PROLOGO DELLA
"CRONACA ANTICA DEL CONVENTO DI SANTA CATERINA DI PISA"
(E DI QUESTA TESI)
"Comincia la Cronaca antica del Convento di Santa Caterina di Pisa dell’Ordine dei Predicatori
Prologo: “Interroga le generazioni passate ed investiga la memoria dei padri”, secondo quel che dice Giobbe nel cap. 8 (Iob 8,8).
Sebbene i giusti non si preoccupino della caduca memoria terrena, poiché sono nella memoria eterna secondo le promesse divine - infatti, come si dice molto chiaramente nel Salmo 111 (Ps. 111,7) “i giusti saranno nella memoria eterna”, mentre dei malvagi viene svelato che “la loro memoria è scomparsa con fragore” (Ps. 9,7) -, tuttavia per noi che militiamo in questa via è in primo luogo piacevole, in secondo utile, e in terzo onesto e giusto investigare le memorie dei padri che ci hanno preceduto, come lo Spirito Santo, con le parole di Giobbe, mostra di indurre, consigliare e ordinare.
Per prima cosa invero si dimostra che sarà piacevole per noi, perché le cose
che conseguono da un principio più nobile, sono giudicate a ragione più
nobili; le cose fatte in modo artificioso sono meno nobili di quelle naturali,
poiché la natura ha un principio nobilissimo, cioè Dio, mentre le cose artificiose non hanno come loro causa e principio da cui derivino la natura, nella quale possano rispecchiarsi. Questo insegna Aristotele nel IV libro della Retorica: che gli uomini nobili si reputano tanto più famosi quanto più i loro progenitori furono nobili e onesti. Anche Virgilio, esaltando in poesia le lodi di Ottaviano, narra che egli e i suoi erano discendenti di Enea.
In secondo luogo, risulterà utile e adatto riprendere le gesta degli antenati meritevoli di ricordo, per il fatto che gli esempi più delle parole incitano alle imprese virtuose che "rendono buoni gli uomini che le compiono". Così narra Valerio Massimo nel II libro: i vecchi Romani durante la cena erano soliti cantare a suon di musica le gesta degli antenati per incitare i giovani a compierne di pari o addirittura di superiori. E se poco ti convince l’esempio di coloro che si davano da fare per le cose terrene, allora dobbiamo leggere quel che fecero i nostri (eroi biblici). Ascoltiamo Matatia nel I libro dei Maccabei (2, 51): “Ricordatevi le gesta compiute dai nostri padri ai loro tempi e ne trarrete gloria insigne e nome eterno”. E nello stesso punto ricorda Abramo, Giuseppe, Finees (figlio di Eleazar), Giosuè, Caleb, Davide, Elia, Daniele, Azaria, Anania, Misaele e altri, per esortare i figli a imprese virtuose.
In terzo luogo, riteniamo che sia equo e giusto onorare con lodi le gesta degli
antichi degne di memoria, poiché la giustizia esige che a ciascuno sia
riconosciuto il suo. Alla virtù, ossia agli uomini virtuosi, poiché niente può
essere riconosciuto di migliore e di più grande dell'onore (come manifesta il
Sapiente) -, questo è dovuto: che onoriamo coloro che abbiano trascorso la
loro vita virtuosamente sulle vie del bene, perseverando fino all'ultimo, e che
coltiviamo la memoria di coloro “il cui ricordo è benedizione” (Siracide
45,1). E per far questo nel modo più sicuro, atteniamoci alle promesse rivolte
con grande benevolenza dal Salvatore ai suoi discepoli: “Rallegratevi,
poichè i vostri nomi sono scritti nei cieli” (Luc. 10,20). Così anche noi cerchiamo di fare quello che possiamo, in modo da scrivere sulla terra “i nomi di coloro che non saranno cancellati in perpetuo dal libro della vita”
(Apoc. 3,5). Allo stesso modo il beato presbitero Gerolamo scrisse i nomi e le gesta di uomini illustri; e Gennadio di Marsiglia ne seguì l’esempio per scriverne altri.
Per questo motivo io, frate Domenico da Peccioli, umile maestro di sacra teologia, ho curato la raccolta e la scrittura dei nomi e dei fatti comprovati e probi dei frati di questo convento pisano, affinché a coloro che seguiranno sia piacevole aver notizia di ciò che costituisce il loro nobile fondamento e proseguano utilmente questo compito esercitandosi secondo questo modello, assolvendo così il loro debito.
Questi nomi e questi fatti li ho appresi in primo luogo da frate Bartolomeo da San Concordio, che li scrisse brevemente di proprio pugno, poi da frate Ugolino di ser Novi, che scrisse più ampiamente dei frati che vennero dopo il detto frate Bartolomeo. I frati degni di nota, che conobbi di persona, li menzionerò con lodi degne; inoltre aggiungerò per i padri già da loro descritti alcune cose commendevoli, da me lette nelle cronache e negli atti dei Capitoli, che essi trascurarono di annotare.
Proseguirò in quest’ordine, se Dio me lo concede. Per prima cosa dell’antica dignità del Convento pisano.
In primo luogo, riguardo ai predicatori. Nel Capitolo di Orvieto del 1250:
“Vogliamo che ai cicli solenni di predicazione, quali quelli che si tengono a Roma, a Firenze e a Pisa, siano mandati soltanto frati di fama".
In secondo luogo, riguardo ai lettori. Nel Capitolo romano di Santa Sabina
del 1287 si ordina che ogni lettore faccia una sola lezione al giorno, tranne
sulla Bibbia e una sulle Sentenze; inoltre che nessun baccelliere, se non quelli di Pisa e di Napoli, sieda sulla cattedra dei lettori.
In terzo luogo, sulle provvisioni. Nel Capitolo di Siena del 1251 si ordina che ai frati aretini provvedano il convento pisano con 3 tuniche, quelli di Firenze e di Siena con 3, quello lucchese con 2.
Inoltre nel Capitolo di Anagni del 1265 per gli studenti parigini e per i debiti della provincia al solo convento pisano fu ordinato di dare 26 soldi tornesi".
***
Perché abbiamo scelto di aprire questa tesi con il prologo (da noi appositamente tradotto) che il frate domenicano pisano Domenico da Peccioli antepose alla sua Chronica, ossia all'elenco, da lui curato fra la fine del XIV e l'inizio del XV secolo, di brevi ritratti dei frati che avevano vissuto prima di lui (e poi con lui) nel convento? Perché quest'opera, edita un secolo e mezzo fa da Francesco Bonaini, e studiata da ultimo in modo approfondito dal p. Emilio Panella (che ne ha curato una nuova trascrizione),
1ha costituito sino ad oggi il punto di riferimento essenziale (e a volte unico) per chiunque volesse occuparsi delle origini e dei primi secoli del convento domenicano pisano di S. Caterina. Anche il nostro lavoro è partito dalla Chronica, con il proposito di metterla a confronto con le altre fonti disponibili e quindi, in un certo senso, di "integrarla" e "aggiornarla", per farla diventare il nucleo di una vera e propria "anagrafe" dei frati di S.
