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STATUS E FUNZIONI DELLE LINGUE

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(1)

STATUS E FUNZIONI

DELLE LINGUE

(2)

Le Lingue Minoritarie

Aspetti sociolinguistici e

Pianificazione linguistica

(3)

considerazioni sul perché un’etichetta glottonimica come quella di

‘lingua minoritaria’ contiene una contraddizione nei termini che la compongono …

‘lingua’ …

‘minoritaria’ …

(4)

• Lingue minoritarie

• Lingue meno diffuse

• Lingue regionali

• Alterità linguistiche

• Eteroglossie

• Alloglossie

• Minoranze linguistiche

• Minoranze nazionali

(5)

Minoranza

“Gruppo numericamente inferiore al resto della popolazione di uno Stato, in posizione non dominante, i cui membri, che hanno la cittadinanza dello stato stesso, posseggano, dal

punto di vista etnico, ovvero religioso, ovvero linguistico, delle caratteristiche diverse da quelle del resto della

popolazione e manifestino, anche in modo implicito, un

sentimento di solidarietà, tendente a preservare la propria cultura, le proprie tradizioni, la propria religione o la propria lingua”.

(Capotorti, 1992)

(6)

Criterio areale

isole linguistiche: costituiscono delle enclavi che interrompono la continuità di un determinato

territorio (comunità albanofone nell’Italia meridionale;

comunità slavofone del medio Adriatico);

penisole linguistiche: sono propaggini di

gruppi linguistici collocati al di fuori dei confini di uno stato, in cui la lingua minoritaria è lingua ufficiale (ad es. francese in Valle D’Aosta, tedesco in Alto

Adige).

(7)

Criterio dell’insediamento sul territorio occupato

• minoranze territorializzate: hanno un radicamento ben definito in un determinato territorio, in quanto

espressione di gruppi compatti stanziati stabilmente in un’area ben delimitata;

• minoranze diffuse: pur configurando una sicura

condizione di alterità, sono disseminate e disperse nel paese senza essere identificabili con un particolare contesto

territoriale (minoranze Rom, le cosiddette ‘nuove’

minoranze).

(8)

Criterio della gerarchia rispetto

alle altre minoranze e alla lingua ufficiale del paese

• alloglossie di primo ordine: esistenza come parlata autoctona ed inserita nel territorio coperto da una determinata lingua ufficiale;

• alloglossie di secondo ordine: esistenza come parlata autoctona inserita nel territorio di un’altra lingua minoritaria (di primo ordine) rispetto alla lingua ufficiale del paese:

• sloveno in prov. di Gorizia entro il friulano rispetto all’italiano,

• catalano entro al sardo rispetto all’italiano.

(9)

fin qui

(10)

Criterio cronologico

• alloglossie di antico insediamento o storiche: si tratta gruppi endogeni, stanziati su un territorio da tempo sufficiente per

essere considerati propri del luogo;

• ‘nuove’ minoranze: gruppi esogeni, comunità parlanti lingue diverse dall’italiano che si stanno costituendo nel nostro paese per effetto delle ondate immigratorie recenti.

(11)

Rapporto con la propria lingua di riferimento

• ‘minoranze’ nazionali

la comunità alloglotta di cui sono espressione trova un appoggio in una nazione vicina o confinante di cui l’alloglossia è di norma

emanazione (francese in Valle d’Aosta, tedesco in Alto Adige, sloveno nel Friuli);

• ‘minoranze’ propriamente linguistiche

gruppi alloglotti sparsi in varie aree italiane, senza una particolare compattezza, e per lo più senza accordi internazionali con gli stati di cui rappresentano la lingua e la cultura (arbresh e croato nell’Italia meridionale).

(12)

Aspetti giuridici

• alloglossie riconosciute

alloglossie per le quali siano esplicitamente previsti

riconoscimento e/o forme di tutela nella legislazione del paese in cui si trovano (in Italia l. 482/1999);

• alloglossie non riconosciute

alloglossie di fatto presenti nel territorio di un paese che all’interno del proprio ordinamento giuridico

non conosce forme di riconoscimento né

tantomeno di tutela di queste lingue minoritarie.

(13)

della tutela

delle lingue minoritarie

(14)

Il quadro di tutela internazionale

• Nonostante la diffusione dei pregiudizi sulle

‘minoranze’ e le lingue ‘minoritarie’ il quadro

internazionale ed europeo ha conosciuto per tempo espressioni e documenti ufficiali di protezione e

salvaguardia delle diversità linguistiche.

• In questo campo tuttavia ha dominato il riconoscimento di libertà individuali piuttosto che quelle dei gruppi

etnici minoritari: questo secondo aspetto poteva infatti rappresentare un pericolo per l’equilibrio faticosamente raggiunto alla fine del secondo conflitto mondiale.

(15)

Alcuni riconoscimenti, sia pure impliciti, alla pari dignità di tutte le lingue si possono trovare nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo,

(Assemblea generale dell’ONU, 10 XII 1948). Si tratta, tuttavia di riconoscimento di diritti dei singoli individui, non dei gruppi o tantomeno delle comunità.

• art. 1 “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti …”

• art. 2 “Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate dalla presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro

genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza di nascita o di altra condizione”.

• art. 19 “Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione

…”.

(16)

Di ben altro tenore la legislazione europea, dove per tempo è comparso un documento che riconosce diritti linguistici non solo ai singoli bensì ai gruppi che parlano lingue diverse da quelle ufficiali.

Si tratta del documento conclusivo della Conferenza sulla Sicurezza e Cooperazione in Europa, conosciuto

come “Accordi di Helsinki” e siglato il 1 agosto 1975;

l’atto contiene precise enunciazioni concernenti i diritti delle alloglossie nazionali, nonché il

riconoscimento del valore positivo che queste possono rivestire ai fini della collaborazione

internazionale.

(17)

1. Accordi di Helsinki, Titolo VII. (“Rispetto dei diritti dell'uomo e delle

libertà fondamentali inclusa la libertà di pensiero, coscienza, religione o credo”)

«…Gli Stati partecipanti nel cui territorio sono presenti minoranze nazionali rispettano il diritto delle persone che appartengono a tali minoranze all'uguaglianza davanti alla legge, garantiscono loro la piena possibilità di godere effettivamente dei diritti dell'uomo e delle libertà

fondamentali tutelando in tal modo i loro legittimi interessi in materia…».

