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Nel secondo capitolo la mia analisi entra nell’ambito della grande

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Academic year: 2021

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Introduzione

Questa lavoro nasce dalla volontà di confrontarsi con la produzione narrativa dello scrittore Alberto Moravia. Nello specifico la mia analisi è rivolta allo studio della prosa breve, dei racconti, delle novelle che costituiscono soltanto una parte, seppur vasta e importante, dell’opera moraviana. Un approfondimento sulla narrativa breve con particolare attenzione alla vastissima produzione, nascosta, dispersa dell’autore romano. Un insieme numeroso di racconti che sono rimasti 'sepolti' tra le pagine delle riviste e dei quotidiani dell’epoca e che non sono stati mai raggruppati in raccolte e volumi specifici.

La tesi si divide in tre capitoli. Nel primo capitolo ho ritenuto opportuno analizzare la forma narrativa del racconto nell’ambito letterario italiano del Novecento. La tradizione letteraria italiana si sviluppa, infatti, anche e soprattutto attraverso la prosa breve come dimostrano le novelle di autori come Boccaccio e Bandello. A cavallo tra Otto e Novecento il racconto torna in auge e trova particolare terreno fertile nel panorama cultura dell’epoca. Sono molti gli scrittori che si confrontano con questo genere letterario che spesso accompagnano, come nel caso di Moravia, alla scrittura di romanzi. Tra gli scrittori più illustri vi sono sicuramente i siciliani Verga e Pirandello, veri e propri maestri del racconto. E poi ancora i racconti di Svevo, Buzzati, Landolfi, Calvino e quelli più recenti di autori come Tabucchi.

Nel secondo capitolo la mia analisi entra nell’ambito della grande

produzione di racconti scritti da Moravia e si sviluppa secondo una

divisione in più paragrafi. Nel primo paragrafo mi sono concentrato

sulle tematiche, i caratteri e lo stile dei racconti, analizzando anche il

rapporto che intercorre tra romanzo e racconto breve nell’opera di

Moravia. Nel secondo paragrafo la lente di ingrandimento viene

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centrata sui primi racconti e sulle prime raccolte di Moravia: La bella vita, L’imbroglio e i Racconti satirici e surrealisti. Nel paragrafo successivo i racconti presi in analisi saranno quelli scritti dopo la seconda guerra mondiale, periodo che segnò decisamente Moravia e la sua poetica. Cambia la struttura dei racconti, si aggiungono nuove tematiche e cambiano anche le ambientazioni come si può notare nelle brevi prose, paradossali e umoristiche, che ritraggono la Roma

“popolana” degli anni Cinquanta nella serie dei Racconti romani e Nuovi racconti romani. Dagli anni Sessanta in poi l’autore pubblica diversi racconti nati nell’ambito della terza pagina dei quotidiani e che rappresenteranno la cifra stilistica di molte prose brevi del dopoguerra.

Fra le più interessanti raccolte di racconti dell’ultimo Moravia vi sono L’automa, Il paradiso, Un’altra vita, Una cosa è un cosa. Nel terzo e ultimo capitolo di questo studio ho sviluppato un’indagine su quei racconti che sono rimasti ‘nascosti’, ‘dimenticati’ dall’autore. I racconti

“dispersi” scritta da Moravia sono tantissimi, prose brevi del periodo iniziale dall’autore sino a quelle degli ultimi anni di attività dello scrittore. Un campionario vastissimo di temi, storie, stili rimasti praticamente inediti al grande pubblico.

Nel primo paragrafo di questo terzo capitolo è stato analizzato il

fenomeno della dispersione. Motivi, ipotesi, supposizioni che hanno

portato alla dispersione di centinaia di racconti. Inoltre, ho cercato di

analizzare i possibili motivi che hanno portato a far sì che questi

racconti restassero sconosciuti e nascosti. Nel secondo paragrafo sono

state analizzate le storie sparse pubblicate in rivista. Dai primi racconti

giovanili modernisti e avanguardisti ai racconti esclusi dalle varie

raccolte dagli anni Trenta in poi. Nel terzo paragrafo ho evidenziato la

moltitudine di racconti rimasti ‘sepolti’ tra le colonne dei quotidiani. La

maggior parte di queste storie disperse si trova in giornali e quotidiani

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italiani poiché l’autore ha sempre collaborato con tantissimi quotidiani, dalla “Gazzetta del Popolo” al “Corriere della Sera”. Nel quarto paragrafo invece sono stati messi in luce le storie disperse che dovevano essere raggruppati in un volume, “La fortuna di vivere”, mai pubblicato dall’autore. Nel quinto paragrafo si parla dei racconti ciociari, storie ambientate nei mesi successivi all’armistizio dell’8 settembre nel rifugio di Moravia e della moglie Elsa Morante nelle campagne ciociare. Racconti rimasti nelle colonne dell’allora “Corriere d’Informazione”, episodi narrativi poi ripresi nella composizione del romanzo La ciociara. Nel sesto e ultimo paragrafo verranno invece analizzati da vicino le storie disperse del Moravia più maturo e in particolare due interessantissimi racconti dell’ultimo periodo dello scrittore, Romildo e Palocco.

Con questo studio si vuole mettere quindi in luce una parte, come si

diceva all’inizio di questa introduzione, consistente e significativa

dell’opera narrativa di Alberto Moravia. Moravia non solo come autore

di romanzi, ma anche come abile scrittore di novelle, brevi o meno brevi

racconti, che hanno una loro significativa importanza all’interna della

poetica moraviana e nella storia della letteratura italiana. (L’intento di

questo lavoro non è, però, certo quello di dimostrare o giudicare in quali

forme narrative sia più incisiva la 'penna' dell’autore. Ho ritenuto

potesse essere interessante riscoprire la forma narrativa del racconto

attraverso l’attività letteraria di Moravia e in particolare analizzare

come di questa vasta produzione vi sia una parte rimasta sconosciuta e

inedita. Racconti che ci dimostrano come Moravia sia stato un grande

lettore e un grande scrittore e che attraverso le pagine di quotidiani,

almanacchi e riviste prima, e nei volumi usciti postumi oggi, catturi

l’attenzione e l’interesse di chi si accinge alla lettura di queste storie)

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Capitolo primo

Il racconto nella letteratura italiana del Novecento

Nel Novecento, secolo multiforme, contradittorio e pieno di contaminazioni, la narrativa breve assume un prestigio e un’importanza significativa. Ciò è dimostrato dal fatto che moltissimi scrittori e fra i più illustri della letteratura italiana si siano confrontati con questo genere letterario: da Pirandello a Calvino, da Svevo a Gadda. Prosatori di successo, ma non solo; anche celebri poeti come Saba e Montale

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si sono avvicinati durante la loro attività letteraria al racconto. Nel Novecento novella, racconto, short story diventano generi privilegiati di narrazione e si inaugura una nuova attenzione nei confronti della narrativa breve.

Il racconto rappresenta uno dei generi letterari più produttivi del Novecento in Italia. Un genere che ha solidi basi nella tradizione letteraria e narrativa del nostro Paese. È evidente, infatti, che la nostra letteratura, sin dalle origini, abbia una vera e propria vocazione per la misura breve. Un’opera come il Decameron di Giovanni Boccaccio, pubblicata tra il 1350 e il 1353 e costituita da cento novelle all’interno di una cornice narrativa, è uno dei pilastri del genere letterario e capostipite della letteratura in volgare italiano. Dalle origini della letteratura in volgare all’età contemporanea la narrazione breve ha avuto, però, fortuna alterna. Dopo Boccaccio la novella ha una notevole valenza letteraria tra Quattrocento e Cinquecento con autori come

1 Montale, ad esempio, pubblicherà sul “Corriere della Sera” i “racconti-non racconti”, raggruppati poi in gran parte nella Farfalla di Dinard.

