Gerardo Massimi
Appunti per gli studenti e i laureandi del corso di Geografia Economica e Geografia Economico-politica
Parte I
Laboratorio di Geografia - Dipartimento di Studi Filosofici, Storici e Sociali Facoltà di Lingue e Letterature Straniere
Ud’A di Chieti – sede di Pescara Febbraio 2006
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SPAZIO, AMBIENTE, TERRITORIO 4
Il concetto di spazio geografico 4
L’approccio reticolare 7
Il concetto di ambiente 9
LA DISTANZA 12
Distanza e spazio metrico 12
Specificità delle distanze stradali 15
Rilevanza geografica di alcune particolari metriche 19 Le distanze da Roma dei capoluoghi di provincia 22
La distanza economica 23
MODELLI E DISTANZE 1 25
Introduzione ai modelli 25
Tipologia schematica dei modelli più frequenti in geografia 25
Il modello di rendita mineraria secondo Toschi 27
Il modello di Von Thünen 29
Aspetti generali 29
Puntualizzazioni e ulteriori sviluppi sul tema dei paesaggi agricoli 33
Le piantagioni coloniali 40
Rapporti e indici d’interesse geografico nello studio delle attività agricole 41
Distanze ed aree 46
I poligoni di Thiessen 46
La concorrenza nello spazio e le aree di mercato. Schemi grafici illustrativi 50
MODELLI E DISTANZE 2 53
Richiamo di temi cartografici 53
Nota sulla cartografia dei trasporti 53
Le isolinee 55
Le linee isodiagrammatiche 55
Rette e curve di sostituzione 57
La localizzazione delle attività industriali 63
La curva spazio costo 63
Il triangolo localizzatore di Alfred Weber 64
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L’ isodapana critica e l’agglomerazione 69
Materie prime lorde e nette 70
Il modello del margine spaziale di Rowstron e Smith. 74 Politiche d’intervento a favore delle aree svantaggiate. 75 Distanze e volume della produzione secondo Moses 78 Complementi sulle distanze e sulle tariffe di trasporto 80
Le matrici delle distanze 80
Distanze e mosaici amministrativi 91
Cenni sui grafi in geografia 96
La legge di rifrazione nei trasporti 98
Convergenze spazio/tempo e spazio/costo 103
Tariffe virtuali 107
MODELLI E DISTANZE 3 110
Località e servizi centrali 110
Il modello delle località centrali in una sequenza grafica 110
Soglia e portata 116
I mercati periodici 118
I livelli gerarchici delle località centrali 119
I multipli geografici delle aree di mercato 121
Il rango dei servizi centrali 122
Valutazioni critiche 124
Terziarizzazione e servizi alle imprese 126
Terziario e terziarizzazione 126
I fattori localizzativi delle attività di servizio alle imprese 132
Il valore aggiunto delle attività di servizio 135
Le matrici O/D 139
I flussi turistici 141
Indicatori sui flussi pendolari 142
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Spazio, ambiente, territorio Il concetto di spazio geografico
Lo spazio geografico va inteso come una costruzione progressiva e consapevole - sia dal punto di vista individuale, sia da quello collettivo - nella quale si collocano gli elementi geografici e le relazioni tra elementi stessi.
Esso, pertanto, deve essere ben distinto dalle sue rappresentazioni cartografiche costruite su parametri assoluti (le coordinate geografiche sulla superficie del geoide ovvero del pianeta Terra), e valutato come un contenitore definito dai contenuti e dalle relazioni reciproche fra questi piuttosto che un contenitore nel cui interno disporre elementi disgiunti.
Al riguardo, si propone per analogia la differenza tra la circonferenza e il cerchio della fig. 1: la prima circoscrive un insieme di elementi puntiformi, lineari ed areali, ma ha una sua propria configurazione conseguente a proprietà geometriche indipendenti dagli elementi; il secondo ha una forma ed un contorno determinati dalla disposizione degli elementi costitutivi, anch’essi assimilabili a punti, linee ed aree.
Nel ribadire il ruolo dello spazio quale oggetto fondamentale della geografia, è importante richiamare una distinzione fondamentale tra quello fisico di riferimento, nel quale si realizzano materialmente i fatti e i processi territoriali, a prescindere dalla nostra consapevolezza di essi, e quello geografico. Esso invero, rileva Landini nel 1986, anche a volerlo saldare intimamente alla materialità tellurica, rimane — nonostante le suggestioni e le prime concrete realizzazioni astronautiche — circoscritto alla superficie del nostro pianeta e, per quanto riguarda particolari flussi di materie prime e di comunicazioni, agli strati superiori della crosta terrestre e inferiori dell’atmosfera. Ciò grazie alla pur lenta opera di conquista tecnologica, per cui l'uomo ha allargato le proprie capacità di sfruttamento del pianeta, e ha prodotto, pertanto, i contenuti attuali che devono essere attribuiti allo spazio geografico.
È evidente, da altro punto di vista, come la costruzione dello spazio vada letta non tanto nelle sempre nuove prospezioni minerarie o nel fitto groviglio di rotte aeree che avvolge il globo, quanto nella successione, nell’incontro e nello scontro, dei processi che hanno condotto alla sincronia attuale – proiettabile nel futuro con la geografia attiva, o riferibile ad epoche passate con la geografia storica – dell'organizzazione superficiale di terre e acque, che ha visto la gran parte dei gruppi umani, in origine dispersi e isolati nell’immensità di condizioni naturali soverchianti, lentamente crescere e avvicinarsi l’un l’altro, fino all’attuale, complessa e intensiva utilizzazione delle risorse, con il conseguente emergere di
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molteplici forme di solidarietà planetaria, ma anche di conflittualità che, travalicando i luoghi d’origine dei dissidi, si riflettono in ambito mondiale (valga per tutti l’esempio dell’inquinamento).
Figura 1 Lo spazio contenitore e lo spazio dei contenuti.
Commento nel testo.
Rimangono, peraltro, una serie di problemi aperti. Innanzi tutto, la valutazione, in termini geografici, dello spazio fisico o naturale, il quale pur sempre limita — e in alcune aree (polari, forestali, desertiche) impedisce quasi del tutto — l'intervento umano, e con esso continuamente interagisce, come dimostrano purtroppo, con chiara evidenza, le negative conseguenze ecologiche di almeno una parte del cosiddetto “sviluppo produttivo”. Ciò significa anche interrogarsi sull’effettiva analogia di comportamento dei sistemi naturali e sociali, i primi governati da leggi
“esatte” o esattamente probabilistiche, i secondi da relazioni psicologiche e politiche difficilmente oggettivabili.
Lo spazio geografico sarebbe dunque relativo, il che bene si accorderebbe con una matura interpretazione geografica della teoria generale dei sistemi (in tal senso Da Pozzo, 1982) come processualità coinvolgente, alle diverse scale, ambiti territoriali sempre più vasti, dal locale al planetario.
Ma si evidenzia, in tal modo, un'altra questione di fondamentale importanza, specie in materia cartografica: la localizzazione dei fenomeni. Questa avviene, ed è esprimibile, in un sistema di coordinate, di cui i valori di latitudine e longitudine rappresentano la lettura formale.
Ora – a prescindere dal fatto che le differenti proiezioni cartografiche determinano lo spostamento reciproco dei medesimi punti da una carta all’altra, pur nell’ambito del sistema convenzionale di coordinate geografiche – è fuori
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discussione come la geometria proiettiva non derivi dai fondamentali assiomi euclidei, bensì possa essere sviluppata su basi totalmente differenti. Non solo; ma i fatti antropici (insediamenti residenziali e industriali, colture agricole, vie di comunicazione, ecc.) che leggiamo su una carta, e che indubbiamente occupano una posizione “assoluta” (ovvero individuata da precisi valori delle coordinate), avrebbero assunto quella posizione, forma e struttura in un contesto fisico e sociale diverso? E le distanze fra gli elementi, misurabili su una carta, manterrebbero lo stesso valore? La risposta, anche sulla base di opportune comparazioni, è evidentemente negativa. E posto che siano riscontrabili analogie sul piano cartografico, esse si rivelano comunque poco o per nulla significative della qualità di vita e dei rapporti sociali intercorrenti.
