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I rischi di mercato: aspetti di gestione e di vigilanza

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Academic year: 2021

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INDICE

Introduzione

CAPITOLO I: Market Risk in financial crisis. 1) Peculiarità e cause della crisi

2) Rischio di mercato: Uno dei principali protagonisti della crisi 2.1) Securitisation and “Originate to distribute”

2.2) Canali di trasmissione: I derivati finanziari

2.2.1) Il caso Long Term Capital Management 2.3) Il principio del Fair Value e le sue ripercussioni

CAPITOLO II: Il trattamento prudenziale del rischio di mercato.

1) Il Rischio di Mercato tra Basilea I e Basilea II 2) Il nuovo framework post-crisi: Basilea 2,5

2.1) Lo stressed Var (sVar)

2.2) L’incremental Risk Charge (IRC) 3) La circolare 285/2013: Basilea III

3.1) Le modifiche di Basilea III al rischio di mercato 3.1.1) Il rischio di posizione

3.1.2) Il rischio di regolamento 3.1.3) Il rischio di concentrazione 3.1.4) Il rischio di cambio

3.2) I requisiti quantitativi e qualitativi dei modelli interni secondo Basilea III 3.2.1) All Price Risk (APR)

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CAPITOLO III: Misurazione del Rischio di Mercato e impatto gestionale sulle banche.

1) Il Value at Risk

1.1) L’approccio parametrico (varianza-covarianza)

1.2) La simulazione storica

1.3) La simulazione Montecarlo

1.4) Le prove di stress

1.5) I limiti del Var

2) La nuova riforma sul trading book 3) L’expected shortfall

4) Impatto gestionale Rischio Mercato sui bilanci bancari

Conclusioni Bibliografia

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INTRODUZIONE

Lo scopo di questo lavoro di tesi è quello di definire il concetto di rischio di mercato e analizzare quelle che sono le più comuni tecniche utilizzate per la misurazione di tale rischio, nonché le tecniche di gestione dello stesso da parte della vigilanza.

Questo elaborato si divide in tre parti di cui una descrittiva, una parte riguardante la vigilanza e la relativa disciplina riguardante i rischi di mercato e un’ultima sezione riguardante la misurazione degli stessi:

- Capitolo I: descrizione della crisi avvenuta a livello mondiale nel biennio 2007/2008 iniziando con le cause generali per poi collegarsi alle cause riguardanti i rischi di mercato;

- Capitolo II: parte dell’elaborato dedicato alla vigilanza e a come essa si interfaccia sui rischi di mercato dapprima ignorati da Basilea I per poi diventare un elemento chiave nelle pubblicazioni del comitato di Basilea;

- Capitolo III: nell’ultima parte di questo elaborato mi sono soffermato sulle tecniche di misurazione dei rischi di mercato e più precisamente il modello evoluto basato sul Value at Risk, nonché il passaggio, secondo la nuova disciplina dettata dal Comitato di Basilea, all’Expected shortfall.

Ci sarà un ultimo paragrafo dedicato a come i seguenti rischi impattano i bilanci bancari e più precisamente il gruppo Intesa san Paolo e il gruppo Unicredit nel triennio che intercorre dal 2013 al 2015.

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“You cannot discover new oceans

Unless you have the courage To lose sight of the shore” Andrè Gide

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CAPITOLO 1

Market risk in financial crisis

1) Peculiarità e Cause della crisi

La grave crisi finanziaria che ha scosso e, che continua a scuotere l’economia mondiale, può essere considerata tra le peggiori a partire dal secondo dopoguerra. Il fallimento di diversi intermediari finanziari, tra i quali spicca Lehman Brothers, e i difficoltosi salvataggi di colossi finanziari, come ad esempio Bank of America, American International Group (AIG), Citigroup, Fannie Mae e Freddie Mac, hanno messo a dura prova la stabilità del sistema finanziario statunitense e di altri paesi. Le economie mondiali sono chiamate a fronteggiare una sfida senza precedenti per la riduzione dell’instabilità finanziaria e l’impatto sull’economia reale delle irrazionali scelte di creazione, trasferimento e moltiplicazione del rischio di credito e rischio di mercato degli intermediari per il sostegno finanziario al mercato immobiliare statunitense il quale mostra i primi segnali di cedimento nel 2006 (Alberto Burchi, 2011).

L’intero ‘castello’ è sembrato reggersi proprio sull’espansione e sull’incremento di valore, pressoché continuo, degli immobili gonfiatosi nella folle stagione del credito facile e del sistematico ricorso all’indebitamento.

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Spinte da logiche di profitto a breve termine, le banche hanno dimenticato che l’attività di intermediazione presuppone capacità di gestione dei rischi e non il loro sistematico trasferimento al mercato.

L’utilizzo della securitisation e dei derivati trasferisce all’esterno il rischio di credito sui prestiti alla clientela, provocando l’ampliarsi dei subprime mortgages, assai rischiosi per l’allentamento dei criteri di screening e monitoring.

In collegamento con quanto detto c’è la moltiplicazione del rischio di credito e del rischio di mercato, quindi, la creazione di strumenti finanziari di incerto valore che a più riprese hanno reso più rischioso il sistema finanziario.

Le banche vendevano ad altre società veicolo appositamente create (SIV, Special

Investment Vehicles) i propri crediti i quali venivano poi rivenduti nel mercato

tramite specifici titoli obbligazionari Abs (Asset-backed securities) il cui rimborso era condizionato al rimborso dei titoli sottostanti. A seconda della composizione gli Abs assumono denominazioni diverse: se il portafoglio di crediti risulta composto da mutui ipotecari, allora gli Asset-backed securities venivano definiti

Mortage-backed securities (Mbs) se invece sono composti anche da altre tipologie di crediti

essi vengono definiti Collateralized debt obligations (Cdo).

Il totale degli strumenti finanziari alla fine del 2007 raggiungeva un ammontare pari a 16 volte il Prodotto interno lordo mondiale (Financial Crisis and Bank Opaqueness, 2010).

Le scelte gestionali delle banche si inseriscono in un contesto dominato dalla cultura dell’indebitamento e del credito facile ed in aggiunta a ciò, bassi requisiti

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patrimoniali a fronte del rischio di mercato ed un elevato arbitraggio regolamentare, ossia, il collocamento di attività di natura creditizia nel trading book anziché nel

banking book, appunto, per un minor assorbimento patrimoniale.

Gli strumenti di finanza innovativa, quali la securitisation e i derivati creano i presupposti per il conseguimento di profitti per tutti coloro inseriti in questo

business apparentemente inesauribile: banche commerciali, banche d’investimento,

assicurazioni ed hedge funds registrano alti profitti e gli incentivi salariali dei rispettivi managers crescono di pari passo. Il mercato immobiliare diventa il principale catalizzatore dei fiumi di denaro messi a disposizione delle banche e i prezzi delle case aumentano a dismisura. Lo scoppio della bolla immobiliare sancisce la parola fine alle folli logiche di breve termine portate avanti negli ultimi anni da un sistema finanziario dimostratosi debole, fragile e irresponsabile.

Gli strumenti finanziari strutturati cresciuti accanto al tipico business dei mutui subiscono pesanti svalutazioni e gli utili si trasformano in perdite mettendo in

ginocchio i più grandi colossi finanziari (Colombini, Calabrò, 2009) Sintetizzando, si possono definire le cause che hanno scatenato la grave crisi dei

mercati finanziari, precisate dallo stesso Basel Committee on Banking Supervision (BCBS) nel 2010 con un documento (Mea Culpa) come segue:

• I bilanci bancari sono stati ‘costruiti’ con un grado eccessivo di indebitamento;

• Il livello di adeguatezza patrimoniale era insufficiente da un punto di vista qualitativo in quanto erano presenti nel Patrimonio di vigilanza

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degli strumenti ibridi o innovativi che pur avendo natura di debito venivano inseriti nel PV a scapito delle voci più pure. Le Banche che hanno avuto i maggiori dissesti erano intermediari con un PV>8%. Ciò fa capire che il problema era dal punto di vista qualitativo.