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Matteo Bandello e successivamente, dopo diversi secoli, riacquista un evidente valore nella seconda metà dell’Ottocento. Un percorso narrativo che lungo tutta la storia della letteratura italiana ha le sue vette più alte nel già citato Decameron e nell’imponente progetto letterario de le Novelle per un anno di Pirandello. Dal Trecento al Novecento le diverse forme di narrazione breve vanno spesso di pari passo con il romanzo e le produzioni narrative di più largo respiro. Un rapporto

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, quello con il romanzo, necessario per capire le caratteristiche e la struttura del racconto moderno.

Nonostante una tradizione letteraria così importante ed una produzione notevole e di spessore è evidente, però, come al racconto e alla short story in generale non venga data la giusta considerazione e il giusto peso letterario. Quando si parla di generi letterari molto spesso si tende a 'trascurare' o addirittura a non considerare il racconto all’interno della diverse forme narrative della prosa. Troppe volte il racconto viene, infatti, considerato un genere minore e subordinato al romanzo, nonostante le produzioni di narrativa breve abbiano una propria autonomia letteraria e di valore assoluto. La critica e il mondo dell’editoria, in Italia e non solo, ha visto molto spesso nel racconto solo una forma di preparazione al romanzo, una sorta di allenamento di scrittura, sminuendo il valore letterario di questa forma narrativa. Uno scarso interesse anche da parte degli studi di teoria letteraria che soltanto nella seconda parte del Novecento è tornato vivo insieme ad altri significativi contributi da parte della critica. La difficoltà nel codificare e classificare il racconto è dovuta però anche alle sue stesse evidenti particolarità: il racconto è un genere per certi versi radicale,

2 Il legame tra racconto e romanzo verrà approfondito nel corso di questo primo capitolo e più nello specifico, nell’opera di Moravia, nella prima parte del secondo capitolo di questa tesi.

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estremo, dalle molteplici sfaccettature, che comprende forme che si potrebbero definire intermedie come il romanzo breve o racconto lungo.

Della difficoltà di teorizzazione delle forme brevi di narrazione era consapevole anche un importantissimo studioso quale il filologo tedesco Erich Auerbach che, però, ha analizzato con chiarezza le struttura e le caratteristiche della novella, definendone le particolarità:

Per scrivere una novella (ed è questo che qui ci interessa) occorreva assolvere il seguente compito: dall’infinita abbondanza degli eventi sensibili bisognava metterne a fuoco uno in particolare, e svilupparlo poi con i suoi principali presupposti in modo tale che potesse a sua volta essere rappresentativo di quell’abbondanza infinita3.

La contrapposizione e allo stesso tempo il legame tra racconto e romanzo è stata analizzata, inoltre, da critici come Boris Ejchenbaum e György Lukács, che riconoscono un’alternanza dei due generi nella serie storica di lunga durata. Proprio i formalisti russi hanno sviluppato dei significativi studi teorici sulla novella e il racconto. Ejchenbaum definisce le differenze tra romanzo e racconto, ed evidenzia l’importa dell’esito finale nella novella, nel suo saggio Teoria della prosa. Il racconto breve è fornito di un’autonomia, di strategie testuali che mettono in campo l’uso di elementi coesivi; un effetto centrale attorno a cui si combinano episodi e verso cui devono tendere tutti i particolari e un finale che deve dar vita a uno scioglimento inatteso:

La novella deve essere costruita in base a una qualche contraddizione, mancanza di coincidenza, errore, contrasto ecc. Ma non basta. Per la sua stessa essenza, la novella, come pure l’aneddoto, accumula tutto il suo peso verso la fine. Come un proiettile che venga lanciato da un aeroplano, essa deve volare a precipizio all’ingiù per colpire con la sua punta, con tutta la forza, nel punto giusto. […] Short story è un termine che si riferisce esclusivamente all’intreccio e sottintende la combinazione di due condizioni: dimensione piccola e

3 ERIC AUERBACH, La tecnica di composizione della novella, traduzione italiana di Raoul Precht, Roma-Napoli, Theoria, 1984, p. 73.

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accento dell’intreccio sulla fine. Un tal genere di condizioni crea qualcosa di assolutamente distinto, per scopo e per procedimenti, dal romanzo4.

La narrazione breve metta in luce un fatto, un evento e si concentra su di un aspetto della vita e non sulla sua totalità, sul frammentario e molteplice del reale, dando risalto al punto di vista dell’io e del soggetto. Il racconto per sua stessa forma ha uno sguardo parziale, circoscritto ma allo stesso tempo nitido e preciso sul mondo e sulla realtà. E questo ancor di più nel racconto moderno del Novecento in cui la narrativa breve «promuove la violenza degli scorci a sovrasignificazione allegorica o simbolica, puntando sulla discontinuità e sul suo spessore intensivo»

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. Una delle caratteristiche facilmente riconoscibili del racconto e della novella sta appunto nella sua brevitas.

Il racconto è in un certo senso costretto dalla propria misura a tradurre il finale in un verdetto, che sarà tanto più efficace quanto più l’allusività coinciderà con una sentenza chiara e definitiva; il romanzo dall’altra parte invece sfrutta le sue ampie arcate per argomentare anche la chiusa, che si arricchisce via via di nuovi passaggio narrativi.

Abbiamo visto quindi come sia necessario e significativo rapportare il racconto alle forme più ampie di narrazione come il romanzo. In Italia tra le diverse teorie e prospettive di analisi vi è quella dello stesso Moravia, sviluppata in Racconto e romanzo, uni dei tanti saggi presenti nell’opera L’uomo come fine:

Ma il racconto tuttavia esiste come qualche cosa che non è romanzo;

in altri termini si può tentare un’approssimativa definizione del racconto non da solo, ma in rapporto con il suo fratello maggiore. Dal confronto col romanzo pensiamo che si riveleranno alcune particolarità

4 BORIS MICHAJLOVIC EJCHENBAUM, Teoria della prosa, in I formalisti russi: teoria della letteratura e metodo critico, a cura di TZVETAN TODOROV, Torino, Einaudi, 1968, p. 239.

5 RAFFAELE DONNARUMMA, L’altro modernismo: la narrativa breve in Italia, in Racconto modernista in Italia: teoria e prassi, Avellino, Sinestesie, 2016, p. 10.

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costanti che pur senza avere un carattere normativo e potere essere additate come regole, ci spiegano tuttavia come il racconto costituisca alla fine un genere a sé stante il quale non ha niente a che fare con il romanzo o con altra composizione narrativa di eguale lunghezza6.

La differenza principale e fondamentale per Moravia tra racconto e prosa di più ampio respiro sta nella struttura che sorregge la narrazione e nell’ideologia che nel romanzo «è precisa, precostituita, riducibile a tesi; così come nel corpo umano lo scheletro non è stato introdotto a forza ad un’età adulta, ma è cresciuto insieme con tutte le altre parti della persona. Quest’ideologia fa sì che il romanzo non sia un racconto:

e per converso la mancanza di ossa fa sì che il racconto non sia romanzo»

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. Continuando nella propria tesi lo scrittore romano enuncia in più punti i caratteri del racconto e della sua estrema particolarità:

Il racconto dunque si distingue di fronte al romanzo per le seguenti ragioni: personaggi non ideologici, visti di scorcio o di infilata secondo la necessità di un’azione limitata nel tempo e nel luogo; intreccio il più semplice possibile (fino a scomparire in certi racconti che poi sono dei poemi in prosa) e comunque sempre un intreccio che tragga la sua complessità della vita e non dall’orchestrazione di un’ideologia purchessia; psicologia in funzione dei fatti e non delle idee;

procedimenti tecnici tutti intesi a dare in sintesi ciò che nel romanzo chiede invece lunghe e distese analisi. Tutto questo naturalmente non ha molto a che fare con le qualità principali del racconto, vogliamo dire con quell’indefinibile e ineffabile incanto narrativo che avvertono sia lo scrittore che lo compone sia il lettore che lo legge. Quest’incanto è di specie molto complessa: esso viene da un’arte letteraria senza dubbio più pura, più essenziale più concentrata e più assoluta di quella del romanzo8.

