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Pietro da Ferentino (Pietro Gera), patriarca d'Aquileia

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PIETRO da Ferentino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 83 (2015) di Andrea Tilatti

PIETRO da Ferentino (Pietro Gera). – Pietro da Ferentino, futuro patriarca d’Aquileia, deve essere distinto dall’omonimo zio, suddiacono papale e canonico di York (m. 1272; Kamp, 1973, pp. 104 s.; Brentano, 1994, p. 378, n. 43).

Giovanni Luigi Lello (Lello, 1596, p. 33), autore di una pur documentata e affidabile biografia, li ritenne un’unica persona e ne sovrappose le biografie. La confusione, trasmessa da Paschini (1925, pp. 80-81) e da altri, persiste sino a tempi recenti (Gianni, 2006).

Pietro compare per la prima volta come cappellano papale nel 1263; è verosimile collocare la sua nascita a cavallo tra gli anni Trenta e Quaranta del Duecento. Non ci sono motivi di dubitare che egli sia nato a Ferentino. Aveva almeno due fratelli, Giovanni e Leonardo, con i quali rimase stabilmente in relazione. Nella storiografia Pietro è noto con il cognome, o soprannome, Gera/Guerra/Gherra, ma non vi sono evidenze coeve dell’uso di tale appellativo, mentre i suoi parenti e lui stesso sono qualificati con il cognome Egiptius, ovvero de Ferentino o

Romani/Romanus.

La traccia più antica del cognome Gera sembra risalire a un autore cinquecentesco (Candido, 1521), ma non ne è stata convincentemente spiegata l’origine.

Fin dalle prime notizie, appare chiaro il tenace legame di Pietro e della rete di consanguinei e conterranei che lo attorniava con la Curia papale. Egli viene qualificato anche come magister. I suoi interessi culturali sono testimoniati da un elenco di almeno 25 codici, depositati presso il convento dei frati predicatori di Venezia, quando, quasi alla fine della sua vita, vi transitò per raggiungere Aquileia e prendere possesso della sua sede (Brentano, 1994, p. 377, n. 34). I vincoli familiari, la preparazione scolastica, la consuetudine con la Curia e, presumibilmente, le doti personali lo resero adatto per numerose missioni diplomatiche, che gli fruttarono una serie di benefici e uffici

ecclesiastici, ottenuti con continuità e progressione, nell’arco di quasi un cinquantennio, sotto ben dodici papi.

Nel 1263 Pietro, per conto di Urbano IV, assolse dall’interdetto la città di Cagli, che aveva aderito al re Manfredi, e vi ricondusse il vescovo, che ne era stato espulso. Svolse pure missioni

diplomatiche a Spoleto. Nel 1267, Pietro, cappellano papale e canonico di Ferentino, fu elevato da Clemente IV all’episcopato di Sora, ma rimase al servizio del papato. Nel 1274, Gregorio X lo nominò collettore per le decime della crociata nel Regno di Sicilia, con esclusione della Calabria e della Sicilia. L’ufficio gli fu confermato da Martino IV, nel 1281. Nel 1278 fu trasferito alla sede episcopale di Rieti da Niccolò III, che gli affidò, l’anno successivo, una delicata missione

diplomatica in Castiglia, alla corte di Alfonso X (Linehan, 1971, pp. 218-220).

Nonostante i continui incarichi curiali, l’azione pastorale di Pietro come vescovo di Rieti è stata giudicata positivamente da Brentano, che ne ha sottolineato l’impegno e la qualità (Brentano, 1994, pp. 157 s.).

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Alfonso d’Aragona. Per compensarlo del disagio di non poter prendere possesso della sede di Monreale, nel 1286 Onorio IV designò Pietro amministratore della vacante diocesi di Sora, che tenne sino al 1295, quando Bonifacio VIII lo scelse come rettore della Romagna. L’incarico durò poco e provocò un’inchiesta, probabilmente dovuta agli eccessi di un nipote di Pietro, Niccolò. Nulla parve emergere a carico di Pietro, che fu creato amministratore della diocesi di Nola (1296-98), in modo che ne beneficiasse delle rendite. Nel gennaio del 1298, divenne arcivescovo di Capua e lasciò la sempre preclusa sede Monreale. Il cursus honorum di Pietro pareva preludere alla

porpora cardinalizia (Brentano, 1994, p. 155), ma il 23 giugno 1299 egli fu trasferito da Bonifacio VIII alla sede patriarcale di Aquileia, che, all’epoca, rappresentava una dignità equiparabile a quella assumibile tramite un galero.

Com’era sua abitudine, Pietro si diresse alla propria sede e nominò il fratello Giovanni (canonico di Ferentino) suo vicario generale, perché lo precedesse in Friuli, sul finire d’agosto. Secondo il cronista Giuliano da Cividale, Pietro giunse nel patriarcato il 29 settembre del 1299 (Juliani Canonici, 1906, p. 30) e subito si mise all’opera di governo.

