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Calcolo integrale per funzioni di una variabile

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Academic year: 2021

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Capitolo

10

Calcolo integrale per funzioni di una variabile

10.1 Funzioni primitive

Abbiamo studiato il problema di dedurre da una data funzione la sua derivata. Vogliamo ora occuparci del problema inverso: data una funzione f(x) in un certo intervallo A, definire in A un’altra funzione F (x) che abbia per derivata la f(x), vale a dire:

F0(x) = f(x). (10.1)

Se esistono funzioni F (x) che verificano la (10.1), esse si chiamano funzioni primitive della f (x).

10.1.I Se la funzionef (x) ammette, nell’intervallo A, una funzione primitiva F (x), allora ne ammette infinite, che si ottengono tutte aggiungendo allaF (x) una costante arbitraria c.

10.1.II Se la funzione f (x) ammette in A delle primitive, fra queste ne esiste una e una sola che, in un prefissato punto a∈ A, assuma un valore u assegnato ad arbitrio.

Si tratta ora di studiare sotto quali condizioni per la f(x) la (10.1) ammetta una soluzione F (x) e, in caso affermativo, di darne un procedimento di calcolo. Questo problema, che affrontato in tutta la sua generalit`a comporta difficolt`a assai elevate, sar`a studiato qui nel caso particolare in cui la funzione f(x) sia continua. Con tale ipotesi si arriva a dimostrare l’esistenza delle primitive, dando in pari tempo un metodo per calcolarle. Ci`o `e fondato sul concetto di integrale.

10.2 Integrale di una funzione continua esteso ad un intervallo

Sia f(x) una funzione continua in un intervallo A. Fissato un intervallo [a, b] ⊆ A, si opera una decomposizione D di [a, b] in un numero arbitrario n di intervalli parziali [x0, x1], [x1, x2], . . . [xn−2, xn−1], [xn−1, xn] mediante i punti x1, x2, . . . , xn−1 scelti sotto la sola condizione che risulti

a = x0 < x1 < x2 < . . . < xn−1 < xn = b.

Posto δ = max(x1−x0, x2−x1, . . . , xn−1−xn), tale numero positivo δ 6 b−a sar`a chiamato la norma della composizione D. Esistono, evidentemente, infinite decomposizioni D aventi una norma assegnata δ < b − a.

Si fissino ora ad arbitrio un punto ξ0 ∈ [x0, x1], un punto ξ1 ∈ [x1, x2], . . . , un punto

(2)

r r r r r a≡ x0

ξ0

x1 ξ1

x2 . . . .

. . . . xn−1

ξn−1

xn ≡ b

Figura 10.1: Decomposizione dell’intervallo [a, b] e scelta dei punti per il calcolo della somma integrale σ nella (10.2).

ξn−1 ∈ [xn−1, xn], come mostrato in figura 10.2, e si calcoli la somma σ =

n−1

X

i=0

(xi+1− xi)f(ξi) (10.2)

che sar`a chiamata somma integrale relativa alla f(x) ed all’intervallo [a, b].

Conviene osservare due modi particolari di scegliere i punti ξi. In ciascuno degli inter- valli [xi, xi+1] la f(x) `e dotata di minimo assoluto mi e di massimo assoluto Mi e si pu`o scegliere in ciascun [xi, xi+1] il punto xi nel punto (o in uno dei punti) ove la f(x) assume il corrispondente minimo valore mi oppure il corrispondente massimo valore Mi. Cos`ı facendo si ottengono le due seguenti particolari somme integrali

s = Xn−1 i=0

(xi+1− xi)mi, S =

n−1X

i=0

(xi+1− xi)Mi; (10.3) confrontandole con la generica somma (10.2) `e evidente che in corrispondenza della medesima decomposizione D di [a, b] risulta

s 6 σ 6 S. (10.4)

Le somme integrali s, S dipendono soltanto dalla decomposizione D, mentre una generica σ dipende, oltre che dallaD, anche dalla scelta dei punti ξi. Non si pu`o dire che tali somme siano funzioni della norma δ della decomposizione D perch´e, come si `e gi`a osservato, esistono infinite decomposizioni D con la medesima norma e quindi ad un fissato δ corrispondono in generale infiniti valori della somma integrale σ (ed, in particolare, della s e della S). Si pu`o per`o dire che la σ `e una funzione ad infiniti valori della variabile δ, definita al variare di δ nell’intervallo [0, b − a], il quale ha il punto 0 come punto di accumulazione.