Sul rapporto tra racconto e romanzo sviluppa un’idea ben precisa anche Guido Guglielmi che nel suo saggio Le forme del racconto afferma come sia mutato il rapporto tra racconto e romanzo nel

6 ALBERTO MORAVIA, Racconto e romanzo, in L’uomo come fine, Milano, Bompiani, 1972, p.

161.

7 Ivi, p. 163.

8 Ivi, pp. 165-166.

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Novecento rispetto a prima. L’analisi di Guglielmi è molto chiara e a differenza di altre tesi che vedono il racconto come genere subordinato al romanzo, ribalta questa visione ed evidenzia, inoltre, la centralità del racconto nel Novecento, secolo che abbiamo preso in analisi in questo primo capitolo. Per lo studioso «la massima ambizione dell’Ottocento era stata quella di passare dal racconto al romanzo o, per così dire, dal dettaglio al tutto. Nel Novecento è invece il racconto ad agire sul romanzo»

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. Guglielmi spiega quindi come il racconto breve sia già in tutto il Novecento una delle forme più importanti, e che le sue strutture narrative ispirino e influenzino gli altri generi, romanzo compreso.

Il Novecento è il secolo in cui il genere letterario del racconto assume delle caratteristiche evidenti e precise e si distacca sempre più dalla tradizione novellistica precedente. Nonostante scrittori come Pirandello mantengano la dicitura “novella” per i loro scritti, il termine stesso

‘novella’ viene via via surclassata da “racconto”. Lo spiega bene Romano Luperini che analizzando il racconto moderno nel Novecento afferma che «dagli anni Trenta il termine “racconto” s’impone su quello di “novella” […] “Gadda stesso, che pure ancora nel 1953 aveva impiegato il termine “novella” in Novelle del Ducato in fiamme (ma qui

“novelle” vale anche come “notizie”), dieci anni dopo le raccoglie con le altre sotto il titolo I racconti. Accoppiamenti giudiziosi»

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.

La seconda metà dell’Ottocento segna l’ascesa definitiva della forma breve del narrare. Ciò è stato possibile grazie al proliferare, di riviste letterarie e quotidiani che davano ampio spazio ai racconti. D’altro canto maestri del racconto come il russo Anton Čechov erano tra quegli scrittori che venivano invitati a raccontare su quotidiani e riviste storie brevi che offrissero uno spaccato della società e del costume del tempo

9 GUIDO GUGLIELMI, La prosa italiana del Novecento II. Tra romanzo e racconto, Torino, Einaudi, 1998, p. 43.

10 ROMANO LUPERINI, L’autocoscienza del moderno, Napoli, Liguori, 2006, p. 163.

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coinvolgendo i lettori in narrazioni di rapida e facile fruibilità. La brevitas richiesta dai rigidi confini editoriali dei giornali “obbligò” lo scrittore russo a costruire le sue storie intorno ad un singolo fatto e a sviluppare la narrazione privilegiando la sintesi e la compattezza.

Anche in Italia ebbero una grande importanza le riviste letterarie, basti pensare alla collaborazione di Verga con riviste come la “Rivista italiana” dell’editore Treves o come “Il Fanfulla della Domenica”. E nei primi decenni del nuovo secolo lo spazio dedicato al racconto da parte di riviste come “Solaria” e “900”.

La seconda parte dell’Ottocento rappresenta quindi il punto di partenza anche per la nostra analisi del racconto novecentesco italiano.

Giovanni Verga, lo scrittore siciliano che con le sue raccolte di novelle veriste, ha influenzato molti narratori del primo Novecento. La prima novella dell’autore catanese dal titolo Nedda, pubblicata nel 1874, segna per molti critici il passaggio alla poetica verista. Ancor di più la narrativa verista è evidente nelle otto novelle della raccolta Vita dei campi. Lo scrittore arriva a questo risultato dopo anni determinanti per la sua formazione; infatti, il contatto con il gruppo milanese degli Scapigliati (Boito, Dossi), la lettura dei grandi maestri del naturalismo francese (da Balzac a Zola) e il crescente interesse di quegli anni per la cosiddetta “questione meridionale” era molto forte. La novità nelle novelle e nella narrativa di Verga sta nella scelta di assumere la prospettiva culturale e linguistica dei protagonisti dei racconti, dei contadini, pastori, minatori delle campagne siciliane. La voce narrante non è più quella dell’autore, ma quella degli stessi personaggi popolari.

La storia condiziona le loro vite, ma rimane sullo sfondo. La «vita dei

campi» è per Verga un mondo chiuso ad ogni forma di riscatto e

condizionato unicamente dalla lotta per l’esistenza.

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Altra opera decisiva e importante per Verga e l’evoluzione della novella è la raccolta Novelle rusticane. Nell’opera sono presenti le novelle più celebri di Verga e della storia della letteratura italiana come Rosso Malpelo, Cavalleria rusticana, tratta da un episodio, poi espunto, della prima stesura dei Malavoglia. La raccolta mostra evidenti cambiamenti a livelli contenutistici e stilistici e manifesto dell’opera si potrebbe vedere nel racconto La roba. I tratti del verismo di Verga sono poi ancor più accentuati nelle ultime novelle scritte dall’autore catanese: «se in Rosso Malpelo, La Lupa o Cavalleria rusticana, prevalgono gli strumenti retorici del naturalismo, quali il taglio oggettivante di caratteri e situazioni e il rilievo drammatico dell’epilogo, nelle ultime raccolte di novelle ‒ Vagabondaggio, Don Candeloro e C. ‒, lo scrittore affida all’indiretto libero e ad un dialogo sempre meno impersonale un diverso rapporto tra finzione e realtà»

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. Verga, come detto, ha influenzato diversi autori di racconti del Novecento, fra questi sicuramente Federigo Tozzi e Luigi Pirandello.

Pirandello, tra i più grandi scrittori italiani, scrisse novelle, costantemente, per tutta la vita. La massa notevole di testi scritti dall’autore sono state raccolti in Novelle per un anno, pubblicato in quindici volumi tra il 1922 (prima edizione) e il 1937, anno successivo alla morte dell’autore. Nel 1922 lo scrittore siciliano decise quindi di riorganizzare tutta la sua produzione novellistica all’interno di un unico progetto letterario ed editoriale che presenta tantissimi racconti celebri nella nostra letteratura: da La giara a Ciàula scopre la luna, da La patente a Pensaci, Giacomino! L’ordine non tematico e se vogliamo casuale delle novelle, le tematiche e i contenuti all’interno dei racconti di Pirandello rappresentano molti degli aspetti della poetica stessa

11 FLORIA DI LEGAMI, La funzione lirica nel narrare breve alle soglie del Novecento, in “Rivista di Studi Italiani”, XXXI, 1, 2013, p. 497.

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dell’autore: «la globalità delle novelle è lo specchio del tutto un implacabile e inesorabile frammentarsi. Pirandello ha costruito l’intera opera proprio per dare l’idea della varietà caotica della vita»

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. La misura del suo eccezionale ingegno Pirandello l’ha data proprio nelle novelle, di diverso argomento e numerosissime, uscite prima in singole raccolte e poi riunite in un unico progetto editoriale. Il rapporto vita- arte, la morte, la follia, il grottesco del quotidiano: dietro la struttura debole che raccoglie la produzione novellistica di più d’un quarantennio esistono degli snodi concettuali, delle indicazioni, affinché non ci si perda nel labirinto delle varie vicende. Pirandello intendeva attribuire carattere di atemporalità al suo messaggio letterario e suggerirne una fruizione sincronica, convinto del radicamento ontologico della condizione umana di cui i personaggi sono immutabili «specchi».