Caterina. Come a riprendere e proseguire il lavoro compiuto tanto tempo fa da Domenico da Peccioli.
Con questo nostro lavoro riteniamo di poter contribuire:
1
Disponibile in rete: http://www.e-theca.net/emiliopanella/pisa/croni00.htm
1. A capire il senso, la portata (e i limiti) dell'operazione realizzata fra fine 300 e inizio 400 da Domenico
2. Ad allargare le conoscenze sui frati che "popolarono" il convento nei primi 130 anni circa della sua esistenza
3. A conoscere più da vicino lo sviluppo architettonico
dell'insediamento pisano, la costruzione del convento e della chiesa e
la loro sistemazione interna.
PARTE PRIMA
I FRATI
Sezione I
La Chronica di Domenico da Peccioli
I.1 L'operazione compiuta da Domenico
Il primo compito da affrontare è, dunque, chiarire il senso dell'operazione compiuta da Domenico.
La "Cronaca di Santa Caterina da Pisa", redatta da fra Domenico da Peccioli alla fine del XIV secolo, fu conservata originariamente nell’archivio del convento, con denominazione “manoscritto 78” ed è oggi custodita nella Biblioteca Cateriniana del seminario arcivescovile di Pisa.
Il manoscritto non riporta la datazione di inizio stesura: è necessario quindi desumere la data in cui D. da Peccioli ha cominciato a redigerla. Sappiamo che il 1° settembre 1387 il frate e magister Domenico fu assegnato al convento pisano, "nolens quod inde removeri possit"
2. Quindi si suppone che dopo tanto girovagare per i suoi impegni di apostolato e per le predicazioni –
AVVERTENZA: il computo cronologico in uso a Pisa anticipava l’anno di un’unità dal 25 marzo al 31 dicembre. In questo lavoro ci riferiremo ai documenti sia secondo il sistema comune, sia secondo quello pisano.
2 Notizia tratta da Registrum litterarum Fr. Raymundi de Vineis Capuani magistri Ordinis (1380-1399), ed. Th. Kæppeli, Romæ, 1937 (Monumenta Ordinis fratrum predicatorum historica, XIX) p. 70 nr. 83: “Item die dicta assignavit fratrem Dominicum de Peccioli magistrum in conventu pisano, nolens quod inde removeri possit, etc.”; vedi anche:
attività che comunque non interrompe (il necrologio di S. M. Novella a Firenze lo segnala in quella chiesa durante la quaresima del 1393, mentre dalle lettere di Chiara Gambacorta apprendiamo che predica a Prato nella quaresima del 1396
3) -, giunto alla soglia dei suoi 60 anni (era nato intorno al 1330
4) si fermi stanziale nel convento di S. Caterina e inizi a redigere la Cronaca che porterà avanti fino a poco prima della sua dipartita, avvenuta nel mese di dicembre del 1408 (1409 in stile pisano).
In una delle ultime attestazioni documentarie a noi note, risalente al 20 ottobre 1409/8
5lo troviamo menzionato tra i frati riuniti a Capitolo in S.
Caterina per la nomina di un procuratore. È plausibile che di lì a poco si sia ammalato e per questo abbia interrotto la redazione del testo.
Il manoscritto inizia con la biografia di Uguccione Sardo, discepolo coevo di s. Domenico, inviato a seguito del Capitolo di Bologna del 1219 ad espletare a Pisa il suo apostolato. Nel 1220 fra Uguccione riceve dall’arcivescovo Vitale (1217-1252) la chiesetta annessa all’hospitale di S. Antonio e di S.
Caterina. Seguono altri 266 brevi ritratti redatti da Domenico. Dopo la sua morte, fra Simone da Cascina si propose di continuare, ma aggiunse solo altre otto brevi biografie (fra le quali quella dello stesso Domenico). La Cronaca termina perciò con Raynerius de Spina - l’ultimo frate di cui è riportata la data di morte (†1409) - e con Andrea Bonconti, 275° e ultimo dei frati ivi registrati.
3 “[…] Se parlate a maestro Domenico da Peccori, padre nostro, raccomandateceli. Ho inteso che ha predicato costì questa quaresima.” in Lettere della b. Chiara Gambacorti pisana, a cura di Cesare Guasti, Prato, tipografia Guasti, 1870, p. 9
4
Monumenta et antiquitates veteris disciplinae Ordinis praedicatorum ab anno 1216 ad 1348 praesertim in romana provincia praefectorumque qui eandem rexerunt biographica chronotaxis, ex synchronis documentis, ineditis codicibus, aequalibus auctoribus collectae, illustratae, ac digestae / opera et studio P. fr. Pii-Thomae Masetti, Romae : ex Typographia Rev. Cam. Apostolicae, 1864, pp. 339-344; egli riporta che “Dominicus, antea Salvator dictus, ortus est post an. 1330”
5
ASFi, NA 18417, f. 94r-v in
www.etheca.net/emiliopanella/pisa/9652.htm#20%20ottobre%201408
Domenico da Peccioli racconta che il primo frate da lui visto morire nel convento di Pisa è Iacopo Orlandi
6, il quale morì di peste nel 1348, l’anno seguente al suo arrivo a Pisa come studente.
Per i frati che popolarono il convento nel primo secolo, sappiamo che Domenico si avvale delle annotazioni dei confratelli Bartolomeo da S.
Concordio († dicembre 1347 stile pisano) e di Ugolino da Ser Novi († luglio 1364 stile pisano). Questa informazione è riportata nel Prologo della Cronaca, dove si legge appunto: [f. 2r]"que primo a fr. Bartholomeo de Sancto Concordio breviter eius manu scripta cognovi".
La Cronaca non registra la data di nascita dei frati ma, a cominciare da frate Giordano da Pisa, ne precisa la data di morte, sebbene con alcune imprecisioni nella cronologia dei decessi.
Già a partire da alcuni anni precedenti alle annotazioni di Bartolomeo di San Concordio, in seguito al Capitolo generale tenutosi a Bologna nel 1252 era nata la necessità di redigere una sorta di cronaca interna ai conventi poiché, come si legge negli Atti relativi, si raccomandava che “i religiosi siano solleciti a comunicare la morte dei religiosi agli altri frati (agli altri conventi), quanto prima sia possibile, perché i defunti possano avere prima il beneficio dei suffragi”
7.