2. Accordi di Helsinki, Forme di cooperazione nel settore umanitario e in altri settori.

«[…] Minoranze nazionali o culture regionali. Gli Stati partecipanti, riconoscendo il contributo che le minoranze nazionali o le culture

regionali possono apportare alla cooperazione tra di essi in diversi campi della cultura, si propongono, laddove esistano sul loro territorio tali

minoranze o culture, e tenendo conto degli interessi legittimi dei loro membri, di facilitare questo contributo».

(18)

1. Carta europea delle lingue regionali e minoritarie, approvata a Strasburgo il 5 novembre 1992, successivamente recepita nella

2. Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali (Strasburgo 1 febbraio 1995).

Quest’ultimo testo, articolato in un Preambolo (contenente importanti considerazioni sul valore del plurilinguismo e del multiculturalismo) e in cinque parti, che toccano tutti gli aspetti della complessa problematica, teorici, pratico-applicativi e di raccordo con le legislazioni dei singoli paesi dell’UE, rappresenta il testo più avanzato a livello europeo e il punto di riferimento obbligato per le legislazioni nazionali in materia di alloglossia.

(19)

Alcuni aspetti importanti del Preambolo.

…«considerando che la protezione delle lingue regionali o minoritarie

storiche dell’Europa, alcune delle quali, col passare del tempo, rischiano di scomparire, contribuisce a mantenere e sviluppare le tradizioni e la ricchezza culturale dell’Europa»;

«considerando che il diritto di praticare una lingua regionale o minoritaria nella vita privata e pubblica costituisce un diritto imprescrittibile,

conformemente ai principi contenuti nel Patto internazionale … delle Nazioni Unite… »;

«sottolineando il valore dell’interculturalismo e del plurilinguismo e e

considerando che la protezione e l’incoraggiamento delle lingue regionali o minoritarie non dovrebbero farsi a detrimento delle lingue ufficiali e della necessità di apprenderle»;

(20)

Alcuni aspetti importanti del Preambolo

…«coscienti del fatto che la protezione e la promozione delle lingue regionali o minoritarie nei differenti paesi e

regioni d’Europa rappresenta un contributo importante alla costruzione di un’Europa fondata sui principi della

democrazia e della diversità culturale, nel quadro della sovranità nazionale e dell’integrità territoriale»;

«tenuto conto delle condizioni specifiche e delle tradizioni storiche proprie di ciascuna regione dei Paesi d’Europa»;

«hanno convenuto quanto segue»…

(21)

Infine, la

Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, sottoscritta a Nizza il 7 dicembre 2000:

- oltre a confermare il valore insito nel plurilinguismo in sé,

- aggiunge un’ulteriore tassello alle misure di

salvaguardia dell’alloglossia, in quanto eleva i diritti linguistici al rango dei diritti fondamentali riconosciuti in sede di legislazione europea.

(22)

Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea Art. 21 Non discriminazione

E’ vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata in particolare sul sesso, la razza, il colore della pelle, o l’origine etnica o sociale, le

caratteristiche genetiche, la lingua, la religione, le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura,

l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali.

Art. 22 Diversità culturale, religiosa e linguistica L’Unione rispetta la diversità culturale, religiosa e linguistica.

Art. 41 Diritto ad una buona amministrazione

Ogni individuo può rivolgersi alle istituzioni dell’Unione in una delle lingue del trattato e deve ricevere una risposta nella stessa lingua.

(23)

riferimenti espliciti (art. 3 e 6) o impliciti (art. 21) alla lingua.

Art. 3 «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di

religione, di opinioni politiche, di condizioni personali. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine e economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.»

Art. 6 «La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche.»

Art. 21 «Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.»[…]

(24)

legislazioni e svariati tentativi legislativi per lo più

arrestatisi al livello di disegno di legge o, al più arrivati all’approvazione di un solo ramo del Parlamento, ma senza riuscire a completare l’iter legislativo per

l’interruzione anticipata della legislatura.

Finalmente il dettato costituzionale ha avuto riscontro:

• nella legge 482/1999 “Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche”;

• e nel relativo “Regolamento di attuazione della

legge 15 dicembre 1999, n° 482, recante norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche” (DPR 2

maggio 2001, n° 345, pubblicato sulla G.U. del 13 settembre 2001).

(25)
(26)

insite nel primo organico intervento legislativo che il nostro paese ha conosciuto in tale settore.

L’elemento qualificante e di rottura con un passato di

discriminazione e di atti repressivi nei riguardi delle diversità linguistiche interne è infatti rappresentato, in piena attuazione degli articoli 3 e 6 della Costituzione italiana dalla tutela di 12 alloglossie interne riconosciute nominativamente dalla legge:

«In attuazione dell’articolo 6 della Costituzione e in armonia con i principi generali stabiliti dagli organismi europei e

internazionali, la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate, e di quelle parlanti il francese, il

franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo» (Legge 482/1999, art. 2).

(27)

Normativa nazionale:

articolo 6 della Costituzione italiana

Legge 302 del 28 agosto 1997, ratifica ed esecuzione della convenzione quadro per la protezione delle

minoranze nazionali, fatta a strasburgo il 1 febbraio 1995

Legge 482 del 15 dicembre 1999, Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche

Decreto del Presidente della Repubblica 345 del 2

maggio 2001, Regolamento di attuazione della legge 482

(28)

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Promulga la seguente legge:

Art. 1.

1. La lingua ufficiale della Repubblica e' l'italiano.

2. La Repubblica, che valorizza il patrimonio linguistico e culturale della lingua italiana, promuove altresi' la valorizzazione delle

lingue e delle culture tutelate dalla presente

(29)

Art. 2.

1. In attuazione dell'articolo 6 della

Costituzione e in armonia con i principi generali stabiliti dagli organismi europei e

internazionali, la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane,

germaniche, greche, slovene e croate e di

quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l'occitano e il sardo.

(30)

Art. 3

La delimitazione dell'ambito territoriale e subcomunale in cui si applicano le disposizioni di tutela delle minoranze linguistiche storiche previste dalla presente legge è adottata dal consiglio provinciale, sentiti i comuni interessati, su richiesta di almeno il quindici per cento dei cittadini iscritti nelle liste elettorali e residenti nei comuni stessi, ovvero di un terzo dei consiglieri comunali dei medesimi comuni.