Molto particolari e se vogliamo diverse dalle precedenti sono le novelle dell’ultimo periodo dell’attività di Pirandello, che rappresentano la fase surrealista, metafisica e fantastica. Novelle per un anno è sicuramente, insieme ai racconti di Tozzi e Verga, uno dei risultati più alti della narrativa italiana dopo l’Unità d’Italia. E insieme al Decameron di Boccaccio, a cui per certi versi si ispira, è indubbiamente uno dei capolavori della novellistica italiana di tutti i tempi.

In Pirandello la narrazione breve si rapporta, inoltre, più al teatro che al romanzo poiché molto spesso le novelle rappresentano delle bozze per le opere teatrali. Se analizzate invece al cospetto dei romanzi vediamo come soprattutto le novelle d’esordio si distinguono volutamente dai romanzi coevi. Le ragioni sono formali. Pirandello teorizza le forme della narrazione breve e individua le fondamentali differenze fra i due generi: «il romanzo sviluppa la trama in tutti i suoi

12 ROMANO LUPERINI, Il riso di Pirandello nelle Novelle per un anno, in, «Leggiadre donne…».

Novella e racconto breve in Italia, a cura di FRANCESCO BRUNI, Venezia, Marsilio, 2000, p. 173.

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particolari, analiticamente, per gradi evolutivi; la novella, invece, la affronta sinteticamente, nei suoi momenti culminanti e più determinanti. In entrambi i casi, però, è negata ai fatti qualsiasi azione determinante sul carattere e sulle reazioni dei personaggi»

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. Un’analisi dei miti teatrali e delle novelle surreali mostra, inoltre, la tendenza dell’autore a battere, alternativamente, due strade: «quella dell’allegoria politica, fondata sulla contrapposizione natura/civiltà e sulla denuncia dei meccanismi della mascheratura sociale, e quella dell’allegoria»

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.

Il racconto, all’interno della poetica pirandelliana è soprattutto la manifestazione della pluralità di anime presenti nell’io individuale,

«più anime diverse e perfino opposte, più e opposte personalità»

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. In Novelle per un anno vi è un vero e proprio denudamento delle falsi immagini dell’individuo e della realtà sociale, il denudamento delle illusioni e delle maschere, concetto che esprime al massimo la sua idea di relativismo. Nel mondo narrativo di Pirandello si sviluppa «un gioco tra “astrazione” e “realismo”, ovvero una consistenza di opposti e contrari, che risponde per un verso alla poetica umoristica pirandelliana, e per l’altro accenna alla caratteristica della novellistica tozziana medesima»

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.

Un altro autore che scriverà racconti fino alla sua morte è proprio Federigo Tozzi. Nelle novelle di Tozzi si manifesta una rara forza espressiva, nonché una virtù innovativa sia nella trattazione dei temi e dei personaggi, che nella strutturazione formale del narrare. Insieme al

13 MARZIANO GUGLIELMINETTI, Sulla novella italiana: genesi e generi, Lecce, Milella, 1990, p. 143.

14 ROMANO LUPERINI, Il riso di Pirandello nelle Novelle per un anno, in «Leggiadre donne…».

Novella e racconto breve in Italia, a cura di FRANCESCO BRUNI, p. 186.

15 GIANCARLO BERTONCINI, Narrazione breve e personaggio: Tozzi, Pirandello, Bilenchi, Calvino, Macerata, Quodlibet, 2008, p.62.

16 Ivi, p. 30.

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romanzo d’esordio Con gli occhi chiusi i racconti di Tozzi rappresentano, infatti, il capolavoro della sua opera letteraria. La prima raccolta di Tozzi, pubblicata dopo la sua morte nel 1920, si intitola Giovani e contiene ventuno racconti. Il titolo dell’opera vuole indicare non tanto una stagione dell’esistenza umana coincidente con l’adolescenza, quanto una disposizione psicologica o, come si dice in un racconto

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, una sorta di malattia. I personaggi dei racconti sono quasi sempre «grotteschi, mostruosi e deformi come la realtà che vivono.

Vittime e aguzzini sullo sfondo di un paesaggio inquietante. In lui si trovavano riuniti un ingegno narrativo vigoroso ed incisivo, una assoluta serietà d’impegno, il bisogno di dare una forma d’arte alle sue dolenti visioni della vita»

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.

In Tozzi, nel più breve racconto, nei romanzi, tutto discende da predestinata obbligatorietà, dal destino, un nucleo d’energia al quale è impossibile sottrarsi. Anche la struttura dei suoi racconti presenta diverse peculiarità e una grande modernità: «se la conclusione “aperta”

è meno perentoria per i romanzi (potendosene parlare solo per Con gli occhi chiusi e per Ricordi di un (giovane) impiegato), essa invece è assai più pertinente per le novelle della raccolta di Giovani»

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. Un autore capace di uscire dalla luce del naturalismo e scendere nelle ombre del fantastico. Un grandissimo narratore, «primo nel panorama italiano delle lettere, che abbia visto quanto scabra e cruda sia la superficie dell’esistenza e quanto in essa l’uomo sia indifeso»

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. Tozzi ebbe infatti una notevole influenza sui narratori successivi, da Bilenchi a Pratolini.

17 Indicare il racconto.

18 GIACOMO ANTONINI (a cura di), Racconti e novelle del Novecento, Milano, Sansoni, 1967, p.

325.

19 GIANCARLO BERTONCINI, Narrazione breve e personaggio: Tozzi, Pirandello, Bilenchi, Calvino, p. 33.

20 ENZO SICILIANO (a cura di), Racconti italiani del Novecento, Milano, Mondadori, 2001, p. 305.

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«Degli scrittori italiani del suo tempo Italo Svevo è il più nuovo, il più lontano dalla tradizione o dall’anti-tradizione dell’Ottocento e del primo Novecento, assieme a Luigi Pirandello l’apporto più originale dato dall’Italia alla letteratura europea»

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. Viene descritto in questo modo Italo Svevo nella propria raccolta antologica intitolata Racconti e novelle del Novecento, Giacomo Antonini. Si sa forse poco dello Svevo scrittore di racconti, ma sin dai primi anni di attività Italo Svevo scrisse, oltre ai romanzi, varie novelle e commedie. Sin dal proprio esordio letterario, quando pubblica la novella Una lotta, e fino alla conclusione della propria carriera Svevo si cimenta nella scrittura di testi narrativi brevi, che rappresentano dunque una tipologia narrativa cui costantemente l’autore si rivolge per la propria ricerca letteraria, e quindi assumono un ruolo rappresentativo rispetto all’intera evoluzione della poetica sveviana e ciò indipendentemente dal fatto che taluni di questi testi siano incompiuti. Svevo avrebbe anche voluto raccogliere i propri racconti in una raccolta.

Nel 1928, licenziata la seconda edizione di Senilità e spinto da un analogo desiderio di dare voce a quelle parti della propria opera rimaste nell’ombra, Svevo è impegnato infatti nell’allestimento di una raccolta, nella quale avrebbero dovuto figurare Una burla riuscita, Vino generoso e La novella del buon vecchio e della bella fanciulla. Questi racconti dell’ultima parte della sua attività probabilmente sono quelli più interessanti, in cui lo scrittore dà sfoggio delle sue grandi doti di narratore. I toni qui si spostano più sull’ironia e i temi sono quelli della vecchiaia e del desiderio che non muore. Il più intenso di questi racconti è probabilmente La novella del buon vecchio e della bella fanciulla e le tematiche di questo e degli ultimi racconti sono affini a quella dell’ultimo romanzo di Svevo rimasto incompiuto, che avrebbe dovuto

21 GIACOMO ANTONINI (a cura di), Racconti e novelle del Novecento, p. 92.

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intitolarsi Il vegliardo o Il vecchione. Le novelle di questi anni infatti danno vita ad una specifica fase della riflessione letteraria sveviana, autonoma e distinta, nonostante gli indubbi punti di contatto, sia dal precedente che dal successivo romanzo. La modernità e l’innovazione dell’autore, che sono tangibili nel capolavoro La coscienza di Zeno, sono ben presenti anche in questi racconti dove «Svevo bisogna dirlo, non ha mai narrato ciò che è o accade, ma ha sempre narrato il suo proprio essere nel mezzo di ciò che accade. In questo egli è già nel secolo nuovo, egli già partecipa di quella “rivoluzione copernicana” di cui si nutre la narrativa, e l’arte del Novecento»

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.