6
N. 182; Chronica antiqua conventus S. Catharinae de Pisis, a cura di F.BONAINI, in
"Archivio storico italiano", V (1845), 2, pp. 530-531.
Al riguardo Domenico scrive: “Frate Iacopo Orlandi. Egli fu il primo che morì nell’anno della peste più aggressiva nel 1348, che annientò quasi tutta la città. […] Questo fu il primo fratello che vidi morire dopo che entrai nell’Ordine. Fu un frate intelligente, di grande religiosità, un predicatore molto valido e devoto, di grande esempio e di vita davvero morigerata, utile al convento per le confessioni e per il canto, un maestro dei novizi sollecito e sottopriore pisano. Dal mese di Marzo riposò in pace".
7 “Sint solliciti fratres denunciare obitus fratrum aliis fratribus quam cicius commode poterunt ut defuncti suffragiorum beneficia quantocius consequantur”: Acta Capitulorum Generalium Ordinis Praedicatorum, Vol. I. Ab anno 1220 usque ad annum 1303, a cura di B. Reichert, ed. Romae: Typographia Polyglotta Sacrae Congregationis de Propaganda Fide,
Questo tipo di cronache non è una novità dell’Ordine domenicano: le troviamo diffuse dal XII sec. presso monasteri e chiese dove si provvede ad annotare su appositi libri o registri obituari i nomi dei religiosi defunti legati a tali istituzioni.
In ambito domenicano abbiamo un precedente trecentesco compilato da frate Pietro Galigai dei Macci
8, nel 1280, per il convento di Santa Maria Novella a Firenze.
Si presume che Domenico, frequentatore del convento fiorentino, abbia visionato il necrologio e l’abbia preso a modello, discostandosene poi con l’apporto di sostanziali modifiche nel suo impianto.
Il corpo del codice pergamenaceo è composto da ff. 40, ripartitio in cinque quaternioni. L’ordine di rilegatura segue la numerazione progressiva dei fogli segnati a matita in cifre arabe sul recto di ogni foglio posta in alto nell’angolo destro da mano più tarda, probabilmente del XVIII sec. Il manoscritto è racchiuso da due fogli cartacei di guardia (uno all’inizio e uno alla fine), aggiunti nella legatura moderna in cuoio su cartone. Sull’ultima facciata di ciascun fascicolo, nel margine centrale inferiore, sono riportate le parole di richiamo al fascicolo seguente. La scrittura non presenta particolari difficoltà di lettura e di interpretazione. Lato pelo e lato verso delle pergamene si alternano in ordine sparso.
La datazione della Cronaca è in stile pisano fatta eccezione per il passo in cui vengono elencati i morti durante la grande peste del 1348, in quanto si è trattato di un avvenimento di portata non soltanto locale, ma nazionale ed
8
Necrologio di Santa Maria Novella: testo integrale dall'inizio (MCCXXXV) al MDIV corredato di note biografiche tratte da documenti coevi, a cura di Stefano Orlandi, Firenze, Olschki, 1955, ritenuto il necrologio più antico, fu compilato nel 1280 da frate Pietro Galigai de Macci che “principiò a scrivere i nomi dei Religiosi, che dal 1225 fino a quel tempo erano morti, e seguito fino all’anno 1300, essendo morto nel 1301(luglio 30)”:
Bibliografia storico-ragionata della Toscana: o sia Catalogo degli scrittori che hanno illustrata la storia dell città, luoghi, e persone della medesima, raccolto dal sacerdote Domenico Moreni, Firenze 1805, presso Domenico Ciardetti, p. 113.
europea. (Fr. Iohannes Scornetti muore nell’anno della peste, così dice la Cronica al n. 199, tuttavia lo troviamo menzionato in un doc. del 1349, stile pisano, marzo 29
9come esecutore testamentario).
Come messo in evidenza sia dal Barsotti che dal Panella, nella stesura della Cronica si alternano tre diverse mani
10. Domenico, come si legge nel prologo, redige da ff. 1r-37r. Lo stile utilizzato è principalmente a caratteri di littera textualis tratteggiata con un ductus posato e regolare che rispetta il rigo immaginario e sfora solo lievemente il margine destro: la d la b e la h sono di derivazione onciale. Tuttavia al f. 35r, precisamente dal secondo rigo di frate Proynus de Vico († 1385 stile pisano) fino alla fine del folio, e all’inizio del f. 36r fino a Bernardo converso si rileva un possibile breve intervento con una probatio calami da parte di un altro scriptor (la d occhiellata nel f.35r; la g, generalmente aperta in basso, nel f. 36r tende a chiudersi e la scrittura è caratterizzata da un tratteggio sottile e uniforme). Si ha, nell’insieme, l’impressione che Domenico, colto da un improvviso impedimento fisico, fosse stato costretto a interrompere; è presumibile che fosse affetto da una patologia invalidante come quella artrosica che nel giro di poco tempo l’avrebbe portato ad interrompere definitivamente la stesura della Cronaca. Infatti l’ultimo frate da lui annotato (f.37r, Thomas Bernardi Aiutamicristo) muore nel 1398/7, dieci anni prima della dipartita di Domenico.
Immagini:
9 ASDPi, Conv. di S. Cat., Dipl., n.119, 1349/8 marzo 29.
10 Le notizie circa la datazione e le diverse “mani” degli scriventi sono prese da E.PANELLA, La Cronaca di S. Caterina da Pisa usa lo stile pisano?, in "Memorie domenicane", XVI, (1985); E. PANELLA, Cronica di Santa Caterina in Pisa. Copisti autori modelli, in
“Memorie Domenicane”, XXVII (1996); R. BARSOTTI, I manoscritti della “Cronica” e degli “Annales” del convento domenicano di S. Caterina di Pisa, in "Memorie Domenicane", 45, 1928; O.BANTI, La biblioteca e il convento di S. Caterina, in Pisa tra il XIII e il XIV sec. attraverso la testimonianza della “Chronica Antiqua”, in "Bollettino
f.35r
f.36r
Una seconda mano anonima redige da f. 37v a f. 38v; è verosimile che sia stata scritta sotto dettatura, anche se mancano elementi per potervi inferire una probabile attribuzione. La scrittura adottata è una ‘notarile’ di modulo medio grande, dalla forma professionalmente calligrafica.
Simone da Cascina
11, che termina il manoscritto (ff. 39r-40v), riprende con una littera textualis, ad imitazione di quella di Domenico da Peccioli, che si differenzia per un andamento serrato e un tratteggio più scurato.