• Pro-ciclicità: a fronte di una percezione del rischio elevato le banche hanno cominciato ad avere un comportamento restrittivo in termini di concessione dei finanziamenti. La pro-ciclicità puo’ essere espressa come l’impatto che un impianto regolamentare determina sull’economia reale. Il pericolo che ha aperto Basilea 2 è stato quello di un razionamento del credito, cioè a fronte di una certa domanda di credito l’offerta non risponde a quella determinata domanda. Si può affermare che la pro-ciclicità è stata un limite di Basilea 2.

• Connubio tra rischio di liquidità, rischio di mercato e rischio di default in quanto i titoli non avevano un trattamento regolamentare adeguato perché nella valutazione della rischiosità il regulator non andava a considerare certe fattispecie di rischio1 (default e liquidità in primis).

• Interconnessione degli intermediari che hanno valenza a livello sistemico (sifis) che hanno fatto veicolare la crisi a livello mondiale, infatti essa è nata negli USA per poi insediarsi a livello mondiale.

• Insufficienti buffer di liquidità che non hanno permesso agli intermediari di far fronte alle perdite. Ciò era dovuto all’ingente livello di liquidità che

1 A tal proposito se ne occupa il Comitato di Basilea emanando nel 2009 il cosiddetto Basilea 2,5 di cui se ne parlerà

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era presente sul mercato, tanto da far soprannominare il rischio di liquidità un forgotten risk.

Il mercato si presentava in modo deregolamentato e la logica attivata dalla vigilanza era al quanto permissiva. Questa combinazione assicurava una forte discrezionalità alle banche.

Basilea II ha avuto la grande colpa di avvicinare, fino a farle coincidere, tecniche gestionali e tecniche di vigilanza, che sono due logiche che devono essere ben distanti tra loro e ciò ha portato ad una discrezionalità elevata da parte delle Banche. In questo modo esse hanno potuto agire in un’ottica di arbitraggio regolamentare massimizzando i propri profitti pur accantonando un basso livello di requisito patrimoniale a fronte dei rischi di Pillar 1 (rischio di mercato, rischio di credito, rischio di controparte e rischio operativo). Il comitato di Basilea cerca

di risolvere tutte queste limitazioni già dal 2009 con Basilea 2,52 e poi in seguito

con lo stesso Basilea III3.

Nel paragrafo successivo mi soffermerò in particolar modo sul ruolo che ha avuto il rischio di mercato all’interno della crisi finanziaria.

2 Revisions to the Basel II market risk framework

3 Basilea III inserisce una misura di Leverage ratio per le Banche per il problema dell’eccessivo indebitamento, inserisce

due riserve per contrastare la pro-ciclicità (Riserva di conservazione del capitale e Riserva Anticiclica) e per la gestione della Liquidità inserisce due ratio, uno di breve termine (Liquidity Coverage Ratio) ed uno di lungo termine o

strutturale (Net Stable Funding Ratio) oltre, comunque, un innalzamento del livello di qualità del patrimonio di vigilanza.

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2)Rischio di mercato: Uno dei principali protagonisti della crisi

I Rischi di Mercato derivano dagli effetti delle variazioni dei prezzi o degli altri fattori di mercato4 sul valore delle posizioni (o interi portafogli) scritte sui bilanci dell’intermediario, sia che siano detenute nel trading book, sia che risultino dall’operatività commerciale e dalle scelte strategiche, quindi banking book.

Trading Book: Insieme delle posizioni in strumenti finanziari e materie prime

assunte in proprio, con l’intento di beneficiare nel breve periodo di differenze tra prezzo di acquisto e di vendita (o di costruire una copertura a fronte di altri elementi dello stesso portafoglio) o detenute in vista di una prossima cessione o per svolgere negoziazioni con la clientela. La sua composizione può essere modificata sensibilmente nel breve termine e necessita di un monitoraggio continuo da parte dell’intermediario.

Banking Book: Include le operazioni che, pur insistendo sulle stesse variabili di

mercato, sono assunte con finalità diverse (investimenti di medio-lungo termine). La sua composizione tende a restare stabile e richiede un monitoraggio meno frequente.

Questa ripartizione del bilancio bancario è voluta dalla vigilanza perché a seconda che l’attività toccata, dal relativo fattore di rischio, faccia parte del Trading Book o del Banking Book la vigilanza prevede discipline diverse.

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I Rischi di Mercato sono quelli che dal punto di vista dell’operatività hanno

mostrato la maggiore variabilità5: in alcuni contesti essi erano ritenuti importanti già

dagli anni 70’ (USA e Gran Bretagna) infatti nei sistemi anglosassoni hanno da sempre costituito un punto di osservazione anche perché per quelle banche quel tipo di attività era fonte di elevati guadagni. In contesti come quello italiano6 dove le

banche lavoravano in modo molto protetto (i rischi di mercato si legano molto alla turbolenza del mercato) ed hanno una prevalente attività creditizia il problema invece non era sentito. Ma quando le banche dei vari Paesi si sono aperte al contesto internazionale allora i Rischi di Mercato hanno iniziato a pesare.

Il problema primario riguardante il rischio in discorso proviene dall’eccessiva discrezionalità “offerta” dalla vigilanza, e a tal proposito, occorre sottolineare che i Rischi di Mercato sono stati disciplinati per la prima volta nel’937 inserendo una

metodologia standard per il calcolo dei requisiti patrimoniali a fronte dei medesimi. Inoltre, Basilea II lascia sostanzialmente inalterata quest’ultima regolamentazione. Per quanto riguarda i modelli evoluti (Var), nei periodi di elevata volatilità, gli

approcci più complessi8 comportano un impegno di capitale maggiore dovuto al

maggiore rischio che i modelli stessi rilevano con estrema rapidità.

5Le Banche che hanno avuto i maggiori dissesti sono state quelle che utilizzavano i modelli evoluti (Var) per il calcolo dei requisiti patrimoniali, ciò dovuto all’eccessiva discrezionalità dell’intermediario coadiuvato da una regolamentazione che non prevedeva il rischio di default per le attività ed, inoltre, non era presente uno scenario di stress nel calcolo dello stesso Var.

6Il rischio di mercato, per ordine di importanza, rappresenta il terzo rischio nei bilanci bancari dietro a Rischio di credito e rischio operativo. 7Il rischio di mercato entra a far parte dei rischi di Pillar 1 e si inserisce una metodologia standard per il calcolo del requisito patrimoniale (building block approach) e nel 96’ la vigilanza mutua dalla prassi operativa, quale metodologia interna, il Var.

8 Garch, TGGarch che sono modelli molto complessi per il calcolo dei requisiti patrimoniali a fronte del rischio di

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Al contrario, le metodologie di stima più semplici, parametrico e simulazione storica, comportano uno scarso accantonamento di capitale che ha prodotto una non totale copertura delle perdite del trading book per i rischi di mercato (Burchi, 2008). Nella fase più profonda della crisi, le perdite connesse con l’assunzione di rischi non adeguatamente coperti da capitale sono state tra le principali determinanti del dissesto di molti intermediari internazionali, in primo luogo delle grandi banche di investimento (Giovanni Carosio).

Stante la situazione descritta, numerose banche hanno subito, durante la crisi, perdite rilevanti sulle attività finanziarie inserite nel portafoglio di negoziazione. Queste perdite, dovute tra l’altro all’improvviso crollo della liquidità del mercato su cui venivano scambiati i titoli oppure a eventi inattesi di default o di migrazione (downgrading) a una classe di rating inferiore, sono emerse in tutta la loro crudeltà dato che le attività del trading book dovevano essere riportate in bilancio al “fair

value”, risentendo inevitabilmente del crollo dei mercati.

Con la crisi è risultato evidente come i requisiti patrimoniali sui rischi di mercato, calcolati secondo le regole di Basilea II, siano risultati pesantemente insufficienti ad assorbire queste perdite; ciò è valso in modo particolare per gli intermediari che ai fini di vigilanza si avvalevano di modelli interni e non della metodologia standardizzata per calcolare il requisito patrimoniale. Da qui le critiche mosse ai modelli VaR (uso di serie storiche recenti; non rispetto dell’assioma di subadditività; ipotesi di normalità delle distribuzioni; modesta considerazione della liquidità).