La definizione di limite, data per funzioni ad un sol valore, si pu`o immediatamente estendere a funzioni a pi`u valori dicendo che, se f(x) `e una funzione a pi`u (eventualmente infiniti) valori, definita in un insieme E avente x0 come punto di accumulazione, la scrittura

xlim→x0f (x) = l

significa che, fissato ε > 0, esiste un δε > 0 tale che, per ogni punto x ∈ E che verifichi la 0 < |x − x0| < δε, tutti i corrispondenti valori f(x) verificano la |f(x) − l| < ε.

Adottando questa estensione del concetto di limite, si dimostra il seguente risultato.

(3)

10.3. Significato geometrico dell’integrale

10.2.I Al tendere a zero della normaδ della decomposizione D, la somma integrale σ tende ad un limite determinato e finitol, nel senso che,∀ε > 0, ∃ δε > 0 tale che, in corrispondenza ad ogni decomposizioneD avente norma δ < δε, risulta sempre |σ − l| < ε.

Il limite l di cui il 10.2.I assicura l’esistenza `e un numero che dipende dalla funzione continua f(x) e dall’intervallo [a, b]; esso si chiama l’integrale della funzione f(x) esteso all’intervallo [a, b] e si indica con la notazione

Z b a

f (x) dx. (10.5)

Si ha dunque per definizione (e col solito significato dei simboli) Z b

a

f (x) dx = lim

δ→0

σ = lim

δ→0 n−1

X

i=0

(xi+1− xi)f(ξi) (10.6)

ed in particolare Z b

a

f (x) dx = lim

δ→0

s = lim

δ→0 n−1

X

i=0

(xi+1−xi)mi,

Z b

a

f (x) dx = lim

δ→0

S = lim

δ→0 n−1

X

i=0

(xi+1−xi)Mi.

Poich´e l’integrale (10.5) coincide con il numero di separazione delle due classi {s}, {S}

considerate in precedenza, si pu`o aggiungere:

10.2.II l’integrale della funzionef (x) esteso all’intervallo [a, b] coincide con l’estremo supe- riore dell’insieme costituito da tutte le possibili sommes e con l’estremo inferiore dell’insieme costituito da tutte le possibili sommeS. Pertanto le somme s danno valori approssimati per difetto dell’integrale, le sommeS ne danno valori approssimati per eccesso.

Circa il calcolo effettivo dell’integrale (10.5) possiamo dire per ora che, in ogni caso, se ne possono ottenere valori comunque approssimati per mezzo delle somme integrali σ, s, S calcolate in corrispondenza a decomposizioni di [a, b] in intervalli parziali molto piccoli. Dallo sviluppo della teoria risulteranno per`o altri metodi pi`u rapidi.

10.3 Significato geometrico dell’integrale

All’integrale di una funzione continua f(x) esteso ad un intervallo [a, b] si pu`o dare un notevole significato geometrico quando si supponga che nell’intervallo [a, b] si abbia sempre f (x) > 0. Costruito il grafico della funzione (situato nel semipiano y > 0), si pu`o considerare l’insieme piano T = {(x, y)| a 6 x 6 b, 0 6 y 6 f(x)}, cio`e la regione limitata dall’asse x, dalla curva y = f(x) e dalle rette x = a, x = b (figura 10.2). Essa sar`a chiamata rettangoloide avente per base l’intervallo [a, b] e relativo alla funzione f(x).

(4)

a b x y

y = f (x) T

Figura 10.2: Area individuata dal grafico della funzione y = f(x).

Allo scopo di definire in modo preciso che cosa debba intendersi per area del rettangoloide T , si effettua una decomposizione D di [a, b] e si calcolano le somme s, S considerate in precedenza:

s = (x1− x0) m0+ (x2 − x1) m1 + . . . + (xn− xn−1) mn−1, S = (x1− x0) M0 + (x2− x1) M1 + . . . + (xn− xn−1) Mn−1,

che ora sono certamente non negative. L’espressione s rappresenta la somma delle aree dei rettangoli r0, r1, . . . , rn−1 che ricoprono una regione T0 contenuta nel rettangoloide T , detta scaloide inscritto in T , mentre la S rappresenta la somma delle aree dei rettangoli R0, R1, . . . , Rn−1 che ricoprono una regione T00 contenente il rettangoloide T , detta scaloide circoscritto a T (figura 10.3). Volendo allora definire l’area di T , conviene fare in modo che essa risulti maggiore di s e minore di S e ci`o, non soltanto per una particolare decomposizione D di [a, b], ma per tutte le possibili decomposizioni. Questa considerazione conduce a definire l’area di T come il numero di separazione tra le due classi contigue {s},{S}. Ma si sa che tale numero di separazione `e proprio l’integrale Rb

a f (x) dx e perci`o si pu`o concludere col seguente enunciato:

