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tedi Emanuele Trevi

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Academic year: 2021

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Dibattito Un saggio della filosofa Donatella Di Cesare in uscita per Bollati Boringhierï: serve un reato specifico

e che si annida nel cuore di tenebra di ogni te

di Emanuele Trevi

ilieva di Hans-Georg Gadamer, il padre no- - bile dell'ermeneutica nel secondo Novecen- to, Donatella Di Cesare si è im- mersa negli anni recenti nelle acque limacciose dei Quaderni neri di Martin Heidegger, alla ricerca di verità scomode e di- rompenti anche all'interno della comunità di studiosi alla quale appartiene. A un marca- to interesse per il totalitarismo e le sue più nefaste perversioni si deve il suo ultimo libro, inti- tolato semplicemente Tortura (Bollati Boringhieri). Come se enunciare questa parola fosse già un gesto di sfida, ancora più efficace di un titolo come Contro la tortura. Perché il po- tere moderno che impiega la tortura come strumento di do- minio per prima cosa si impe- gna con grande scrupolo a ne- gare non solo la cosa, ma la pa- rola stessa.

Capitoli essenziali di questa

«crudele scienza del dolore»

sono il segreto e il silenzio. Lo scenario ideale è il sotterra- neo, da dove nessun lamento potrà mai raggiungere il mon- do esterno. Se la tortura e un male così tenace, molta della sua forza deriva proprio dal- l'occultamento e dalla negazio- ne. Vale la pena di guardare in questo buco nero dal punto di vista della filosofia, come fa Donatella Di Cesare? indubbia- mente sì, perché la posta in gioco è tutt'altro che un'eserci- tazione accademica su un tema astratto.

Si potrebbe dire che la filo- sofia è il vero antidoto della tortura, perché incalza con la sua esigenza di verità ciò che il potere vuole rendere opaco, sospeso in un limbo tra l'essere e il non essere, tra la regola e il reato. E poi, la filosofia deve sempre essere una terapia con- tro i falsi ragionamenti, le illu- sioni spacciate per conclusio- ni.

Ebbene, l'argomento più diffuso in giustificazione della tortura suona più o meno co- me un quesito filosofico. Sta per scoppiare, in qualche luo- go molto popolato della città, una bomba a orologeria. Ho un prigioniero, un terrorista che sa dove è collocata la bomba, se lo torturo crollerà e mi per- metterà di salvare centinaia, forse migliaia di vite. Ecco una situazione che potrebbe sug- gerire addirittura il dovere di fare uso della tortura, scongiu- rando il male maggiore con il male minore. E un argomento che ha un grande potere: è im- mediatamente comprensibile, e capace di orientare efficace- mente l'opinione pubblica. E visto che la tortura si annida tanto nella dittatura quanto nella democrazia, l'opinione pubblica assume un rilievo fi- no a poco tempo fa del tutto inaspettato in un dibattito sul- la tortura.

Questo forse è il punto cru- ciale dell'indagine di Donatella Di Cesare: non c'è una forma particolare di governo che in sé e per sé possieda un legame di necessità con l'esercizio del- la tortura. Certamente, dal semplice punto di vista quanti- tativo, le dittature ne fanno un uso maggiore, e la loro nega- zione è più efficace, tanto che il solo pronunciare la parola tortura può diventare un prete- sto più che sufficiente per en- trare nel numero dei torturati.

Ma il dilemma della bomba a orologeria è concepito per una società libera, dove le cose non esistono senza consenso e do- ve il consenso può rendere le-

gittime le pratiche più scelle- rate. Questo è il rischio princi- pale, lo scoglio sul quale può infrangersi la fragile imbarca- zione di qualsiasi democrazia.

E allora, seguendo per sommi capi il ragionamento di Dona- tella Di Cesare, il primo gesto filosofico sarà quello di smon- tare l'intero congegno.

Non c'è nessuna bomba a orologeria e nessun terrorista in quella determinata situazio- ne. Perché le cose non accado- no mai così linearmente come possiamo vederle in una serie televisiva. Magari. Allora sa- remmo tutti contenti che un Jack Bauer strapazzi un po' quel disgraziato fino a fargli sputare le informazioni che salveranno tutte quelle vite che affollano la stazione della metro o i grandi magazzini nell'ora di punta. Ma nella re- altà le cose accadono in ma- niera incomparabilmente più ingarbugliata, e i rapporti di causa ed effetto sono così complessi che la tortura, sem- plicemente, dal punto di vista puramente pragmatico, non serve a niente.

L'unica cosa vera di quella situazione immaginaria, in fin dei conti, è che le vite si salva- no con le informazioni. Ma le informazioni buone non si ot- tengono torturando: si com- prano, si rubano, si scoprono in modo fortuito, o con l'im- piego di sofisticatissime tec- nologie. Dunque la filosofia si deve confrontare con questo controsenso, il perdurare nel- la storia umana di qualcosa

che non può nemmeno vanta- re una sua utilità a chi ne rifiu- ta l'infamia. Ma interrogarsi sulla natura del potere, di qualsiasi forma di potere, si- gnifica prima o poi addentrar- si in questa malefica penom- bra, in questa terra senza ritor- no dove la legge è amministra- ta dal fuorilegge, che la distorce a un fine inaudito, in- sostenibile.

Un personaggio di un ro- manzo di Graham Green dice che Hitler ha insegnato agli europei che tutti, indipenden- temente dal loro ceto, dal loro sesso, dalla loro età e dalle lo- ro colpe, sono potenzialmente torturabili. Questa feroce pa- rodia del concetto di ugua- glianza è una delle zone morte della nostra storia, un lascito di cui le nostre società non rie- scono mai a liberarsi una volta per sempre.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Un particolare da una delle opere dedicai Botero alle torture di Abu Ghraib (foto Ap)

® L.4

Lo scenario ideale è il sotterraneo, da dove nessun lamento potrà raggiungere l'esterno Falso diiillemma

Spesso si dice che l'uso

delle sevizie potrebbe

servire a evitare

una strage d'innocenti

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