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In sintesi, i problemi che sono emersi durante la crisi nella misurazione dei rischi di mercato sono riconducibili a due fattori (Resti, Sironi, 2011):

 la scarsa “memoria” dei modelli VaR, i cui parametri vengono costantemente aggiornati nel tempo per tenere conto delle condizioni correnti e, dunque, risultano sì maggiormente reattivi a fronte di mutamenti nel contesto di mercato, ma anche più svelti nel dimenticare i gravi episodi di crisi verificatisi in passato. In particolare, negli anni antecedenti la crisi, la presenza di mercati ampi, ordinati e liquidi aveva indotto le banche a calibrare i propri modelli in maniera relativamente ottimistica, non consentendo loro di anticipare correttamente la forte instabilità e illiquidità manifestatesi all’improvviso durante le fasi più concitate della crisi; ciò ha fatto sì che al peggiorare delle condizioni di mercato anche i requisiti patrimoniali dettati dai modelli siano risultati marcatamente volatili e abbiano chiesto alle banche un consistente aumento di risorse patrimoniali (in una fase in cui il capitale veniva peraltro eroso da forti perdite);

 il fatto che strumenti finanziari il cui principale rischio è quello di credito (e cioè il default di crediti cartolarizzati) e che fosse stato inserito nel portafoglio di trading al fine di beneficiare di un arbitraggio regolamentare legato al fatto che le stesse esposizioni, se classificate nel banking book, avrebbero dato origine ad un requisito patrimoniale ben più consistente; ciò è stato vero, in particolare, per le banche dotate di un modello per i rischi di mercato validato dalle autorità, che hanno artificialmente spostato esposizioni creditizie dal banking book al trading book per beneficiare del minore requisito di capitale dovuto su quest’ultimo.

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Il rischio di mercato ha avuto una progressiva importanza, per via della crisi, a causa di:

 Securitisation; (sostituzione di attività illiquide con attività con mercato secondario e con un prezzo);

 Derivati finanziari; Per gli intermediari che li negoziano, il rischio è dato dalla variazione del valore di mercato causata dalla variazione dei prezzi dell’attività sottostante e/o dalle condizioni di volatilità degli stessi.

 Standard contabili che prevedono l’iscrizione in bilancio del valore di mercato (e non del costo storico di acquisto) per molte attività e passività.

2.1) Securitisation and “Originate to distribute”

Nella definizione ristretta, la securitisation presuppone l’individuazione e il raggruppamento di un pool di assets costituiti tipicamente da prestiti illiquidi, similari nella tipologia, nella scadenza, nel rischio di saggio di interesse per il loro successivo trasferimento allo Special Purpose vehicle (SPV) che provvede all’emissione di ABS, quali: pass trough securities, collateralized debt obbligations

(CBO), mortgage pass trough strips, garantite dal titolare originario o da altri

(Saunders, Cornett, 2008).

La securitisation degli attivi negli intermediari finanziari ha manifestato diffusione e sviluppo negli Stati Uniti per poi propagarsi anche in Europa il che testimonia la sua

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estensione sul piano geografico, confermando per determinati versi l’evoluzione dei mercati finanziari.

La securitisation di prestiti origina smobilizzi e ricomposizioni nell’attivo di banche commerciali, intermediari specializzati, imprese di assicurazione che rispondono alle seguenti motivazioni: liquidità, crescita degli strumenti di provvista, gestione del rischio di credito, gestione del rischio di saggio d’interesse, dei coefficienti patrimoniali (Stone, Zissu, 2000).

La trasformazione di finanziamenti illiquidi in strumenti negoziabili sul mercato, nella sostanza, permette il soddisfacimento di esigenze diverse che non si limitano alla creazione di risorse liquide e nuove modalità di provvista. La securitisation dovrebbe considerare i prestiti di migliore qualità per oggettive motivazioni connesse con il giudizio di rating, la circolazione sul mercato degli strumenti finanziari e le esigenze di gradimento degli investitori.

Il processo di cartolarizzazione di per sé postula il trasferimento del rischio dall’intermediario finanziario originario agli investitori degli strumenti finanziari collocati sul mercato, pur rimanendo nell’ambito del sistema finanziario (Franke, Krahnen, 2008).

E’bene precisare che la securitisation dovrebbe considerare gli assets migliori sia per la più rapida possibilità di collocamento sul mercato, sia per la possibilità di più bassi saggi di remunerazione e sia per la circolazione di strumenti finanziari a basso rischio. Quest’ultima problematica viene aggirata mediante la costituzione da parte

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delle banche di società veicolo, quali conduit e siv9, che raccolgono denaro grazie alle commercial papers (strumento del mercato monetario il cui documento rappresentativo è costituito da un "pagherò cambiario" non garantito, emesso dalle imprese, con scadenza massima a 270 giorni. Poiché questi titoli non sono garantiti, solo le società più grandi o più solvibili le emettono. Il tasso di interesse che viene offerto, riflette naturalmente il livello di rischio dell'emittente. Il mercato finanziario è poco liquido (Investopedia)) e lo impiegano nell’acquisto di bonds a lunga

scadenza connessi a mutui. Ovviamente, il mercato delle commercial papers10

alimenta il drenaggio delle risorse a buon mercato e, invece, quello delle ABS fornisce rendimenti ben oltre quelli di mercato. L’innalzamento dei saggi d’interesse e il raffreddamento del mercato immobiliare provocano il default di alcuni mutuatari e tra questi ovviamente i primi ad essere colpiti sono quelli

subprime11 .

A cascata, il valore dei titoli strutturati precipita. Presto si sviluppano tensioni sul mercato interbancario e i profittevoli conduit e siv, avendo esigenze di rifinanziamento settimanale, non riescono più a drenare liquidità mediante le

commercial papers ed entrano in crisi. Le banche sponsors sono costrette a

intervenire in favore delle loro società, ma così facendo la crisi si trasferisce dal

9 I Conduit e siv sono inquadrabili come special purpose enties o special purpose vehicles ossia società create per scopi specifici. In particolare, le banche costituiscono queste società veicolo per il trasferimento fuori bilancio dei prestiti a più alto rischio tramite il processo di securitisation. (Colombini, Calabrò 2009)

11indicano quei prestiti che, nel contesto finanziario statunitense, vengono concessi ad un soggetto che non può accedere ai tassi di interesse di mercato, in quanto ha avuto problemi pregressi nella sua storia di debitore. I prestiti subprime sono dunque prestiti rischiosi sia per i creditori sia per i debitori, vista la pericolosa combinazione di alti tassi di interesse, cattiva storia creditizia del debitore e situazioni finanziarie poco chiare o difficilmente documentabili, associate a coloro che hanno accesso a questo tipo di credito.

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fuori bilancio al bilancio e, il trasferimento del rischio ricade sulle Originators (Colombini, 2009).

Il corretto utilizzo della securitisation per prestiti di ottima qualità è del tutto trascurato negli ultimi anni così come vi è un abuso nel ricorso allo strumento dei

credit derivates. In particolare, le grandi banche americane sono cieche di fronte

agli altissimi rischi che una scorretta applicazione del trasferimento del rischio solleva per i sistemi finanziari nel loro insieme.

Il passaggio da un’ottica di tipo originate to hold ad una di tipo originate to

distribute lascia credere agli intermediari bancari che si possa cavalcare il boom del

mercato immobiliare senza che i rischi relativi al suo rallentamento possano in qualche modo inficiare la salute dei bilanci.

Vale precisare che il modello originate to distribute di fatto disincentiva le banche ad un’adeguata applicazione dei processi di screening e monitoring e, per conseguenza, fornisce la possibilità di accesso al credito anche a segmenti di clientela con scarsa capacità di rimborso (Colombini, Calabrò 2009).