Sull’identità redattore-copista non tutti gli storici sono concordi: mentre il Bonaini non entra nel merito, limitandosi a trascrivere il testo, il Barsotti dà per certo che la stesura della Cronaca sia, fino al foglio 37r , autografa dell’autore. Sostanzialmente diversa è l’analisi del Panella, che critica l’assunto del Barsotti: per il Panella il testo non è stato scritto fino al f. 37r dall’autore, ma dalla sua critica si evince che Domenico da Peccioli ha vergato di proprio pugno soltanto i fogli 37v-38v, ultime carte a lui dovute come cronista. Un altro degli aspetti che il Panella sottolinea è la stratificazione del testo: le glosse di mani seguenti, l’aggiunta di notizie, di manicule, delle icone della tiara, mentre riconosce come originale ornamentazione del codice la capolettera della F di frater.
Se Barsotti ha concentrato la sua analisi prevalentemente sugli aspetti paleografici, sono Banti e Panella che entrano nel merito del contenuto avanzando diverse ipotesi. Banti si sofferma sul valore storico della Cronaca per ricostruire il quadro generale della confraternita domenicana e sull’elevata quantità, qualità e varietà dei volumi della sua biblioteca, a cui riserva ampia trattazione ripercorrendone la storia a partire dalla donazione
11 Ms. 78, riportiamo il passo iniziale al f. n. 39r: “hic incepit cronicam prosequi Magister Symon de Cascina anno .M.CCCC.xi existentibus observantiis in conventu Sancte Katerine de Pisis. Et aliqui istorum mortui erant ante. Primus qui se meo calamo obtulit fuit”, Thomas de Vico, morto nell’anno della peste del 1400, il primo frate e dunque la prima biografia
di 61 volumi di fra Proino
12. Lo studioso pisano traccia una prima analisi dei frati inseriti nella Cronaca e sottolinea la loro diversa estrazione sociale:
portinai e dispensieri, dotti predicatori e semplici conversi, ex medici, avvocati, notai, sarti, marinai, calzolai, carradori, orefici, e scultori; trae la conclusione che i 275 frati inclusi nella biografia siano stati tutti degni di memoria per la santità della loro vita, per l’esemplare impegno nel fare bene quello che erano stati chiamati a fare.
Cosa intenda per ‘santità in vita’ Domenico da Peccioli si evince chiaramente nella sua lettera, del 1395, indirizzata ai "figli e fratelli"
Guglielmo Lorenzo, Tommaso e Andrea di Pisa, in quel tempo a Venezia per la frequentazione dello Studio
13. In questa lettera Domenico traccia il ritratto di quello che dovrebbe essere il buon frate domenicano, mettendo in luce la necessità di un’ottima formazione culturale per l’attività di apostolato. Tutti i frati inclusi quindi, secondo Banti, si erano attenuti a
12 [ff.4r-v] "Frate Proino, figlio del signor Orlandino de Fabro, la cui famiglia è ora estinta.
Costui fu tra i famosi nostri antenati che fondarono il convento pisano. Egli fu un uomo di grande peso e virtù morale, di santità nella vita, di esperienza nelle lettere, la cui onestà l’Ordine vantò fin dal suo ingresso.
Essendo infatti coetaneo di san Tommaso, meritò che la provincia dei governanti fosse iscritta nel sodalizio, perché egli fu diffinitore del capitolo provinciale e fu eletto predicatore generale con san Tommaso a Napoli nel capitolo nel 1260 quando ne furono eletti soltanto quattro. E il padre Orlandino diede al citato figlio molti libri che lui stesso donò al convento, come risulta dalla carta rogata da Rainerio Bonacolti, notaio di Calcinaia, e si aggiunge il fatto che non potevano essere alienati o pignorati o strappati al convento in qualsiasi modo.
E questi sono i libri: [segue l’elenco dei 61 volumi]
Leggi lettore quanto la nostra successione sia in obbligo alla sua memoria degna di reverenza al punto che, ancora oggi, questo convento è dotato di tanto numerosi volumi quanto altri non potrebbero avere armadi (librerie) di libri. Dunque questo padre, distribuiti tanti beni e tanto grandi opere sia in beni di consumo che in elemosine, ascese al cielo dove colui che generosamente seminò, raccoglie felicemente". N. 10; Chronica antiqua…, op.
cit., pp. 412-415.
Oltre a Proino anche frate Iacopo Donati donò alla biblioteca comune molti dei suoi libri e poiché nel giro di decenni la biblioteca non poteva essere interamente contenuta nell’armarium della sacrestia, frate Bartolomeo da San Concordio con “sua sollecita premura” fece costruire dai cittadini un edificio dove conservare la biblioteca del convento.
13 S.MARCUCCI, La scuola tra XIII e XV secolo. Figure esemplari di maestri , Pisa-Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, 2002. pp. 131-132: testimonianza riportata sul sito di E. Panella (http://www.smn.it/emiliopanella/pisa/9650.htm).
questa regola o laddove deceduti prematuramente si erano già distinti per virtù e doti personali (un novizio di nome Giorgio
14, un fraticello di soli 14 anni quando morì, se fosse vissuto sarebbe divenuto "insignis cantor in mundo", giacchè era così esperto di musica nonostante la giovanissima età, da essere in grado di eseguire qualsiasi pezzo, per quanto fosse difficile). Lo storico pisano non entra mai nello specifico della questione inclusione /esclusione dalla Cronaca, limitandosi a sottolineare l’omogeneità dei frati che sono inseriti.
Emilio Panella, analizzando il manoscritto, critica il Barsotti sulla questione autografa, entra nel merito di questioni filologiche e indaga sui criteri di compilazione dell'elenco, introducendo l’idea che parte degli esclusi, lo siano per:
1- questioni di appartenenza territoriale, quindi inclusione o meno nella Cronaca fratrum locale, neppure se ivi morti conventuali ovvero assegnati (es. Giovanni di Puccino da Pistoia);
2- questione di memoria (lacune di Bartolomeo di San Concordio e Ugolino di ser Novi per cui, parafrasando, ‘mancano all’appello molti frati dimenticati dal gran tempo’);
3- omissioni volontarie ‘tessiamo le lodi dei giusti, perseveranti fino alla morte. Degli altri, se ne cancelli memoria’;
4- defezione di frati passati ad altra religione più austera o che hanno abbandonato illegalmente lo stato religioso.
Panella rimarca inoltre l’intenzione del cronista di ordinare cronologicamente le biografie e quanto la sequenza cronologica sia tanto più fedele quanto la biografia del frate estinto è prossima al cronista.
Riepilogando, in modi diversi sia Banti che Panella iniziano a porre il problema della cernita dei nominativi inseriti ed esclusi dalla Cronaca, ma nessuno dei due giunge di fatto ad una conclusione definitiva.