10.3.I L’area del rettangoloideT definita come numero di separazione tra le classi contigue costituite dalle aree degli scaloidi inscritti e dalle aree degli scaloidi circoscritti, `e uguale all’integrale dellaf (x) (continua e non negativa) esteso all’intervallo [a, b].

a = x0 x1 x2 x3 x4 = b r0

r1 r2 r3

a = x0 x1 x2 x3 x4 = b R0

R1 R2 R3

Figura 10.3: Aree dello scaloide inscritto (a sinistra) e di quello circoscritto (a destra) al rettangoloide T .

(5)

10.4. Propriet`a dell’integrale

10.4 Propriet`a dell’integrale

Esponiamo ora le propriet`a fondamentali dell’integrale di una funzione continua f(x), esteso ad un intervallo [a, b].

Osserviamo anzitutto che se `e f(x) = c (costante) in [a, b], si ha

σ =

n−1X

i=0

(xi+1− xi) c = c Xn−1

i=0

(xi+1− xi) = c (b − a).

Le somme integrali hanno il valore fisso c (b − a) e perci`o il loro limite per δ → 0, cio`e l’integrale, avr`a quel medesimo valore; dunque

Z b

a

c dx = c (b− a). (10.7)

10.4.I (Teorema della media) Siano f (x), g(x)∈ C0[a, b] e sia sempre g(x) > 0. Allo- ra, dettim, M il minimo ed il massimo valore di f (x) in [a, b], si ha:

m Z b

a

g(x) dx 6 Z b

a

f (x)g(x) dx 6 M Z b

a

g(x) dx (10.8)

ed esiste almeno un puntoξ∈ [a, b] tale da aversi Z b

a

f (x)g(x) dx = f (ξ) Z b

a

g(x) dx. (10.9)

Nel caso particolare g(x) = 1, il teorema della media diventa

10.4.II Dettim, M il minimo ed il massimo valore di f (x) in [a, b], si ha:

m(b− a) 6 Z b

a

f (x) dx 6 M(b− a) (10.10)

ed esiste almeno un puntoξ∈ [a, b] tale da aversi Z b

a

f (x) dx = (b− a)f(ξ). (10.11)

Se f(x) > 0 la (10.11) ha la seguente interpretazione geometrica: il rettangoloide T di base [a, b] e relativo alla f(x) ha la medesima area del rettangolo che ha la stessa base ed altezza f(ξ). Ci`o suggerisce di chiamare f(ξ) il valore medio della funzione f(x) nell’intervallo [a, b].

Questa definizione si adotta in ogni caso (anche se non `e sempre f(x) > 0), si pone cio`e valore medio di f(x) in [a, b] = 1

b− a Z b

a

f (x) dx. (10.12)

(6)

10.4.III (Teorema dell’additivit`a) Se c `e un punto interno all’intervallo [a, b], si ha:

Z b

a

f (x) dx = Z c

a

f (x) dx + Z b

c

f (x) dx. (10.13)

10.4.IV (Teorema della distributivit`a) Se f1(x), f2(x), . . . , fn(x) sono funzioni con- tinue in[a, b], allora, comunque si assegnino le costanti c1, c2, . . . , cn, si ha:

Z b

a

Xn i=1

cifi(x) dx = Xn i=1

ci Z b

a

fi(x) dx. (10.14)

Da questo teorema segue in particolare che l’integrale della somma di due o pi`u funzioni

`e uguale alla somma degli integrali delle singole funzioni: segue inoltre, ponendo uguali a zero tutte le funzioni tranne una e ricordando la (10.7):

Z b a

c f (x) dx = c Z b

a

f (x) dx (10.15)

ossia che un fattore costante si pu`o portare fuori dal segno di integrale.

Aggiungiamo altri tre teoremi di cui il primo risulta ben evidente quando si pensi al significato geometrico dell’integrale.