Ancora: come si inseriscono, in una già tanto complessa articolazione, le valutazioni percettive individuali, per cui ogni soggetto disegna proprie “carte mentali” (nel senso di Gould, 1966) fondate su regole non riconducibili a leggi geometriche? E che valore assumono i concetti di spazio espressi nel linguaggio, nell’arte, insomma nella cultura delle diverse civiltà?
Infine: gli interventi umani di localizzazione avvengono sì nello spazio, ciascuno in un dato momento; ma rientrano in un processo continuo, le cui apparenti rotture altro non sono che mutamenti tecnologici o relazionali. Pertanto, è indispensabile considerare un'altra dimensione, troppo a lungo trascurata dai geografi, quella temporale.
A tal proposito si richiama il dibattito degli anni Settanta, in seno alla geografia anglofona sulla necessità di spazializzare il tempo e di temporalizzare lo spazio, per passare direttamente ad una valutazione interlocutoria: le rappresentazioni geografiche elementari non possono che prospettare assetti del mondo, o di sue parti, nella dimensione sincronica, ma quelle di rango più elevato, le sintagmatiche e le sistemiche, devono necessariamente ricorrere alla dimensione diacronica in quanto i processi spaziali si sviluppano nel tempo. Pertanto il geografo dovrebbe muovere dal presente verso il passato per individuare e interpretare i meccanismi evolutivi, ancora attivi nello spazio, e dal presente verso il futuro al fine di prospettare gli scenari possibili, graduandone le probabilità.
L’enfasi di gran parte della letteratura odierna sui processi comporta alcuni rischi di non poco conto. Il primo risiede nella eventuale manchevolezza dei quadri informativi elementari (per molti Paesi del Terzo e del Quarto Mondo le lacune sono tali da richiedere prioritari e robusti contributi della tradizionale geografia descrittiva); il secondo nello sviluppo, forse eccessivo rispetto agli strumenti disponibili, delle considerazioni teoriche e nello slittamento degli interessi verso i meccanismi evolutivi dei sistemi territoriali, mentre tali sistemi, nel loro concreto dispiegarsi empirico, restano nell’ombra.
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Preoccupa anche l’uso, sovente acritico, dei diagrammi di flusso per schematizzare cicli ambientali (il ciclo dell’acqua, ad esempio) o sequenze conoscitive e decisionali, nonché di tabelle di corrispondenza tra utilizzazioni di risorse e rischi ambientali, quando non sostenute da adeguati modelli quantitativi delle probabilità degli eventi.
Le considerazioni e gli interrogativi prospettati nel corso del paragrafo sembrano ormai adeguati per un orientamento preliminare sul dibattito in corso nella comunità scientifica (anche perché saranno in parte ripresi nei paragrafi successivi di questo capitolo), sicché sembra opportuno procedere nel discorso per esaminare rapidamente l’approccio assiomatico allo spazio geografico.
Il punto di partenza è la constatazione che lo spazio geografico può essere spiegato solo se è disponibile una teoria, al riguardo, espressa con chiarezza e precisione, in particolare su “assiomi, vale a dire su enunciati ammessi a priori e non configurabili come conclusioni dedotte da altre proposizioni. Una volta ammessi, gli assiomi possono avviare un certo numero di deduzioni. Ricordiamo anche come g1i assiomi debbano essere sufficienti per giustificare le deduzioni che seguiranno e necessari, ossia non debbano esservi assiomi superflui.
Il punto di arrivo è una definizione formale tramite misure definite in uno spazio metrico delle componenti di base: insieme dei luoghi, distanza-lunghezza, misura di area. Tuttavia esse sono ritenute necessarie, ma non sufficienti per qualificare lo spazio geografico: in altre parole, si richiederebbe la loro presenza per giustificare l’uso del termine “geografico”; pertanto sarebbero “specifiche del geografo” (secondo Bèguin e Thisse, 1979).
In effetti, con l’impostazione assiomatica si addiviene alla formalizzazione di uno spazio che approssima quello geografico – il Kuiper (Kuiper, 1986) lo chiama pregeografico – soltanto in situazioni parziali e particolari per le quali abbiano significatività gli spazi metrici, ma rappresenta uno stimolo fondamentale e un canovaccio prezioso per la teoria e la pratica della misura in geografia degli aspetti sia quantitativi, sia qualitativi.
L’approccio reticolare
L’acquisizione di modelli di sviluppo spazialmente discontinuo, l’importanza attribuita ai localismi, il ruolo dei processi di apprendimento, lo sviluppo delle attività legate alla produzione di informazioni portano, secondo il Lefebvre (1996,), del quale si riassumono le considerazioni, alla constatazione che lo
“spazio geografico” — e come sua peculiarità, la “discontinuità” dei caratteri ambientali, culturali, sociali — incide in modo non trascurabile sullo sviluppo e
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sugli squilibri regionali. Inoltre, a suo fondamento va posto non la semplice estensione spaziale, ma un principio che organizza le diverse attività e i soggetti che costituiscono la struttura territoriale.
Pertanto, lo spazio geografico, come spazio prodotto dall’uomo e dalle sue attività, può essere definito come “organizzazione del territorio” (Landini e Massimi, 1986), ma eterogenea in ragione delle sue tante discontinuità. Queste ultime qualificano la struttura dell’organizzazione geografica, della quale si sottolinea la complessità per la varia compresenza e interazione di caratteri culturali, sociali, funzionali, economici, storici e politici, sicché diverse aree si sviluppano con tassi differenziati e seguono traiettorie di crescita non omogenee.
Lo spazio conferisce allo stock dei caratteri, al loro mix e alle loro relazioni,
«posizioni» che condizionano le loro interazioni e che, in definitiva, inducono a considerare lo spazio geografico come un fenomeno.
L’approccio più produttivo a fronte di una tale impostazione sarebbe quello reticolare, il cui elemento cardine è la città, intesa come nodo o carrefour complesso, caratterizzato al proprio interno da relazioni tra le attività che determinano la discontinuità, qualificano la complessità, identificano la posizione e quantificano la capacità del nodo di avere relazioni con l’esterno e, quindi, di connotarsi come elemento complesso di strutturazione dello spazio geografico.
Tale approccio, inoltre, consentirebbe di apprezzare la complessità sia a livello di singolo, sia a livello di struttura formata da più nodi e in cui la maggiore o minore complessità è data dal grado di intensità delle relazioni. Al riguardo va precisato che esse non solo sono alla base del concetto stesso di reticolo e di spazio reticolare, ma anche puntualizzato un aspetto fondamentale: la loro struttura non è strettamente dipendente dalla distanza.
In termini più espliciti: la posizione, del nodo all’interno del reticolo e della struttura dei nodi nel suo complesso, condiziona la complessità e il grado di discontinuità e genera fenomeni di concentrazione: la presenza e la dotazione di risorse intellettuali e di attività di ricerca e sviluppo, la capacità di elaborare endogenamente e l’opportunità di acquisire esogenamente informazioni e di appropriarsene derivano, in buona misura, dalla posizione nello spazio geografico, in cui l’insieme dei nodi acquisiscono una determinata complessità e un determinato grado di coesione. Pertanto, l’introduzione dell’approccio reticolare, per un verso, modifica sostanzialmente i presupposti su cui sono basate le analisi di tipo areale, e, per un altro, permette di connettere, a diversi livelli, le singole componenti dello spazio geografico tra loro o con singole componenti di altri spazi geografici la cui posizione, in relazione alla complessità, può condizionare il tipo e l’intensità delle relazioni.