(31)

Art. 4

1. Nelle scuole materne dei comuni di cui all'articolo 3, l'educazione linguistica prevede, accanto all'uso della lingua italiana, anche l'uso della lingua della minoranza per lo svolgimento delle attività educative. Nelle scuole elementari e nelle scuole secondarie di primo grado è previsto l'uso anche della lingua della minoranza come strumento di insegnamento.

(32)

Art. 7

1. Nei comuni di cui all'articolo 3, i membri dei consigli comunali e degli altri organi a struttura collegiale dell'amministrazione possono usare, nell'attività degli organismi medesimi, la lingua ammessa a tutela.

(33)

Art. 3

delimitazione territoriale (cfr. problemi aperti)

(34)

Secondo il sito del MIUR:

(https://miur.gov.it/lingue-di-minoranza )

<< La legge conferisce un ruolo preminente alla scuola e affida ad essa il compito di

valorizzare il ricco mosaico di lingue, offrire opportunità formative sempre più ampie,

garantendo il diritto degli appartenenti a tali minoranze ad apprendere la propria lingua

(35)

Il dominio scuola (dell’obbligo)

Art. 4

1. Nelle scuole materne dei comuni di cui all'articolo 3, l'educazione

linguistica prevede, accanto all'uso della lingua italiana, anche l'uso della lingua della minoranza per lo svolgimento delle attività educative. Nelle scuole

elementari e nelle scuole secondarie di primo grado è previsto l'uso anche della lingua della minoranza come strumento di insegnamento.

2. Le istituzioni scolastiche elementari e secondarie di primo grado, […],

nell'esercizio dell'autonomia organizzativa e didattica […], nei limiti dell'orario curriculare complessivo definito a livello nazionale e nel rispetto dei

complessivi obblighi di servizio dei docenti previsti dai contratti collettivi, al fine di assicurare l'apprendimento della lingua della minoranza, deliberano, anche sulla base delle richieste dei genitori degli alunni, le modalità di

svolgimento delle attività di insegnamento della lingua e delle tradizioni

culturali delle comunità locali, stabilendone i tempi e le metodologie, nonché stabilendo i criteri di valutazione degli alunni e le modalità di impiego di

docenti qualificati.

(36)

Art. 4

3. Le medesime istituzioni scolastiche di cui al comma 2, ai sensi dell'articolo 21, comma 10, della legge 15 marzo 1997, n. 59, sia singolarmente sia in forma associata, possono realizzare

ampliamenti dell'offerta formativa in favore degli adulti.

Nell'esercizio dell'autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo, di cui al citato articolo 21, comma 10, le istituzioni scolastiche

adottano, anche attraverso forme associate, iniziative nel campo

dello studio delle lingue e delle tradizioni culturali degli appartenenti ad una minoranza linguistica riconosciuta ai sensi degli articoli 2 e 3 della presente legge e perseguono attivita' di formazione e

aggiornamento degli insegnanti addetti alle medesime discipline. A tale scopo le istituzioni scolastiche possono stipulare convenzioni ai sensi dell'articolo 21, comma 12, della citata legge n. 59 del 1997.

(37)

Art. 4

4. Le iniziative previste dai commi 2 e 3 sono realizzate dalle medesime istituzioni scolastiche avvalendosi delle risorse umane a disposizione, della dotazione finanziaria attribuita ai sensi

dell'articolo 21, comma 5, della legge 15 marzo 1997, n. 59, nonche' delle risorse aggiuntive reperibili con convenzioni, prevedendo tra le priorita' stabilite dal medesimo comma 5

quelle di cui alla presente legge. Nella ripartizione delle risorse di cui al citato comma 5 dell'articolo 21 della legge n. 59 del 1997, si tiene conto delle priorita' aggiuntive di cui al presente comma.

5. Al momento della preiscrizione i genitori comunicano alla istituzione scolastica interessata se intendono avvalersi per i propri figli dell'insegnamento della lingua della minoranza.

(38)

Art. 5.

1. Il Ministro della pubblica istruzione, con propri decreti,

indica i criteri generali per l'attuazione delle misure contenute nell'articolo 4 e puo' promuovere e realizzare progetti

nazionali e locali nel campo dello studio delle lingue e delle tradizioni culturali degli appartenenti ad una minoranza

linguistica riconosciuta ai sensi degli articoli 2 e 3 della

presente legge. Per la realizzazione dei progetti e' autorizzata la spesa di lire 2 miliardi annue a decorrere dall'anno 1999.

2. Gli schemi di decreto di cui al comma 1 sono trasmessi al Parlamento per l'acquisizione del parere delle competenti Commissioni permanenti, che possono esprimersi entro sessanta giorni.

(39)

Il dominio scuola : la funzione dell’Università Art. 6

Ai sensi degli articoli 6 e 8 della legge 19 novembre 1990, n.

341, le università delle regioni interessate, nell'ambito della loro autonomia e degli ordinari stanziamenti di bilancio,

assumono ogni iniziativa, ivi compresa l'istituzione di corsi di lingua e cultura delle lingue di cui all'articolo 2, finalizzata ad agevolare la ricerca scientifica e le attività culturali e formative a sostegno delle finalità della presente legge.

(40)

Art. 7

Nei comuni di cui all'articolo 3, i membri dei consigli comunali e degli altri organi a struttura collegiale dell'amministrazione possono usare, nell'attività degli organismi medesimi, la lingua ammessa a tutela.

(comma 1).

Qualora gli atti destinati ad uso pubblico siano redatti nelle due lingue, producono effetti giuridici solo gli atti e le deliberazioni redatti in lingua italiana. (comma 4).

Art. 8.

1. Nei comuni di cui all'articolo 3, il consiglio comunale puo'

provvedere, con oneri a carico del bilancio del comune stesso, in

mancanza di altre risorse disponibili a questo fine, alla pubblicazione nella lingua ammessa a tutela di atti ufficiali dello Stato, delle regioni e degli enti locali nonche' di enti pubblici non territoriali, fermo restando il valore legale esclusivo degli atti nel testo redatto in lingua italiana.

