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Con l’arrivo dei romani fu considerata un punto di riferimento militare poiché si trovava sulle rive dell’Arno, confine settentrionale dell’impero ai suoi esordi

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Pontedera

Pontedera si è sviluppata, da piccolo villaggio quale era alle sue origini, grazie alla sua spiccata vivacità commerciale.

A sostenere questa sua propensione è stata, senza dubbio, la favorevole posizione geografica in cui la cittadina si è venuta a trovare.

La città si colloca, infatti, alla confluenza dei fiumi Arno ed Era, poco lontana dalla costa tirrenica e dai monti pisani, in una valle piuttosto ampia e popolata.

Abbiamo notizie di Pontedera come punto strategico e centro di scambi, fin dall’epoca preromana, quando si pensa fosse un piccolo villaggio etrusco. Con l’arrivo dei romani fu considerata un punto di riferimento militare poiché si trovava sulle rive dell’Arno, confine settentrionale dell’impero ai suoi esordi. In seguito perse importanza come colonia militare, ma ne acquistò come centro agricolo e commerciale.

Queste ipotesi si basano soprattutto sullo studio della planimetria castrense, piuttosto elaborata, del centro storico, oltre che sulla viabilità romana, e giustificano il fatto che il nucleo sia sopravvissuto alla caduta dell’impero Romano e alle conseguenti invasioni barbariche1.

E’ soprattutto nel periodo medievale che Pontedera, ormai borgo agricolo privo di difese, assoggettato ad un feudatario, acquista importanza come nodo viario tra il mare di Livorno e le colline Pisane, da Volterra a Lucca. Questo è anche il periodo a cui risalgono

1G. Caciagli, La provincia di Pisa, Colombo Cursi Editore, Pisa, 1970.Vol. VI. Pagg.435-437.

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i primi documenti in cui al villaggio viene attribuito il nome odierno,

“Pons Herae”, dovuto al fatto che ci fosse un ponte sul fiume Era, l’unico della zona di una certa grandezza, infrastruttura importantissima per l’epoca, quando spostarsi da un luogo a un altro non era semplice come oggi2.

I ponti, come gli incroci di grandi vie di comunicazione, erano punti di riferimento per i viandanti e i mercanti in viaggio, e questo faceva si che fossero luoghi privilegiati per la nascita di villaggi, magari attrezzati per ospitare chi era di passaggio, come spiega anche Targioni Tozzetti, nei suoi scritti sulla Toscana, parlando proprio di Pontedera: “Il Pontadera è una delle migliori Terre di Toscana, molto Mercantile, che prese il nome dal contiguo Ponte fabbricato sull’Era, […] i ponti sono troppo necessari nelle strade, […] e per lo più uno serve a molte comunità, ed a più strade che in esso fanno capo. Quindi è, che vicino ai Ponti, per comodo de’ Viandanti, vi suol essere d’ordinario l’Osteria, la bottega del Marescalco ecc., ed altre abitazioni, le quali se crescono di numero, ecco formato un Villaggio.”3

La sua particolare posizione e la condizione favorevole per il transito di merci e persone, misero spesso il piccolo borgo al centro di conquiste e rivendicazioni da parte di pisani e fiorentini.

Nella sua lunga storia, Pontedera fu un accampamento, un borgo circondato da mura e sorvegliato da una rocca, una delle più importanti città fortificate della Valdera, ma non abbandonò mai il suo carattere commerciale, riconosciuto più apertamente dopo il 1554,

2U. Pallini,La storia di Pontedera, V. Lischi e figli, Pisa, 1967.

3G. Targioni Tozzetti,Relazioni d’alcuni viaggi fatti per la Toscana per osservare le produzioni naturali, e gli antichi monumenti di essa, Stamperia Granducale, Firenze 1768, Tomo I. Pag. 98.

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quando Cosimo I, riconquistatala, organizzò un primo assetto urbanistico abbattendo le mura e lastricando la strada principale4.

Pochi anni dopo la cittadina assunse una precisa rilevanza politica, con il distacco dalla podesteria di Cascina e la creazione di quella di Pontedera, a cui vennero aggregati i territori di Ponsacco, Camugliano, Gello, Pozzale, Montecastello e Calcinaia5.