2.2) Canali di trasmissione: I Derivati finanziari

A livello di sistema, il trasferimento del rischio è sperimentabile sia ricorrendo alla

securitisation sia ai credit derivates e qualora avvenga tra banche che adottano le

medesime strategie incorpora potenzialmente in sé l’incremento di rischio resosi necessario per competere su un mercato del credito molto elastico (Wagner, 2005).

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I derivati, pur avendo un’origine lontana nel tempo, hanno ritrovato piena espressione nell’ambito dell’intermediazione finanziaria solo negli anni antecedenti la crisi.

A fine 2007 il mercato dei derivati risulta pari a 62 trilioni di dollari superando il prodotto interno lordo dell’intera economia mondiale (53 trilioni), così come mostrato nel grafico 1.

Grafico 1: Mercato dei derivati dal 2000 al 2008. Fonte: Bank International Settlements

Il mercato dei derivati registra un incremento di volumi e scambi davvero impressionante a dimostrazione del fatto che le strategie di risk management intravedono nella possibilità di esternalizzare al mercato le alee di rischio gravanti sul proprio bilancio un ottimo metodo per non rinunciare ai prestiti ad alto rischio e alto rendimento, mantenendo sostenuti i propri livelli di profitto. Pur accordando finanziamenti a soggetti scarsamente solvibili, il trasferimento del rischio al mercato

2 2,1 2,2 3 5 12 32 62 55 0 10 20 30 40 50 60 70 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 giu-08

Mercato dei derivati

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alimenta la creeazione delle ABS e dei derivati e la partecipazione di diversi intermediari finanziari e investitori in ottica sia di protection buyers sia di

protection sellers (Purnanandam, 2008).

L’effetto leverage può trovare massima espressione nel mercato dei derivati, infatti, tra il 2000 e il 2007 a fronte di un costo del denaro relativamente basso gli scambi in derivati creditizi distinti da rendimenti interessanti registrano un vero e proprio boom conseguendo una crescita cumulata a dicembre 2007 del 6865,3% come mostrato nel grafico 2.

Grafico 2: Crescita cumulata del mercato dei derivati da 2000 al 2008. Fonte: ISDA

L’utilizzo di questi strumenti ha un aumento esponenziale, legato al forte aumento dei valori scambiati sui mercati over the counter (OTC) ma anche i mercati

regolamentati12. I mercati OTC godono di certe peculiarità e di un’estrema

flessibilità di cui non si ha nei mercati regolamentati, infatti i contratti derivati

12 Exchange-traded contracts (ETC).

0,00% 33,10% 146,40% 325,50% 840,60% 1814,90% 3752,00% 6865,30% 6014,20% 0% 1000% 2000% 3000% 4000% 5000% 6000% 7000% 8000% 2 0 0 0 2 0 0 1 2 0 0 2 2 0 0 3 2 0 0 4 2 0 0 5 2 0 0 6 2 0 0 7 G I U - 0 8

CRESCITA CUMULATA DEL MERCATO DEI

DERIVATI

(VALORI PERCENTUALI)

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perfezionati sugli OTC sono negoziati su base bilaterale e vengono ‘personalizzati’ in relazione alle esigenze dei contraenti che concordano liberamente tutte le caratteristiche13. Ne scaturisce, quindi, anche un più alto livello di rischio.

Si nota, nel grafico 3, come il mercato regolamentato dei derivati rappresenta solo

una piccola quota dell’intero mercato (10,97% per un valore nozionale 14 di 84,29

trilioni di dollari). Ciò nasce dal fatto che, a differenza degli OTC, gli alti livelli di standardizzazione caratterizzanti i mercati regolamentati non assicurano quella flessibilità contrattuale ed operativa tanto gradita ai grandi intermediari finanziari. Inoltre, desta tanto stupore la mancanza di una cassa di compensazione e garanzia (clearing house) in grado di annullare il rischio di fallimento dei singoli protection

sellers mediante il regolamento quotidiano delle posizioni in guadagno e perdita.

13 Es.Importo, scadenza e altre.

14Il volume degli scambi viene espresso mediante il valore nozionale, ossia il parametro di riferimento per il calcolo dei flussi di pagamento. Il valore lordo di mercato invece rappresenta la somma, in valore assoluto, delle componenti positive e negative delle posizioni in derivati.

2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 giu-08 Merc.OTC 95,2 111,18 142 197,18 251,82 297,67 414,29 595,34 684 Merc.Reg. 14,22 23,76 23,81 36,79 45,59 57,79 70,44 80,58 84,29 0 100 200 300 400 500 600 700 800 900 Valo re in T rilion i d i d o llari Anni

Confronto Mondiale Mercati nei Derivati

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Grafico 3: Confronto mondiale Mercati nei derivati dal 2000 al 2008. Fonte: Bank International Settlements

Tale anomalia permette a questi ultimi di conseguire un forte ritorno economico nel breve termine con l’incasso del “premio” per la garanzia, rimandando il problema della copertura in termini di capitale ad un futuro più o meno prossimo.

In conclusione con derivati e securitisation è possibile il trasferimento del rischio al mercato, pertanto, le tecniche di risk transfer producono l’effetto opposto a quello desiderato e da strumenti di diversificazione e di hedging si trasformano in criticità del sistema bancario e più in generale finanziario (Steinher, 2000).

2.2.1) Il caso Long Term Capital Management (LTCM)

LTCM era un fondo d'investimento speculativo diretto da premi Nobel, Professori, ex governatori della Fed (banca centrale degli Stati Uniti d'America) e tecnici d'alto profilo. Fu fondato all'inizio del 1994 con sede nel Connecticut.

Il fondo LTCM era un hedge fund, ossia un fondo di investimento che nell'attuazione della propria strategia non è soggetto ai vincoli tipici dei fondi tradizionali, può quindi operare in tutti i mercati e con tutti gli strumenti finanziari ed in particolare può: vendere allo scoperto, operare senza nessun limite con strumenti derivati, utilizzare senza nessun limite la leva finanziaria e che parte dal presupposto che esistono inefficienze sui mercati, su cui si potrebbe operare per avere profitti, destinate a scomparire nel breve periodo.

L' LTCM utilizzava un modello finanziario, derivato dalla ricerca scientifica più aggiornata, che permetteva di tracciare, in modo straordinariamente fedele alla

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realtà, le curve dei tassi d'interesse di mercato e di individuare gli assets, che si discostavano dai valori teorici espressi dalle curve. Questo "mostro" finanziario gestiva una ingente somma di denaro derivante dai principali istituti finanziari americani ed europei, e anche dei Fondi Pensione. Aveva capitali per 2,2 miliardi di dollari, ma prestiti dalle banche per un valore di 125 miliardi di dollari, una leva di 55 volte. Con una leva simile, bastava un movimento avverso del 2 % per perdere il 100% del capitale. La scommessa del fondo era quella di aver investito in tassi d'interesse russi a un determinato livello, più basso della norma, credendo che sarebbe salito e tornato al suo valore medio: in realtà però la Russia stava attraversando un grande momento di crisi, così invece che salire questi tassi crollarono sempre di più, ma i gestori del fondo continuavano a comprare utilizzando la leva finanziaria, raddoppiando ogni volta il capitale investito, in modo da recuperare le perdite in attesa di un rialzo ma questo causò la loro rovina e, di conseguenza, determinò il loro fallimento.

Ciò che fa riflettere, è che dopo questo fallimento la Russia iniziò una ripresa, così i tassi cominciarono ad aumentare e a riavvicinarsi al suo valore di norma; così se il fondo avesse avuto la forza e la disponibilità finanziaria per rimanere sul mercato, avrebbe non solo recuperato le perdite, ma anche guadagnato grandi capitali.

A seguito di quella crisi, LTCM ha perso la sua base di capitale che dai 4,8 miliardi dollari si è ridotta a 600 milioni di dollari. Registrando una perdita netta del 44% degli investimenti. Il fatto preoccupante è che l'errore assiomatico che ha portato all'impatto frontale con la realtà è lo stesso che sta alla base di tutta la bolla

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speculativa mondiale dei derivati e di altre attività speculative. Il fondo chiuse definitivamente i battenti all'inizio del 2000.

