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N PERICOLOSITÀ DI CERTI NETTARI E POLLINI

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Academic year: 2021

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Il tema della tossicità di nettari e pollini di piante nei confronti dell’ape e

dell’uomo è ricorrente nella letteratura apistica, e ha una ben nota origine stori- ca. Un passato e presente che i tre autori ripercorrono in modo magistrale, chia- rendo al lettore tutti i dubbi possibili. Su questo numero la prima parte, nel me- se di Giugno proseguiremo con la seconda, in Luglio/Agosto la terza

Paola Ferrazzi, Monica Vercelli, Alberto Contessi

N

ella preparazione della quarta edizione del libro

“Le api Biologia, alleva- mento, prodotti”, nell'am- bito della collaborazione per la stesu- ra del capitolo dedicato alla flora api- stica, abbiamo deciso di approfondire il tema della tossicità di nettari e pol- lini di alcune piante nei confronti dell'ape e dell'uomo.

Tale argomento è ricorrente nella letteratura apistica, ma spesso è trat- tato in maniera superficiale, benché abbia una ben nota origine storica.

Il divario tra informazioni riportate in letteratura, sovente ripresi da lavori molto datati, e riscontri effettivi sulla base di osservazioni e di sperimenta- zioni riguarda diverse piante. Si inten- de perciò riferire i risultati di indagini personali o ricavate dalla bibliografia internazionale, che mettono in evi- denza la tossicità o la non pericolosi- tà di piante frequentate dall'ape, pre- cedentemente indicate, invece, come sempre dannose all'ape e all'uomo.

In natura esistono numerose piante tossiche, ma in generale si può affer- mare che l'ape non frequenta le pian- te tossiche, come accade per l'olean- dro (Nerium oleander L.); il veratro bianco e nero (Veratrum album L. e Veratrum nigrum L.) e le cicute (Cicuta

virosa L. e Conium maculatum L.), ap- partenenti rispettivamente alle fami- glie Apocynaceae, Liliaceae e Apia- ceae, notoriamente tossiche e sem- pre trascurate dalle bottinatrici. Inol- tre, i nettari di alcune piante conten- gono sostanze psicoattive nei con- fronti dell'uomo, ma innocue per le api (Mayor, 1995).

Da tempo si conosce l'esistenza di mieli psicoattivi, frequentemente dotati di potenti proprietà allucinoge- ne, delirogene, sedative o stimolanti, a seconda dei casi (Samorini, 2015 e 2017). Il caso storico più noto di mieli tossici è quello narrato da Senofonte.

Questo condottiero greco nel 401 a.C., con un’armata di diecimila guer- rieri, durante il viaggio di ritorno dalle regioni asiatiche verso la patria Gre- cia attraversò la zona del Colchide, regione Ponto, che si estende lungo il bacino orientale del Mar Nero. È lo stesso Senofonte a descrivere questa avventura in un testo rimasto famo- so, l’Anabasi. Durante l'attraversa- mento della regione, dove viveva il popolo dei Colchi, i guerrieri di Seno- fonte, sempre alla ricerca di viveri, si cibarono di un miele che li intossicò sino a renderli inabili al combatti- mento, con forte preoccupazione del condottiero per il pericolo che l’arma- ta venisse attaccata proprio in quel

frangente dai Colchidi. Di seguito il resoconto della vicenda dato dallo stesso Senofonte: “Specialità del luogo sono i favi di miele, coltivati su larga scala da tutti gli abitanti del posto; i soldati che si provano a metterne in bocca qualcuno vengono colti da malo- re improvviso, con vomito e mossa di corpo, e non si reggono in piedi: chi ne ha appena gustato, si sente come ubriaco. Quelli che ne hanno fatto una scorpacciata ora smaniano come pazzi e sembra addirittura che stiano per morire; ce ne sono tanti supini sul terre- no che sembra di trovarsi di fronte a un campo di battaglia dopo la sconfitta.

Questo malessere generale getta nella costernazione tutto l’esercito. Ma il gior- no dopo, alla stessa ora in cui s’era diffuso il male, tutti i malati ritornano alla normalità: il miele non ha ucciso nessuno, anzi il terzo e il quarto giorno tutti incominciano ad alzarsi; si sentono solo un po’ deboli, come dopo aver preso una buona purga.” (Senofonte, nella traduzione del 1984 di Enzo Ravenna).