10.4.V Se in [a, b] risulta f(x) > 0, si ha Z b

a

f (x) dx > 0 (10.16)

ed inoltre, se[α, β] `e un qualsiasi intervallo contenuto in [a, b]:

Z b a

f (x) dx >

Z β α

f (x) dx. (10.17)

Nella (10.16) vale il segno di uguaglianza soltanto se f (x) `e identicamente nulla in [a, b];

nella (10.17) soltanto sef (x) `e identicamente nulla in [a, b]− [α, β].

10.4.VI Se f (x), g(x)∈ C0[a, b] e si ha f(x) > g(x), risulta Z b

a

f (x) dx >

Z b a

g(x) dx (10.18)

il segno di uguaglianza valendo nel solo caso che sia identicamentef (x) = g(x).

10.4.VII Sussiste la disuguaglianza

Z b a

f (x) dx 6

Z b a

|f(x)| dx. (10.19)

(7)

10.4. Propriet`a dell’integrale

Abbiamo mostrato in precedenza il significato geometrico dell’integrale, supponendo f (x) > 0. Se fosse f(x) 6 0, poich´e la (10.15) ci permette di scrivere

Z b

a

f (x) dx =− Z b

a

[−f(x)] dx, [con − f(x) > 0]

`e chiaro che l’integrale viene a rappresentare l’area del rettangoloide T di figura 10.4 cambiata di segno.

a b

x y

y = f (x) T

Figura 10.4: Area individuata dal grafico della funzione y = f(x), con f(x) < 0 in [a, b].

Supponiamo ora che la f(x) cambi di segno un numero finito di volte nell’intervallo [a, b], riferendoci per esempio alla figura 10.5.

a b

x y

y = f (x) T1

T2

T3

T4

Figura 10.5: Area individuata dal grafico della funzione y = f(x), che cambia segno in [a, b].

Possiamo scrivere per il 10.4.III:

Z b a

f (x) dx = Z α

a

f (x) dx + Z β

α

f (x) dx + Z γ

β

f (x) dx + Z b

γ

f (x) dx

(8)

e quindi, per quanto gi`a sappiamo Z b

a

f (x) dx = area T1− area T2+ area T3− area T4.

L’integrale rappresenta dunque la differenza fra la somma delle aree dei rettangoloidi situati al di sopra dell’asse x e la somma dei rettangoloidi situati al di sotto.

10.5 Integrali definiti

Abbiamo gi`a definito l’integrale esteso ad un intervallo [a, b]; si `e dunque implicitamente supposto a < b. Conviene ora allargare il significato dell’integrale per includere anche i casi a > b, a = b.

Precisamente porremo per definizione Z b

a

f (x) dx =− Z a

b

f (x) dx, se a > b, (10.20)

Z a

a

f (x) dx = 0 (10.21)

e daremo ora al simbolo Z b

a

f (x) dx con a R b

il nome di integrale definito della funzione continua f(x), fra i punti a e b, i quali si chiamano rispettivamente limite inferiore e limite superiore di integrazione.

Osserviamo che il simbolo Z b

a

f (x) dx

indica un numero che dipende soltanto dalla funzione f e dai limiti di integrazione a e b; in tale simbolo non ha dunque alcuna importanza la lettera con la quale si designa la variabile da cui dipende la funzione f, onde si pu`o scrivere per esempio

Z b a

f (x) dx = Z b

a

f (t) dt = Z b

a

f (u) du = . . . .

Non tutte le propriet`a degli integrali estesi ad intervalli, viste in precedenza, si estendono agli integrali definiti; in generale vengono a cadere, oppure vanno modificate, le propriet`a espresse da disuguaglianze. Ad ogni modo, per evitare errori, elenchiamo qui appresso le propriet`a degli integrali definiti.

(9)

10.6. Esistenza delle primitive di una funzione continua

10.5.I (Teorema dell’additivit`a) Comunque siano scelti i tre punti a, b, c, si ha:

Z b a

f (x) dx = Z c

a

f (x) dx + Z b

c

f (x) dx. (10.22)

10.5.II (Teorema della distributivit`a) Se c1, c2, . . . , cn sono delle costanti, si ha:

Z b

a

Xn i=1

cifi(x) dx = Xn i=1

ci Z b

a

fi(x) dx. (10.23)

10.5.III (Teorema della media) Se g(x) non cambia segno fra i punti a e b, si ha:

Z b a

f (x)g(x) dx = f (ξ) Z b

a

g(x) dx (10.24)

ove ξ `e un opportuno punto dell’intervallo che ha per estremi i punti a e b.