Il caso dell'LTCM ci fa capire che niente nel mondo della finanza è sicuro, nemmeno uno dei più grandi fondi mondiali ha saputo esprimere stabilità. Da ciò comprendiamo che i movimenti finanziari sono tutt'altro che prevedibili ma bensì controllati da fenomeni aleatori. Inoltre tutte le analisi hanno il loro “tallone di Achille” nel verificarsi di eventi statisticamente poco importanti o imprevedibili. Il mercato si muove con un percorso “random walk” fatto di spostamenti casuali e imprevedibili, dove non si possono prevedere andamenti o trend. Nel breve periodo questi spostamenti rendono irrazionale il mercato, ma nel lungo periodo sappiamo che questi passi casuali si avvicineranno ad un valore medio. L'LTCM fa capire come esistano forze ed eventi che si verificano nei mercati finanziari, nel breve periodo, che non sono calcolabili da nessun sistema computerizzato nè prevedibili da nessun premio Nobel o esperto di mercato. In un sistema dominato da molte variabili (LTCM era un fondo che interessava la finanza mondiale) ogni investitore è sottoposto al cambiamento imprevedibile degli eventi.

2.3) Il principio del Fair Value e le sue ripercussioni

I principi contabili internazionali IAS/IFRS prescrivono per i prodotti finanziari classificati nel portafoglio di negoziazione (trading book) la valutazione al fair

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L’applicazione degli IAS/IFRS garantisce la certezza di regole concordate ed accettate a livello internazionale che non sono più distinte in base alla natura dell’impresa (industriale, bancaria, assicurativa), ma sono identiche per tutti i soggetti tenuti alla loro applicazione. Ciò permetterà di centrare l’obiettivo di una piena comparabilità dei bilanci delle imprese europee e rappresenta un’importante opportunità per promuovere i processi di internazionalizzazione. È auspicabile, infatti, che la riduzione dei costi legati alla produzione della reportistica di bilancio e l’eliminazione delle distorsioni informative legate alla diversa valutazione delle poste di bilancio favoriscano i processi di integrazione delle imprese a livello continentale (Circolare Abi, 2006).

L’esistenza di quotazioni ufficiali in un mercato attivo15 costituisce la miglior evidenza del fair value. Tali quotazioni rappresentano quindi i prezzi da utilizzare in via prioritaria (effective market quotes) per la valutazione delle attività e delle passività finanziarie rientranti nel portafoglio di negoziazione.

In assenza di un mercato attivo, il fair value viene determinato utilizzando tecniche di valutazione volte a stabilire, in ultima analisi, quale prezzo avrebbe avuto il prodotto, alla data di valutazione, in un libero scambio motivato da normali considerazioni commerciali. Tali tecniche includono:

– il riferimento a valori di mercato indirettamente collegabili allo strumento da valutare e desunti da prodotti similari per caratteristiche di rischio (comparable

approach);

15Uno strumento finanziario è considerato quotato su un mercato attivo se i prezzi di quotazione, che riflettono normali operazioni di mercato, sono prontamente e regolarmente disponibili tramite Borse, Mediatori, Intermediari, Società del settore, Servizi di quotazione o Enti autorizzati, e se tali prezzi rappresentano effettive e regolari operazioni di mercato verificatesi sulla base di un normale periodo di riferimento

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– le valutazioni effettuate utilizzando – anche solo in parte – input non desunti da parametri osservabili sul mercato, per i quali si fa ricorso a stime ed assunzioni formulate dal valutatore (Mark-to-Model).

La scelta tra le suddette metodologie non è opzionale, dovendo le stesse essere applicate in ordine gerarchico: la disponibilità di un prezzo espresso da un mercato attivo impedisce di ricorrere ad uno degli altri approcci valutativi.

Nel complesso dibattito sulle regole, innescato dalla crisi finanziaria, sugli effetti che esse hanno avuto, sulla necessità di rivederle, una parte importante hanno avuto le regole contabili e in particolare il principio del Fair Value (Carosio, 2009).

Due diversi ordini di problemi sono emersi, l’uno connesso con la difficoltà di stimare un fair value attendibile, l’altro con le implicazioni di valori in rapida caduta per i bilanci bancari.

Le difficoltà di misurazione si sono improvvisamente manifestate con il crollo della domanda e quindi dei prezzi di alcuni tipi di titoli, con il rarefarsi delle transazioni che potessero fungere da riferimento per il fair value, con la difficoltà di collegare il valore di strumenti finanziari strutturati ed estremamente complessi con quello dei titoli sottostanti.

D’altra parte, la rapida emersione di perdite estremamente ampie su tali strumenti ha messo in evidenza gli effetti pro-ciclici che si determinano attraverso i bilanci degli intermediari finanziari.

L’estrema sensibilità delle valutazioni di bilancio basate sul FV alle mutevoli condizioni del mercato, se da un lato ha il pregio di fotografare esattamente la

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situazione del momento, dall’altro contribuisce a rendere più incerte le aspettative dei market participants e ad innescare spirali di comportamento negative.

Nel settore bancario la forte caduta dei prezzi degli strumenti finanziari e la registrazione di significative svalutazioni ha determinato una sensibile contrazione dei patrimoni bancari e una conseguente pressione sui coefficienti di vigilanza (Heaton, Lucas, 2009).

Tuttavia, questa argomentazione non tiene conto che il principio del fair value fornisce segnali di preallarme per una crisi imminente e, quindi, può portare le banche ad adottare misure adeguate in precedenza. In tal modo il fair value può effettivamente ridurre la gravità di una crisi oppure può portarne il suo contagio come è effettivamente successo nella recente crisi finanziaria (Allen, Carletti, 2008).

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CAPITOLO II

Il trattamento prudenziale del rischio di mercato

1) Il rischio di mercato tra Basilea I e Basilea II

Il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria è stato costituito nel dicembre 1974 dai Governatori delle banche centrali dei paesi appartenenti al G-1016 ed è stata

stabilita la sede della segreteria presso la Banca dei Regolamenti Internazionali, a Basilea in Svizzera. Lo scopo principale del comitato era, ed è tutt’ora, quello di incrementare la collaborazione internazionale in tema di supervisione sul sistema bancario, per giungere ad una effettiva vigilanza sovranazionale. Il primo lavoro di un certo respiro ha riguardato l’individuazione di requisiti standard di adeguatezza patrimoniale delle banche per quanto riguarda il rischio di credito (Flavio Bazzana, 2001).

Questo ha portato alla pubblicazione nel 1988 del Basel Capital Accord17, noto

come Basilea I che è stato completamente implementato nel 1992 nella legislazione di vigilanza bancaria dei paesi facenti parte del G-10 e successivamente da numerosi altri fino ad affermarsi come standard internazionale. L’accordo ha subito negli anni successivi una serie di critiche, tra le quali la più importante per questo lavoro, è quella di non contemplare i rischi di mercato, che avevano assunto negli anni successivi alla pubblicazione un’importanza sempre più rilevante all’interno

16 Gruppo dei 10, costituito nel 1962 e inizialmente composto da Belgio, Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone,

Olanda, Svezia, Regno Unito, Stati Uniti, membri del Fondo Monetario Internazionale, e la Svizzera, che a tale data non faceva parte di quest’ultima organizzazione. Successivamente è entrato a far parte del G-10 anche il Lussemburgo.

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del sistema bancario a causa dello sviluppo dell’attività di negoziazione e la crescente volatilità dei mercati finanziari.

Ciò indusse il Comitato di Basilea a formulare delle proposte nel 1993 con un

documento di consultazione18 e approvare le stesse due anni dopo con un

emendamento all’accordo del 1988.

Si approvò nel gennaio del 1996 il Market Risk Amendment.

Con il documento di consultazione del ’93 è stata introdotta una metodologia standard per il calcolo del requisito patrimoniale a fronte del rischio di mercato così da affiancarlo al rischio di credito tra gli RWA.