Alcuni secoli dopo, nel 66 a.C., nei medesimi luoghi del Ponto un simile

“incidente” accadde a dei legionari romani guidati da Pompeo, nel corso delle guerre mitridatiche.

In questo caso, però, l’intossicazione non fu accidentale, poiché i nemici

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dei romani avevano appositamente sciolto del miele nel vino lasciato lungo il loro percorso: “Gli uomini dei Sette Borghi distrussero tre coorti di Pompeo che attraversavano le monta- gne, mescendo nei vasi da vino che avevano collocato lungo le strade un miele che provoca la follia, prodotto dai rami degli alberi. Difatti assalirono i soldati che avevano bevuto ed erano malridotti e facilmente ne ebbero ra- gione” (Strabone, nella traduzione del 2000 di Roberto Nicolai e Giusto Traina). Nel XVIII secolo questo miele veniva commercializzato in grosse

quantità, esportato per lo più verso l’Europa, dove era consumato nelle osterie come additivo delle bevande alcoliche (Mayor, 2003). Gli abitanti della Turchia e del Caucaso fanno tuttora uso, in piccole quantità, di questo miele, conosciuto come deli bal (“miele matto”), in quanto ritenu- to utile contro dolori addominali e come afrodisiaco.

Sempre in quantità moderate, è ag- giunto alle bevande alcoliche per renderle più stimolanti e inebrianti. Il deli bal viene prodotto e commercia- lizzato ancor oggi in Turchia come

“medicina alternativa”, principalmen- te come afrodisiaco e per il tratta- mento delle disfunzioni sessuali, in particolare l’impotenza. Viene usato anche in casi di diabete mellito, di- sturbi gastroenterici, artriti e iperten- sione. Verificata la facile esportazio- ne del prodotto, il suo impiego come afrodisiaco è stato ammesso anche in alcune nazioni europee (Demircan et al., 2009) e oggi è acquistabile in tuttoil Mondo mediante i canali com- merciali presenti in Internet.

L’assunzione in eccesso del deli bal, impiegato sia da uomini che da don- ne, può indurre serie cardiopatie, in particolare l’infarto miocardico, e complicazioni respiratorie (Yarlio- glues et al., 2011).

Tali effetti sono stati attribuiti al mie- le ricavato da Rhododendron ponti- cum L. e Rhododendron luteum Sweet, della famiglia delle Ericaceae (Fig. 1), azalee presenti sulle coste del Mar

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Fig. 1 - A) Rhododendron ponticum L. (Foto Rasbak). B) Rhododendron luteum Sweet (Foto S. Porse). Queste azalee, diffuse sulle coste del Mar Nero, producono nettare tossico. Il miele ottenuto da queste piante (deli bal o “miele matto”) può causare intossicazioni, in ogni caso senza esiti mortali.

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Nero che, come abbiamo visto, pos- sono causare intossicazioni, in ogni caso senza esiti mortali (Jahnsen et al., 2012).

Studi recenti hanno individuato nelle foglie e nei fiori di queste specie di rododendri e altre piante della fami- glia delle Ericaceae dei composti, chiamati grayanotossine (diterpeni poliidrossilati), o andromedotossine, acetilandromedolo o rhodotoxin (Gunduz et al., 2008; Türkmen et al., 2013). Questi composti agiscono sulla pompa del sodio provocando una depolarizzazione delle membrane cellulari, e nei casi più gravi possono causare infarti e blocco atrioventrico- lare. Le intossicazioni vengono tratta- te con infusione salina e atropina (Popescu & Kopp, 2013). Sembrereb- be che altre specie di rododendro siano dotate di simili proprietà. Rho- dodendron viscosum (L.) Torr. viene impiegato come narcotico dai nativi del nord America (Popescu & Kopp, 2013), e in una specie che cresce nel- la Cina meridionale, Rhododendron anthopogonoides Maxim., sono stati individuati dei composti cannabinoidi -simili (Iwata & Kitanaka, 2011). L’an- dromedotossina è presente pure in altre Ericaceae: Pieris japonica (Thunb.) D. Don (Fig. 2 A), chiamata anche “andromeda giapponese”, ori- ginaria delle foreste montane del Giappone, di Thaiwan e della Cina, Agarista spp. (Fig. 2 B), genere diffuso nelle Americhe, dagli Stati Uniti all'Ar- gentina, Kalmia spp. (Fig. 2 C), genere originario del Nord America e Ledum palustre L., attualmente denominato Rhododendron tomentosum Harmaja, 1990 (Fig. 2 D), pianta da cui si ricava un rimedio omeopatico contro le punture degli insetti.