(41)

Il dominio governo (locale)

Art. 9

[…] nei comuni di cui all'articolo 3 è consentito, negli uffici delle amministrazioni pubbliche, l'uso orale e scritto della lingua

ammessa a tutela. […] (comma 1).

Per rendere effettivo l'esercizio delle facoltà di cui al comma 1, le pubbliche amministrazioni provvedono, anche attraverso

convenzioni con altri enti, a garantire la presenza di personale che sia in grado di rispondere alle richieste del pubblico usando la

lingua ammessa a tutela. […] (comma 2).

(42)

Nei comuni di cui all'articolo 3, in aggiunta ai toponimi ufficiali, i consigli comunali possono deliberare l'adozione di toponimi conformi alle tradizioni e agli usi locali.

(43)

Nei comuni di cui all'articolo 3, in aggiunta ai toponimi ufficiali, i consigli comunali possono deliberare l'adozione di toponimi conformi alle tradizioni e agli usi locali.

(44)

Nei comuni di cui all'articolo 3, in aggiunta ai toponimi ufficiali, i consigli comunali possono deliberare l'adozione di toponimi conformi alle tradizioni e agli usi locali.

(45)

Nei comuni di cui all'articolo 3, in aggiunta ai toponimi ufficiali, i consigli comunali possono deliberare l'adozione di toponimi conformi alle tradizioni e agli usi locali.

cimbro-italiano

(46)

Onomastica Art. 11

1. I cittadini che fanno parte di una minoranza linguistica riconosciuta ai sensi degli articoli 2 e 3 e residenti nei comuni di cui al medesimo articolo 3, i cognomi o i nomi dei quali

siano stati modificati prima della data di entrata in vigore della presente legge o ai quali sia stato impedito in passato di apporre il nome di battesimo nella lingua della minoranza, hanno diritto di ottenere, sulla base di adeguata

documentazione, il ripristino degli stessi in forma originaria. Il ripristino del cognome ha effetto anche per i discendenti

degli interessati che non siano maggiorenni o che, se maggiorenni, abbiano prestato il loro consenso.

(47)

Art. 11

2. Nei casi di cui al comma 1 la domanda deve indicare il nome o il cognome che si intende assumere ed e' presentata al sindaco del comune di residenza del richiedente, il quale provvede d'ufficio a trasmetterla al prefetto, corredandola di un estratto dell'atto di nascita. Il prefetto, qualora ricorrano i presupposti previsti dal comma 1, emana il decreto di ripristino del nome o del cognome.

Per i membri della stessa famiglia il prefetto puo' provvedere con un unico decreto. Nel caso di reiezione della domanda, il relativo provvedimento puo' essere impugnato, entro trenta giorni dalla comunicazione, con ricorso al

Ministro di grazia e giustizia, che decide previo parere del Consiglio di Stato. Il procedimento e' esente da spese e deve essere concluso entro novanta giorni dalla richiesta.

3. Gli uffici dello stato civile dei comuni interessati provvedono alle annotazioni conseguenti all'attuazione delle disposizioni di cui al presente articolo. Tutti gli altri registri, tutti gli elenchi e ruoli nominativi sono rettificati d'ufficio dal

comune e dalle altre amministrazioni competenti.

(48)

Ampliamento funzionale nei media (radio e televisioni) in ambito locale.

Art. 12.

1. Nella convenzione tra il Ministero delle comunicazioni e la società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo e nel conseguente contratto di servizio sono assicurate condizioni per la tutela delle minoranze linguistiche nelle zone di

appartenenza.

2. Le regioni interessate possono altresì stipulare apposite convenzioni con la società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo per trasmissioni giornalistiche o programmi nelle lingue ammesse a tutela, nell'ambito delle programmazioni radiofoniche e televisive regionali della medesima società

concessionaria; per le stesse finalità le regioni possono stipulare appositi accordi con emittenti locali.

3. La tutela delle minoranze linguistiche nell'ambito del sistema delle comunicazioni di massa e' di competenza dell'Autorita' per le garanzie nelle comunicazioni di cui alla legge 31 luglio 1997, n. 249, fatte salve le funzioni di indirizzo della

Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi.

(49)

Art. 13

1. Le regioni a statuto ordinario, nelle materie di loro competenza, adeguano la propria legislazione ai principi stabiliti dalla presente legge, fatte salve le disposizioni legislative regionali vigenti che

prevedano condizioni più favorevoli per le minoranze linguistiche.

(50)

Ampliamento funzionale nei media (stampa) e nell’associazionismo culturale.

Art. 14

Nell'ambito delle proprie disponibilità di bilancio le regioni e le province in cui siano presenti i gruppi linguistici di cui

all'articolo 2 […] possono determinare, in base a criteri

oggettivi, provvidenze per l'editoria, per gli organi di stampa e per le emittenti radiotelevisive a carattere privato che

utilizzino una delle lingue ammesse a tutela, nonché per le associazioni riconosciute e radicate nel territorio che

abbiano come finalità la salvaguardia delle minoranze linguistiche.

(51)

Art. 15.

1. Oltre a quanto previsto dagli articoli 5, comma 1, e 9, comma 2, le spese sostenute dagli enti locali per l'assolvimento degli obblighi

derivanti dalla presente legge sono poste a carico del bilancio statale entro il limite massimo complessivo annuo di lire 8.700.000.000 a decorrere dal 1999.

2. L'iscrizione nei bilanci degli enti locali delle previsioni di spesa per le esigenze di cui al comma 1 e' subordinata alla previa ripartizione delle risorse di cui al medesimo comma 1 tra gli enti locali interessati, da effettuare con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.

3. L'erogazione delle somme ripartite ai sensi del comma 2 avviene sulla base di una appropriata rendicontazione, presentata dall'ente locale competente, con indicazione dei motivi dell'intervento e delle giustificazioni circa la congruita' della spesa.

(52)

Art. 16.

1. Le regioni e le province possono provvedere, a carico delle proprie disponibilita' di bilancio, alla creazione di appositi istituti per la tutela delle tradizioni linguistiche e culturali delle

popolazioni considerate dalla presente legge, ovvero favoriscono la costituzione di sezioni autonome delle istituzioni culturali

locali gia' esistenti.

(53)

Art. 17

1. Le norme regolamentari di attuazione della presente legge sono adottate entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della medesima, sentite le regioni interessate.