L’indagine di questo tema è il fulcro di questo lavoro dottorale, da cui emergono nuovi aspetti sull’identità dei frati descritti e sul senso della Cronaca stessa. Ciò è stato reso possibile grazie alla comparazione fra il testo della Cronaca e la documentazione relativa al Convento, ovvero il repertorio cateriniano oggi conservato presso l'Archivio storico diocesano di Pisa, gli Archivi di Stato pisano e fiorentino. La comparazione è limitata all'arco temporale che va dall’insediamento del convento (1220 ca) fino al 1350, anno in cui già troviamo Domenico da Peccioli presente nel convento (nel 1347: “Ordinem fuisse ingressum […] de hoc Iohanne de Canneto ait - sub manibus istius ego qui scribo fui receptus ad Ordinem et sub eo professus-")
15. La ragione della nostra scelta è dovuta alla maggior dispersione della documentazione nel periodo successivo al 1350, quello che esaurirebbe l’arco temporale del manoscritto (fino al 1409, anno dell’ultimo frate riportato in Cronaca con la data di morte).
È peraltro da ricordare che dal 1342, con la morte dell’arcivescovo Simone Saltarelli, e ancor più con l’epidemia di peste del 1348, le sorti del convento erano in progressivo decadimento e quindi era ridotto il numero dei frati sia stanziali che di passaggio. Sappiamo che i frati presenti all’ultimo Capitolo conventuale tenutosi in Santa Caterina prima della peste (30 maggio 1344/3)
16sono 37, mentre quelli presenti al primo Capitolo dopo l’epidemia (8 dicembre 1356/5, 12 anni dopo)
17sono soltanto 27. Da una comparazione
15
Monumenta et antiquitates veteris …, op. cit., p. 339 in corrispondenza della nota 2.
16 ASDPi, Conv. di S. Cat. Dipl., n.105.
17 ASDPi, Conv. di S. Cat. Dipl., n.126.
dei nominativi inseriti nei due elenchi capitolari risulta che non ci sono frati presenti ad ambedue Capitoli.
I dati numerici saranno presentati e commentati fra poco. Per ora ci limiteremo a dare un contributo al problema dei criteri di inclusione- esclusione, facendo due esempi concreti.
a) L’esempio di un frate non inserito nella Cronaca: Thomas de Prato
Tra i nominativi dei frati non menzionati nella Cronaca, ma presenti nelle altre fonti, consideriamo frate Thomas de Prato: non è stato possibile tracciarne la biografia e luogo e data di nascita e di morte restano incerti. Il suo nome compare in 5 documenti, i quali permettono di ricostruirne il percorso di studi, la carriera all’interno dell’ordine domenicano e la cronologia dei soggiorni presso il convento di Santa Caterina a Pisa.
Secondo la data della sua assegnazione a lettore (di lettorato), avvenuta il 1305 in occasione del Capitolo provinciale tenutosi a Rieti, si suppone che sia nato intorno al 1280, quasi sicuramente a Prato, considerato il toponimico.
Entrato nelle fila domenicane in giovane età, ma non prima dei quindici anni - a causa del divieto imposto dal Capitolo generale di Montpellier del 1265
18-, riceve l’abito religioso nel 1295; esso gli consentirà una preparazione culturale di primissima qualità negli Studia del suo Ordine. Nel 1305 lo troviamo lettore nel convento di Prato (Capitolo provinciale di Rieti)
19, in seguito, nel 1313, lo sappiamo baccelliere a Lucca (Capitolo
18 Acta Capitulorum Generalium Ordinis Praedicatorum…, op. cit., p. 129, così riporta:
“Nullus infra xv annum completum recipiatur ad ordinem sine prioris provincialis licencia speciali”.
19
Acta capitulorum provincialium provinciae Romanae 1243-1344, a cura di T. Kaeppeli,
provinciale di Orvieto)
20. Thomas completa la sua formazione nel 1314 - per volere del Capitolo di Siena
21- nello Studio generale di Parigi dove consegue il titolo di magister di teologia; tre anni dopo, nel 1317, il Capitolo provinciale di Anagni
22lo nomina predicator generalis.
La prima attestazione documentaria pisana di Tommaso si trova nell’elenco dei frati presenti al Capitolo conventuale di S. Caterina che nel 1318 gennaio - marzo 24
23si era riunito per eleggere, nella persona di Vanni del fu Iacopo da Firenze, il nuovo rettore dell’ospedale di San Ranieri. L’anno dopo il Capitolo della Provincia romana dell'Ordine dei frati predicatori lo invia a ricoprire temporaneamente l’ufficio di lector al convento di Santa Caterina.
È nuovamente a Pisa, in veste di priore, il 13 gennaio 1320
24, quando autorizza frate Oddone della Pace e frate Pietro converso a ricoprire l’incarico di esecutori testamentari di Bona, figlia del fu Martino calzolaio di Spina, dimorante nella cappella di San Simone al Parlascio. Il 29 novembre
25dello stesso anno Thomas riceve - in nome del monastero di Santa Croce in Fossabanda - un pezzo di terra campia a Calcinaia da Pardo di Santa Cristina e da Bonaggiunta di maestro Falcone da Calcinaia, esecutori delle disposizioni testamentarie lasciate da Vanni, fratello del suddetto Bonaggiunta nel suo testamento del 1319 dicembre 31. Dopo queste attestazioni non sappiamo nulla fino al 7 marzo 1335
26, giorno in cui, non più nelle vesti di priore, Thomas da Prato figura nell’elenco dei frati riuniti a Capitolo per approvare le condizioni legate alla grande donazione che
20 Ibid. p. 188.
21 Ibid. p. 192.
22 Ibid. p. 204.
23 ASP, Dipl. Primaziale,
24 ASDPi, Conv. di S. Cat. Dipl., n.56.
25 ASDPi, Conv. di S. Cat. Dipl., n.60, 1321/0 novembre 29.
26 ASDPi, Conv. di S. Cat. Dipl., n.91.
Bonaggiunta
27del fu maestro Falcone da Calcinaia della cappella di San Matteo fa in favore del convento di S. Caterina e del monastero di S.
Silvestro.