Forse per i motivi fin qui esposti alcu- ni testi di apicoltura riferiscono gene- ricamente della tossicità di mieli di rododendro, senza fare distinzioni tra specie dell'Asia minore o di altri con- tinenti e specie diffuse sull'arco alpi- no, quali Rhododendron ferrugineum L. (Fig. 3 A), presente su tutte le Alpi,

e Rhododendron hirsutum L. (Fig. 3 B), presente nella parte orientale delle Alpi, con relativi ibridi.

Queste due specie sono fonti di pre- giati mieli uniflorali prodotti in tutto

l'arco alpino, assolutamente non tos- sici, e rappresentano una componen- te comune dei mieli alpini.

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Fig. 3 - Specie diffuse sull'arco alpino: A) Rhododendron ferrugineum L. (Foto Ghislain), presente su tutte le Alpi; B) Rhododendron hirsutum L. (Foto B. Haynold), presente nella parte orientale delle Alpi. Queste due specie sono fonti di pregiati mieli uniflorali prodotti in tutto l'arco alpino, assolutamente non tossici

Fig. 2 - A) Pieris japonica (Thunb.) D. Don (Foto S. Shebs). B) Agarista salicifolia G. Don (Foto Jawleyford). C) Kalmia latifolia L. (Foto A. Fortis). D) Rhododendron tomentosum Harmaja, già Ledum palustre L. (Foto S. Porse). Queste piante, originarie di altri continenti, producono sostanze tossiche, ma non hanno importanza apistica in Italia o perché molto rare o non visitate dalle api.

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Vi possono essere, però, altre ecce- zioni che vale la pena esaminare più in dettaglio.

Varie specie appartenenti alla fami- glia Daphnaceae, tra cui Daphne me- zereum L. (Fig. 4 A ) e D. gnidium L.

(Fig. 4 B), sono segnalate per la loro velenosità, ma da nostre osservazioni le api evitano queste piante. Secondo Kirk e Hoves (2012), invece, le api raccolgono su Daphne mezereum net- tare e polline.

I ranuncoli, appartenenti alla famiglia delle Ranuncolaceae, considerati piante velenose per il loro contenuto di anemonina, principio attivo tossico, sono talvolta bottinati dalle api per il polline e più raramente per il nettare, in particolare Ranunculus ficaria L.

(Fig. 5), specie che fiorisce a fine in-

verno, un periodo in cui le api non accumulano miele.

I petali gialli dei ranuncoli sono in realtà dei nettàri a forma di petalo, che presentano alla base una fosset- ta nettarifera; i vari petali sono i pezzi giallo-verdi che formano il cosiddetto calice (Lodi, 2001; Pignatti, 1992).

La giovane pianta, prima della fioritu- ra, è commestibile, inoltre l'anemoni- na è una molecola molto instabile, che si inattiva con il disseccamento.

Molte altre Ranunculaceae sono con- siderate piante velenose; alcune di esse erano state dichiarate tossiche per le api (Howes, 1945). Tra queste è menzionato il genere Delphinium L.

(Fig. 6 A), che solitamente è poco visi- tato da Apis mellifera poiché il netta- rio è contenuto nello sperone stretto e allungato di questo fiore, il che lo rende irraggiungibile per le bottinatri- ci. Tuttavia, tale specie a volte forni- sce nettare, quando questo viene assunto attraverso fori praticati nello sperone da bombi ladri.