Dal ‘500 in poi la crescita di Pontedera come centro di mercato, riferimento politico, luogo di raccolta dei prodotti e degli abitanti di tutta la Valdera, di gran parte del Valdarno, e naturalmente anche dei centri toscani più vicini, sembra non conoscere ostacoli.

Una forte spinta allo sviluppo economico e culturale si ebbe soprattutto dopo l’annessione del Granducato di Toscana al Regno d’Italia guidato dalla dinastia dei Savoia, stabilita con un referendum il 12 marzo 18606. Con Firenze come capitale (1865-1870) tutta la Toscana visse un periodo di grande fermento, e Pontedera non rimase indietro.

L’operosità e l’iniziativa erano costantemente in aumento, per raggiungere un picco mai visto con il 1870, con la proclamazione di Roma capitale del Regno d’Italia: nacquero nuove industrie, scuole, palazzi e case.

Dalla metà dell’800, incominciarono a comparire i primi professionisti, che entrarono a far parte della borghesia cittadina, costituita principalmente da proprietari terrieri e mercanti- imprenditori. La nuova borghesia professionale era costituita

4G. Caciagli, Op. Cit. Pag.452.

5A. Petessi,Memorie storiche di Pontedera, Tip. L’Ancora, Pontedera, 1907.

6U. Pallini, Op. Cit. Pag. 89.

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prevalentemente da medici e impiegati dell’ospedale Lotti, sempre più grande e fornito delle migliori attrezzature disponibili all’epoca7.

Il primo rallentamento si fece sentire soltanto con la prima guerra mondiale, ma subito dopo la fine del conflitto, i Pontederesi cercarono di ristabilire in fretta le attività di pace. Grazie ai progressi fatti e alla continua espansione, poté finalmente fregiarsi del titolo di “Città”, con il Decreto Reale del 17 maggio 19308.

Divenne un centro sempre più importante per la provincia di Pisa e la Toscana, finché, durante la seconda guerra mondiale fu teatro di violenti bombardamenti aerei anglo-americani, e di distruzioni provocate dalla ritirata tedesca, che la lasciarono devastata e deserta.

Le fabbriche e il ponte ferroviario sull’Era furono distrutti, togliendo alla città quell’identità che da sempre l’aveva distinta.

Pontedera si ritrovò spopolata e inattiva, come forse mai prima d’allora.

Subito si pensò e ci si attivò per la ricostruzione, che fu veloce ed efficace:

pochi anni dopo la guerra la città aveva

riacquistato in gran parte l’equilibrio perso, e sembrava aver ritrovato la sua vitalità. Di questo miracolo furono artefici tutti gli abitanti. I datori di lavoro, i tecnici e gli operai lavorarono fianco a fianco da pari; si creò un clima di fratellanza, solidarietà e collaborazione che solo un evento così tragico come la guerra avrebbe potuto realizzare.

7R. Cerri,Pontedera tra Ottocento e Novecento, in: G. Menichetti (a cura di), Immagini di una provincia, Edizioni del Cerro- Pisa, 1993, vol. I. Pagg. 257-305.

8IVI. Pag. 102.

Fig. 1- Bombardamenti su Pontedera.

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Ogni difficoltà sembrava superata quando, il 4 novembre del 1966, l’Era, straripando, sommerse Pontedera con le sue acque limacciose.

Nella stessa situazione si ritrovarono la maggior parte delle città, prima tra tutte Firenze, e dei paesi, situati lungo il percorso dell’Arno.

L’acqua, furiosa, portò via con se tutto ciò che le ostacolava il passaggio, senza clemenza o riguardo. Se a Firenze il danno maggiore, oltre alle tante abitazioni ormai rese inagibili, fu fatto alle opere d’arte, a Pontedera sotto l’acqua rimase la quasi totalità degli stabilimenti, principale fonte di ricchezza e vanto.9

L’acqua non si era ancora prosciugata, che tutta la città, con pale e secchi, era già in strada per togliere il fango, che fino a pochi giorni prima l’aveva sommersa e paralizzata. E non ci volle molto perché tornasse a brillare come e più di prima.