Il caso di questo frate che pur avendo ricoperto un ruolo di rilievo come quello di priore, non è menzionato nella Chronica antiqua di S. Caterina, indica che Domenico da Peccioli sceglie di inserire solo i nominativi di coloro che nel convento avevano fatto professione, al di là della carriera nell’Ordine.
b) Il caso di un frate inserito nella Cronaca: Stephanus de Vico
La famiglia De Vico, come ci suggerisce il toponimico, affonda le sue origini presso il castello di Vicopisano, ma nel Duecento troviamo già diversi suoi nuclei residenti a Pisa. Una famiglia di rilievo, dal momento che alcuni dei suoi esponenti sono registrati come giudici o "anziani" nei
27 Si tratta di una donazione di 19 pezzi di terra posti in Calcinaia a favore delle suore domenicane di San Silvestro. In reltà la donazione era rivolta a beneficare il convento dei frati di Santa Caterina (le monache dovevano versare ogni anno al convento 36 staia di grano) al quale Bonaggiunta (rettore della chiesa parrocchiale urbana di S. Donato) era fortemente legato. Infatti lo ritroviamo citato in molti altri documenti della nostra antologia - lo segnalano ad esempio insieme a frate Domenico Cavalca impegnato nella promozione del monachesimo femminile, o anche, in quanto esperto di diritto canonico e conoscitore dell’ambiente della Chiesa pisana, come advocatus del comune e del clero pisano negli anni cruciali della grande contesa tra l’arcivescovo Oddone della Sala e la città (1318-1322) -.
Ad ogni modo riguardo alla donazione lo scopo precipuo per Bonaggiunta stava nella conferma di poter usufruire di un alloggio “infra claustrum dicti conventus super cellarium”
per sé e per un suo famulo. Non sappiamo quanto abbia sfruttato questo privilegio;
sicuramente ne approfittò durante il periodo della peste del 1348.
Per una dettagliata e documentata ricostruzione della biografia del Bonaggiunta si rimanda a M. RONZANI, Chiesa e clero nella Pisa del Trecento attraverso la biografia di un protagonista. Attività ecclesiastica, affari finanziari e vita privata di Bonaggiunta da Calcinaia (1297-1362),in Mediterraneo, Mezzogiorno, Studi in onore di Cosimo Damiano
documenti del Comune
28. La Cronaca di Domenico non riporta la data di nascita di frate Stephanus ma, deducendola dalle prime due attestazioni documentarie, è possibile situarla intorno alla metà del Duecento. A proposito di questo frate il da Peccioli ci informa soltanto che fu frate
"probus et prudens" e ricoprì le cariche di priore a Palermo e di sottopriore nel convento di Pisa, e che terminò la sua vita presso il convento di Sant’Anna di Castel di Castro in Sardegna; di tutti questi incarichi non ci precisa le coordinate temporali
29.
Nei documenti da noi regestati frate Stephanus compare per la prima volta il 22 dicembre 1272
30, nel convento di Pisa, come testimone all’atto di rinuncia all’incarico di esecutore testamentario assegnato a frate Uguiccio da Pericciolo detto Ciolo Barachino. Dopo sette anni lo ritroviamo, ancora nelle vesti di testimone, questa volta nell’atto in cui Ugo de Balneo quondam domini Panculi stipula un accordo con suo nipote Francesco del fu Simone di Balneo, a riguardo alla casa da lui fino a quel momento abitata
31.
L’8 e l’11 luglio 1284
32, come sottopriore, concede in nome del convento, alcune case per uso abitativo - vicino alla chiesa di S. Caterina - a Bonaggiunta Sciorta del fu Upetino e a sua moglie Dogaressa, figlia del fu Iacopo de Balneo.
28 E. Cristiani, Nobiltà e popolo nel comune di Pisa. Dalle origine del podestariato alla signoria dei Donoratico, Istituto Italiano per gli Studi Storici, Napoli, 1962.
29 Chronica antiqua…, op. cit., p. 436, n. 63: [f.11r] “ Frate Stefano da Vico, uomo onesto e saggio. Fu priore in Sicilia a Palermo- infatti allora quella provincia del regno era unita alla nostra, sottopriore a Pisa per la sua solerzia. Infine finì i suoi giorni in Sardegna in grembo a Sant’Anna, cioè nella casa che i frati del convento pisano avevano eretto fin dalle fondamenta e una volta fatto il convento, con l’ autorità della sede apostolica e dell’Ordine il priore pisano provvedeva alla nomina del priore e dei frati”.
30 ASDPi, Mensa Arcivescovile, n.3, c. 280r.
31 ASP, Sped. n.2069 cc. 122v-123r, 1279 gennaio 11.
32 ASDPi, Conv. di S. Cat. Dipl., n.21.
Nel Capitolo provinciale di Spoleto del 1291
33è designato priore del convento pisano.
Il 17 giugno 1293
34lo troviamo nominato nell’elenco dei frati riuniti a Capitolo per eleggere Marino, notaio di Livorno del fu Ranieri Barone, rettore dell’Ospedale dei poveri, detto di San Ranieri.
Due anni dopo, il 4 febbraio 1295
35, sappiamo che affianca il priore Bartolomeo Ciaffi concedendo a Marino, rettore dell’ospedale di San Ranieri di Livorno, il permesso di vendere un pezzo di terra posto nel comune di Livorno, e altri possessi, per comprare le suppellettili per i letti.
IL 25 febbraio 1298
36fra’ Ranieri Maturi e frate Stephanus da Vico sono rappresentati dal procuratore Puccio di Tedice, per un reclamo presentato alla Curia dei giudici pubblici.
L’ultima volta che lo troviamo nominato negli Acta dei Capitoli provinciali dell'Ordine è nel 1305, quando il Capitolo di Rieti
37lo assegna al convento di S. Anna di Castel di Castro in Sardegna, in quegli anni ancora sotto possesso della Curia Pisana.
Il caso di questo frate è esemplare perché dimostra che l’intento di Domenico da Peccioli non è stendere un elenco di necrologi di frati deceduti presso il convento pisano, essendo Stephanus da Vico andato a morire in altro convento, bensì di inserire nella sua Cronaca i nominativi di quei frati professati a Pisa che hanno contribuito a rendere importante il convento di Santa Caterina.
La questione potrebbe non essere ancora del tutto risolta se la nostra
33 Acta capitulorum provincialium…, op., cit., p. 99.
34 ASP, Diplomatico Primaziale.
35 ASP, Diplomatico Primaziale.
36
ASDPi, Diplomatico, n.1088.
soluzione non fosse confortata anche da un singolare documento da noi rintracciato, che rappresenta una testimonianza meritevole d’attenzione perché offre una dimostrazione davvero chiara ed esplicita.
Si tratta di un atto notarile che registra le volontà testamentarie di un frate novizio, Thomas, qui in seculo vocabatur Ninus, che le ha dettate poco prima del rito della professio in manibus
38, così è come stabilito nel capitolo 15 delle Costituzioni: “i novizi prima della professione, saldino i loro debiti e depongano tutti i loro averi ai piedi del Priore in modo da spogliarsene totalmente“.