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I concetti di rete e di reticolo sono ormai tanto pervasivi le discipline sociali da far ritenere a molti studiosi l’esistenza di un nuovo paradigma, dalla fisionomia, però, ancora incerta. Un tentativo notevole di sistemazione è quello dei network territoriali che offre, forse, la possibilità di superare le tante difficoltà finora rilevate, specie se si riuscirà a rendere produttivo di concrete indicazioni operative l'innesto con il modello nel milieu innovateur. Si tratta di concretizzare uno sviluppo territoriale a rete, organizzato a partire da un insieme di capisaldi, i centri urbani che svolgono il ruolo di gateway nelle relazioni tra l'economia regionale e l'economia nazionale e internazionale, e un radicale mutamento "nelle procedure istituzionali ed organizzative delle politiche regionali" (secondo Cappellin in Camagni e altri, 1992). Pertanto, per l'adozione concreta del modello, si richiede il coordinamento delle politiche territoriali e strette relazioni tra ciascun ambito di programmazione e i restanti.
In accordo con una tale impostazione, la conciliabilità tra sviluppismo ed ambientalismo dovrebbe realizzarsi negli ambiti locali (in senso amministrativo, e perciò a prescindere dall'estensione areale, che può coincidere anche con una regione costituzionale), ma con il coinvolgimento di tutti i luoghi esterni interessati da eventuali oneri o vantaggi.
Più esplicitamente si richiede l'ulteriore maturazione delle due culture: i presunti diritti a determinati livelli di benessere economico e di qualità ambientale dovrebbero coniugarsi con la coscienza di doveri similari e di uno scambio alla pari: non solo chi inquina deve pagare, ma anche chi richiede particolari limitazioni d'uso negli ambiti territoriali esterni alla sfera quotidiana deve essere disposto a trasferire in essi proprie risorse compensative e concrete opportunità sociali.
La soluzione, pertanto, risiede nella spazializzazione dei costi e dei benefici, nel confronto di progetti alternativi, nella partecipazione di ciascun nodo della rete territoriale alle scelte di tutti gli altri; nella graduazione - oggettivata dalla contrattazione a livelli differenziati - delle emergenze naturali in interne ed esterne, da quelle comunali a quelle nazionali, e parallelamente delle comunità chiamate a sostenere gli oneri conseguenti all'istituzione dei vincoli di salvaguardia.
Il concetto di ambiente
I monti e i fiumi, le città e le strade, i coltivi e gli opifici dell’industria, le banche e i servizi amministrativi, sono immersi in un tessuto di contatti materiali e di relazioni funzionali che costituiscono quel che si chiama ambiente quando si
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sottintende una delimitazione spaziale in termini di prossimità, altrimenti si discorre sempre di spazio geografico. Infatti, il termine ambiente discende dal latino “ambiens-ambientis” che valeva per “circostante, che va o sta intorno” ed ha conservato in buona sostanza nel lessico quotidiano e in quello scientifico, dove è stato reintrodotto dal Galilei, il significato originario, per designare “quel che circonda, che avvolge il luogo, le persone fra le quali uno vive e le loro usanze” (in tal senso: DEI, 1975).
In geografia l’ambiente svolge un ruolo assolutamente fondamentale in quanto porre in relazione un luogo al suo ambiente significa indagarne la posizione geografica, da tenere accuratamente distinta dalla posizione astronomica o assoluta (v. sopra).
È evidente il relativismo nelle valutazioni della posizione geografica in quanto esse dipendono dalla capacità del ricercatore nell’esplicitare, qualificare e quantificare le relazioni del luogo cui essa posizione si riferisce, relazioni che per la la loro parte sono mutevoli nel tempo, con altri luoghi, vicini e lontani, sovente con significative discontinuità spaziali.
Un esempio illuminante è la posizione geografica dell’isola di Formosa (Taiwan):
negli anni Quaranta è area di popolamento contesa tra il Giappone e la Cina; negli anni Sessanta è un caposaldo strategico, dalla forte connotazione politico-militare, nella contrapposizione tra gli USA, da una parte, e il blocco marxista-leninista di Cina e URSS, dall’altra; negli anni Novanta è uno dei Paesi emergenti per la rapidità dello sviluppo economico, spiegata con la posizione geografica favorevole rispetto al polo tecnologico giapponese e ai mercati del Pacifico settentrionale.
Al concetto di ambiente si salda intimamente quello di umwelt degli autori di lingua tedesca - l’habitat dei francofoni, l’environment degli anglofoni -, introdotto nel 1866 in chiave biologica dallo Haeckel e puntualizzato come termine ecologico dal Thienemann nel 1941 “come l’insieme delle “condizioni esterne”, che agiscono su una determinata unità biologica nel suo luogo di vita.
L’ambiente consta delle azioni combinate di tutti i fattori ecologici”(Meynen, 1985; in maniera analoga si esprime il Vallega a proposito dell’habitat, “insieme delle condizioni ambientali da cui dipende la sopravvivenza di una specie”, in Vallega, 1995).
La supervalutazione del ruolo dell’ambiente fisico nei riguardi dell’uomo, o viceversa, è all’origine di impostazioni deterministiche altrettanto discutibili sul piano scientifico. In effetti, si rileva oggi la forte tendenza – nei media, nella politica e nella letteratura sull’ambiente, anche dal versante geografico – verso un determinismo speculare a quello ottocentesco: l’illimitata fiducia nella scienza positiva di Comte e l’unidirezionalità causale dal fisico all’umano, si ribaltano
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nella metafisica ambientale e nella colpevolizzazione dell'uomo, non piu faber e abitante, ma dissipatore delle risorse, artefice di calamità per la propria società e gli ecosistemi del pianeta (più ampie considerazioni nel paragrafo successivo). In breve, è nata e si è irrobustita una nuova ideologia totalizzante i cui guasti, probabilmente non saranno minori di quelli sperimentati nel recente passato con il nazionalismo estremo e il marxismo-leninismo.
Concludendo: l’ambiente non è solo un punto focale del dibattito ideologico e politico, ma anche concreto terreno di scontro tra tutti gli esseri viventi che cercano di modellarlo, di organizzarlo, secondo le proprie capacità, anche con danno altrui, fino a delimitarlo attivamente. In molte specie animali, ciò avviene per livelli di prossimità nel processo di territorializzazione.
Invero, la prossimità interessa la geografia soprattutto perché è alla base della cosiddetta territorialità situazionista, propria dell’uomo, che avrebbe inventato specifici modi per difendere quel che considera il suo spazio e del quale tende ad appropriarsi. Pertanto, in accordo alle posizioni emergenti nella letteratura corrente, per territorialità si intende il bisogno di spazio che preme su una persona e sui gruppi umani per soddisfare una esigenza fondamentale per la sicurezza nell’esistenza e nello svolgimento di attività.
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LA DISTANZA
Distanza e spazio metrico
La discussione sullo spazio geografico ha comportato l’introduzione delle nozioni di spazio metrico, di distanza, di relazione tra gli elementi di un insieme.
Esse sono ora riprese per una trattazione specifica a partire dalla distanza che, in un’accezione molto generale, può essere intesa come “una misura della diversità”
(Leti, 1979, p. 10) tra unità ricadenti in collezioni della più varia natura: fisica, sociale, economica, demografica, culturale. Misurare la diversità significa però chiamare in causa lo spazio metrico perché solo nel suo ambito è possibile una tipologia rigorosa, e nel contempo operativa, della grande famiglia di distanze ricorrenti nei discorsi geografici.