La metodologia introdotta è la cosiddetta ‘building-block approach’ o ‘approccio a blocchi’ secondo la quale si consentiva di calcolare il requisito patrimoniale per il rischio di mercato come sommatoria del rischio di posizione su titoli di debito e di capitale19.

Oltre alla metodologia standard, che risulta molto restrittiva per il calcolo dei requisiti patrimoniali è stata introdotta una metodologia interna basata sul “Value at risk” che per essere utilizzata dagli intermediari necessita il rispetto di requisiti di natura qualitativa e quantitativa.

Le linee guida che presiedono l'adozione dei modelli interni si possono riassumere:

18 Basel Committee on Banking Supervision, “Supervisory Treatment of Market Risk”, Bank for International

Settlement, April 1993

19 Il rischio di posizione veniva suddiviso in rischio generico (rischio di subire perdite da un andamento sfavorevole dei

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1) nell'integrazione dei modelli con i processi di controllo del rischio impiegati dalla banca;

2) nella consapevolezza del funzionamento e dei limiti dello stesso ai vari livelli di responsabilità, con un marcato coinvolgimento della direzione, del Consiglio di Amministrazione e dell'unità di controllo.

3) nella documentazione e nel monitoraggio periodico del funzionamento del Modello (Flavio Bazzana, 2001).

Per quanto riguarda i requisiti di natura quantitativa: • Il var deve essere calcolato su base giornaliera;

• Deve essere impiegato un livello di confidenza unilaterale del 99%; • Periodo di detenzione (holding period) minimo di 10 giorni;

• La scelta del periodo storico di osservazione per il calcolo del Var è soggetto al vincolo di durata minima di un anno;

• Aggiornamento delle serie di dati con una frequenza non inferiore a tre mesi; • Le banche devono soddisfare, su base giornaliera, un requisito patrimoniale

espresso come la maggiore tra:

1) la misura del var relativa al giorno precedente;

2) La media delle misure del var giornaliero nei 60 giorni operativi precedenti, moltiplicata per un fattore di ponderazione;

• Il fattore di ponderazione sarà fissato dalle singole autorità di vigilanza in base al loro giudizio circa la qualità del sistema del rischio della banca, ma non potrà mai essere inferiore a 3. La maggiorazione varierà tra 0 ed 1 a

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seconda dell’esito del ‘test retrospettivo’ che mettono a confronto il VaR, calcolato dal modello interno, con la variazione giornaliera del portafoglio, così come mostrato nella tabella 1 sotto.

Numero di scostamenti Fattore di maggiorazione

Meno di 5 0,00 5 0,40 6 0,50 7 0,65 8 0,75 9 0,85 10 1,00

Tabella 1. Fattori di maggiorazione (Fonte: "Circolare 263/2006").

Al fine di recepire le proposte presentate dal Comitato di Basilea, l’Unione Europea intervenne con due direttive (93/6/CEE o CAD I e 98/31/CEE o CAD II), successivamente emendate dalle direttive 2006/48 e 2006/49, le quali recepiscono lo schema prudenziale di Basilea II.

In Basilea II20 il comitato, sostanzialmente, non fa altro che riprendere la disciplina

del ’93 e del ’96 senza aggiungere nulla di nuovo e ciò è stato un grave errore da parte del Comitato stesso.

In Italia, tali direttive sono state recepite dalla Banca d’Italia con la Circolare n. 263 del dicembre 2006, normativa entrata in vigore l’1 gennaio 2008.

20In Italia, le Direttive 2006/48 e 2006/49 (spesso definite come CAD III) sono state recepite con la Circolare 263/2006. Questa Circolare è entrata in vigore dal 1 Gennaio del 2008.

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2) Il nuovo framework post-crisi: Basilea 2,5

Così come descritto nel primo capitolo, la gravità delle perdite subite dagli intermediari, specie quelli attivi su scala internazionale, sulle posizioni del trading

book ha spinto lo stesso Comitato di Basilea a rivedere la disciplina relativa al

trattamento prudenziale dei rischi di mercato, sostanzialmente non rivista da Basilea II. Nel corso della crisi le perdite subite da numerose istituzioni finanziarie hanno superato in misura rilevante le misure di VaR generate dai modelli interni, mettendone in discussione la robustezza. Inoltre, sono emersi con chiarezza i problemi di rischio di credito (default risk, migration risk, spread risk) e di liquidità connessi a strumenti inseriti nel trading book. Questi due aspetti, rischio di credito e di liquidità, sono infatti trascurati dai modelli di misurazione del rischio di mercato. Nel luglio del 2009, il Comitato di Basilea ha sottoposto alla comunità finanziaria internazionale delle proposte di modifica dell’Accordo riguardo i requisiti patrimoniali per i rischi di mercato (“Enhancements to the Basel II framework” &

“Revision to the Basel II market risk framework”) per poi aggiungere ulteriori

specificazioni nel giugno del 201021 (“Revision to the Basel II market risk

framework. Update as of 31 December 2010”).

Queste modifiche sono note come ‘Basilea 2,5’.

Le maggiori modifiche introdotte riguardano prevalentemente i modelli interni per il calcolo del requisito patrimoniale ma ci sono state modifiche anche riguardo la metodologia standard e le operazioni di securitisation.

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Con riferimento alle operazioni di cartolarizzazione il documento “Enhancements to

the Basel II framework” rappresenta il primo passo verso una riforma più radicale

in tema di trattamento prudenziale di cartolarizzazione e ricartolarizzazione.

Vengono incrementati i fattori di ponderazione del rischio, ciò sia per le Banche che utilizzano l’approccio standard per il rischio di credito ma anche per le Banche che utilizzano l’approccio IRB.

Per tenere adeguatamente conto di queste, più rischiose esposizioni, le tabelle relative ai coefficienti di ponderazione per il rischio vengono modificate ed integrate attraverso l’introduzione di maggiori coefficienti ad hoc relativi alle cartolarizzazioni.

Per quanto riguarda, invece, le modifiche all’approccio standard per il calcolo del requisito patrimoniale per il rischio di mercato:

• Modifica del paragrafo 689: Ai fini della presente disciplina, il “portafoglio di negoziazione di correlazione” incorpora esposizioni derivanti da cartolarizzazione e n-th-to-default22 derivati su crediti che soddisfano i

seguenti criteri:

1) Le posizioni non sono opzioni su tranche di cartolarizzazioni, non sono ricartolarizzazioni, derivati aventi come sottostante esposizioni verso cartolarizzazioni;

2) I sottostanti sono dei prodotti single name che abbiano un mercato liquido;

22“derivati nth-to-default”: contratti riferiti a pluralità ("basket") di debitori il cui schema prevede che l'obbligo di pagamento a carico del fornitore di protezione sorga con l’n-simo inadempimento che si riscontra nel basket; a ciascun debitore può essere abbinato anche un importo liquidabile differente da quelli assegnati agli altri debitori; (paragrafo 718 “enhancements to the Basel II framework”)

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• Modifica del paragrafo 718: Il requisito patrimoniale relativo al rischio specifico delle posizioni azionarie sarà pari all’8%. Non sarà più possibile, quindi, ridurlo al 4% nel caso di portafogli ben diversificati.

Invece, per quanto riguarda le modifiche attuate da Basilea 2,5 per i modelli interni sono state introdotte delle grandi novità per il calcolo del requisito patrimoniale a fronte del rischio di mercato:

• Stressed Var (SVar): Calcolato su un periodo ininterrotto di un anno di tensioni finanziarie. L’introduzione di questa nuova metrica ha prodotto un aumento immediato del requisito di capitale, senza però apportare un cambiamento metodologico sostanziale.

• Incremental Risk Charge (IRC): che verrà applicato, quale requisito addizionale, per il rischio specifico delle posizioni del trading book.

Queste misure sono finalizzate innanzitutto ad imporre una dotazione patrimoniale maggiore che tenga conto del rischio di liquidità delle posizioni, del rischio di

default e di downgrading ed, inoltre, a eliminare l’incentivo di operazioni di

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2.1) Lo stressed Var (SVar)

Nella nuova proposta di Basilea si richiede di calcolare un requisito patrimoniale addizionale con cadenza almeno settimanale che è lo stressed Var.

