pp. 211-219; Prunetti, I, 1808, 82-89. 78 Cfr. A. Arconti, Un’indagine sulla fruizione del museo pubblico tra Sette e Ottocento: i Musei Capitolini (1734-1870), in Collezionismo, mercato, tutela. La promozione delle arti prima dell’Unità, a cura di L. Barroero, numero monografico di “Roma moderna e contemporanea”, XIII, 2-3, 2005, pp. 381-400 (in part. pp. 384-385).

79 «La collezione [capitolina] è stata considerata la migliore del mondo ma dopo qualche tempo

è stata sorpassata da quella vaticana», così Dalmazzoni apriva la sua descrizione del museo nel 1804 (p. 211). I maggiori afflussi di visitatori coincisero con i pontificati Lambertini, Rezzonico e Ganganelli, quando i commenti all’allestimento e alla collezione furono generalmente molto entusiasti: K. Pomian, Leçons italiennes: les musées vus par le voyageurs français au XVIIIe siècle, in Les musées en Europe, 1995, p. 348; P. Bjurström, Les premiers musées d’art en Europee et leur public, in Les musées en Europe, 1995, pp. 549-563 (in part. pp. 552-553); Rossi Pinelli, 2004; Arconti, 2005, pp. 388-392. Bergeret de Grancourt, tesoriere generale delle Finanze di Luigi V e patrono di Fragonard, a Roma nel 1774, ne lodò, per esempio, l’eccellenza qualitativa e la varietà, comprendente esempi di stile egizio: P.-J.-O. Bergeret de Grancourt, Voyage d’Italie 1773-1774. Avec les dessins de Fragonard, a cura di J. Wilhelm, Paris 1948. Sul soggiorno romano di Bergeret de Grancourt: L. Norci Cagiano de Azevedo, Un mecenate alla vigilia ella Rivoluzione. Originalità e luoghi comuni nel diario italiano di Bergeret de Grancourt, in Lo specchio del viaggiatore. Scenari italiani tra Barocco e Romanticismo, Roma 1992, pp. 85-99.

80 Mary Berry, 2000, pp. 52-115.

81 Goethe, 1817-1829; ed. cons. 1991, p. 467. 82 Eustace, 1802; ed. cons. 1813, p. 213.

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centralità culturale di Roma, ma certamente non all’altezza delle grandiose aule del Pio-Clementino83.

Può sembrare un azzardo ammettere che la disaffezione al museo fosse causata anche dalla difficoltà di accedervi. Eppure le fonti letterarie e documentarie sette-ottocentesche sono concordi nel denunciare la frequente chiusura del portone d’ingresso e l’imperante e fastidiosa pratica della riscossione della “buona mancia”. Istituito come luogo pubblico, alla maniera di una biblioteca, il museo si era rivolto da subito ai «signori forestieri» e ai «signori virtuosi e dilettanti». Proprio per servire quelle tipologie di visitatori Ridolfino Venuti, commissario delle Antichità e presidente degli Scavi di Roma al tempo di Benedetto XIV, aveva avuto l’incarico di redigere una guida in formato tascabile della collezione, organizzata secondo l’itinerario di visita (1750)84. Per garantire l’apertura regolare delle sale un chirografo

(29 novembre del 1734) aveva istituito la figura del sotto-custode, deputato a tenere le chiavi del palazzo, aprirlo e chiuderlo nei giorni e nelle ore determinate, provvedere alla cura degli ambienti e delle opere esposte e garantire che la loro riproduzione avvenisse dietro autorizzazione del presidente antiquario85. Una soluzione che forse in un primo momento riuscì a soddisfare le esigenze del pubblico ma che, col passare del tempo, in coincidenza della crescita delle presenze internazionali, su rivelò del tutto inadeguata. Il sotto-custode, infatti, subissato forse dalle richieste di ingresso, divenne irraggiungibile ai più. Luigi Lanzi, a Roma nel 1779, pregò il suo superiore Giuseppe Pelli Bencivenni, direttore della Galleria degli Uffizi, di usare dei riguardi nei confronti di Francesco Eugenio Guasco, presidente antiquario del Campidoglio, «a cui sono molto tenuto per l’accesso che mi dà a quel gran Museo, guardato come gli Ori

83 Vasi, 1794 (b); ed. cons. 1970, pp. 83-88.

84 Museo Capitolino o sia Descrizione delle Statue, 1750. Sull’attribuzione a Venuti dello

scritto, altrimenti attribuito a Giovan Pietro Locatelli si rinvia a: R. Venuti, Accurata e succinta descrizione topografica delle antichità di Roma, 2 voll., Roma 1803; ed. cons. con saggio bio-bibliografico di F. Prinzi, Roma 1977, pp. 1-15. Ad uso della più ristretta cerchia degli eruditi venne pubblicato negli stessi anni un catalogo illustrato delle antichità. I primi tre volumi, editi tra il 1741 e il 1755 e curati da Giovanni Gaetano Bottari, fecero il giro delle corti europee. Un quarto volume, a cura di Nicola Foggini, si aggiunse ai primi nel 1782. Al riguardo del catalogo di Bottari, curato dal pittore lucchese Giovanni Domenico Campiglia per la parte grafica, si veda: P.P. Quieto, G.D. Campiglia, Mons. Bottari e la rappresentazione dell’antico, in “Labyrinthos”, 5-6, 1984, pp. 3-36, 162-188. Una scheda dell’opera, a cura di Ginevra Mariani, è in: Il Settecento a Roma, catalogo della mostra (Roma, 2005-2006), a cura di A. Lo Bianco - A. Negro, Cinisello Balsamo 2005 p. 304.

85 Cfr. Franceschini, 1987, p. 64; Arconti, 2005, p. 383; Statue di Campidoglio, 2005, pp.

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