Nel caso particolare g(x) = 1 il teorema della media diventa:

10.5.IV Si ha:

Z b

a

f (x) dx = (b− a)f(ξ) (10.25)

ove ξ `e un opportuno punto dell’intervallo che ha per estremi i punti a e b.

10.5.V Sussiste la disuguaglianza

Z b

a

f (x) dx 6

Z b

a

|f(x)| dx

. (10.26)

10.6 Esistenza delle primitive di una funzione continua

Sia f(x) ∈ C0(A). Stabilito il concetto di integrale definito della f(x) fra due punti a, b ∈ A, ritorniamo al problema delle funzioni primitive. Dimostriamo che sussiste il seguente fondamentale teorema:

10.6.I (Teorema di Torricelli-Barrow) Ogni funzione f (x) ∈ C0(A) `e in A dotata di funzione primitiva. Detta c una costante arbitraria ed a un punto comunque fissato nell’intervallo A, tutte le primitive di f (x) sono date dalla formula

F (x) = c + Z x

a

f (t) dt. (10.27)

(10)

Dim. – Basta provare che F0(x) = f(x). Si ha infatti, tenendo conto del 10.5.I:

∆F = F (x + ∆x) − F (x) =

 c +

Z x+∆x

a

f (t) dt



 c +

Z x

a

f (t) dt



= Z x+∆x a

f (t) dt− Z x

a

f (t) dt =

Z x+∆x x

f (t) dt ovvero, applicando il 10.5.IV:

∆F = f(ξ)∆x

ove ξ `e un punto opportuno dell’intervallo che ha per estremi i due punti x, x+∆x. Ne segue

∆F/∆x = f(ξ). Si fa ora tendere ∆x a zero; il punto ξ tende ovviamente al punto x, onde si pu`o scrivere, tenendo anche conto che f(x) `e una funzione continua:

lim

∆x→0

∆F

∆x = lim

∆x→0

f (ξ) = lim

ξ→x

f (ξ) = f (x). 

Osserviamo anzitutto che in (10.27) si `e indicata con t la variabile di integrazione per non confonderla con la x che nella stessa formula indica il limite superiore di integrazione.

`E chiaro che Z x

a

f (t)dt

risulta avere un valore che dipende dalla scelta di x ∈ A; `e dunque una funzione di x definita in A.

Se nella (10.27) si sostituisce al punto a un altro punto α ∈ A, la formula rimane sostanzialmente inalterata, poich´e si pu`o scrivere

c + Z x

α

f (t) dt = c + Z a

α

f (t) dt + Z x

a

f (t) dt

ed osservare che quest’ultima espressione coincide con il secondo membro della (10.27), in quanto c +Ra

α f (t) dt `e una costante arbitraria al pari di c.

Dalla (10.27) `e facile dedurre che l’integrale definito di una funzione continua f(x) pu`o essere immediatamente calcolato quando si conosca una primitiva della f(x) (cio`e senza far ricorso al limite delle somme integrali).

Supponiamo, infatti, di voler calcolareRb

a f (x) dx e di conoscere una primitiva F (x) della funzione f(x). Per il 10.6.I tale F (x) deve necessariamente essere del tipo (10.27) cio`e deve esistere una costante c tale da poter scrivere:

F (x) = c + Z x

a

f (t) dt Ponendo dapprima x = b e poi x = a, si ottengono le

F (b) = c + Z b

a

f (t) dt, F (a) = c

(11)

10.7. Integrali indefiniti

che, sottratte membro a membro, danno

F (b)− F (a) = Z b

a

f (t) dt

Si ha dunque il seguente risultato:

10.6.II DettaF (x) una qualsiasi primitiva della funzione continua f (x), si ha Z b

a

f (x) dx = F (b)− F (a), ∀ a, b ∈ A, (10.28) cio`e l’integrale definito fra i limiti a, b `e uguale all’incremento della primitiva F (x) nel passaggio dal puntoa al punto b.

Si suole anche scrivere Z b

a

f (x) dx = [F (x)]ab. (10.29)

La (10.28) costituisce la formula fondamentale per il calcolo degli integrali definiti.

10.7 Integrali indefiniti

Una qualsiasi funzione primitiva della f(x) si chiama un integrale indefinito della f(x) e si

indica col simbolo Z

f (x) dx, (10.30)

che `e da considerarsi equivalente a:

c + Z x

a

f (t) dt.