Questo requisito addizionale verrà calcolato dalle Banche che utilizzano modelli interni validati dall’autorità di vigilanza per il calcolo del requisito patrimoniale a fronte del rischio di mercato.

Come si è detto, si utilizzerà un modello (Var) con un holding period di 10 giorni, con un livello di confidenza al 99% ma i dati di input che si utilizzeranno per implementare il modello saranno dei dati storici di un periodo di almeno dodici mesi sottoposti ad un forte stress finanziario.

Per scegliere un periodo storico ai fini della calibrazione, gli enti devono formulare una metodologia per individuare un periodo di stress pertinente per i loro portafogli

correnti, sulla base di uno dei due seguenti metodi (EBA, Guidelines on Stressed

Value At Risk (Stressed VaR), 2012) : • metodo basato sul giudizio; • metodo formulistico.

1)Il metodo basato sul giudizio non si serve di un’analisi quantitativa dettagliata per individuare il periodo preciso da utilizzare per la calibrazione, bensì di un’analisi ad alto livello dei rischi insiti nel portafoglio corrente di un ente e dei precedenti periodi di stress connessi a tali fattori di rischio. Nell’applicare questo metodo basato sul giudizio, gli enti dovrebbero includere elementi quantitativi di analisi.

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2) Per contro, il metodo formulistico applica, oltre al giudizio di esperti, un’analisi quantitativa più sistematica per individuare il periodo storico che rappresenta uno stress significativo per il portafoglio corrente di un ente.

Sempre riguardo al periodo di stress, il Comitato fa riferimento, a titolo di esempio la crisi del 2008, la crisi russa del 1998, la crisi del 1993 ed altri periodi di stress acuti.

Quindi, con l’aggiunta dello stressed var, le Banche dovranno rispettare su base giornaliera un requisito patrimoniale a fronte del rischio di mercato rappresentato dalla somma di due componenti:

1) il valore più elevato tra: la misura del VaR del giorno precedente (VaR(t-1)) e la media delle misure del VaR giornaliero calcolata nei 60 gg operativi precedenti (VaR avg ) moltiplicata per un fattore moltiplicativo;

2) il valore più elevato tra: l'ultima misura disponibile del VaR in condizioni di stress (sVaR (t-1)) e la media delle misure del VaR in condizioni di stress calcolata nei 60 gg. operativi precedenti (sVaR avg ) moltiplicata per un fattore moltiplicativo;

RP= max [𝑽𝑨𝑹𝒕−𝟏; 𝒎𝒄∗ 𝑽𝑨𝑹𝒂𝒗𝒈 ] + max [𝒔𝑽𝑨𝑹𝒕−𝟏; 𝒎𝒔∗ 𝒔𝑽𝑨𝑹𝒕−𝟏] Sicuramente con l’inserimento dello stressed var c’è stato un incremento notevole del requisito patrimoniale per il rischio di mercato rispetto alla disciplina previgente. Ciò, però, ha suscitato anche delle critiche da parte degli studiosi.

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Andrea Resti (2008) ancor prima della pubblicazione di Basilea 2,5, insieme a Sironi ha individuato due problemi a riguardo dello stressed var:

1. la complessità della scelta della finestra temporale, in quanto non basta genericamente prendere un “black friday” per l’indice Dow Jones. Ad esempio, per una banca, il cui portafoglio sia composto prevalentemente da posizioni short23, le perdite maggiori si verificano nei periodi di rialzo dell’indice.

2. Dal momento che il requisito patrimoniale in Basilea 2,5 ha come struttura Requisito = VaR + Stressed VaR, si è determinato un evidente double

counting, che ha portato a utilizzare spesso con ragione il termine ‘over reaction’ tra gli scettici delle riforme.

In uno studio di Burchi (2011) mostra che lo stressed Var aumenta drasticamente il requisito del capitale ad un punto tale che non è nemmeno più rilevante quale tipo di approccio sia utilizzato per stimare lo stesso VaR. Infatti, che venga utilizzato un modello parametrico, ipotizzando una distribuzione Normale, o la simulazione storica, per cogliere meglio le caratteristiche empiriche delle variabili di mercato, è del tutto indifferente in quanto l’incremento del requisito patrimoniale sarà comunque ‘vertiginoso’. Burchi studia l’effetto dell’utilizzo dello stressed Var su diversi portafogli, osservando che l’aumento del requisito di capitale oscilla da un

23 Passività in valuta, le valute da consegnare per operazioni da regolare (a pronti o a termine) e le altre operazioni

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minimo del 300%, per i portafogli più prudenziali, ad un massimo del 700%, per quelli più aggressivi. Egli conclude che lo stressed Var costituisce oltre il 75% del requisito di capitale per i rischi connessi al trading book e determina un appiattimento delle differenze tra i modelli di stima, riducendo ulteriormente l’interesse da parte degli intermediari ad adottare modelli di VaR complessi ai fini regolamentari.

2.2.) L’Incremental Risk Charge (IRC)

L’Incremental Risk Charge (IRC) è rivolto unicamente alle banche che adottano il modello interno (Basel Committee on Banking Supervision, Luglio 2009).

L’IRC stima l’esposizione del trading book ad alcuni rischi sulla base di un orizzonte temporale di un anno ed un livello di confidenza del 99,9%, prendendo adeguatamente in considerazione la liquidità delle singole posizioni. Nei principi per calcolare l’IRC il Comitato di Basilea afferma che, limitatamente alle posizioni a cui esso è applicabile, deve catturare:

• il rischio di default: ovvero le perdite potenziali dirette ed indirette connesse al default di una controparte;

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• il rischio di migrazione: ovvero le perdite potenziali dirette ed indirette dovute ad un downgrade o un upgrade del rating interno o esterno di una controparte (credit migration event).

Nel corso del 2007 si è avviata quindi una profonda revisione dei diversi modelli per il calcolo dei buffer di capitale ed è stata implementata la proposta di una nuova misura addizionale per il rischio specifico di mercato sui titoli di debito,

l’Incremental Default Risk Charge (IDRC), poi divenuto Incremental Risk Charge

(IRC) per incorporare anche il rischio di credit migration. Tale misura ha trovato propria definizione nel luglio 2009 con il rilascio del documento 159 denominato “Guidelines for computing capital for incremental risk in the trading book” da parte del Comitato di Basilea. Altre correzioni sono state apportate anche dal documento 158 “Revisions to the Basel II market risk framework”, emesso sempre nel luglio del 2009. L’obbiettivo dei due documenti risulta essere la risoluzione delle criticità emerse in merito alla copertura del rischio di mercato su posizioni collegate a crediti, in quanto in particolare si verificavano almeno tre anomalie:

• La prima riguardava la separazione ed incoerenza tra i requisiti per le posizioni di

trading book e di banking book, per cui si verificava una sorta di “regulatory capital arbitrage” (Van der Stel, 2009)

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• Il secondo aspetto controverso riguarda invece la pro-ciclicità delle misure. Nei momenti di crisi vi è una sottostima del VaR dovuta al fatto che il calcolo viene effettuato con dati di mercato finanziario più favorevoli riferiti a periodi precedenti.

• Un terzo elemento attiene ai rischi non valutati dal precedente set normativo, ovvero i rischi di default e di credit migration, per i quali non erano previsti buffer di capitale corrispondenti.

3)La circolare 285/2013: BASILEA III

Il 27 Giugno del 2013 è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea la Direttiva 2013/36/UE (Capital Requirements Directive 4 o semplicemente CRD IV) contenente disposizioni in materia di accesso all’attività bancaria, libertà di stabilimento, metodologie per la determinazione dei buffer di capitale, regole sul governo societario e regole per la cooperazione fra autorità di vigilanza. Questa direttiva doveva essere recepita dai vari ordinamenti nazionali. Insieme alla direttiva citata, è stato pubblicato, sempre nella Gazzetta Ufficiale il Regolamento n. 575/2013 (CRR – Capital Requirements Regulation), che diversamente dalla CRD IV ha avuto diretta efficacia negli Stati membri.