Un discorso simile si può fare per l'aconito, Aconitum napellus L. (Fig. 6 B), specie in cui la localizzazione dei nettàri all'interno del tepalo a elmo ne rende difficile l'accesso a insetti a ligula relativamente corta, come le api (Ferrazzi e Ferrua, 2015).

Fra le Rosaceae, anche il genere Spi- raea L., è stato indicato in passato come dannoso per l'ape. Alcune spe-

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Fig. 4 - A) Daphne mezereum L. (Foto E. Blasutto). B) Daphne gnidium L. (Foto J.F. Gaffard).

Non risulta che in Italia le api bottinino su queste due specie.

Fig. 5 - Ranunculus ficaria L., specie che fiorisce a fine inverno, a volte è visitata dalle api. (Foto A. Contessi).

Fig. 6 - A) Delphinium elatum L. (Foto F. Xaver). B) Aconitum napellus L. (Foto F. Bellamoli).

Queste piante sono poco visitate dalle api in quanto il nettario è contenuto nello sperone stretto e allungato del fiore.

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cie di Spiraea raramente sono visitate dalle api, come Spiraea japonica L.

(Fig. 7 A), molto diffusa come pianta ornamentale e fortemente invasiva, ma frequentata molto raramente.

Non sono note sostanze tossiche per queste specie, tuttavia Filipendula ulmaria (L.) Maxim. (Fig. 7 B), prece- dentemente chiamata Spiraea filipen- dula, ricercata dalle bottinatrici, ha notevoli proprietà curative per il suo contenuto in acido salicilico.

Tra le piante spesso indicate come dannose alle api vi sono gli ippocasta-

ni, appartenenti alla famiglia delle Sapindaceae.

Queste specie ornamentali, originarie dei Balcani e del Caucaso, sono molto diffuse negli ambienti urbani, soprat- tutto Aesculus hippocastanum L. (Fig. 8 A) e Aesculus carnea Hayne, l'ippoca- stano rosso (Fig. 8 B), assai meno visitato dalle api.

Gli ippocastani sono noti per i princi- pi attivi: glicosidi, indicati complessi- vamente come escina, largamente impiegati in farmacologia.

Esperienze dirette e ripetute hanno provato la loro innocuità sia nei con- fronti dell'ape sia dell'uomo, per quanto riguarda i mieli prodotti, co- me alcuni mieli urbani derivanti in buona parte dal nettare di ippocasta- no. Pure il polline, di colore rosso vivo, raccolto abbondantemente dalle bottinatrici, non è tossico (Marletto e Ferrazzi, 1984).

La tossicità di Aesculus californica, specie nordamericana, indicata come pericolosa per le api e per l'uomo da un vecchio articolo di Burnside e Van- sell (1936), è attualmente in discus- sione.

Paola Ferrazzi 1 Monica Vercelli 1 Alberto Contessi 2

1 Dipartimento di Scienze Agrarie Forestali e Alimentari (DISAFA) Università di Torino.

2 Autore del volume Le api Biologia, allevamento, prodotti.

Edagricole.

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Fig. 7 - A) Spiraea japonica L. (Foto P.

Hermans), pianta molto diffusa come pianta ornamentale e fortemente invasiva, ma frequentata molto raramente dalle api. Non sono note sostanze tossiche per questa specie. B) Filipendula ulmaria (L.) Maxim. (Foto I. Leidus), precedentemente chiamata Spiraea filipendula, ricercata dalle bottinatrici, ha notevoli proprietà curative per il suo contenuto in acido salicilico.

Fig. 8 - A) Ape che sta bottinando su infiorescenza di ippocastano (Aesculus hippocastanum L.). (Foto P. Ferrazzi). B) Ape che sta bottinando polline su infiorescenza di ippocastano rosso (Aesculus carnea Hayne). (Foto A.

Contessi).

ità

NON PERDERE GIUGNO

Nel mese di Giugno e Luglio/Agosto proseguirà il nostro Viaggio con le Api, accompagnati da Alberto Contessi, Paola Ferrazzi e Monica Vercelli.

Saranno prese in considerazione altre piante autoctone o meno e affrontere- mo la problematica legata alle piante produttrici di alcaloidi pirrolizidinici (PA), che possono avere azione epatotossica e cancerogena nei confronti degli ani- mali e dell’uomo

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