Al riguardo, si precisa che il concetto di spazio metrico, introdotto dal Frechet agli inizi del secolo, comporta per tutti i suoi punti queste proprietà:
1- la distanza tra due punti non coincidenti deve essere positiva;
2- la distanza tra due punti che coincidono è nulla;
3- la distanza tra due punti deve essere simmetrica, nel senso che se i due punti sono A e B, la distanza tra A e B deve essere uguale alla distanza tra B ed A;
4- se i punti sono 3 - nel caso A, B e C - deve valere la cosiddetta proprietà triangolare:
dA B < dA C + dB C
La regola di calcolo delle distanze, più generale e diffusa, anche nelle applicazioni geografiche è quella di Minkowski, espressa dalla relazione:
dk(A,B) = (Σ|ai + bj|k)1/k per k > 1
dove a e b sono le coordinate e la sommatoria è estesa da 1 a m se m è il numero delle dimensioni: è appena il caso di notare che per m = 1 lo spazio è monodimensionale, e perciò assimilabile ad una linea, per m = 2 lo spazio è bidimensionale e si visualizza con un piano, per m = 3 lo spazio è tridimensionale e può essere visualizzato come un volume.
Circa i valon di k, vi è da dire che per k = 1, si hanno le distanze denominate della città a blocchi, dette anche di Manhattan o taxicab, mentre per k
= 2, le distanze sono euclidee .
Valori superiori di k non sono frequenti nelle indagini geografiche, salvo, forse, quella lagrangiana, corrispondente al limite della relazione sopra esposta per k tendente a infinito:
limk→∞ (Σ|ai + bj|k)1/k = max differenza in valore assoluto delle coordinate
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A questo punto della trattazione, prima ancora delle necessarie annotazioni sulla formula di Minkowski, deve essere esplicitata la non piena rispondenza degli spazi metrici nell’esplorazione esaustiva dello spazio geografico. Ciò in ragione delle frequenti violazioni, in quest’ultimo, della proprietà di simmetria, specie quando le distanze devono essere valutate in termini di costi di trasporto o di tempi di accesso.
Un esempio illustrativo è costituito dall’ipotetico itinerario stradale visualizzato in figura 1: se i percorsi da luogo a luogo possono avvenire in entrambe le direzioni di marcia, le distanze sono simmetriche (dAB = dBA = 5 unità); al contrario, se si impone un senso unico - e di sensi unici sono piene le nostre città - la matrice delle distanze risulta asimmetrica (dBE = 12; ma dEB = 18 unità).
A sua volta anche la proprietà triangolare è frequentemente violata nel senso che la distanza dAC può risultare ugale a dAB + dBC; a tal proposito si osservi il caso ipotizzato in fig. 2.
Figura 2 Distanze stradali e proprietà triangolare.
La distanza stradale tra le località A e C, mancando un collegamento diretto, è uguale alla somma delle distanze tra A e B e tra B e C:
conseguenza di rilievo è la violazione della proprietà triangolare, fondamentale per una interpretazione assiomatica e di una ben precisa metrica fondata su un insieme di distanze itinerarie, o ad esse assimilabili.
Nella maggior parte dei manuali di geografia quantitativa le distanze sono calcolate per via analitica in uno spazio bi o tridimensionale euclideo, saldamente ancorato al ben noto teorema di Pitagora, ma è facile notare che gli spazi del geografo quasi mai rientrano in tale varietà. In realtà, il grado di astrazione dello spazio euclideo è quello più facilmente intuibile dal senso comune e che meglio si presta alle esigenze cartografiche - pertanto è sempre utilizzabile ed utilizzato come spazio-campione, cui riferire tutte le altre varietà.
Il problema della misura delle distanze geografiche è stato esplorato da più punti di vista in questi ultimi anni, in quanto è alla base di tutta la modellistica, specie di quella interattiva spazio-temporale, e della problematica relativa alla frizione della distanza.
A
C
B
Fiume
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In tempi recenti la tematica, già complessa, si è rinnovata per lo sviluppo planetario delle comunicazioni elettromagnetiche, che ha fatto emergere la necessità di analisi non più limitate alla misura delle distanze nello spazio, dovendosi porre in primo piano la sua “trasparenza”, nel senso di accessibilità per strumentazione e know-how alle autostrade elettroniche e ai messaggi via satellite.
A stretto rigore, soltanto negli spazi metrici è possibile parlare di distanze propriamente dette, negli altri casi la diversità si misura con indici particolari, gli indici di diversità, che si propongono seguendo il Leti (1979, p. 12) e Cailliez e Pages (1976) per i quali l’indice di diversità tra A e B, da scriversi Δ(A, B), è un numero che soddisfa le seguenti condizioni:
1- non è negativo;
2- se A e B coincidono il numero vale zero, ma non è necessariamente vero il contrario;
3- vale la proprietà della simmetria: Δ(A, B) = Δ (B, A);
4- non è necessaria la proprietà triangolare.
In seno agli indici di diversità, sulla base delle proprietà richiamate e di quelle già esposte per gli spazi metrici, si distinguono tre gruppi:
a) indici di distanza: quelli per i quali l’indice tra A e B è nullo solo se A = B;
b) distacchi: quelli per i quali vale la proprietà triangolare;
c) distanze: quelli per i quali vale la proprietà triangolare e l’indice è nullo solo se A = B.
Un particolare gruppo di indici di diversità è quello chiamato ultrametrico per il quale — data la terna A, B e C — risulta
Δ(B, C) ≤ max [Δ(A,B), Δ(A, C)]
e si chiama distacco ultrametrico ; prende il nome di distanza ultrametrica se vale anche la proprietà: Δ(A, B) = 0, se e soltanto se A = B.
Relazioni di particolare interesse nelle applicazioni geografiche sono le distanze medie, da richiamarsi nella loro formulazione più generale, rinviando ai manuali di statistica metodologica per gli approfondimenti delle proprietà circa le singole medie. Dati gli insiemi A e B, cui corrispondono gli m valori ai e bi , la distanza media di ordine k, che si scrive ⎯dk (A, B), discende dalla relazione:
dk (A, B) = [1/mΣ⏐ ai - bi⏐k] 1/k nella quale la sommatoria è estesa da 1 a m.
Ulteriori sviluppi e approfondimenti, per i quali si rinvia alla letteratura specializzata dell’analisi spaziale e dei dati, portano a distinguere in sede teorica ed applicativa la distanza tra due punti in un insieme dalla distanza tra due insiemi di punti e di un singolo punto da un insieme, nonché le misure della similarità e
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della diversità, la distanza tra graduatorie e quella (metrica di Mahalanobis) che tiene conto della correlazione dei caratteri fra le variabili.
Specificità delle distanze stradali
A questo punto della trattazione viene da chiedersi quale sia la cornice entro la quale considerare le distanze stradali, le distanze itinerarie espresse in unità di tempo e le distanze economiche, ovvero quelle intuitivamente più rilevanti nella fenomenologia geografico-economica.
La risposta più semplice e razionale consiste nel vederle come funzioni delle distanze misurabili negli spazi metrici. Nel caso di quella stradale, ad esempio, la distanza tra i luoghi A e B è pari alla somma di un adeguato numero di segmenti rettilinei elementari conseguenti alla suddivisione del tracciato stradale secondo prefissati criteri, necessari anche per stabilire l’ordine secondo il quale procedere nelle somme. In pratica, avendo a disposizione una rappresentazione cartografica, poniamo alla scala 1:200.000, stabilita la lunghezza del segmento campione, con l’aiuto di un compasso a punta fissa, lo si riporta per passi successivi sul tracciato stradale e si conteggia il numero dei passi (figura 2).
Tale numero, moltiplicato per la lunghezza del campione, fornisce la richiesta misura. In alternativa si può ricorrere ad un apposito strumento facilmente reperibile, il curvimetro, la cui rotellina di servizio, scorrendo sul disegno, fa ruotare una lancetta su un quadrante graduato sul quale si legge direttamente il risultato, secondo i rapporti di riduzione più frequenti nelle carte stradali.