L’integrale indefinito (10.30) rappresenta quindi una funzione di x avente come derivata f (x); tale funzione `e determinata soltanto a meno di una costante arbitraria. Si ha cio`e per definizione, ∀ x ∈ A,

DZ

f (x) dx = f (x), oppure dZ

f (x) dx = f (x) dx. (10.31) e sussiste inoltre la

Z

f0(x) dx = f(x) + c, oppure Z

df(x) = f(x) + c. (10.32)

Per quanto detto, risulta immediato trarre dalla tabella delle derivate fondamentali proposta al capitolo 8 la seguente tabella degli integrali indefiniti immediati.

(12)

Prima tabella degli integrali indefiniti immediati Z

xαdx = xα+1

α + 1+ c (per α 6= −1) Z

exdx = ex+ c Z 1

xdx = log x + c Z

cosh x dx = sinh x + c Z

cos x dx = sin x + c Z

sinh x dx = cosh x + c Z

sin x dx = − cos x + c Z 1

cosh2xdx = tanh x + c

Z 1

cos2xdx = tan x + c Z 1

sinh2xdx = − coth x + c

Z 1

sin2xdx = − cot x + c Z 1

√1 − x2 dx = arcsin x + c

Z 1

1 + x2dx = arctan x + c

Dalla precedente tabella si pu`o dedurre la seguente, pi`u generale, in cui f(x) indica una qualsiasi funzione di classe C1:

Seconda tabella degli integrali indefiniti immediati Z

[f(x)]αdf(x) = [f(x)]α+1

α + 1 + c Z

ef (x)df(x) = ef (x)+ c (per α 6= −1) Z

cosh f(x) df(x) = sinh f(x) + c Z df(x)

f (x) = log f(x) + c Z

sinh f(x) df(x) = cosh f(x) + c Z

cos f(x) df(x) = sin f(x) + c Z df(x)

cosh2f (x) = tanh f(x) + c Z

sin f(x) df(x) = − cos f(x) + c Z df(x)

sinh2f (x)dx = − coth f(x) + c Z df(x)

cos2x = tan f(x) + c Z df(x)

p1 − f(x)2 = arcsin f(x) + c Z df(x)

sin2x = − cot f(x) + c Z df(x)

1 + f(x)2 = arctan f(x) + c

Queste formule si dimostrano tutte immediatamente applicando la (10.31), ossia facendo vedere che il differenziale del secondo membro coincide con quanto sta scritto al primo membro sotto il segno di integrale.

(13)

10.8. Integrazione per parti. Integrazione per sostituzione

Con lo stesso criterio si dimostrano pure subito le seguenti propriet`a degli integrali in- definiti (basta far vedere che il differenziale del primo membro `e uguale al differenziale del secondo membro):

Z

c f (x) dx = c Z

f (x) dx (c = costante) (10.33)

Z Xn i=1

cifi(x) dx = Xn i=1

ci Z

fi(x) dx (c1, . . . cn costanti) (10.34) Z

u(x)v0(x) dx = u(x)v(x) −Z

v(x)u0(x) dx (10.35)

Z

f (x) dx



x=ϕ(t)

=Z

f [ϕ(t)]ϕ0(t) dt (10.36)

Dalle formule della seconda tabella e dalla (10.33) segue gi`a la possibilit`a di calcolare vari integrali indefiniti, operando delle semplici trasformazioni sulla funzione integranda. Diamo alcuni esempi.

Z 1

n

xdx =Z

xn1 dx = x 1 n+1

−1

n+ 1+ c = n n− 1

n

xn−1+ c ;

Z dx

x− α =Z d(x − α)

x− α = log(x − α) + c ;

Valendosi anche della (10.34), si pu`o tentare di decomporre la funzione integranda nella somma di funzioni facilmente integrabili. Alcuni esempi.

Z

(a0xn+ a1xn−1+ . . . + an−1x + an) dx = a0 xn+1

n + 1 + a1 xn

n + . . . + an−1 x2

2 + anx + c ; Z

cos2x dx =Z 1 + cos2x

2 dx = 1

2 Z

dx +1 4

Z

cos 2x d(2x) = 1

2(x + sin x cos x) + c .

10.8 Integrazione per parti. Integrazione per sostituzione

La (10.35) esprime la cosiddetta regola di integrazione per parti. Essa si pu`o scrivere

brevemente Z

udv = uv− Z

vdu

(14)

e riconduce il calcolo di un integrale indefinito al calcolo di un’altro integrale indefinito; se quest’ultimo risulta essere un integrale immediato, la regola permette di ottenere il calcolo del primo. Ecco alcuni esempi.