Il compito che l’attendeva non era facile, giacché egli succedeva a Raimondo Della Torre, che in un quarto di secolo aveva impresso una forte impronta personale e familiare all’organizzazione del potere nel vasto principato ecclesiastico aquileiese.

Fra le prime azioni del vicario generale e del patriarca stesso, ci furono alcune convocazioni del parlamento della patria friulana, intese a cercare di istituire mediazioni e legami con l’aristocrazia e le comunità locali, che si erano irrobustite al segno da diventare temibili competitori dell’autorità patriarcale. La vocazione alla diplomazia di Pietro si intravede anche negli accordi stipulati con il conte di Gorizia (dicembre 1299), per sanare alcuni attriti accesisi durante i mesi di sedevacanza, e con la Repubblica di Venezia (marzo-giugno 1300), per il rinnovo dei patti che regolavano i rapporti tra la Serenissima e il patriarcato aquileiese, mediante una tradizione ormai secolare. Gli ultimi mesi di governo di Pietro furono turbati da una guerra con Gherardo da Camino signore di Treviso per il controllo della cittadina di Sacile, un caposaldo di competenza patriarcale, al confine con il territorio di Treviso. Pare che l’occasione del conflitto sia da attribuirsi alle

malversazioni del nipote del patriarca, quel Niccolò che già s’era distinto negativamente durante la rettoria di Romagna. Nonostante l’aiuto militare del conte di Ortenburg, le milizie di Pietro patirono una sanguinosa sconfitta a metà agosto 1300 e Gherardo ottenne l’appoggio del conte di Gorizia, di una numerosa schiera di nobili friulani, nonché il comportamento ambiguo delle principali

comunità urbane del Friuli, Cividale innanzi tutto. Ciò fa pensare che la solidarietà tra Pietro e i suoi sudditi fosse stata scossa, mentre la società locale era attraversata da fratture e attriti. La soluzione avvenne solo dopo trattative durate alcune settimane, nel tardo autunno del 1300. Non si ricordano altri fatti notevoli del patriarcato di Pietro.

Morì il 19 febbraio 1301 nel castello di Udine.

Anche il destino della sua salma fu oggetto di una contesa tra il rettore della chiesa di Santa Maria in Castello e i frati minori. La disputa fu innescata dallo stesso patriarca che nel testamento del 12 febbraio aveva indicato come luogo di sepoltura la chiesa castellana, salvo mutare parere il giorno successivo, mediante un codicillo che affidava il suo corpo ai minori (Tilatti 2008, pp. 49-51). Prevalse la prima destinazione. Al di là della sua minima portata, l’evento è significativo di un approccio problematico di Pietro con la realtà friulana, presso la quale era giunto soltanto per il volere papale, nel quadro di politiche generali di occupazione delle caselle del potere, ma svincolato da ogni legame con la società e le dinamiche locali, che non ebbe il tempo di conoscere

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Fonti e Bibl.: Commentarii di Giovan Candido giureconsulto d’Aquileia, in Venetia, per Michele Tramezimo, 1544, f. 60v (la prima edizione latina, e anonima, fu: Commentariorum Aquileiensium libri octo..., Venetiis, impensis L. Lorii de Portesio, 1521); G.L. Lello, Historia della chiesa di Monreale, Vite degli arcivescovi, abbati et signori di Monreale per annali, Roma appresso Luigi Zannetti, 1596, pp. 33-43; J.F.B.M. De Rubeis, Monumenta ecclesiae Aquilejensis, Argentinae [Venetiis] 1740, coll. 801-806; G. Barozzi, Memorie di Pietro secondo Gera patriarca

d’Aquileia..., Conegliano 1871; Juliani Canonici Civitatensis chronica, a cura di G. Tambara, RIS2

, XXIV, p. XIV, Città di Castello 1906, pp. 30-31; E. Traversa, Quellenkritik zur Geschichte des Patriarchen Peter II. Gerra (1299-1301), Görz 1906; P. Paschini, Il patriarcato di Pietro Gera (1299-1301), in Memorie storiche forogiuliesi, XXI (1925), pp. 73-107; P. Linehan, The Spanish Court and the Papacy in the thirteenth century, Cambridge 1971, pp. 218-220; N. Kamp, Kirche und Monarchie im staufischen Königsreich Sizilien, I, Abruzzen und Kampanien, Münich 1973, pp. 104 s.; P. Paschini, Storia del Friuli, Udine 19753, pp. 422-424; C. Scalon, La biblioteca

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Professore associato presso l’Università di Firenze, si occupa di storia dell’educazione, storia sociale delle istituzioni, storia del lavoro.. Da anni svolge attività di