Anche nel periodo surrealista, attraversato anche da Pirandello, ci sono diversi scrittori che si confrontano con il racconto. Fra questi sicuramente spiccano Savinio e Delfini. Una delle opere principali di Alberto Savinio è Casa “La Vita”, pubblicato nel 1943 e che mostra già nel sottotitolo il gusto, tipicamente saviniano, per la commistione dei generi e la sua forte particolarità narrativa: sono sedici racconti preceduti da un autoritratto dell'autore, da una prefazione e una dedica:

accompagnati da 8 disegni dell'autore e 9 "occhi"; arricchiti da una postilla e una variante». L'arte letteraria di Savinio tende ad abbassare il tragico e la serietà, a riabilitare l'umoristico, per arrivare al gioco, all'ironia. L’ironia è nell’opera di Savinio la prima ispiratrice, un’ironia che non si ferma alla caricatura semplice ma investe e ferisce sentimenti e persone di ottusa sensibilità. Un lirismo di natura delicata e profonda dà ai personaggi dei suoi racconti scampati al corrosivo giudizio un’apparenza quasi mitica»

23

. Del resto, gioco e humour sono assi portanti dell'universo surrealista (e Dada), con cui Savinio, anche per la sua attività di artista figurativo, aveva avuto rapporti diretti. Nei

22 ENZO SICILIANO (a cura di), Racconti italiani del Novecento, p. 19.

23 GIACOMO ANTONINI (a cura di), Racconti e novelle del Novecento, p. 455.

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racconti di Casa “la Vita”, il linguaggio di Savinio, che in alcune opere precedenti risultava onnivoro e centrifugo, senza punti fermi, si fa più freddo e controllato e il suo umorismo diventa più sottile. Uno dei temi e delle linfe costanti di questi racconti, fin dai ricordi solari dell'infanzia ellenica, è la morte, segno originario della nascita e del nulla. Un surrealismo di sapore particolare simile a quello dei suoi quadri si incontra nei racconti di Achille Innamorato e in quelli della già citata Casa “La Vita” e nella successiva Tutta la Vita, pubblicato nel 1945.

Bisogna però considerare che quello di Savinio non è mai un gioco letterario gratuito. Un impegno morale ed un’arte raffinata sorreggono, infatti, i suoi scritti.

Altri autori che risentono di quel clima culturale e i cui racconti rappresentano degli ottimi esempi di fantastico novecentesco sono la scrittrice Anna Maria Ortese e Tommaso Landolfi i cui racconti sono a metà tra fantasia, surrealismo e sperimentalismo letterario. Nell’Ortese il fantastico fa capolino nella realtà angusta e tetra della Napoli degli anni ’50 nella raccolta di racconti Il mare non bagna Napoli e che rappresenta probabilmente il suo picco narrativo più alto.

L’interesse per il mistero, il fantastico e il magico per Landolfi si rivela invece già nella raccolta di racconti d’esordio Dialogo dei massimi sistemi e prosegue nel primo romanzo, La pietra lunare, pubblicato nel ’39, dove si narra la vita di un piccolo centro di provincia nel quale si diffonde l’inquietante presenza della stregoneria. Tra il fantastico e il grottesco si sviluppano le successive trame narrative dell’autore: novella gotica Racconto d’autunno (1947), il romanzo fantascientifico Cancroregina (1950) e i Racconti impossibili del 1966.

Landolfi nei suoi racconti ama addentrarsi nella dimensione del

fantastico, però in modo molto personale e spesso ribaltandone i

termini. Landolfi è un narratore dotato di una forte creatività e riesce a

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21

sorprendere il lettore nelle poche righe di un racconto, a suscitare quell’esitazione che è tipico della letteratura fantastica:

Scrittore estroso, capriccioso, ricco d’invenzione, nutrito di vaste letture ed incline al gioco letterario Tommaso Landolfi ha cercato sempre di cogliere il lettore di sorpresa, di affascinarlo destandone la meraviglia. […] Il mondo da lui creato è caotico, esasperato, a volte fino all’isteria. La parentela coi surrealisti francesi è evidente come quella, da lui stesso volentieri sottolineata, con Nikolai Gagol ed Alexei Remizov. I protagonisti delle storie ora riunite nel volume Racconti sono spesso degli squilibrati, qualche volta dei pazzi, sempre degli eccentrici. Il clima creato attorno a loro è bizzarro, inquietante, raccapricciante24.

Contemporaneo di questi autori è anche il milanese Dino Buzzati.

Nei suoi racconti emerge la componente surreale e magica e soprattutto quella del fantastico. Il fantastico ed il soprannaturale inquietante di Dino Buzzati «riposano sempre su situazioni e personaggi della realtà quotidiana, sovente di vita milanese, e sono ottenuti mediante una leggera deformazione di fatti e circostanze quasi banali»

25

. I racconti di Buzzati, di cui una delle raccolte più interessanti è Sessanta racconti, pubblicata nel 1958, si sviluppano spesso come delle favole che «più spoglie esse sono di simbolismo e allegorismo, e più vicine a un vago sognare del tutto privo di specioso riferimento, meglio ci giungono intrise di realtà»

26

.

In Buzzati è inoltre molto forte il tema della morte, che rappresenta

«il veicolo privilegiato del fantastico, in quanto distacca l’attenzione dalle cose della vita, cioè dalla realtà esterna, dalla percezione, e la costringe a riflettere su se stessa, su ciò che non si vede, e che non è regolato da leggi naturali o sociali. Da ciò deriva l’irreale, che è ciò che si trova nel profondo della zona sconosciuta della mente, da cui nascono

24 GIACOMO ANTONINI (a cura di), Racconti e novelle del Novecento, p. 869.

25 Ivi, p. 731.

26 ENZO SICILIANO (a cura di), Racconti italiani del Novecento, p. 1347.

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le figurazioni, i fantasmi, e anche i timori o i desideri, i terrori o le colpe»

27

.

Milanese come Buzzati, anche Carlo Emilio Gadda, scrittore molto originale e particolare, si confronta con il racconto. Gadda è infatti un grandissimo autore di racconti, uno dei più grandi del Novecento e della nostra storia letteraria. I racconti dell’autore sono più volte, come vedremo in Moravia, legati al romanzo. I testi confluiti nelle raccolte di racconti sono spesso, infatti, frammenti di più vaste opere non realizzate, o anche frammenti ricavati dalla Cognizione del dolore, celebre romanzo dell’autore milanese. I racconti gaddiani hanno una struttura narrativa rivoluzionaria e molto personale. Viene rifiutata la trama, la fabula è sospesa e abolita. Questo lo differenzia molto da altri grandi scrittore di racconti come Pirandello e Tozzi. La vera narrazione sembra quella del linguaggio, della ricerca espressiva e della scommessa filosofica. In opere quali La Madonna dei Filosofi (1931), Il castello di Udine (1934), Le meraviglie d’Italia (1939) la vocazione di Gadda al racconto si mescola e garantisce coesione agli altri modi letterari convocati entro un medesimo perimetro di composizione: dal lirico, al cronachistico, al saggistico, mantenendo sempre la forte attitudine alla descrizione.

Le Novelle dal Ducato in fiamme, nel 1953, valorizzano ancora più apertamente la narrazione breve, offrendo una prima sistemazione collettiva e organica a racconti che non intrattengono tra loro relazioni di affinità genetica, come invece tanti «disegni» dell’Adalgisa. Dieci anni dopo, le Novelle dal Ducato in fiamme diventeranno gli Accoppiamenti giudiziosi, arricchite di nuovi acquisti testuali e riordinate secondo una successione approssimativamente cronologica.