Z

x cos x dx = Z

x d(sin x) = x sin x− Z

sin x dx = x sin x + cos x + c ; Z

log x dx = x log x −Z

x d(log x) = x log x− Z

xdx

x = x log x − x + c .

La formula (10.36) fornisce la cosiddetta regola di integrazione per sostituzione la quale riconduce il calcolo dell’integrale indefinitoR

f (x) dx a quello dell’integraleR

f [ϕ(t)]ϕ0(t) dt.

Pu`o darsi che, con opportuna scelta della funzione ϕ(t), quest’ultimo sia facilmente calco- labile. Posto alloraR

f [ϕ(t)]ϕ0(t) dt = G(t)+c, se la funzione x = ϕ(t) ammette una funzione inversa t = ψ(x), si otterr`a in definitiva per l’integrale richiesto R

f (x) dx = G[ψ(x)] + c.

Alcuni esempi. Z p

a2− x2dx.

Si adotta la sostituzione

x = a sin t, con dx = a cos tdt; e l’inversa t = arcsinx a ottenendo

Z pa2− x2dx =Z p

a2− a2sin2t· a cos t dt = a2 Z

cos t dt = 1

2a2(t + sin t cos t) + c ; Z

tan3x dx.

Si adotta la sostituzione

x = arctan t, con dx = dt

1 + t2; e l’inversa t = tan x ottenendo

Z

tan3x dx =

Z t3

1 + t2 dt = t2−1

2 log(1 + t2) + c = tan2x

2 + log cos x + c ;

10.9 Regole per il calcolo degli integrali definiti

Come abbiamo visto, la regola fondamentale per il calcolo degli integrali definiti `e fornita

dalla formula Z b

a

f (x) dx = [F (x)]ab = F (b) − F (a) (10.37) ove F (x) indica una primitiva di f(x). Nei casi in cui questa primitiva si debba calcolare per mezzo di una integrazione per parti o per sostituzione, il calcolo pu`o essere abbreviato tenendo conto dei due risultati seguenti:

(15)

10.9. Regole per il calcolo degli integrali definiti

10.9.I (Integrazione definita per parti) Se in un certo intervallo A le due funzioni u(x), v(x) sono di classe C1, allora, comunque si prendano a, b∈ A risulta

Z b a

u(x)v0(x) dx = [u(x)v(x)]ab− Z b

a

v(x)u0(x) dx. (10.38)

Dim. – Infatti si ha per la (10.37) Z b

a

[u(x)v(x)]0dx = [u(x)v(x)]ab, ma il primo membro vale

Z b a

u(x)v0(x) dx +Z b a

v(x)u0(x) dx

e ne segue la (10.38). 

10.9.II (Integrazione definita per sostituzione) Sia f (x) una funzione continua nel- l’intervalloA dell’asse x e x = ϕ(t) una funzione di classe C1 nell’intervallo B dell’asse t.

Se, al variare dit in B, la x = ϕ(t) assume sempre valori x∈ A, allora, comunque si fissino t1, t2 ∈ B, si ha:

Z ϕ(t2) ϕ(t1)

f (x) dx = Z t2

t1

f [ϕ(t)]ϕ0(t) dt. (10.39)

Dim. – Infatti se F (x) `e una primitiva di f(x) nell’intervallo A, di conseguenza F [ϕ(t)] `e una primitiva di f[ϕ(t)]ϕ0(t) nell’intervallo B. Dal primo fatto segue per la (10.37)

Z ϕ(t2) ϕ(t1)

f (x) dx = [F (x)]ϕ(t2)

ϕ(t1) = F [ϕ(t2)] − F [ϕ(t1)], Z t2

t1

f [ϕ(t)]ϕ0(t) dt = {F [ϕ(t)]}tt2

1

= F [ϕ(t2)] − F [ϕ(t1)],

e dalle due relazioni scritte si trae la (10.39). 

La (10.39) esprime in sostanza che quando si opera una sostituzione x = ϕ(t) in un integrale definitoRb

a f (x) dx occorre, non solo cambiare f (x) in f [ϕ(t)], dx in ϕ0(t) dt (come negli integrali indefiniti), ma `e necessario anche cambiare i limiti di integrazione sostituendo ad a un qualunque valore t1 tale che ϕ(t1) = a ed a b un qualunque valore t2 tale che ϕ(t2) = b. Si noti che non `e affatto necessario che x = ϕ(t) sia dotata di funzione inversa.