Tuttavia, a prescindere dalla procedura utilizzata, nonostante tutta l’accuratezza possibile nell’effettuare le misure, esse mutano al mutare della scala della rappresentazione cartografica: è questo il cosiddetto paradosso di Steinhaus, che emerge tutte le volte che si deve quantificare la lunghezza di una linea geografica irregolare: una strada, un corso d’acqua, un confine politico- amministrativo, una linea di displuvio, un contatto tra formazioni litologiche.
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Figura 3 Misura di una distanza stradale.
La distanza stradale tra A e B con la procedura, richiamata nel testo, del segmento campione e del compasso a punta fissa risulta pari a 11.
Per quantificare lo scostamento dalla rettilineità tra i punti estremi di una linea dal tracciato irregolare si ricorre al rapporto di sinuosità s, definito dalla relazione:
s = lunghezza osservata del percorso/distanza in linea retta dal punto iniziale a quello finale
il rapporto risulterà in ogni caso maggiore o , al più, uguale a 1.
Nella letteratura geografica in tema di trasporti, il rapporto di sinuosità è stato ampiamente utilizzato negli anni Sessanta dal Nordbeck e dal Timbers con il nome di fattore stradale (Nordbeck, 1964; Timbers, 1967; importanti approfondimenti in Haggett e Chorley, 1969, specie in riferimento alla teoria dei grafi), risultato mediamente pari a 1.20 per la rete stradale svedese e a 1.17 per quella del regno Unito.
È stato rilevata la scarsa praticità di un indicatore, come il rapporto s, con un limite superiore non delimitato e, forse, di non immediata valutazione, sicché può risultare più conveniente avvalersi dell’indice di efficienza E in termini percentuali (discussione e caso di studio in Massimi, 1985), pari a
100(lunghezza in linea retta/lunghezza osservata)
Da rilevare con attenzione, a questo punto della trattazione un fatto di grande rilievo concettuale: la distanza in linea retta che si traccia su una carta geografica, assimilata ad una superficie piana secondo la geometria euclidea, si discosta in maniera più o meno rilevante (salvo casi particolarissimi, sui quali non si entra nel merito) da quella effettivamente minima su una superficie come quella terrestre, la geodetica.
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Essa corrisponde alla lunghezza dell’arco di cerchio massimo che passa per i due punti dei quali si richiede la distanza e prende il nome di ortodromia, pienamente significativa però soltanto sulla superficie marina.
Figura 4 Simmetria ed asimmetria delle distanze in un ipotetico circuito stradale
La figura, commentata nel testo, visualizza l’asimmetria delle distanze in una rete stradale a senso unico di marcia; i dati analitici sono riportati nella matrice 2 del prospetto che segue.
Prospetto 1 Distanze stradali con percorsi bidirezionali e monodirezionali.
Per l’interpretazione della tabella si veda la fig. xxx e il testo di questo paragrafo.
Matrice 1 delle distanze: Percorsi bidirezionali; questa matrice è simmetrica Matrice 2 delle distanze: Percorsi unidirezionali; questa matrice è asimmetrica.
Matrice 1 Matrice 2
A B C D E F G tot A B C D E F G tot
A 0 5 9 13 13 9 4 53 A 0 5 9 13 17 21 26 91
B 5 0 4 8 12 14 9 52 B 25 0 4 8 12 16 21 86
C 9 4 0 4 8 12 13 50 C 21 26 0 4 8 12 17 88
D 13 8 4 0 4 8 13 50 D 17 22 26 0 4 8 13 90
E 13 12 8 4 0 4 9 50 E 13 18 22 26 0 4 9 92
F 9 14 12 8 4 0 5 52 F 9 14 18 22 26 0 5 94
G 4 9 13 13 9 5 0 53 G 4 9 13 17 21 25 0 89
tot 53 52 50 50 50 52 53 tot 89 94 92 90 88 86 91
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Infatti, sulle terre emerse la distanza fisica di riferimento geografico dovrebbe, secondo l’opinione del Toschi (1967, p. 85), tener conto degli eventuali divari altimetrici lungo la congiungente i due luoghi: pertanto la distanza fisica sarebbe pari a quella misurata sul profilo della sezione del piano di cerchio massimo.
Al di là di questi aspetti tecnici, giova sottolineare la grande laboriosità, per i non esperti di trigonometria sferica della misura della linea ortodromica e la liceità d’uso, per distanze nell’ordine delle centinaia di km, da misure computate tramite coordinate piane, previa trasformazione della latitudine e della longitudine mediante le tabelle, circa la lunghezza del grado di parallelo alle diverse latitudini, riportate nei manuali di cartografia.
Si torna ora alle distanze stradali per esplicitare il ruolo del verso di percorribilità, in quanto dal fatto che sia o non sia possibile spostarsi nelle due direzioni di marcia, consegue la proprietà di simmetria o non simmetria delle distanze e dei costi di spostamento ad esse correlate.
A tal proposito si invita il lettore a soffermarsi sull’ipotetico circuito stradale, visualizzato in figura 3, che collega i luoghi A, B.... G: la matrice delle distanze è simmetrica se i percorsi sono bidirezionali, asimmetrica se si impone un senso unico di marcia (indicato nella figura con una freccia orientata da A verso B).
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Rilevanza geografica di alcune particolari metriche
Le metriche taxicab e di Lagrange possono risultare curiosità geometriche se non si pongono in evidenza le differenze fondamentali rispetto a quella euclidea e le potenzialità applicative.
Le prime sono visualizzate dalla figura 4: su un piano cartesiano con origine nel punto di coordinate x = 0 e y = 0 si considera un insieme di punti del primo quadrante per i quali risulti costante la distanza dall’origine; essi, ovviamente, si dispongono su un arco di circonferenza (nella figura non sono riportate le lettere indicative dei singoli punti, al fine di non appesantire eccessivamente la rappresentazione). Le distanze taxicab e di Lagrange, calcolate come indicato in precedenza nel testo, sono visualizzate dai punti aventi coordinate x e y’ (taxicab) e x e y’’ (Lagrange): le prime risultano superiori o, al più, uguali alle euclidee; le seconde, sempre minori o, al più, uguali.
Figura 5 Metriche a confronto.
Per una corretta interpretazione della figura si deve tener presente che le distanze euclidee sono sempre pari a 1 e che le distanze a confronto sono quelle dal centro (origine degli assi) di un insieme di punti appartenenti a una circonferenza di raggio 1.
È agevole constatare come le distanze taxicab valgano al massimo circa 1.41 unità euclidee e che mediamente si attestino, nel nostro esempio, intorno a 1.27 (per valutazioni più esatte occorre considerare un congruo numero di punti
P15 P14 P13 P9 P6 P8
P5 P1
0.0 0.2 0.4 0.6 0.8 1.0
0.0 0.2 0.4 0.6 0.8 1.0
0.5 0.7 0.9 1.1 1.3 1.5
0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8 0.9 1 x
distanza
Euclidea Taxicab
Lagrange
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equispaziati sulla circonferenza), piuttosto vicino ai valori del fattore stradale noto per le reti viarie nazionali di molti Paesi occidentali. Sulla base di tale regolarità statistica, essendo estremamente laborioso la costruzione di matrici di distanze stradali con un gran numero di elementi, ed essendo agevole, per contro, il computo automatico delle distanze taxicab, queste ultime possono essere utilizzate per approssimare globalmente le prime.
Prospetto 2 Confronto tra distanze secondo le metriche di Euclide, Taxicab e di Lagrange Si veda il testo per l’impostazione delle colonne.