(Testo in vigore dal: 4-1-2000)

(54)

Art. 18

1. Nelle regioni a statuto speciale l'applicazione delle disposizioni pi·

favorevoli previste dalla presente legge e' disciplinata con norme di attuazione dei rispettivi statuti. Restano ferme le norme di tutela esistenti nelle medesime regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano.

2. Fino all'entrata in vigore delle norme di attuazione di cui al comma 1, nelle regioni a statuto speciale il cui ordinamento non preveda

norme di tutela si applicano le disposizioni di cui alla presente legge.

Art 18bis.

((1. Le disposizioni di cui all'articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n.

654, e successive modificazioni, ed al decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n.

205, si applicano anche ai fini di prevenzione e di repressione dei fenomeni di intolleranza e di violenza nei confronti degli appartenenti alle minoranze linguistiche.)

(55)

politica estera

Art. 19

1. La Repubblica promuove, nei modi e nelle forme che saranno di caso in caso previsti in apposite convenzioni e perseguendo condizioni di

reciprocita' con gli Stati esteri, lo sviluppo delle lingue e delle culture di cui all'articolo 2 diffuse all'estero, nei casi in cui i cittadini delle relative

comunita' abbiano mantenuto e sviluppato l'identita' socio-culturale e linguistica d'origine.

2. Il Ministero degli affari esteri promuove le opportune intese con altri Stati, al fine di assicurare condizioni favorevoli per le comunita' di lingua italiana presenti sul loro territorio e di diffondere all'estero la lingua e la cultura italiane. La Repubblica favorisce la cooperazione transfrontaliera e interregionale anche nell'ambito dei programmi dell'Unione europea.

3. Il Governo presenta annualmente al Parlamento una relazione in merito allo stato di attuazione degli adempimenti previsti dal presente articolo.

(56)

politica estera

Art. 20

1. All'onere derivante dall'attuazione della presente legge, valutato in lire 20.500.000.000 a decorrere dal 1999, si provvede mediante corrispondente riduzione delle proiezioni dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 1998-2000, nell'ambito dell'unita'

previsionale di base di parte corrente "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica per l'anno 1998, allo scopo

parzialmente utilizzando, quanto a lire 18.500.000.000, l'accantonamento relativo alla

Presidenza del Consiglio dei ministri e, quanto a lire 2.000.000.000, l'accantonamento relativo al Ministero della pubblica istruzione.

2. Il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e' autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sara' inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.

Data a Roma, addi' 15 dicembre 1999 CIAMPI D'Alema, Presidente del Consiglio dei Ministri Visto, il Guardasigilli: Diliberto

(57)
(58)

Friuli Venezia Giulia

Legge regionale 20 del 20 novembre 2009 Norme di tutela e promozione delle minoranze di lingua tedesca del Friuli Venezia Giulia.

Legge regionale 29 del 18 dicembre 2007 Norme per la tutela, valorizzazione e promozione della lingua friulana

Legge regionale 26 del 16 novembre 2007 Norme regionali per la tutela della minoranza linguistica slovena.

Provincia autonoma di Trento

Legge provinciale 6 del 19 giugno 2008 Norme di tutela e promozione delle minoranze linguistiche locali

Veneto

Legge regionale 73 del 23 dicembre 1994 (BUR 109 del 1994) Promozione

(59)

Legge regionale 40 del 3 novembre 1998 Norme per la promozione e tutela delle Comunità Arbereshe in Basilicata - Abrogazione L.R. 28 marzo 1996, n. 16.

Molise

Legge regionale 15 del 14 maggio 1997 Tutela e valorizzazione del patrimonio culturale

delle minoranze linguistiche nel Molise

Calabria

Legge regionale 15 del 30 ottobre 2003 Norme per la tutela e la valorizzazione della lingua e del patrimonio culturale delle minoranze linguistiche e storiche di Calabria

Campania

Legge regionale 14 del 20 dicembre 2004 Tutela della minoranza alloglotta e del

patrimonio storico, culturale e folkloristico della comunita’ albanofona del comune di Greci in provincia di Avellino

Sicilia

(60)

territoriale

(61)
(62)
(63)
(64)
(65)
(66)
(67)

situazioni

minoritarie

(68)

dial. germanici

sloveno sloveno

(69)

• Si parla friulano nella maggior parte del Friuli storico (corrispondente grosso modo alle attuali province di

Udine, Pordenone e Gorizia), territorio che insieme alla provincia di Trieste costituisce dal 1964 la Regione

Autonoma del Friuli-Venezia Giulia (circa 700.000 parlanti).

• in gran parte del goriziano, però, il friulano convive con l’uso dello sloveno, che ha conosciuto una notevole crescita soprattutto nel corso dell’ultimo secolo;

• sempre in provincia di Gorizia, il dialetto romanzo di Grado (con l’appendice di Marano Laguna in provincia di Udine) e il "bisiacco" (parlato nei comuni di

Staranzano, Ronchi dei Legionari, San Canzian d’Isonzo, Fogliano Redipuglia e Sagrado), sono di tipo veneto.

(70)

• Dialetti di tipo veneto "coloniale", praticati come varianti di prestigio, sono o erano diffusi nei centri urbani della regione: anche a Trieste, oggi

completamente venetizzata e slavizzata, si parlò fino al sec. XIX un antico dialetto friulano.

• In alcune isole linguistiche della Carnia si parlano inoltre dialetti tedeschi e sloveni arcaici, spesso accanto alle varietà friulane contermini;

• Di tipo friulano è anche la parlata di alcuni comuni dell’antico mandamento di Portogruaro in provincia di Venezia (San Michele al Tagliamento). Si considerano dunque friulani i dialetti parlati in tutta la provincia di Pordenone (che nella fascia di confine col Veneto

assumono però un colorito nettamente venetizzante).

(71)

• Lo sloveno è parlato nella frangia orientale della regione

autonoma Friuli Venezia Giulia, al confine con la Slovenia (circa 80.000 parlanti).

• Occorre tuttavia tenere distinte, per motivi di ordine linguistico, storico e sociopolitico le comunità di lingua slovena della

provincia di Udine da quelle stanziate nelle province di Gorizia e di Trieste.