Pontedera, oggi che il settore terziario sembra prevalere sull’industria, cerca di presentarsi con una nuova fisionomia, recuperando frammenti della sua storia rimasti accantonati per molto tempo e riscoprendone luoghi e personaggi.

Le vie di comunicazione

Come si è visto, i due fiumi che bagnano la città ne hanno segnato le vicende storiche e il suo sviluppo. Sono stati preziosi veicoli di attività economiche, forza motrice per mulini o per molteplici manifatture, materia prima per varie produzioni e vie di trasporto mercantile.

9L. Bruni, “ERA” il 4 novembre. Cronaca di un’alluvione, Il Telegrafo- Livorno, 1967. Pagg.

43-44.

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La presenza dei corsi d’acqua ha inoltre avuto un ruolo fondamentale per l’irrigazione e la coltivazione delle zone circostanti, garantendo così una riserva di cibo, che si aggiungeva a quella ottenuta con la pesca.

Le sponde dei fiumi sono state addirittura luoghi di svago e benessere, attrezzate, nella bella stagione, come vere spiagge balneari, pronte ad accogliere i cittadini accaldati dall’afa estiva.

Fig. 2- I “Bagni Rosina” alla confluenza dell’Era con l’ Arno. (Anni ‘50) (Sul fiume: le barche che traghettavano i pontederesi attraverso l’Arno.)

L’Era e l’Arno, nonostante la loro importanza, non sono stati l’unico collegamento con il resto della Toscana: la parte da leone la facevano le numerose vie, alcune molto trafficate, che rendevano Pontedera uno dei nodi viari più importanti del basso Valdarno10. La Postale Livornese, o Regia Postale, l’asse principale della città, attraversava Pontedera da est ad ovest, costeggiando la riva sud dell’Arno, e la congiungeva con l’importante porto di Livorno. Nella Postale, inoltre, confluivano la Strada Provinciale della Valdera che arrivava da sud, e la via per la Valdinievole da nord. Parallelamente al corso dell’Arno, sulla riva nord, si trovava la Via Francesca, che collegava Pisa con

10R. Cerri, Op. Cit. Pagg. 257-305.

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Firenze. Si aggiungevano le numerose comunali rotabili e vicinali che collegavano il paese con i villaggi e le campagne circostanti.

Si può affermare che Pontedera, nonostante non fosse un centro di grandi dimensioni, costituisse una tappa quasi obbligata nella maggior parte degli spostamenti attraverso la Toscana.

Parlando di vie di comunicazione, non si può certo dimenticare la ferrovia Leopolda, vitale collegamento tra Firenze e Livorno, che a Pontedera aveva una delle più importanti stazioni ferroviarie, all’origine assai osteggiata dai vetturali e dai barrocciai, perché si presentava come un formidabile concorrente.

I barrocciai ed e vetturali erano stati fino ad allora i punti di riferimento per tutti gli spostamenti attraverso la città e verso le zone circostanti, ed avevano goduto per molto tempo della centralità di Pontedera nel sistema viario toscano.

Come già aveva notato Repetti, “..la Terra di Pontedera oltre la ricchezza dei prodotti di suolo riceve un gran soccorso dalla sua posizione sullo sbocco di tre valli, della Nievole, cioè, del Val-d’Arno superiore e dell’Era, […] dondeche gli alberghi, le vetture ed i carrettieri sono frequentissimi in Pontedera, siccome è frequentissimo il passaggio delle merci e dei viandanti da Pontedera per Livorno, Pisa, e Firenze non che per tutti i paesi orientali e meridionali del Granducato e viceversa.”11

La ferrovia contribuì non poco a rafforzare la vocazione commerciale e industriale della comunità, incrementandone ulteriormente lo sviluppo economico.

11E. Repetti,Dizionario geografico, fisico, storico della Toscana contenente la descrizione di tutti i luoghi del Granducato, ducato di Lucca, garfagnana e lunigiana, Firenze, 1841, vol. IV. Pag.

531.

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Nonostante le proteste non mancassero, non ci fu una vera e propria crisi dei trasporti su strada, anche perché la stazione Leopolda, la prima di Pontedera, costruita insieme alla ferrovia nel 1845, si trovava sull’argine dell’Era, su di un terrapieno, luogo assai scomodo per il carico e scarico delle merci.