39Di questo frate abbiamo poche notizie. Egli è presente in soli tre documenti
40della nostra antologia e Domenico nella Cronaca lo ricorda come un frate
38
ASDPi, Conv. di S. Cat., Dipl., n.116 1347/6 marzo 30; si riporta la trascrizione dell’atto in cui è fissata la formula della professione pronunciata da frate Thomas nella sala del Capitolo del convento di Santa Caterina: “ In nomine Domini amen. Ex hoc publico instrumento sit omnibus manifestum quod frater Tomasus soprascrittus congregatis fratribus soprascritti conventus in capitolo ad sonum campane ut moris est, requisitus a venerabili viro fratre Michele priore dictorum fratrum si vellet facere professionem presentibus et consentientibus fratribus predicti capituli respondit coram Rainerio notario infrascritto et testibus infrascrittis se velle facere professionem et genibus flexis et manibus suis in manibus dicti prioris positis fecit in dictis Ordine et conventu et in manibus dicti prioris professionem hiis verbis: 'ego frater Tomasus facio professionem et promicto obedientiam Deo et beate Marie et beato Dominico [beato Domenico è un’aggiunta posteriore voluta dai Capitoli generali del 1254-56 - Acta Capitulorum Generalium Ordinis Praedicatorum…, op. cit., pp. 70, 75, 78- “In Capitulo de professione ubi dicitur et beate Marie addatur et beato Dominico”] et tibi fratri Micheli priori pisano conventus Sancte Caterine vice fratris Raimundi vicarii generalis magistri Ordinis fratrum predicatorum et successorum eius secundum regulam beati Augustini et institutiones fratrum predicatorum et quod ero obediens tibi tuisque successorum usque ad mortem'.
Et taliter Raynerium notarium infrascriptum hanc inde cartam scribere rogavit. Actum insuprascripto capitolo dicti conventus presentibus Leopardo et Tomaso notariis suprascriptis testibus ad hec rogatis suprascripto die”.
Arrivati a questo punto il priore benediceva con l’acqua santa lo scapolare che il neo- professo aveva appoggiato sul capo e con il bacio concludeva la cerimonia.
39 PIETRO LIPPINI, La vita quotidiana in un convento medievale, ESD, Bologna 1990, p. 378.
40 Oltre al documento del 1347/6 si veda anche:
ASDPi, Conv. di S. Cat. Dipl., n. 114, 1347 gennaio 8 (Ser Meo, del fu Giovanni da Montefoscoli della cappella di San Simone al Parlascio, compra per Tommaso, al secolo Nino figlio del fu Granduccio, vinaio del fu Baccione della cappella di Sant’Egidio, frate professo del convento di Santa Caterina e per lo stesso convento un pezzo di terra campia, posto nei confini del comune di San Biagio di Cisanello, da Lando, del fu Lando della
[f.28r] “iuvenis valde robustus, obiit in anno mortifere pestis [1348] ut ceteri”
41.
Notando che il documento in questione è datato 1347/6, ossia due anni prima della morte del frate, è lecito dedurre che non ebbe abbastanza tempo sia per ricoprire incarichi all’interno dell’Ordine, sia per potersi distinguere per i suoi meriti dottrinali.
Dunque un esempio indubbiamente eloquente quello di frate Nino che, sebbene avesse militato solamente due anni tra le file domenicane, viene ricordato a pieno titolo tra i frati della Cronaca, sicuramente per aver fatto professione nel convento pisano.
Dall’analisi comparata della Cronaca e delle altre fonti da noi studiate si evince chiaramente che Domenico da Peccioli non prese visione di molti dei documenti da noi presi in considerazione e, nei suoi anni, già conservati presso l’archivio del convento di Santa Caterina. La selezione dei nominativi da inserire fu da lui operata sul criterio di appartenenza al convento per avervi fatto professione di fede
42; in quest’ottica, egli tralasciò volutamente
cappella di San Nicola, per la somma di 75 lire. Ser Meo lo paga con i soldi ricavati da un pezzo di terra posto a Pisa nella cappella di San Cristoforo in Kinzica da lui venduto come procuratore del frate);
ASDPi, Conv. di S. Cat.. Dipl., n. 123, 1350/49 luglio 8 (Puccia madre e erede di frate Tommaso esegue le disposizioni testamentarie).
41 Secondo il Bonaini è Thomas de Cascina, medaglione n. 208, Chronica antiqua…, op.
cit., pp. 542-543.
42 Un caso singolare è quello di frate Ranieri Granchi, pisano, autore del De proeliis Tusciae, del quale non vi è traccia nella Cronaca. Questo è forse legato ad una dimenticanza di Domenico o il frate ha fatto atto di professione in un altro convento? Domenico sicuramente lo avrà conosciuto se non personalmente almeno per fama, visto che aveva seguito una carriera eminente nei conventi di Arezzo, Pisa, Lucca. Non si sa in quale data si sia professo e dove; sicuramente lo era il 5 giugno 1326 (ASDPi, Conv. di S. Cat. Dipl., n.74, 1327/6 giugno 5) come ci dicono i nostri docc. Non ci è dato sapere né dove né quando morì: l’ultima informazione risale al 1344, quando il Capitolo provinciale di Orvieto lo assegna come predicatore al convento di Lucca. In quell’anno la città dipendeva da Pisa, che l’aveva conquistata nel 1342. Si veda Granchi Ranieri. Dizionario Biografico
molti nominativi di frati che pure avevano contribuito, direttamente ed indirettamente, alla grandezza e all’importanza del convento, sia per la fama del suo Studio che come punto di riferimento della predicazione in Toscana, e non soltanto.
Domenico inizia a redigere la Cronaca in un periodo in cui le sorti del convento sono in decadimento, è ridotto il numero dei frati presenti e, soprattutto dall’epidemia di peste del 1348 in poi, è aumentato il lassismo dei costumi con una minore osservanza di tutte quelle regole care al frate domenicano. Traspare in tutta la Cronaca la volontà moralizzatrice del frate redattore attraverso la scelta precisa di raccontare le vite specchiate dei frati che nel periodo d’oro del convento contribuirono a rendere grande la sua fama all’interno dell’Ordine e nella città.
La Cronaca quindi si propone come raccolta di ritratti illustri, e meno illustri, ma sempre di elevata caratura morale; è un elenco di frati che Domenico intende far passare alla storia come esempi da seguire per riportare il convento pisano a quella centralità ormai perduta, dal momento che il convento gravitava ormai intorno all’orbita fiorentina. Domenico da Peccioli patisce molto lo sminuito valore dello Studio pisano, data la sua storica importanza, e auspica ancora per lo Studio pisano una dignità superiore; è questa la ragione per cui troviamo gli esempi più fulgidi narrati con maggior dovizia di particolari nel periodo che termina con la morte del Saltarelli.