Oltre alle due raccolte maggiori di racconti gaddiani, appunto

27 NEURO BONIFAZI, Il racconto fantastico da Tarchetti a Buzzati, Urbino, STEU, 1971, p. 243.

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23

L’Adalgisa e gli Accoppiamenti giudiziosi, si delinea poi un insieme di racconti incompiuti che attesta ulteriormente quanto sia ricca la narrativa breve dell’autore e quale pluralità di modelli compositivi egli persegua entro la misura contenuta del raccontare. Gadda è scrittore di rappresentazioni:

egli realizza la visione, e punta a mettere in piedi, teatralmente si direbbe, ciò che scrive, con la sublime accortezza di non debordare di un dettaglio fuor dei termini dello scrivere. Quel fare rappresentazione, nei racconti, è esplicito, esplicito il senno realistico, l’occhio vigile ai comportamenti individuali (individui appartenenti a una peculiare borghesia lombarda, con sincronico accompagnamento di servitù, portieri, autisti, sarte eccetera): - e pertanto esplicita è anche la drammatizzazione della materia28.

Sempre per quanto riguarda il rapporto con il romanzo c’è anche da dire che la Cognizione del dolore appare nel 1963, cioè nello stesso anno di pubblicazione dei racconti Accoppiamenti giudiziosi, che proprio della Cognizione ospitano due importanti ‘tratti’, riproposti come narrazioni a sé stanti. Del resto, come s’è visto, negli stessi Accoppiamenti giudiziosi si ritrovano, con denominazione di racconti, capitoli o brani espressamente desunti da altri progetti romanzeschi di Gadda: sia dalla Meccanica, sia dal Racconto italiano di ignoto del novecento.

Un altro autore che non rinuncia alla composizione di brevi racconti è Pavese. I cui racconti, editi in vita o postumi, restano fra le sue pagine più alte. Il sentimento d’una umanità delusa, ansiosa, che cerca nel contatto umano, nell’amore, nell’erotismo che esplode, un valore, una certezza, è narrato sempre con acutezza, con misura. Come scrive Enzo Siciliano nella sua raccolta nel profilo dedicato all’autore piemontese:

28 ENZO SICILIANO (a cura di), Racconti italiani del Novecento, p. 673.

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24

Si direbbe che Pavese sia vero scrittore di racconti, - nel giro delle poche pagine sa consumare il senso d’una situazione, abbandonarlo, all’intuito di chi legge, senza residui. In quelle pagine un gusto acuto e desolato di cose povere, di dolcezza erotica improvvisa, di delusione innominabile, di aria impolverata, prende vita in uno stile disadorno, giocato a scandagliare, senza dire troppo, e a stemperare ciò che resta sottinteso contro il fondale color cenere della pura apparenza29.

La misura perfetta della narrativa pavesiana è il romanzo breve o il racconto lungo ma non mancano tentativi ed esperimenti che variano dalle poche righe a lunghi abbozzi di romanzi. Il tentativo della nuova forma espressiva dei racconti si conclude intorno al 1940 e viene ripreso nella nuova dimensione mitico-simbolica di Feria d’agosto. Appare così nel 1937 Notte di festa, che dà il titolo al volume nel quale sono raggruppati i dieci racconti composti tra il ’36 e il ’38 e che può essere considerato come un precedente del romanzo Paesi tuoi. Al centro dell’interesse di Pavese nei racconti c’è il dialogo, nel quale l’autore ricerca la salvezza dell’oggettività. Le brevi narrazioni sono fortemente evocative, ricche di molti temi ricorrenti nella narrativa di Pavese.

La misura del racconto è congeniale anche ad un altro scrittore torinese, Primo Levi, come confermano del resto anche i suoi due primi libri, Se questo è un uomo (1947-1958) e La tregua (1963) che, a ben vedere, risultano composti da microracconti, da tessere organizzate in una struttura a mosaico. Sono vari i fattori che convergono nella predilezione leviana per la forma breve che emerge con forza dalle parole stesse dell’autore:

Un libro, come qualsiasi impresa umana, nasce in base a un bilancio rischi/benefici. Nel pubblicare un libro di racconti, il rischio, per l’autore, è appunto quello di essere giudicato flebile; per il lettore, quello di aver mal speso i suoi quattrini e il suo tempo. Il beneficio (o meglio la speranza del beneficio) è quello di salvare dal nulla alcuni racconti che a me autore è piaciuto scrivere. […] Ma poi: perché un libro di racconti dev’essere meno nobile, o più flebile, di un romanzo?

29 Ivi, p. 1697.

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25

È un preconcetto che credo nato nella testa dei librai; io lettore, ad esempio, leggo volentieri racconti, perché li sento più spontanei30.

Allo stesso modo un autore poliedrico come Italio Calvino non poteva non confrontarsi con il racconto. Calvino scrive dei racconti di stampo realistico negli anni ’50, ad esempio l’interessante racconto lungo, La giornata di uno scrutatore. Se si esclude Il sentiero dei nidi di ragno, romanzo d’esordio del 1947, la misura più congeniale per Calvino sembra essere quella breve del racconto, sperimentato ed esplorato dall’autore in tutte le sue possibilità: dal racconto autonomo, secondo il modello tradizionale, al racconto lungo (o romanzo breve), dal racconto-saggio al microtesto o al frammento inserito in un macrotesto complesso, spesso a cornice. Del resto non si deve dimenticare che Calvino ha esordito con racconti pubblicati su riviste;

e che ha più volte dichiarato di essere «sempre stato piú un autore di racconti che un romanziere»

31

. Le novelle, o i racconti, vengono organizzati in raccolte complessamente strutturate; i testi si concatenano negli anni in vere costellazioni, con riprese e messe a punto successive. Il racconto tende al romanzo, il testo breve acquista la complessità della narrazione di ampio respiro, in una tipologia che si restringe sostanzialmente a due possibilità (pur con qualche interferenza), entrambe tradizionali, almeno nell’origine: la raccolta (Marcovaldo; i racconti «cosmicomici»; Palomar; Sotto il sole giaguaro) e la struttura a cornice de Il castello dei destini incrociati, de Le città invisibili, del metaracconto in Se una notte d’inverno un viaggiatore.

30 RICCIARDA RICORDA, Le avventure di un chimico: il sistema periodico di Primo Levi, in

«Leggiadre donne…». Novella e racconto breve in Italia, a cura di FRANCESCO BRUNI, p. 231.

31 ITALO CALVINO, Se una notte d’inverno un narratore, in «Alfabeta», I, 1979, pp. 4-5.

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26

Nella letteratura contemporanea per quanto riguarda la narrazione breve e il genere racconto spicca senza dubbio la figura di Antonio Tabucchi. Lo scrittore toscano è un raffinato scrittore di racconti e le raccolte Il gioco del rovescio (1981) e Piccoli equivoci senza importanza (1985) rappresentano i punti più alti della sua opera narrativa. Il racconto in Tabucchi ha una struttura molto particolare, aperta, circolare e che esprime attraverso il dubbio e il non detto «la fine dell’epoca dei grandi racconti (a vantaggio di strutture aperte o moltiplicate, e la trasformazione della soggettività in un’epoca quale l’attuale che vive la filosofia come racconto e il racconto come metafora e trascrizione di un pensiero debole affidato all’epoché, al frazionamento, all’opacità della traccia»

32

.