Fig. 3- La famiglia Crastan alla Stazione Leopolda di Pontedera. –stazione vecchia- (1901)

I problemi per i barrocciai e i vetturali, che nel 1884 avevano visto anche il tram trasportare quelli che erano stati i loro passeggeri12, arrivarono, semmai, agli inizi del ‘900, con la costruzione della nuova stazione ferroviaria13. La nuova struttura fu costruita a ovest del centro storico della città, dove si stava sviluppando la zona industriale e furono proprio le industrie a beneficiare per prime della vicinanza con la ferrovia, affidandosi sempre più spesso al trasporto su rotaia.

12M. Quirici, E. Agonigi,“Pontedera e le strade ferrate. Il tram e il treno”, Ed. L’Ancora- CLD s.r.l.- Fornacette (Pi), 1999. Pagg. 9-19.

13IVI. Pagg. 94-102.

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Fig. 4- La nuova stazione. Nel piazzale barrocci e vetture. (1912)

Mercati e fiere

La zona della stazione ferroviaria si arricchì ben presto di alberghi, locande e servizi di ristoro, che accoglievano i numerosi viaggiatori, e in città non era difficile trovare camere in affitto presso i privati.

In alcuni periodi, infatti, e principalmente durante i periodi delle fiere annuali, Pontedera era raggiunta da moltissime persone, provenienti da tutta la Toscana.

La cittadina era un centro importante per la vendita di bestiame.

La fiera di S. Luca, che si svolgeva ad ottobre, la Fiera d’Agosto, e il Mercato trisettimanale dei Bozzoli, che si teneva durante i mesi di maggio, giugno e luglio, costituivano un appuntamento fisso per commercianti, agricoltori e viaggiatori, che si fermavano a Pontedera decretandone la sua potenzialità attrattiva.14

Assolutamente da non sottovalutare era il mercato settimanale del venerdì che, secondo solo a quello di Pisa, muoveva verso Pontedera

14R. Cerri, Op. Cit. Pagg. 257-305.

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numerosissime persone che raggiungevano brulicanti il centro con ogni mezzo e con ogni merce15.

A Pontedera si vendevano stoffe, prodotti agricoli, oggetti per la casa e la persona, animali da cortile; ce ne dà conto un impiegato delle ferrovie alla stazione pontederese, che non sembrava apprezzare il giorno di mercato: “Adesso c’è una grande vendita di conigli, di galline e di oche. Tutti i venerdì, la panchina è ingombra di gabbie che attendono i treni diretti. Non ho né meno il tempo per mangiare; e gli speditori vengono a sollecitarmi fin dentro l’osteria.”16

Fig. 5- Il mercato settimanale per le vie cittadine. (1905)

Le campagne

Fuori della città, la campagna era coltivata a viti, olivi, frumento e granturco. I poderi erano molti, ma di piccole dimensioni, e la coltura promiscua era predominante.

Nella prima metà dell’XIX sec. i sistemi di coltivazione erano ancora piuttosto arcaici, e l’introduzione della rotazione triennale aveva

15IVI.

16F. Tozzi,Ricordi di un impiegato, A. Mondadori, Milano, 1927. Pag. 62.

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provocato un eccessivo sfruttamento dei terreni pianeggianti e fertili, invece che incrementarne la produzione.

I terreni non potevano contare su di una concimazione ricca e costante, perché, nonostante Pontedera fosse famosa per le sue fiere di animali, l’allevamento bovino, suino ed equino era poco diffuso.

Numerosi erano, invece, gli animali da cortile, l’unico settore dell’allevamento che registrò un notevole incremento.

Importante era anche l’allevamento dei bachi da seta, introdotti nella seconda metà dell’800, insieme alla coltura del gelso, che contribuì ad aumentare leggermente la produttività delle campagne.

Fino all’inizio del XX sec. predominarono colture tradizionali (uva, olivo, grano, granturco e foraggi). In seguito comparvero, seppur lentamente, colture nuove e più redditizie, come la coltivazione degli ortaggi e degli alberi da frutto17.