Nondimeno la volontà di Domenico è di inserire nell’elenco anche frati a lui coevi, per questo inserisce o farà inserire, quando le forze gli vengono meno, nominativi di frati che hanno continuato a distinguersi nel convento pisano.
Simone da Cascina, che raccoglie l’eredità di Domenico, comprende ormai
di essere giunto alla fine di un’epoca e con essa al tramonto di gran parte di
quei valori che avevano spinto il suo predecessore a redigere la Cronaca. Per
Simone il nuovo che stava avanzando era rivolto ad un profondo cambiamento, guardava al commercio, alla politica, agli affari e ai facili arricchimenti; dunque un futuro che non lasciava spazio ai ‘frati in odore di santità’ tanto rimpianti da Domenico da Peccioli. Era preferibile allora consegnare alla storia la memoria del loro passato e lasciare solo il silenzio del mondo a lui contemporaneo. Come se più nulla vi fosse da aggiungere dopo la morte del 275° e ultimo frate registrato, Andrea Bonconti. La biografia di costui arriva "ad terminum sue vite"; ma sembra che la frase continuasse con la parola "volavit", rimasta isolata, perché scritta in calce al f. 40v del codice, per richiamare l'incipit di un successivo fascicolo, che non è presente nel codice, e forse non fu mai scritto.
Qui di seguito abbiamo voluto mettere insieme tutti quei frati che nella Cronaca sono richiamati con una "manicula", ossia una mano disegnata a margine che vuole attirareare l’attenzione su un passo di particolare interesse per il lettore, o una mitria. La mitria, copricapo vescovile che veniva usato durante il cerimoniale liturgico, originariamente era realizzata con tela di lino finemente abbellita con ricami sempre più, con lo scorrere dei secoli, laboriosi, e impreziosita da galloni e/o formelle con immagini sacre. A completare due strisce pendenti fino alle spalle, dette infule, anch’esse di stoffa grezza, che davano stabilità al copricapo.
La tabella rivela dunque la presenza di 10 frati promossi e consacrati
vescovi, sette dei quali destinati alle sedi sarde, e i tre restanti assegnati a
sedi italiane diverse. La mitria rovesciata richiama invece un'elezione a
vescovo non perfezionata. Due sono i "vescovi mancati" segnalati dalla
Cronaca. Raynerius Longus de Pecci "fu eletto arcivescovo di Cagliari
poiché la città di Pisa allora possedeva quel regno; rifutò dal profondo del
sicuro piuttosto che di essere a capo di altri con pericolo".
43Inoltre, morto il
"vescovo Antonio Fieschi, essendosi radunati i canonici della cattedrale di Luni, per la nomina del successore, convennero per la maggior parte a favore di Giovanni Clerici dell’ordine dei predicatori; ma papa Clemente VI, non approvando questa nomina, promosse a quella sede Agapito Colonna romano, e suo cappellano, nel giorno 9 di gennaio dell’anno 1344".
4443 Ms. n. 78, f. 10v.
44 Secoli Cristiani della Liguria ossia storia della metropolitana di Genova..., Di Giovanni Battista Semeria, volume secondo, Torino, 1843, p. 72.
Appendice
I Frati evidenziati dal manoscritto della Chronica:
personaggi di spicco, vescovi mancati, vescovi effettivi
Manicule Mitrie rovesciate Mitrie
1- [cc.7v-8r]
fr.Albertus Pultae 1- [c.17v]
fr. Fredericus Sardus (vescovo di Oristano) 2- [cc.8r-v]
fr. Synibaldus de Alma
2- [c.19v]
fr. Oddo de Sala (vescovo di Terralba;
vescovo di Pola nell’Istria;
arcivescovo di Arborea; arcivescovo di Pisa; patriarca di Alessandria) 3- [c.10v]
fr. Raynerius Longus de Pecci
1- [c.10v]
fr. Raynerius Longus de Pecci (rinuncia alla elezione aivescovo a Cagliari)
3- [c.19v]
fr. Robertus del Drago (vescovo di Uselli)
4- [c.13r]
fr. Gaddus de Comitibus de Donoratico
2- [c.29r]
Iohannes Clerici (non ottenne l’episcopato di Luni)
4- [c.19v]
fr. Orlandus de Soana (vescovo di Dolia, Sardegna)
5- [cc.15r-16r]
fr. Iordanis
5- [c.21v]
fr. Iacobus Cuchi (vescovo di San Giusta)
6- [c.19r]
fr. Iacobus Donati
6- [c.24r]
fr. Marcus de
di Urbino) 7- [c.22r]
fr. Bartholomeus Ciaffi 7- [c.28r]
fr. Franciscus de Cinquinis (vescovo di Taurisano, Puglia) 8- [cc.22v-23r]
fr. Dominicus Cavalca
8- [cc.31v-32r]
fr. Nicolaus de Sancto Martino (vescovo di Macerata; vescovo di Recanati)
9- [cc.24v-25v]
fr. Bartholomeus de Santo Concordio
9- [c.32v]
fr. Iacobus de
Gualterottis (de stirpe nobili Lanfrancorum) (arcivescovo di Torres, Sardegna) 10- [26r]
fr. Iacobus Orlandi
10- [c.32v]
fr. Iacobus Petri de Pisis (arcivescovo di Torres)
11- [c.34r]
fr. Iacobus Casini de Seta
I.2 Frati presenti solo nella Cronaca e frati attestati anche da altre fonti
È ora il momento di presentare i risultati del confronto fra l'elenco di nomi di frati contenuto nella Cronaca e i frati che abbiamo trovato menzionati nella documentazione archivistica pisana, nonché negli Acta dei Capitoli della Provincia romana dell'Ordine (editi meritoriamente dal Käppeli nel 1941).
45Come già accennato, non abbiamo considerato tutti i 275 nomi registrati nella Cronaca, ma solo i primi 252 (più un altro frate, Iohannes Puccini, il cui nome fu aggiunto a c. 26v del ms. della Cronaca da una mano più tarda, e inseriamo nell'elenco dei biografati al numero 'convenzionale' 189 BIS ); in altri termini, ci siamo arrestati allo stesso limite cronologico fissato per lo spoglio - almeno tendenzialmente - 'esaustivo' della documentazione, ossia all'anno 1350. Di conseguenza, l'ultimo nominativo considerato (Proynus domini Vanni de Vico), è l'ultimo frate di cui abbiamo trovato traccia documentaria entro tale anno. Come si vedrà - ad esempio nella tabella dedicata agli effetti della peste del 1348 sulla popolazione del convento - abbiamo schedato anche un certo numero di documenti successivi; ma non ne abbiamo tenuto conto nelle tabelle che seguono.
45