L’autore stesso ha espresso in interviste e in saggi le caratteristiche del racconto e della misura breve, che si potrebbe dire la misura prediletta dallo scrittore visto che anche romanzi come Notturno indiano e Requiem sono più dei racconti lunghi che dei romanzi veri e propri:

In primo luogo, bisogna distinguere tra la composizione di un racconto e quella di un romanzo. I racconti sorgono abitualmente da una piccola frase, forse da quello che i poeti simbolisti chiamavano la petite musique. Il testo si costruisce quasi da sé, con una notevole libertà rispetto all’autore, perché in qualche modo è una creatura viva. […]

Riguardo al romanzo, la questione è leggermente diversa, perché è un genere più disponibile, più aperto rispetto al racconto, che invece è una forma chiusa dove bisogna rispettare certe regole, come avviene per il sonetto, per esempio, e dove è più facile essere sedotto dalla petite musique o dalla frase iniziale. Il romanzo, per la sua maggiore estensione, tollera una maggiore libertà: si può eliminare un pezzo o sostituirne un altro, correggere, introdurre elementi nuovi, eccetera. La sua meccanica assomiglia molto a una partita di scacchi, in cui si sostiene un duello di intelligenza con l’avversario, che in questo caso è il testo, le cui mosse si possono prevedere, contrastare o seguire. Nel

32 ANNA DOLFI, Il puzzle del rimorso: Voci portate da qualcosa, impossibile dire cosa di Antonio Tabucchi, in Leggiadre donne. Novella e racconto breve in Italia, a cura di FRANCESCO BRUNI, p. 262.

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racconto, invece, il duello è impari e non c’è la possibilità di opporsi all’avversario, bisogna accontentarsi di lasciare che ci conduca dove vuole33.

In conclusione è evidente come il dibattito teorico e critico intorno alla novella e al racconto abbia evidenziato quanto sia difficile approdare ad una definizione stabile di un genere cangiante e in continua trasformazione. E ci si accorge quindi che il punto di forza di tale forma letteraria risiede proprio nel suo statuto proteiforme e mutevole, e in una sperimentazione che, nel tempo, ha rimesso in discussione ordini e confini precostituiti. Nell’analisi della produzione narrativa di prosa breve del Novecento si può intuire, però, la vistosa diffusione di un genere che non teme la rivalità del romanzo, anzi sembra competere con la forma lunga del narrare per via del sostegno offerto dalla stampa periodica e soprattutto dal consenso dei lettori. Al ruolo significativo, se non preponderante, che il racconto ha avuto all’interno della tradizione letteraria, nazionale e non solo, è corrisposta infatti una posizione privilegiata anche nella didattica scolastica e universitaria. L’educazione alla lettura del racconto si mostra anche come il presupposto di qualsiasi passione per la scrittura narrativa, che d’altra parte trova spesso le sue prime espressioni in antologie o raccolte, blog letterari o riviste, proprio nella forma breve. Il racconto moderno è «il genere dell’incompiutezza della vita, è anche perché sa meglio di tutti che ancora meno compiuta, e salvata dal suo restare indietro rispetto al proliferare delle cose, è la letteratura»

34

. Una chiave di lettura dei processi narrativi del Novecento italiano.

33 AA.VV, Dedica ad Antonio Tabucchi, a cura di CLAUDIO CATTARUZZA, Pordenone, Associazione Provinciale per la Prosa Pordenone, 2001, pp. 65-66.

34 RAFFAELE DONNARUMMA, L’altro modernismo: la narrativa breve in Italia, p.14.

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28

Capitolo II

Moravia scrittore di racconti

2.1 Struttura, personaggi e tematiche della narrativa breve

Nell’introduzione alla raccolta Romildo: ovvero racconti inediti, perduti e d’autobiografia, Enzo Siciliano, curatore del libro pubblicato nel 1993 da Bompiani, esordisce con una frase che in un certo senso restituisce l’importanza e il valore della prosa breve nel corpus narrativo moraviano: «Ho sentito affermare spesso che Moravia sia più artista come scrittore di racconti che come scrittore di romanzi».

35

Con questa affermazione Enzo Siciliano, critico, studioso e amico di Moravia, non vuole porre il piano della prosa breve al di sopra di quella del romanzo o viceversa. Questo, d’altronde, non è neanche l’obiettivo di questa tesi, che punta invece a far luce su una parte nascosta della produzione narrativa di Moravia e a far emergere le caratteristiche e le particolarità dei racconti e delle novelle, non a discapito del romanzo, ma anzi in stretto legame con esso, come è stato da sempre in tutta l’attività dello scrittore romano.

Alberto Moravia ha scritto racconti per tutto l’arco della sua vita.

Basti pensare che tra le prime prove narrative del giovanissimo Moravia vi è una novella, Lassitude de courtisane, versione originale in lingua francese di Cortigiana stanca, che venne pubblicata nella primavera del 1927, sul terzo numero della rivista “900”

36

. L’interesse dell’autore per

35 ENZO SICILIANO, I paradossi di Romildo, introduzione ad ALBERTO MORAVIA, Romildo:

ovvero racconti inediti, perduti e d’autobiografia, Milano, Bompiani, 2003, p. V.

36 "900", Cahiers d'Italie et d'Europe fu una rivista letteraria novecentista, diretta da Massimo Bontempelli con Curzio Malaparte come condirettore. Il primo numero della rivista uscì nel

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29

il racconto precede quindi la conclusione del suo romanzo d’esordio, Gli indifferenti, che verrà pubblicato dall’editore milanese Alpes nel 1929. Dall’esordio letterario fino alla sua morte, avvenuta nel 1990, sono centinaia i racconti scritti da Moravia: la maggior parte pubblicati e raccolti in volume

37

; altri, come vedremo nel successivo capitolo, rimasti “dispersi” tra le pagine di riviste e quotidiani. La costanza e la dedizione con la quale Moravia si dà al racconto e alla scrittura in generale è evidenziata non solo dalla grande produzione narrativa prodotta negli anni, ma soprattutto dalla qualità e dal valore letterario delle sue opere.

Quella per il racconto per Moravia è una vera e propria passione, «la passione di un artigiano, una passione che non conobbe soste»

38

. La forma narrativa breve costituisce, inoltre, una sorta di 'officina' in cui sperimentare i propri schemi narrativi, come del resto avevano fatto altri scrittori più o meno lontani dallo scrittore romano, ma egualmente innovatori dei codici letterari, come Pirandello e ancora prima Verga.

Moravia ha voluto, però, riscattare il genere del racconto dalla condizione di subalternità rispetto al romanzo mettendone in evidenza le potenzialità narrative, le peculiarità stilistiche e il valore letterario. Il racconto breve è per Moravia fin dall'inizio, e lo sarà poi in particolare a partire dal secondo dopoguerra, il mezzo di una divulgazione di massa delle proprie idee, il mezzo con cui egli propone ai lettori tematiche e moduli stilistici in modo più conciso, diretto e schematico rispetto al romanzo. Attraverso l’analisi delle tantissime e diverse raccolte di

novembre del 1926, mentre l’ultimo nel giugno del ’29, anno della chiusura. Alberto Moravia fu tra i collaboratori della rivista. Tra le firme del terzo numero di “900” compaiono i nomi di autori quali Joseph Delteil, Corrado Alvaro, Filippo Tommaso Marinetti, Curzio Malaparte, Leon-Fargue.

37 In questo capitolo verranno analizzate in particolare le raccolte pubblicate da Moravia tra gli anni Trenta e gli anni Sessanta del Novecento, poiché è in questi decenni che sono stati scritti la maggior parte dei racconti poi rimasti “dispersi”, e di cui ci si occuperà nel terzo capitolo di questo studio.

38 ENZO SICILIANO, I paradossi di Romildo, introduzione ad ALBERTO MORAVIA, Romildo ovvero racconti inediti, perduti e d’autobiografia, p. V.

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30

racconti è possibile ricavare, infatti, un quadro significativo della poetica stessa dell’autore.