Punto Coordinate dei punti Distanze dall'origine (0;0)
x y Euclidea Taxicab Lagrange
P1 0.000 1.000 1.000 1.000 1.000
P2 0.100 0.995 1.000 1.095 0.995
P3 0.200 0.980 1.000 1.180 0.980
P4 0.300 0.954 1.000 1.254 0.954
P5 0.400 0.917 1.000 1.317 0.917
P6 0.500 0.866 1.000 1.366 0.866
P7 0.600 0.800 1.000 1.400 0.800
P8 0.700 0.714 1.000 1.414 0.714
P9 0.800 0.600 1.000 1.400 0.800
P10 0.900 0.436 1.000 1.336 0.900
P11 0.920 0.392 1.000 1.312 0.920
P12 0.940 0.341 1.000 1.281 0.940
P13 0.960 0.280 1.000 1.240 0.960
P14 0.980 0.199 1.000 1.179 0.980
P15 1.000 0.000 1.000 1.000 1.000
media 1.000 1.270 0.915
Ancora a proposito delle distanze taxicab, vi è da dire che esse risultano preziose nello studio degli insediamenti urbani con impianto planimetrico scandito da strade ortogonali (un esempio è riportato in figura 5); tuttavia, devono essere utilizzate con attenzione in quanto esse mutano al mutare dell’orientamento degli assi cartesiani di riferimento: tale caratteristica emerge immediatamente dalla figura 6. Pertanto, nelle applicazioni su casi empirici di studio, l’orientamento della carta dalla quale derivare le coordinate per il calcolo delle distanze deve prescindere dal nord geografico e adeguarsi alla direzione prevalente della trama viaria.
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Figura 6 La città a blocchi.
La figura è illustrativa della città a blocchi, scandita da strade ortogonali: l’impianto planimetrico, che oggi si suole riferire al cuore dell’area urbana di New York, è in realtà la riproposizione contemporanea della città romana.
Dalla città a blocchi, discende l’omonimo tipo di distanza, che però si preferisce chiamare taxicab in quanto più immediatamente evocativa delle relazioni in uno spazio siffatto: percorsi come successione di segmenti ortogonali: ad esempio per spostarsi da P a Q si possono percorrere le vie A e D, tra loro perpendicolari.
Figura 7 Esempio illustrativo circa gli effetti della rotazione degli assi delle coordinate sulle distanze taxicab.
La figura a destra di chi guarda differisce da quella a sinistra soltanto per la rotazione degli assi coordinati, rotazione del tutto ininfluente nel calcolo delle distanze euclidee (ad esempio OB = 1 e OB’ = 1), ma non delle distanze taxicab (OB = 1.414 e OB’ = 1). Per un quadro completo delle distanze v. tab. 3.
Prospetto 3 Elementi analitici della figura 7.
Situazione di partenza Rotazione di 45°
punto x y distanze euclidee taxicab punto x' y' distanze euclidee taxicab O 0.000 0.000 OB 1.000 1.414 O 0.000 0.000 OB' 1.000 1.000 B 0.707 0.707 OC 1.000 1.000 B' 1.000 0.000 OC' 1.000 1.414 C 1.000 0.000 BC 0.765 1.000 C' 0.707 -0.707 B'C' 1.414 1.000
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Le distanze da Roma dei capoluoghi di provincia
In questa nota si propone un’applicazione riguardante le distanze da Roma dei capoluoghi italiani di provincia (situazione al 1992) in spazi metrici alternativi. Al fine di rendere più agevoli i calcoli, la latitudine e la longitudine sono state convertite in coordinate piane, previa traslazione degli assi in modo da far coincidere la longitudine e la latitudine zero con i corrispondenti minimi.
I risultati sono visualizzati nei due grafici di figura 7: a sinistra sono poste a confronto le distanze secondo le metriche taxicab, o di Manhattan, e di Lagrange in funzione di quelle euclidee: le prime risultano nettamente più elevate delle seconde, ma entrambe si distribuiscono con notevole regolarità in nuvole di punti allungate in senso lineare.
Il grafico sottolinea l’interesse geografico nei riguardi delle distanze taxicab quando si intende apprezzare le distanze stradali tra un gran numero di località, ma non si dispone di informazioni analitiche al riguardo: mentre le distanze euclidee non forniscono alcuna indicazione e presentano in ogni caso scostamenti negativi, le distanze taxicab presentano scostamenti ora positivi ed ora negativi, sempre piuttosto contenuti, e uno scostamento complessivo del 9%
(a fronte del 18% di quelle euclidee).
La figura di destra illustra gli scostamenti dalle distanze stradali di quelle computate con la metrica euclidea e la metrica taxicab.
Figura 8 Distanze da Roma dei capoluoghi italiani di provincia secondo alcune metriche.
0 250 500 750 1000
0 250 500 750 1000
Distanze euclidee in km da Roma
Taxicab Lagrange
0.8 1 1.2 1.4 1.6 1.8
0 200 400 600 800
Distanza stradale in km da Roma
Fattore stradale Taxicab/euclidee
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La distanza economica
Le comuni carte automobilistiche consentono di rilevare la distanza stradale, ma in genere dicono ben poco circa le condizioni di effettiva percorribilità, tenute invece in maggior conto dalla distanza virtuale delle ferrovie italiane, che il Toschi ha assunto come punto di partenza per la sua trattazione della distanza economica, della quale in sostanza costituirebbe un esempio (Toschi, 1967) per il fatto di considerare i principali fattori – il dislivello totale e i tratti in curva – che si riflettono sui tempi di percorrenza T.
Sempre al Toschi si deve un’interessante trattazione della rendita mineraria, sviluppata sulla falsariga di quella agricola del von Thünen, che si propone in altra parte di questo studio: un giacimento dai bassi costi di estrazione e perciò ricco in una prospettiva locale, può restare un fatto naturale, una potenzialità latente magari, ma non una risorsa economica attuale, in una effettiva possibilità imprenditoriale, se il mercato, che si legge sempre in una prospettiva globale, non lo consente.
Nel momento in cui dalla sfera teorica si passa a quella operativa, nascono difficoltà di ogni genere in quanto la frizione è sempre rilevata quale funzione della distanza in un particolare sistema di interazioni spaziali, la cui geometria deve essere adeguatamente precisata per la significatività delle operazioni di misura (le formulazioni matematiche sulla frizione della distanza sono riconsiderate ed esposte in altra parte del testo). Tali difficoltà spiegano lo scetticismo degli studiosi contrari ad una geografia basata su misure e si riflettono nella proliferazione di due numerose famiglie di relazioni formali: l’una concernente la misura delle distanze, l’altra la frizione delle distanze.
In generale, si può rilevare la maggiore capacità esplicativa delle relazioni formali relativamente semplici nell’impostazione dei problemi – se sono in grado di concentrare l’attenzione sugli aspetti essenziali e isolarli dal rumore di fondo –, e di quelle più articolate e complicate da folle di parametri nell’approssimazione della realtà empirica. Altrimenti, il geografo può avvalersi di rappresentazioni discorsive e grafiche parimenti efficaci e più semplici.
Un esempio è la funzione generalizzata del costo di trasporto adottato dal SOMEA (1987). In essa i tempi di percorrenza - un esempio costruito con dati SOMEA, è riportato in fig. (da Massimi, 1993) - svolgono un ruolo decisivo, sicché la loro corretta valutazione diventa un prerequisito essenziale. Essa comporta, in una esposizione discorsiva, la segmentazione della rete stradale in tronchi discriminati dalla capacità di traffico, dal livello dei servizi, dalle caratteristiche strutturali, dall’andamento plano-altimetrico.
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Figura 9 Figura esemplificativa delle distanze espresse come tempi di percorrenza.
Lo spezzone cartografico (da Massimi, 1993) propone i tempi di percorrenza in decine di minuti tra San Salvo (indicato dal cerchietto pieno), importante comune industriale in provincia di Chieti, e i comuni abruzzesi delle province adriatiche (Teramo, Pescara e Chieti) secondo le stime SOMEA (1990) riferite alla data del censimento 1981.