Esso definisce norme in materia di fondi propri, requisiti patrimoniali, leva finanziaria, gestione della liquidità e informativa al pubblico.

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La CRD IV e il CRR insieme formano il nuovo pacchetto normativo, noto come ‘CRD IV package’, comunemente chiamato Basilea 3 abrogando le precedenti Direttive in materia (2006/48/CE e 2006/49/CE).

3.1) Le modifiche di Basilea III al rischio di mercato

Una differenza sostanziale rispetto al passato è il fatto che la nuova disciplina prevede che la copertura dei rischi di mercato avvenga attraverso i “fondi propri”, definiti dal Regolamento come “la somma del capitale di classe 1 e di capitale di classe 2”.

Al pari di tutti gli altri rischi, dunque, anche i rischi di mercato possono essere coperti esclusivamente da capitale di classe 1 (Tier 1) e da capitale di classe 2 (Tier 2) e non più anche da capitale di classe 3 (Tier 3) come era invece previsto dalla normativa precedente.

Definizione Portafoglio di Negoziazione o Trading Book a fini di vigilanza:

“Le posizioni detenute a fini di negoziazione sono quelle intenzionalmente destinate

a una successiva dismissione a breve termine e/o assunte allo scopo di beneficiare, nel breve termine, di differenze tra prezzi di acquisto e di vendita, o di altre variazioni di prezzo o di tasso d’interesse. Per posizioni si intendono le posizioni in proprio e le posizioni derivanti da servizi alla clientela o di supporto agli scambi (market making). Il portafoglio di negoziazione a fini di vigilanza è costituito dalle posizioni in strumenti finanziari e su merci detenute a fini di negoziazione o di

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copertura del rischio inerente ad altri elementi dello stesso portafoglio. Gli strumenti devono essere esenti da qualunque clausola che ne limiti la negoziabilità o, in alternativa, devono poter essere oggetto di copertura.”

La normativa identifica e disciplina il trattamento dei seguenti rischi: a) con riferimento al portafoglio di negoziazione a fini di vigilanza: — rischio di posizione;

— rischio di concentrazione;

b) con riferimento all'intero bilancio: — rischio di regolamento;

— rischio di cambio;

— rischio di posizione su merci;

La metodologia standardizzata, descritta nella Parte Seconda della circolare, permette di calcolare il requisito patrimoniale complessivo, sulla base del c.d. "approccio a blocchi" (building-block approach), secondo il quale il requisito complessivo viene ottenuto come somma dei requisiti di capitale a fronte dei rischi precedentemente indicati.

Il metodo dei modelli interni, disciplinato nella Parte Terza, può essere utilizzato con riferimento al rischio di posizione, al rischio di cambio ed al rischio di posizione su merci (Circolare 285/2013).

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3.1.1) Rischio di posizione

Esso viene espresso come il rischio che deriva dall'oscillazione del prezzo dei valori mobiliari per fattori attinenti all'andamento dei mercati e alla situazione della società emittente. Il rischio di posizione, calcolato con riferimento al portafoglio di negoziazione a fini di vigilanza della banca, comprende due distinti elementi:

a) il rischio generico, che si riferisce al rischio di perdite causate da un andamento sfavorevole dei prezzi della generalità degli strumenti finanziari negoziati.

Ad esempio, per i titoli di debito questo rischio dipende da una avversa variazione del livello dei tassi di interesse; per i titoli di capitale da uno sfavorevole movimento generale del mercato;

b) il rischio specifico che consiste nel rischio di perdite causate da una sfavorevole variazione del prezzo degli strumenti finanziari negoziati dovuta a fattori connessi con la situazione dell'emittente. Esso si divide in:

- rischio idiosincratico: variazione del prezzo dovuta alla quotidiana attività di negoziazione. Esso esprime, pertanto, il rischio di movimenti avversi dei prezzi dei titoli dell’emittente non correlati all’andamento del mercato di riferimento e riconducibili ad eventi che non generano variazione di classe di rating;

- rischio di migrazione: movimento dei prezzi connesso a variazione di classe di rating;

- rischio di default: inadempienza dell’emittente;

Il rischio di posizione e i correlati requisiti patrimoniali sono determinati distintamente per:

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— i titoli di debito ed altri strumenti finanziari che dipendono dai tassi di interesse e dal merito creditizio, inclusi i derivati su crediti;

— i titoli di capitale ed altri strumenti finanziari che dipendono dall'andamento del comparto azionario;

— i certificati di partecipazione a organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR) e gli altri strumenti finanziari che dipendano dall'andamento del valore di OICR;

Rischio di posizione su strumenti di debito

Ai fini del calcolo dei requisiti in materia di fondi propri per il rischio generico su stru-menti di debito, le banche possono utilizzare due distinte metodologie:

• Metodo basato sulla scadenza: il requisito patrimoniale è determinato sulla base di un sistema di misurazione del rischio di tasso d’interesse che prevede il calcolo della posizione netta relativa a ciascuna emissione e la successiva distribuzione in fasce temporali di vita residua;

• Metodo della duration: il requisito patrimoniale è determinato in base all’utilizzo della duration modificata quale mezzo per cogliere le ponderazioni prudenziali tarate sulla base di shock di tasso, definiti dall’autorità di vigilanza per scadenze.

Il requisito per il rischio specifico è differenziato in base alla tipologia di posizioni in strumenti di debito:

1) strumenti di debito non inerenti a cartolarizzazioni; 2) strumenti inerenti a cartolarizzazioni;

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3) strumenti appartenenti al portafoglio di negoziazione di correlazione.

Per quanto riguarda il requisito in materia di fondi propri per strumenti di debito non inerenti a cartolarizzazioni, la banca imputa le sue posizioni nette in ciascuno strumento come somma delle posizioni a debito e a credito alle categorie appropriate in funzione dell’emittente, della valutazione interna del merito di credito e della durata residua, e quindi le moltiplica per le ponderazioni indicate.

Categorie

Requisiti in materia di fondi propri per il rischio specifico

Titoli di debito ai quali nel quadro del metodo

standardizzato verrebbe attribuito un fattore di

ponderazione del rischio pari al 0% per il rischio

di credito.

0%

Titoli di debito ai quali nel quadro del metodo

standardizzato verrebbe attribuito un fattore di

ponderazione del rischio pari al 20% o al 50 % per

il rischio di credito

0,25% (durata residua inferiore o pari a 6 mesi) 1,00% (durata residua tra 6 e 24 mesi)

1,60% (durata superiore a 24 mesi) Titoli di debito ai quali nel quadro del metodo

standardizzato verrebbe attribuito un fattore di

ponderazione del rischio pari al 100% per il

rischio di credito

8%

Titoli di debito ai quali nel quadro del metodo

standardizzato verrebbe attribuito un fattore di

ponderazione del rischio pari al 150% per il

rischio di credito

12%

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Per gli strumenti rappresentanti posizioni verso la cartolarizzazione all’interno del portafoglio di negoziazione, la banca deve ponderare come segue le sue posizioni nette:

• per le posizioni verso la cartolarizzazione che sarebbero soggette al metodo standardizzato per il rischio di credito all’esterno del portafoglio di negoziazione della stessa banca, l’8% della ponderazione del rischio risultante dall’applicazione del metodo standardizzato;

• per le posizioni verso la cartolarizzazione che sarebbero soggette al metodo basato sui rating interni all’esterno del portafoglio di negoziazione della stessa banca, l’8% della ponderazione del rischio risultante dall’applicazione del metodo basato sui rating interni.

Infine, per gli strumenti appartenenti al portafoglio di negoziazione di correlazione, il requisito in materia di fondi propri a fronte del rischio specifico è pari al maggiore dei seguenti importi:

- il requisito totale in materia di fondi propri per il rischio specifico che si applica solo alle posizioni lunghe nette del portafoglio di negoziazione di correlazione; - il requisito totale in materia di fondi propri per il rischio specifico che si applica

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