• Le prime parlano varietà dialettali arcaiche, rimaste a lungo

isolate rispetto alla madrepatria per la lunga appartenenza del loro territorio (la "Slavia Veneta") alla Repubblica di Venezia prima, al Regno Lombardo-Veneto e all’Italia nel 1866 poi;

• gli Sloveni della zona di Trieste e di Gorizia, passati all’Italia nel 1918 dopo aver fatto parte dei territori direttamente

dipendenti dalla corona d’Austria, furono invece costantemente integrati nel contesto culturale e politico sloveno.

(72)

• inoltre, se la presenza di Slavi nelle due città e nei territori circostanti è fatto antico,

essa fu costantemente rafforzata da flussi migratori protrattisi fino a tempi recenti.

• Ciò spiega tra l’altro come gli Sloveni di

Trieste e Gorizia parlino la lingua standard o d i a l e t t i p o c o d i f f e r e n z i a t i d i

q u e s t a .

• Dialetti arcaici notevolmente distanti dallo sloveno standard sono invece le varietà

parlate in provincia di Udine (Val Canale, Val Resia, Alta Val Torre).

(73)

• In Italia si parlano tradizionalmente dialetti di tipo germanico in tutta la provincia autonoma di Bolzano (con esclusione delle valli ladine, ove peraltro il tedesco è da sempre lingua di riferimento culturale, circa 270.000 parlanti);

• tale area costituisce una penisola linguistica rispetto al retroterra austriaco, dal quale l’Alto Adige (o Tirolo

Meridionale) si trovò politicamente separato solo al termine della prima guerra mondiale (1918).

• Il forte sentimento di appartenenza della comunità

sudtirolese fu inutilmente osteggiato dall’amministrazione italiana soprattutto durante il ventennio fascista, e nel secondo dopoguerra trovò espressione politica nella

Südtiroler Volkspartei, il partito locale che si trovò a gestire le fasi più delicate dell’applicazione dei trattati internazionali che regolano la corretta applicazione delle norme di tutela della minoranza.

(74)

• Al di fuori dell’area del Sud-Tirolo, dialetti di tipo germanico sono praticati, come frutto di

migrazioni avvenute in periodo medievale, in una serie di nuclei diversamente collocati lungo

l’arco alpino, residuo in genere di popolamenti un tempo più estesi (circa 10.000 parlanti in

tutto).

• Appartengono al tipo walser (dialetto

alemannico) le comunità germanofone di Issime, Gressoney-la-Trinité e Gressoney-Saint-Jean

(AO), di Alagna Valsesia, Rimella e Rima in

forte regresso (VC), di Formazza e Macugnaga in provincia di (NO).

(75)

• In provincia di Trento un dialetto bavarese arcaico (Mòcheno) sopravvive nella val Fersina e a Roveda, Folgaria, Luserna, Sant’Orsola;

• è di tipo bavarese-austriaco anche il

dialetto germanico parlato a Sappada (BL), ove risulta estinta l’altra isola germanofona di Farra d’Alpago);

• mentre a Rotzo, Roana e Rudi frazione di

Gallio, (VI), e a Giazza frazione di Selva di Progno (VR) poche decine di persone parlano una

varietà bavarese arcaica, comunemente definita cimbro, un tempo praticata in tutto l’altipiano di Asiago e nella zona dei cosiddetti "Tredici

(76)

• In provincia di Udine dialetti germanici di ceppo carinziano si parlano nelle località di Sauris,

Timau, Tarvisio, Ugovizza e nella Val Canale,

spesso in condizione di pluriglossia con le varietà friulane e, nel caso di Tarvisio, con lo sloveno

arcaico e col tedesco standard.

walser

cimbro mòcheno

dial. carinziani tedesco

(77)

ladino dolomitico (circa 35.000 parlanti), solo in rapporto con l’area germanofona del Tirolo

meridionale; verso il Trentino e il Veneto, infatti, i caratteri ladini digradano

progressivamente, in una tipologia linguistica che prelude al deciso affermarsi dei dialetti

italoromanzi.

• Va inoltre osservato che le popolazioni delle valli ladine hanno sempre vissuto in

condizioni di bilinguismo e di plurilinguismo, orientandosi di volta in volta, verso un uso,

come lingue di cultura, del tedesco (in Alto

Adige) o dell’italiano (in Trentino e nel Cadore).

(78)

ladino cadorino H = ital.

prov. di Trento H = ital.

prov. di BZ H = ted.

(79)

culturale e linguistico di prestigio, fatto proprio da settori sociali come l’aristocrazia e la borghesia

colta, il francese non conserva attualmente un

ruolo di particolare rilievo nella società italiana, se non come lingua straniera la cui conoscenza e il cui apprendimento rientrano ancora spesso nella formazione e nella prassi delle élites culturali ed economiche.

• Il francese ha tuttavia una discreta presenza come lingua veicolare e di comunicazione quotidiana lungo la fascia di confine, ove il tradizionale

contesto di pluriglossia e plurilinguismo delle aree di frontiera ha visto spesso il prevalere di una competenza attiva del francese.

(80)

• Oltre che in Valle d’Aosta ciò si è verificato in particolare per le zone di dialetto occitanico e franco- provenzale (CN, TO), caratterizzate anche da una storica emigrazione verso la Francia, e in particolare in alcune vallate che in passato sottoposte a varie riprese all’amministrazione francese;

• in conseguenza di ciò nell’alta Val di Susa, ad esempio, il francese fu lingua ufficiale e di cultura fino al 1915 circa;

(81)

particolare, l’uso del francese nelle valli di confessione valdese (Pellice e Germanasca), ove l’idioma d’Oltralpe ha antiche e radicate tradizioni liturgiche;

• in queste zone, i cognomi e la toponomastica sono spesso fissati in forma francese a partire dalle forme autoctone occitaniche o franco-provenzali, a testimonianza di un utilizzo diffuso a livello burocratico-amministrativo e scolastico, che si protrasse durante l’amministrazione sabauda e ancora in età postunitaria.

(82)

• I dialetti di tipo francoprovenzale si parlano in Valle d’Aosta (70.000, dato fortemente sovrastimato) e in provincia di Torino (circa 20.000 parlanti) nella val Sangone, nella media e bassa val di Susa, in val Cenischia e nelle valli di Lanzo, dell’Orco e Soana.