L’innovazione fondamentale del nuovo secolo, fu l’introduzione di macchinari agricoli e concimi chimici, protagonisti di una generale innovazione delle tecniche di produzione. Nella nostra zona il contributo maggiore per questa operazione di rinnovamento giunse dal Consorzio Agrario di Pontedera, fondato nel 1903, e dall’Unione Agraria Cooperativa, attiva dal 1908. Grazie a queste istituzioni i contadini poterono contare sull’utilizzazione di moderne macchine agricole, trebbiatrici, aratri e trinciaforaggi, ottenute a prezzi convenienti.

Il mancato sviluppo delle campagne fu dovuto al fatto che la meccanizzazione non fu affiancata da un aggiornamento delle pratiche

17R. Cerri, Op. Cit. Pagg. 257-305.

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agrarie, ancora troppo legate alla tradizione e ai vecchi sistemi di rotazione delle colture e selezione delle sementi18.

La vera e propria modernizzazione delle campagne sarebbe avvenuta soltanto nel dopoguerra, a Novecento ormai inoltrato.

Nella fascia che circondava la città erano più diffuse le piccole proprietà, che diventavano sempre più grandi mano a mano che ci si allontanava dal centro abitato.

Fig. 6- Cartolina illustrata con i “Dintorni Colonici” di Pontedera. (Primi del ‘900.)

Ai diversi poderi corrispondevano diverse tipologie di proprietari.

Il gruppo più dinamico e presente nella vita cittadina era quello formato dai medi proprietari terrieri, per la maggior parte residenti a Pontedera. Questi, a differenza dei grandi proprietari che in genere abitavano lontani dalle loro terre, a Pisa o Firenze, avevano una certa influenza, economica, sociale e politica, sulla vita pontederese: è’

grazie a loro che sorse il suddetto “Consorzio Agrario”, da cui nacque poi l’ “Unione Agraria Cooperativa” e la “Cassa Agricola, Operaia di Depositi e Prestiti”19.

18IVI.

19IVI.

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I poderi meno estesi erano di proprietà di piccoli proprietari terrieri, che non costituivano una classe molto numerosa.

Il patto mezzadrile era il più diffuso nelle campagne della zona, e anche nelle campagne pontederesi c’erano numerosi mezzadri, come del resto i braccianti, validi aiuti nei periodi di maggior lavoro.

Quest’ultimi trovavano, però, sempre più frequentemente occupazione stabile nelle manifatture della città, nelle fornaci e come facchini durante i giorni di mercato.

Le industrie

Le attività manifatturiere, già diffuse nel XVIII sec., erano strettamente legate al commercio, e perciò spesso create e gestite da mercanti-imprenditori. Nonostante ciò gli opifici di grandi dimensioni non erano molti: per quelle produzioni che lo permettevano, il ricorso al lavoro a domicilio era frequentissimo, tanto che nella zona di Pontedera esso era molto più diffuso che nel resto della provincia di Pisa20.

Alla fine del ‘700, a Pontedera si tessevano lana, lino e canapa, ma con risultati di scarsa qualità, e si producevano cappelli di feltro di lana, mentre sulle rive dell’Arno, ma soprattutto nel vicino paese di La Rotta, uomini e donne lavoravano l’argilla per farne mattoni21.

20 L. Gestri, Origini e primo sviluppo dell’industria a Pisa e Provincia (1815-1914), in: G.

Menichetti (a cura di),Immagini di una provincia, Edizioni del Cerro- Pisa, 1993, vol. I. Pagg.

133-184.

21 M. Montorzi, P. Morelli, Le manifatture di Pontedera nella seconda metà del Settecento, Bandecchi & Vivaldi, Pontedera, 2002.

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Fig. 7- Pontedera città industriale. (1905)

L’industria, dopo la crisi generale della fine del XVIII e l’inizio del XIX sec., che colpì soprattutto il settore tessile, si riprese con entusiasmo negli anni ’30 e ’40 dell’Ottocento, con produzioni artigianali scarsamente accentrate e organizzate in piccole e piccolissime aziende.

Cominciavano comunque a comparire i primi opifici, simbolo di una organizzazione diversa e più moderna del lavoro.

Il vero e proprio boom industriale ci fu dalla metà dell’800 agli inizi del ‘900, quando ci fu una concentrazione più sistematica della manodopera in stabilimenti, e furono introdotte macchine per quei tempi all’avanguardia22.