Le freccette designano i capoluoghi di provincia, i cerchietti vuoti i centri capoluoghi dei comuni con oltre 2000 abitanti, i puntini si riferiscono ai restanti comuni.
Le isocrone sono state tracciate tenendo conto soltanto dei comuni con oltre 2000 abitanti.
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MODELLI E DISTANZE 1
Introduzione ai modelli
Tipologia schematica dei modelli più frequenti in geografia
La diffusione di una grande varietà di modelli non meraviglia se si richiama l’etimologia e lo spettro semantico del termine modello, che giunge a noi con il valore di “esempio, forma, campione” come diminutivo di modulus,il
“modulo” architettonico (il rapporto e il proporzionamento delle varie parti di un’opera).
Circa la tipologia, così si esprime il Chorley (in Chorley e Haggett, 1977):
“Il termine modello è stato usato, comunque, in una tale varietà di contesti da rendere difficile anche definire, senza ambiguità, gli impieghi caratteristici.
Una partizione è tra modelli descrittivi e normativi; i primi organizzati come descrizioni della realtà e i secondi quali schemi previsionali sotto condizioni particolari e prefissate.
I modelli descrittivi sono essenzialmente statici, quando si prospettano in modo da concentrare l’attenzione sugli aspetti d’equilibrio strutturale; oppure dinamici, se pongo l’accento sui processi e sulle funzioni in relazione al fattore tempo.
Inoltre, i modelli descrittivi possono essere collegati con l’organizzazione delle informazioni empiriche e qualificati quali modelli su disegno sperimentali, tassonomici, o conseguenti all’analisi dei dati.
I modelli normativi, da parte loro, spesso hanno un impiego più familiare, sia in chiave storica che spaziale, e hanno una forte connotazione produttiva.
I modelli possono essere classificati, in accordo al contesto dal quale discendono, in meccanici, fisici e sperimentali, secondo una prima articolazione;
in teorici, simbolici, concettuali e mentali, con una diversa partizione. i modelli della prima articolazione possono essere sia di tipo iconico, quando le proprietà fondamentali del mondo reale sono riprodotte con soltanto un cambiamento di scala, sia di tipo analogico o di simulazione, se le proprietà del mondo reale sono riprodotte da altre proprietà.
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I modelli della seconda partizione sono discriminabili in relazione alle loro osservazioni, simboliche o formali, di tipo verbale o matematico in termini logici.
I modelli matematici possono essere ulteriormente distinti, sulla base del grado di probabilità che si associa alle loro previsioni, in deterministici e stocastici.
Un altro punto di vista sui modelli richiama l’attenzione sulla loro natura di sistemi, che può essere definita in funzione dell’interesse relativo che chi ha costruito il modello mostra nei riguardi delle variabili in ingresso e in uscita. In una graduatoria decrescente verso le variabili di stato, molti modelli possono essere visti quali sistemi sintetici, parziali e scatole nere.
La scala di valutazione dei modelli e il punto di partenza per costruirli consentono ulteriori distinzioni, specie in modelli internalizzati - quelli che danno una visione della realtà da un’angolazione del tutto “parrocchiale” - e paradigmi molto più significativi per un’ampia comunità di studiosi....”
In realtà, una gerarchizzazione dei tipi di modello sembra poco utile in una discussione introduttiva, mentre appare opportuna una schematizzazione della ricorrenza nei grandi filoni della geografia: la fisica, l’umana (in senso sociale) e l’economica.
Nella prima prevalgono gli schemi illustrativi dello stato di fatto e quelli descrittivi delle proprietà specifiche di un fenomeno, idonei a verifiche sperimentali. Esempi sono i modelli di erosione del suolo utilizzati dal Mori e collaboratori negli anni Sessanta, il ciclo di erosione del Davis, le classificazioni climatiche, tra gli altri, del Köppen e dell’Hettner.
Nella seconda il modello si presenta per lo più come un insieme organico di relazioni concettuali su gruppi umani, classi sociali, servizi, insediamenti, modalità di utilizzazione delle risorse, per l’enucleazione delle conseguenze sociali dei fenomeni spaziali. Un esempio è il modello che contrappone il centro alla periferia, il Nord (sviluppato) al Sud (sottosviluppato).
Infine, nella terza, la geografia economica, prevalgono le semplificazioni descrittive, con casi esemplari o formulazioni matematiche, dei fatti e dei comportamenti, rilevanti in chiave economica, che si manifestano sulla superficie terrestre. I modelli della rendita di posizione nelle attività agricole e minerarie, delle località centrali in relazione ai servizi, della deviazione delle linee di trasporto in funzione della tariffa, della localizzazione delle industrie in base ai costi di trasporto, sono alcuni dei tanti esempi proponibili.
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Il modello di rendita mineraria secondo Toschi
Si deve al Toschi, uno dei Maestri della Geografia italiana del Novecento, un’interessante trattazione della rendita mineraria (sviluppata sulla falsariga di quella agricola del von Thünen), che si propone per esemplificare la grande importanza della distanza nella fisionomia dei territori da un punto di vista economico.
La figura che segue nel testo prospetta un ipotetico territorio favorito dalla presenza di un discreto numero di giacimenti minerari, differenziati dalla distanza dall’unico mercato di collocazione dei minerali e da costi di estrazione diseguali a bocca di miniera: le potenzialità si trasformano in risorse soltanto se i ricavi conseguibili sul mercato superano la somma dei costi di estrazione e dei costi di trasporto (v. tabella per i dettagli analitici): la rendita è pari alla differenza tra ricavi e costi ed è tale solo per differenze positive.
In altre parole un giacimento dai bassi costi di estrazione, e perciò ricco in una prospettiva locale, può restare un fatto naturale, una potenzialità latente magari, ma non una risorsa economica attuale, non una effettiva possibilità imprenditoriale, se il mercato, che si legge sempre in una prospettiva globale, non lo consente.
Appare evidente, e addirittura banale, a parità di costo di estrazione del minerale, il progressivo assottigliarsi, fino ad annullarsi, della rendita mineraria al crescere della distanza dal mercato.
Figura 10 La rendita mineraria del Toschi.
I giacimenti minerari prospettati in figura si trasformano in miniere, e cioè in risorse economiche di fatto, solo se il prezzo sul mercato è superiore alla somma del costo di produzione a bocca di miniera e del costo del trasporto sul mercato: ad esempio con un prezzo unitario pari a 8 soltanto i giacimenti C, D, F e I possono trasformarsi in miniere;
invece, con il prezzo 12, tutti i giacimenti possono essere sfruttati..
Da notare un altro aspetto fondamentale: i giacimenti più vicini al mercato, potendo beneficiare di più contenuti costi di trasporto, possono assicurare, rispetto a quelli lontani, una rendita anche in presenza di elevati costi di produzione. Al riguardo, si confrontino i giacimenti H ed E.
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Prospetto 4 Elementi per l’esemplificazione della rendita mineraria secondo Toschi.
Caratteristiche dei giacimenti minerari (possibili miniere).
Giacimento
minerario Distanza in km
dal mercato Costo di produzione per unità di
peso a bocca di miniera Costo unitario sul mercato per il produttore
A 5 2 7
B 4 4 8
C 2 2.2 4.2
D 3.5 2.4 5.9
E 3.7 6 9.7
F 3 4.3 7.3
G 5 6.3 11.3
H 2.8 5.9 8.7
I 3 4.6 7.6
Ipotesi di ricavi per unità di prodotto sul luogo di mercato in unità della moneta di conto
4 6 8 10 12
Giacimento minerario
Costo unitario sul mercato per il produttore
Rendita o perdita per unità di prodotto in unità della moneta di conto
A 7 -3 -1 1 3 5
B 8 -4 -2 0 2 4
C 4.2 -0.2 1.8 3.8 5.8 7.8
D 5.9 -1.9 0.1 2.1 4.1 6.1
E 9.7 -5.7 -3.7 -1.7 0.3 2.3
F 7.3 -3.3 -1.3 0.7 2.7 4.7
G 11.3 -7.3 -5.3 -3.3 -1.3 0.7
H 8.7 -4.7 -2.7 -0.7 1.3 3.3
I 7.6 -3.6 -1.6 0.4 2.4 4.4
Tale assottigliarsi rappresenta, un esempio, semplificato al massimo, di un fenomeno generale, la frizione della distanza (distance decay, più raramente distance lapse rate, per gli autori di lingua inglese), assunta per la sua evidenza empirica a fondamento della statistica spaziale, dell’economia spaziale e dell’analisi spaziale geografica. Il Tobler (1970) considera la frizione della distanza come la prima legge della geografia nel senso che la disciplina assume tutte le cose come correlate, ma il legame è molto più intenso tra gli elementi vicini rispetto a quelli lontani.