• Di tipo francoprovenzale è pure il dialetto dei due comuni di Faeto e Celle San Vito, in provincia di Foggia (1500 parlanti circa), ove la parlata fu probabilmente importata da immigrati valdesi nel corso del sec. XV.

(83)

• Resta estremamente difficile stabilire dei limiti esatti nella definizione del territorio di parlata francoprovenzale:

• in Valle d’Aosta esso può farsi coincidere

convenzionalmente con la regione amministrativa (tranne le comunità germanofone dei Walser,

ove peraltro il francoprovenzale è parlato accanto alle varietà locali);

• il fondovalle è storicamente interessato dalla

presenza del piemontese (oggi in forte regresso), e che l’italiano e il francese, lingue ufficiali e di

cultura nella regione, hanno contribuito a emarginare l’uso del patois, circoscritto

soprattutto alle alte valli e ai centri meno esposti

(84)

• nelle valli della provincia di Torino il progredire anche recente del

piemontese ha eroso

abbondantemente il territorio di

parlata francoprovenzale, che in passato doveva essere assai più esteso verso la pianura.

• Nelle colonie della provincia di Foggia, il dialetto è da sempre esposto al contatto linguistico con le circostanti parlate

pugliesi.

(85)

• I dialetti occitani parlati in Italia

appartengono alla sottovarietà alpina del tipo provenzale (circa 40.000 parlanti);

• diffusi in diverse valli cisalpine delle

province di Cuneo e di Torino, i dialetti occitani sono esposti alla secolare pressione del piemontese, soprattutto nei fondovalle;

• inoltre, risentono del duplice prestigio dell’italiano e del francese, tradizionalmente praticato quest’ultimo, come lingua di cultura, presso le comunità di confessione valdese

delle valli Pellice e Chisone.

(86)

la tipologia linguistica di quelle varietà che

costituiscono in certo qual modo la transizione verso il tipo piemontese della pianura;

• la recente presa di coscienza della specificità linguistica occitana (risalente in Italia soltanto agli anni Sessanta), ha generato inoltre non

pochi equivoci sul carattere di alcune parlate di tipo schiettamente ligure o piemontese, che per motivi ideologici o di politica culturale sono stati spesso ricondotti a una inesistente matrice occitana; ad esempio dei dialetti "brigaschi"

dell’alta val Tanaro, mentre una impronta occitana si riscontra effettivamente in alcune parlate delle valli Pesio ed Ellero.

(87)

• Con una certa approssimazione, tenendo anche conto della compresenza spesso massiccia del piemontese, si possono

considerare di tipo schiettamente occitano le parlate di diversi comuni in provincia di Cuneo;

• e di alcune località in provincia di Torino in

particolare nella zona di Bardonecchia e dell’alta Val di Susa.

• Un dialetto occitano si parla infine a Guardia Piemontese in provincia di Cosenza, ove fu importato nel sec. XV da coloni valdesi (circa 3000 parlanti).

(88)

area del francoprovenzale

area

occitanica punti con

tradizione di uso del francese

(89)

• si tratta nella maggior parte dei casi di penisole linguistiche rispetto a lingue standard esterne:

• francese (monocentrico…)

• tedesco (pluricentrico…)

• sloveno

• diversità strutturale delle LM rispetto allo standard esterno

• tedesco del Tirolo vs walser, mòcheno, cimbro

• sloveno di TS e GO vs sloveno di UD

(90)

• *repertori* complessi a diverso titolo:

• due lingue coufficiali (fr. e it. in Val d’Aosta)

• due lingue ufficiali ma in senso separativo (ital. e tedesco in Alto Adige)

• varietà minoritarie il cui territorio è ricompreso in quello di un’altra varietà minoritaria ma più estesa ed elaborata:

• sloveno entro friulano nelle due diverse situazioni di TS, GO e di UD

• ladino entro tedesco (BZ)

• diverse varietà minoritarie in contatto:

• minoranze di dialetto germanico, slavo e friulano

• francese e francoprovenzale

(91)
(92)

• Questi gruppi (circa 80.000 parlanti), parlanti varietà dialettali di tipo tosco, iniziarono a trasferirsi in Italia a partire dal sec. XV, incoraggiati dalla politica di ripopolamento di Alfonso I

d’Aragona;

• il movimento migratorio crebbe dopo l’invasione turca dell’Albania (1435) e continuò fino al sec. XVIII con lo

stanziamento pacifico di comunità albanesi tra le popolazioni di dialetto italoromanzo.

• Il carattere episodico e discontinuo degli stanziamenti spiega in gran parte la frammentazione territoriale che caratterizza la cosiddetta Arberia, ossia l’insieme delle comunità storiche albanofone d’Italia.

• Occorre distinguere fra località di tradizione albanofona ma

ormai da tempo linguisticamente assimilate ai circostanti dialetti italiani, località nelle quali la lingua albanese convive storicamente con quelle varietà, e località totalmente albanofone o presso le

(93)

• Per quanto riguarda ad esempio la Calabria, comunità albanofone

sono presenti in diversi centri della provincia di Catanzaro, mentre in provincia di Cosenza il dialetto arbëresh risulta totalmente estinto.

• In altre regioni, comunità più o meno consistenti sono ancora segnalate:

• a Greci in provincia di Avellino,

• a Montecilfone, Portocannone, Ururi e Campomarino in provincia di Campobasso (Molise),

• a Barile, Casalnuovo Lucano, Ginestra, Maschito e San Costantino Albanese in provincia di Potenza (Basilicata),

• a Casalvecchio e Chieuti in provincia di Foggia (Puglia),

• a Piana degli Albanesi, Santa Cristina di Gela e Contessa Entellina in provincia di Palermo (Sicilia);

• l a comunità albanofona di Villabadessa in provincia d i P e s c a r a r i s u l t a o r ma i p r a t i c a me n t e e s t i n t a .

(94)
(95)
(96)
(97)
(98)

• Il croato è parlato nei tre comuni di San Felice del Molise, Montemitro e Acquaviva Collecroce, in provincia di Campobasso (circa 2400 persone).

• Queste piccole colonie risalgono con ogni probabilità ai secc. XV-XVI, quando numerosi abitanti della costa dalmata, per sfuggire all’invasione turca, si trasferirono al di qua dell’Adriatico, fondando diverse comunità lungo la costa e nell’entroterra fra le Marche e la Puglia.