Pontedera offriva una vasta gamma di produzioni industriali, che andava dai laterizi alla pasta alimentare, passando per i cappelli di feltro, gli ombrelli e i cordami, fiammiferi e scarpe, senza dimenticare la cicoria dei Crastan, le concerie e le industrie tessili e meccaniche.

La città era costellata da tantissime piccole industrie, più vicine ad una lavorazione artigianale che manifatturiera, come la produzione di vetri

22R Cerri, Op. Cit. Pagg. 257-305.

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e specchi della ancora nota Ditta Pasquinucci, o la produzione di sapone, di birra e di nastri, oppure quella di busti da donna, di Tommaso Bellincioni23, il cui nome si conserva sull’insegna della antica ed elegante merceria in cui i suoi eredi vendono ancora nastri e pizzi24.

Fig. 8- Il negozio di mode di Tommaso Bellincioni. (Primi del ‘900)

L’attività più antica è senza dubbio la produzione dei laterizi, che sembra risalga al periodo medievale25. Nella zona di Pontedera si potevano facilmente trovare fornaci lungo tutto il corso dell’Arno, da Fornacette a La Rotta.

I corsi d’acqua erano fondamentali non solo per la produzione, ma anche per il trasporto del materiale finito, che avveniva su strada, ma principalmente via fiume, con l’impiego dei navicelli.

L’attività nelle fornaci è stata molto importante per lo sviluppo industriale, ma anche culturale, di Pontedera; le migrazioni periodiche a cui erano costretti i mattonai nei mesi invernali (la produzione dei

23E. Caciagli, Le industrie nel comune di Pontedera dall’unità d’Italia fino alla prima guerra mondiale, Amministrazione provinciale di Pisa, Pisa, 1974.

24C. Rinaldi, S. Pistolesi (a cura di), Ditta Bellincioni. Dal 1848 seterie, pizzi, ricami, velluti, Bandecchi & Vivaldi, Pontedera, 2004.

25R. Cerri, Op. Cit. Pagg. 257-305.

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laterizi era attiva soltanto nei mesi estivi), soprattutto nel nord d’Italia, favorirono scambi di idee e conoscenze che difficilmente si sarebbero diffuse così in fretta26.

Dall’inizio del XX sec. diminuì il numero dei proprietari terrieri occupati nella gestione delle fornaci, ed emersero due medie imprese, la ditta “Leoncini Ubaldo” e “Fratelli Braccini fu Antonio”, affiancate da altre di piccole dimensioni.

Altro ramo di attività molto diffuso a Pontedera fu l’industria dei cordami. La produzione non fu mai prospera, ma riuscì a mantenere un certo equilibrio. Il raggio d’azione delle fabbriche rimase sempre piuttosto ridotto, e il luogo di lavoro prediletto rimase per molto tempo l’argine del fiume27.

Non si può parlare dell’industria pontederese senza accennare allo sviluppo dell’ industria tessile, che più di ogni altra ha caratterizzato la produzione della città.

La tessitura della lana, del lino, anche misto a cotone, della stoppa e della canapa costituivano un mercato florido anche alla fine del ‘700.

La vendita del prodotto finito era circoscritta mercato cittadino, e alle piazze poco distanti di Pisa, Livorno e Lucca.

Con l’età napoleonica e l’apertura dei grandi commerci con l’estero, la produzione tessile pontederese attraversò una fase di sviluppo, con un grande aumento di produttività28.

Figura fondamentale per questo settore è sicuramente il mercante imprenditore. All’epoca erano molti i mercanti che si occupavano attivamente della produzione dei tessuti (che poi vendevano),

26F. Franceschini,Linguaggi e Mestieri tra Val d’Era e Monti pisani, Pacini Editore, Pisa, 1999.

Pagg. 127-130.

27E. Caciagli, Op. Cit.

28R Cerri, Op. Cit. Pagg. 257-305.

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affidando i filati ai numerosissimi telai che lavoravano nelle case delle tessitrici, sparse per tutta la zona, soprattutto nelle campagne.

Il lavoro a domicilio era il punto fermo di tutta la produzione tessile pontederese, e mantenne il suo ruolo di primo piano almeno fino all’inizio del XX sec, quando le manifatture si fecero sempre più numerose e imponenti, anche se questo non decretò la sua definitiva scomparsa.