Nel momento in cui dalla sfera teorica si passa a quella operativa, nascono difficoltà di ogni genere in quanto la frizione è sempre rilevata quale funzione della distanza in un particolare sistema di interazioni spaziali, la cui geometria deve essere adeguatamente precisata per la significatività delle operazioni di
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misura. Tali difficoltà spiegano sia lo scetticismo degli studiosi contrari ad una geografia basata su misure sia l'affermarsi di due numerose famiglie di relazioni formali: l’una concernente la misura delle distanze, l’altra la frizione delle distanze.
In generale, si può rilevare la maggiore capacità esplicativa delle relazioni formali relativamente semplici nell’impostazione dei problemi - se sono in grado di concentrare l’attenzione sugli aspetti essenziali e isolarli dal rumore di fondo -, e di quelle più articolate e complicate da folle di parametri nell’approssimazione della realtà empirica. Altrimenti, il geografo può avvalersi di rappresentazioni discorsive e grafiche parimenti efficaci e più semplici.
Un esempio è la funzione generalizzata del costo di trasporto adottato dal SOMEA (1987), riportata a fine paragrafo (la funzione si basa su precedenti formulazioni di A. G. Wilson) per l’impianto del noto Atlante economico e commerciale. In essa i tempi di percorrenza - un esempio costruito con dati SOMEA, è riportato in figura (da Massimi, 1993) - svolgono un ruolo decisivo, sicché la loro corretta valutazione diventa un prerequisito essenziale. Essa comporta, in una esposizione discorsiva, la segmentazione della rete stradale in tronchi discriminati dalla capacità di traffico, dal livello dei servizi, dalle caratteristiche strutturali, dall’andamento plano-altimetrico.
Il modello di Von Thünen
Aspetti generali
La teoria di von Thünen sulla differenziazione dello spazio in relazione alle attività agricole è conosciuta oggi, ed esposta in queste pagine, nella sua rivisitazione formale ad opera del Lösch e non nella sua formulazione originale, suggestiva per le numerose esemplificazioni concrete, ma difficilmente riassumibile per le tante minuzie contabili ancorate alle unità di misura del Mecklenburgo e non facilmente comprensibile in tutte le sue implicazioni per la mancanza di formulazioni generali esplicite. Al contrario, l’impostazione del Lösch, centrata sul confronto di semplici equazioni lineari, consente di spiegare sia quanto osservato direttamente dal von Thünen, circa il valore di posizione dei fondi agrari nelle condizioni della Pianura Germanica agli inizi del XIX secolo, sia situazioni che disattendono, in tutto o in parte, le ipotesi semplificatrici del modello originale.
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I termini del problema si riassumono nella definizione della rendita che un’unità di superficie agraria assicura al proprietario in un contesto ambientale così qualificato:
a) tutto lo spazio è indifferenziato sul piano dell’ambiente naturale e può essere immaginato come una pianura percorribile in tutte le direzioni con costi di trasporto direttamente proporzionali alle distanze;
b) nella pianura esiste un solo luogo singolare, la città-mercato, nel quale avvengono tutte le transazioni;
c) le condizioni climatiche consentono, e le tradizioni locali richiedono, la disponibilità sul mercato di k prodotti P, dei quali per il momento non si discutono quantità e prezzi di vendita.
Si inizia l’analisi considerando il prodotto generico P, così caratterizzato:
a) E: rendimento unitario come peso del prodotto per unità di superficie, costante in tutto lo spazio;
b) A: costo di coltivazione per unità di superficie, costante in tutto lo spazio;
questo costo include le sementi, i concimi, i prodotti chimici di sostegno, i costi fissi dell’azienda agraria per unità di superficie e i costi del lavoro necessario per conseguire la produzione;
c) p: prezzo sul mercato per un’unità in peso del prodotto;
d) d: distanza del luogo di produzione dal mercato;
e) f: tariffa per unità di peso del prodotto per unità di peso e per unità di distanza.
La differenza tra ricavi e costi, la rendita per l’appunto, è data dalla relazione:
R = E(p - df) - A
visualizzata da una retta con angolo d’inclinazione negativo, se si riportano sull’asse delle ordinate i valori della rendita, e sull’asse delle ascisse le distanze dal mercato.
È evidente che, quando la rendita assume valori negativi, la coltivazione del prodotto P non sarà più possibile, in quanto il produttore avrebbe un danno economico e non un beneficio: una siffatta condizione si verifica per distanze superiori a (Ep - A)/Ef. A questo risultato si perviene ponendo nella relazione generale R uguale a zero e risolvendo l’equazione rispetto alla variabile d:
0 = E(p - df) - A; Ep -Efd - A = 0; -Efd = -Ep + A; d = (Ep - A)/Ef
Al contrario, ponendo d uguale a zero si ottiene il valore della rendita del fondo ideale: è tanto vicino al mercato da coincidere con lo stesso. Con ovvi passaggi risulta: R = Ep - A
Da rilevare un aspetto molto importante: se si disegna una circonferenza, centrata sul mercato (e con raggio pari a (Ep - A)/Ef) si delimita lo spazio di coltivabilità del prodotto, ma non dell’effettiva coltivazione in quanto il
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proprietario del fondo può scegliere tra k prodotti ed è lecito presumere che si orienterà, magari per tentativi, verso il prodotto che gli assicura la rendita più elevata.
Al riguardo si prenda in esame il caso ipotetico visualizzato in figura.
Figura 11 Schema generale della rendita di posizione per un fondo agricolo.
La figura è stata costruita con i dati riportati in prospetto per la cui lettura valgono le seguenti indicazioni:
D: distanza dal mercato; Cp: costo di produzione;
Ct: costo di trasporto; CT: costo totale; R: rendita;
Rm:
ricavo sul luogo del mercat o
L a figur a che segue richiama l’attenzione sul caso di una produzione (C, nell’esempio) la cui rendita è sempre inferiore a quella di una possibile alternativa, pertanto non dovrebbe essere coltivata. Tuttavia, se vi è sul mercato una domanda di tale produzione, il prezzo salirà fino a renderla conveniente. Fino a che punto? Se la domanda è anelastica, fino a quando il volume della produzione sarà pari al volume della domanda. Quale conseguenza si formerà per il prodotto C una nuova configurazione della rendita, parallela alla precedente e spostata convenientemente verso l’alto.
d C p Ct CT R Rm
0 300 0 300 1700 2000
5 300 200 500 1500 2000 10 300 400 700 1300 2000 15 300 600 900 1100 2000 20 300 800 1100 900 2000 25 300 1000 1300 700 2000 30 300 1200 1500 500 2000 35 300 1400 1700 300 2000 40 300 1600 1900 100 2000 45 300 1800 2100 -100 2000 50 300 2000 2300 -300 2000
0 5 0 0 1 0 0 0 1 5 0 0 2 0 0 0 2 5 0 0
0 1 5 3 0 4 5
Distanza dal m ercato
Costi e ricavi
costo produzione costo trasporto costo totale rendita ricavo sul mercato