• Tali colonie furono in gran parte assimilate dalle popolazioni circostanti; ancora nel secolo scorso, tuttavia, si ha notizia di gruppi slavi a Tavenna (Cb) e Castelfrentano (Ch).

• Grado notevole di elaborazione (dizionario W.Breu,

(99)

dei territori costieri dell’Italia meridionale, ove l’utilizzo del greco come lingua di cultura si protrasse a lungo dopo la caduta dell’Impero.

• Tracce consistenti del sostrato ellenico si riconoscono nei dialetti italiani meridionali, soprattutto della Calabria e della Puglia, regioni nelle quali è documentata più a lungo la presenza di aree consistenti di lingua greca:

• fino al sec. XIII erano ellenofone molte località del Salento, della Calabria meridionale e della Sicilia orientale; ancora nel sec. XVI, quando la liturgia orientale cominciò a essere sostituita da quella latina, con grave danno del prestigio dell’idioma, i centri di lingua greca erano 27 nel Salento, 20 in Calabria e uno in Sicilia.

• Attualmente i dialetti greci, in forte regresso, occupano nell’Italia meridionale due aree ben distinte:

• in Puglia nel Salento, ove la parlata è detta grico (comuni di Calimera, Castrignano de’

Greci, Corigliano d’Otranto, Martano, Martignano, Melpignano, Soleto, Sternatìa e Zollino),

• in Calabria nell’Aspromonte, ove il dialetto viene denominato romaico, nei centri di Bova, Bova Marina, Condofuri, Roccaforte del Greco e Roghudi. Una comunità ellenofona piuttosto compatta si è formata da tempo a Reggio Calabria come conseguenza dell’emigrazione dai comuni dell’Aspromonte. (circa 12.000 parlanti).

(100)
(101)

Nonostante il carattere insulare,

la situazione linguistica è abbastanza complessa, sia per le varietà

compresenti, sia per la complessità dei repertori.

(102)

• I dialetti sardi e quelli ad essi collegati coprono l’intero territorio dell’isola (circa 1.000.000 di parlanti), con

l’eccezione della città di Alghero, di lingua catalana, e delle comunità tabarchine di Carloforte e Calasetta.

• L’insularità contribuisce naturalmente a definire lo

spazio linguistico sardo ben al di là delle tipologie e delle suddivisioni interne;

• malgrado le loro peculiarità e il raccordo con gruppi dialettali esterni, anche il gallurese e il sassarese vengono considerati parte integrante del patrimonio linguistico sardo, al quale sono del resto accomunati da fattori di relativa omogeneità culturale che trovano

riscontro soprattutto nel lessico.

(103)

• La distanza tipologica (e in particolare gli aspetti arcaici della latinità insulare) rispetto all’italiano e alle altre lingue romanze, fanno tradizionalmente considerare i dialetti sardi come un gruppo a sé stante nel sistema degli idiomi neolatini.

• Il sistema delle varietà sarde presenta notevoli differenze al suo interno:

• l’area centrale, logudorese e nuorese, è

quella che offre le caratteristiche più spiccate di originalità, ma il legame con il tipo dialettale

meridionale, o campidanese, resta comunque forte.

(104)

parlati nella parte settentrionale della Sardegna, il gallurese e il sassarese;

• essi riflettono condizioni più simili all’area còrsa e al toscano, e sono il frutto di un influsso

continentale risalente al periodo del predominio pisano e genovese (secc. XII-XIV, per il sassarese), o di una massiccia immigrazione dalla Corsica

(gallurese).

• La toponomastica e la documentazione storica rivelano che in passato l’area settentrionale era tipologicamente affine al logudorese.

• In particolare, è di tipo schiettamente còrso, con fortissimi influssi liguri, il dialetto parlato sull’isola della Maddalena.

(105)

• Il catalano è parlato nella città di Alghero (L’Alguer),

sulla costa nord-occidentale della Sardegna, in provincia di Sassari (circa 20.000 bilingui).

• La presenza di quest’isola linguistica risale al 1353, anno in cui la città, fino ad allora colonia genovese, fu conquistata dall’ammiraglio Bernat de Cabrera e ripopolata

(soprattutto a partire dal 1372) da elementi originari della Catalogna, delle Baleari e del Regno di València.

• L’uso del catalano prosperò nei secoli della dominazione aragonese e poi spagnola sulla Sardegna, favorito anche dai traffici commerciali con la madrepatria e dal

particolare statuto della città, che costituì a lungo una sorta di corpo separato rispetto al retroterra.

(106)

comprendente il comune di Carloforte (unico centro abitato dell'isola) e quelli del comune di Calasetta, sulla vicina isola di Sant'Antioco, nella provincia della Sardegna meridionale.

• Discendenti di coloni liguri stanziati nel XVI secolo

nell'isola di Tabarca (Tunisia), da cui deriva il nome, si trasferirono nelle isole del Sulcis alla metà del XVIII secolo, costituendo nel corso dei secoli una propria parlata, il tabarchino, affine al ligure.

• Il t., parlato da circa 9.000 persone nei comuni di

Carloforte e Calasetta, è un dialetto di tipo ligure in un territorio linguisticamente sardo. Si stima che altre 5.000 persone nelle aree limitrofe del Sulcis e dell'Iglesiente

conservino l'uso del tabarchino a livello familiare.

(107)

• Secondo dati riferiti al 1998, il tabarchino, grazie al forte senso di appartenenza alla comunità, è correntemente parlato dall'87%

degli abitanti di Carloforte e dal 65% di quelli di Calasetta.

Un'indagine del 2007 riferita alla sola Carloforte conferma

sostanzialmente questo dato, che trova riscontro anche tra la popolazione di età inferiore ai 35 anni.

• Esistono alcune differenze tra il tabarchino parlato a Carloforte e quello di Calasetta: quest'ultimo infatti, per la contiguità culturale con la popolazione sarda, ha acquisito in misura maggiore termini linguistici sardi, legati soprattutto all'agricoltura, mentre quello di

(108)

dalla distribuzione territoriale

delle minoranze

collegamenti con i criteri di classificazione delle alloglossie

visti all’inizio

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