Per mostrare una significativa applicazione di quanto visto in questo capitolo, ed in particolare della regola appena proposta, torniamo alla formula di Taylor.

(16)

Avevamo anticipato l’esistenza di espressioni alternative — rispetto alla (9.19) — per il resto della formula di Taylor (9.14) che, basandosi sul concetto di integrale, solo ora possono essere formulate.

Facciamo su f(x) la seguente ipotesi, pi`u restrittiva di quelle adottate nel capitolo 9:

γ) la f (x) `e in A di classe Cn+1. Si ha allora il seguente risultato:

10.9.III Nell’ipotesiγ il resto Rn(x) della formula di Taylor (9.14) ha l’espressione seguente:

Rn(x) =Z x x0

(x − t)n

n! f(n+1)(t) dt. (10.40)

Dim. – Facciamo vedere che l’integrale a secondo membro di (10.40) pu`o essere calcolato eseguendo delle successive integrazioni per parti. Eseguendo una prima integrazione per parti si ottiene:

Z x

x0

(x − t)n

n! f(n+1)(t) dt =(x − t)n

n! f(n)(t)

t=x t=x0

+ Z x

x0

(x − t)n−1

(n − 1)! f(n)(t) dt

= −(x − x0)n

n! f(n)(x0) +Z x

x0

(x − t)n−1

(n − 1)! f(n)(t) dt.

Ripetiamo su quest’ultimo l’integrazione per parti, ricavando in tal modo Z x

x0

(x − t)n

n! f(n+1)(t) dt = −(x − x0)n

n! f(n)(x0) −(x − x0)n−1

(n − 1)! f(n−1)(x0) +Z x

x0

(x − t)n−2

(n − 2)! f(n−1)(t) dt,

e cos`ı proseguiamo. `E ovvio che, dopo n integrazioni per parti, arriveremo alla formula seguente:

Z x x0

(x − t)n

n! f(n+1)(t) dt = − (x − x0)n

n! f(n)(x0) − (x − x0)n−1

(n − 1)! f(n−1)(x0) − . . .

− (x − x0)2

2! f00(x0) −x− x0

1! f0(x0) +Z x

x0

f0(t) dt.

Ma quest’ultimo integrale vale f(x) − f(x0) e perci`o si ha in definitiva Z x

x0

(x − t)n

n! f(n+1)(t) dt = −(x − x0)n

n! f(n)(x0) − . . . − (x − x0) f0(x0) − f(x0) + f(x).

Allora, ricavando di qui f(x) e confrontando con (9.14) si vede precisamente che sussiste la

(10.40). 

(17)

10.9. Regole per il calcolo degli integrali definiti

Dal risultato precedente si possono immediatamente ricavare altre due notevoli espressioni del resto Rn(x). Infatti, applicando all’integrale a secondo membro di (10.40) il teorema della media 10.5.IV, si ottiene

Rn(x) = (x − x0)(x − ξ)n

n! f(n+1)(ξ) (10.41)

ove ξ `e un opportuno punto (dipendente da x) dell’intervallo individuato dai due punti x0 e x. La (10.41) fornisce il cosiddetto resto di Cauchy.

Tenuto poi conto che nel predetto intervallo la funzione (x − t)n/n! ha segno costante, possiamo anche applicare all’integrale (10.40) il teorema della media 10.5.III e scrivere

Rn(x) = f(n+1)(ξ) Z x

x0

(x − t)n

n! dt = f(n+1)(ξ)

−(x − t)n+1 (n + 1)!

t=x t=x0

ossia

Rn(x) = (x − x0)n+1

(n + 1)! f(n+1)(ξ) (10.42)

ove ξ `e un opportuno punto dell’intervallo che ha per estremi x0 e x. La (10.42) fornisce il cosiddetto resto di Lagrange.

Per n = 0 la formula di Taylor, con il resto di Lagrange, si scrive f (x) = f (x0) + (x − x0)f0(ξ)

e ci fa ritrovare il teorema di Lagrange 9.1.V.

Nel caso particolare che la f(x) sia un polinomio p(x) di grado n, la sua derivata (n + 1)- esima `e identicamente nulla ed allora la (11-1-13) fornisce Rn(x) = 0; ne segue che la (9.14) si scrive

p(x) = p(x0) + p0(x0)(x − x0) + p00(x0)

2! (x − x0)2+ . . . +p(n)(x0)

n! (x − x0)n (10.43) e perci`o fornisce il polinomio p(x) ordinato rispetto alle potenze del binomio x − x0.

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