I mercanti-imprenditori, da parte loro, non sembravano riuscire a liberarsi dal doppio ruolo che ricoprivano, ma così facendo in genere non furono capaci di accentrare la manodopera in strutture organizzate, e sviluppare vere e proprie manifatture, rallentando la nascita delle industrie più moderne29.

Quando nacquero i primi stabilimenti di grandi dimensioni il lavoro a domicilio non venne abbandonato: per molte lavorazioni si ricorreva ancora ad operai esterni alla fabbrica, che si occupavano di quelle fasi della lavorazioni per le quali non erano necessari macchinari particolari.

Questo metodo era molto vantaggioso per gli imprenditori, che potevano così disporre di manodopera aggiuntiva a prezzi molto bassi e senza legami contrattuali rigidi30.

Dopo l’unità d’Italia l’industria cotoniera era il settore che forniva maggior ricchezza alla città di Pontedera, e che dava lavoro alla maggior parte della popolazione, ma si presentava ancora molto debole dal punto di vista finanziario, tecnologico e organizzativo.

Alla fine del secolo, dopo che lo sviluppo industriale aveva visto alti e bassi, a causa di sfavorevoli tariffe doganali e crisi generalizzate del

29IVI.

30L. Gestri, Op. Cit.

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settore tessile, e non solo, fu necessaria una totale riorganizzazione aziendale e produttiva. In questo periodo fu più consistente e deciso il passaggio da un’industria basata sul lavoro a domicilio e controllata da mercanti-imprenditori, a un’industria moderna, accentrata e dotata di macchinari tecnologicamente avanzati.

Grande passo in avanti fu fatto anche dalle tintorie, che con la ditta

“Andrea Bellincioni” e “Successori di Faustino Ricci” raggiunsero alti livelli tecnologici.

Con l’inizio del nuovo secolo la tessitura conobbe una fase di intenso sviluppo, subito seguita, però, da un periodo di forte crisi, che vide la chiusura del grande Cotonificio Ligure Toscano, e il calo della rendita degli altri stabilimenti.

Alla ripresa dell’attività, nel 1910-1911, gli stabilimenti che controllavano la maggior parte della produzione erano solo tre: la ditta Morini, le tessiture Dini e la manifattura Ricci.

Il XX sec., pur avendo visto la decadenza di molte produzioni (cappelli, cordami, mattoni), ha assistito alla nascita dell’industria meccanica, settore che ha esportato il nome di Pontedera anche oltreoceano.

La prima officina meccanica era di proprietà del Consorzio Agrario di Pontedera, principale promotore della meccanizzazione delle campagne, che la costruì come supporto necessario per la riparazione dei macchinari agricoli. Ben presto affiancò alla riparazione, la costruzione di motori e macchine, non solo per uso agricolo, ma anche industriale.

Nel periodo che va dagli anni della guerra Libia a quelli della prima guerra mondiale, sorsero e si ampliarono molte altre piccole officine,

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ma solo l’officina meccanica del Consorzio, che aveva preso il nome di “Officine Meccaniche Toscane”, aveva dimensioni industriali. Alla fine della guerra le Officine, che avevano prodotto motori e parti meccaniche per locomotive e aeroplani, commissionate dall’esercito, cambiarono il loro nome in “Costruzioni Meccaniche Nazionali”.

La loro importanza e il loro sviluppo attirarono l’attenzione della Società Piaggio, che nel 1924 trasferì parte della sua produzione ligure nella cittadina di Pontedera, decretandone il suo futuro sviluppo industriale.

Anche da questi brevi cenni si può capire quanto la città sia stata, da sempre, un polo attivo molto importante per la provincia di Pisa e la Toscana, e quanto altalenante, ma tendenzialmente in salita,sia stato il suo percorso fino ai giorni nostri.

Ed è in questa città, dentro queste vicende e in questo clima, che la ditta Crastan è nata e si è sviluppata, affrontando le difficoltà e fortune alterne che investivano tutto il paese; qui il suo fondatore, Luzio Crastan, ha trovato il successo che cercava ma forse non si aspettava di ottenere.

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