Nell’analizzare la prosa breve in Moravia ritengo sia necessario per prima cosa rilevare ed evidenziare la struttura, la forma, la configurazione stilistica dei racconti. Moravia, che è stato anche un fine critico, teorico e saggista, era consapevole che la scrittura di un buon racconto dovesse sottostare a delle “regole”, a delle basi che per forza di cose lo differenziano dal romanzo. Dell’aspetto teorico delle short stories lo scrittore se ne occupò nel saggio Racconto e romanzo, già citato nel primo capitolo e che più volte verrà ripreso nel percorso di questo lavoro. Durante tutta la sua attività di scrittore Moravia sperimenta ed utilizza diverse forme di espressione creativa nel romanzo così come nei racconti. Le raccolte di racconti, molto diverse nel corso degli anni, presentano diverse forme e strutture: si passa, infatti, dai modelli d’esordio legati più alla novella modernista primo novecentesca, al racconto lungo della seconda metà degli anni Trenta alle brevissime storie, alcune di pochissime pagine, del gruppo dei Racconti romani e dei Nuovi racconti romani.

Anche se in un primo momento sembrerebbe l’elemento più evidente, non è certo la brevitas di un testo, la caratteristica principale che differenzia racconto e romanzo. E di ciò era consapevole lo stesso Moravia. È palese, però, come le prime forme di produzione breve dello scrittore romano risentano molto della struttura romanzesca, delle forme letterarie di maggior respiro e che lo svilupparsi del racconto come genere autonomo in Moravia sia un percorso significativo che si può riscontrare soprattutto nei racconti del secondo dopoguerra, in raccolte come Racconti romani, fra le più note e riuscite dell’autore.

Durante la sua attività da scrittore Moravia sviluppa, infatti, raccolta

dopo raccolta, una «progressiva scoperta del racconto come dimensione

(28)

31

autonoma rispetto al romanzo»

39

. Così come nel romanzo, ma ancor di più nella sfera della narrativa breve, la sperimentazione letteraria conduce da una parte a sviluppare forme ibride (i racconti lunghi, quasi dei brevi romanzi, della raccolta L’imbroglio ne sono un lampante esempio) e dall’altra a maturare una nuova vena novellistica che accoglierà temi e contenuti sempre più vari tra loro.

La struttura di molti racconti presenta un intreccio semplice, esile ed essenziale, una vicenda che spesso fa da sfondo alla costruzione e al ritratto del personaggio e alla sua psicologia. In questo ha molta importanza anche la descrizione degli ambienti e degli scenari su cui si svolge l’azione molto limitata nel tempo rispetto al romanzo.

Nonostante la semplicità della sua prosa breve, asciutta e lineare,

«Moravia riesce a rendere sorprendente ciò che appare più ovvio e prevedibile. Conferisce alle cose più comuni non un’evidenza scontata, ma l’evidenza della cosa conservata. Ci costringe a guardarle non come cose che vanno da sé, ma come cose che l’osservazione rivela. Il suo realismo è un realismo novecentesco»

40

. Il racconto breve in Moravia è fatto di intuizioni, di spunti narrativi volti a catturare l’attenzione del lettore e talvolta a suscitare lo stupore nello spazio di poche pagine.

A livello stilistico vi è un frequento uso della paratassi e i periodi sono costruiti attraverso un perfetto montaggio narrativo che è tipico della forma breve. Moravia domina il suo narrare con un metodo freddo e preciso, mantiene ad ogni momento un tono uguale e pacato. La forma del racconto procede lentamente nel suo narrare ampio e pieno, lo stile non presenta dettagli e descrizioni superflue, in Moravia tutto è calcolato e volto ad esaurire il necessario, l'essenziale, il concreto. Lo

39 SIMONE CASINI, FRANCESCA SERRA, Introduzione ad ALBERTO MORAVIA, Racconti dispersi 1928-1951, Milano, Bompiani, 2000, p. XVIII.

40 G. GUGLIELMI, La prosa italiana del Novecento II. Tra romanzo e racconto, Torino, Einaudi, 1998, p. 20.

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32

scopo dell’autore è quello di comunicare le sue idee, confrontandosi apertamente con il pubblico che legge le sue pagine. Notevole importanza ha, inoltre, come si è visto nell’analisi del racconto novecentesco, l’epilogo, la chiusura del racconto. Un epilogo che spesso racchiude il senso del racconto e trasmette al lettore quel senso d’ambiguità e disorientamento che caratterizza la forma breve nella sua essenza. La struttura del racconto non è complessa e articolata come si diceva perché appunto il racconto è frutto di un’intuizione e non ha l’impalcatura ideologica del romanzo. La composizione e la forma del racconto sono spesso proprio funzionali allo svolgersi dei temi profondi dei racconti.

Un altro aspetto importante è quello della struttura stessa dell’intera raccolta. L’autore, sin dalla prima opera La bella vita (1935), “disegna”

con una forte sensibilità compositiva e attenzione i propri volumi.

Moravia cerca, infatti, di costruire ogni raccolta con coerenza narrativa e omogeneità stilistica e di contenuti, selezionando con razionalità ed estrema cura i racconti da inserire. Questa omogeneità non deve però trarre in inganno poiché i diversi volumi di prosa breve risentono di stili letterari e ispirazioni diverse. Spesso si pensa che la poetica di Alberto Moravia sia una sola, un perpetrare continuo dell’ideologia de Gli indifferenti. Le pagine dei tantissimi racconti e romanzi ci dimostrano invece che sono molteplici e diverse le tematiche e i contenuti espressi dall’autore, così come varie le correnti letterarie e gli stili che Moravia ha attraversato durante tutta la sua attività di scrittore.

Dall’esistenzialismo delle prime opere, che rimarrà sempre la corrente

letteraria e il punto di vista preferito sulla realtà dello scrittore, si passa

al surrealismo dei Racconti surrealisti e satirici, e ancora lo sguardo

fortemente realista nel dopoguerra con la serie dei Racconti romani e

poi ancora la forma del racconto-saggio dagli anni Sessanta in poi.

(30)

33

In moltissimi racconti Moravia affida l’incipit alla descrizione fisica e psicologica del personaggio o di più personaggi protagonisti della storia. L’attenzione sul personaggio nei racconti dello scrittore romano è fondamentale: quello di Moravia è infatti un vero e proprio studio sul personaggio. Uno studio che ha radici teoriche espresse dall’autore stesso in più opere. Nel saggio intitolato L’uomo e il personaggio

41

presente all’interno del libro L’uomo come fine, Moravia analizza l’importanza del personaggio nel romanzo e in ogni testo letterario e il rapporto che sussiste tra di esso e l’autore. Lo scrittore spiega come prima ancora dell’ideologia e dell’impalcatura del romanzo vi sia il personaggio e come nel romanzo moderno e nella letteratura contemporanea si assista ad una crisi del personaggio e del concetto stesso di uomo. Questa crisi si riflette, come vedremo, in diversi protagonisti dei racconti pubblicati da Moravia, che vivono un senso di alienazione e inadeguatezza e incomunicabilità nei confronti della realtà e della società in cui vivono. È evidente, però, che le caratteristica e la tipologia dei personaggi del romanzo sono ben diversi da quelli di una novella e di un racconto. Ciò principalmente per la mancanza di ideologia e di un impianto narrativo che nel racconto è molto meno presente. Le differenze strutturali, stilistiche e narrative si ripercuotono quindi anche nella costruzione dei soggetti, dei personaggi, che viene espressa dall’autore nuovamente nel suo breve saggio Racconto e romanzo:

Oltre all’intreccio, ovviamente, anche la qualità dei personaggi discende dalla presenza o meno dell’ideologia. Andreuccio da Perugia, Boule de Suif, il ragazzo della Steppa sono personaggi da racconti, Raskolnikoff, Julien Sorel, Madame Bovary, il principe Andreij, Bloom, il “Je” di Proust, il protagonista del Doktor Faust di Mann sono personaggi da romanzo. […] I primi sono colti in un momento

41 Il saggio, scritto nel 1941, traccia inoltre la storia dell’evoluzione otto-novecentesca del personaggio nelle opere degli scrittori più significativi di questi due secoli.

(31)

34

particolare, ben delimitato temporalmente e spazialmente, e agiscono in funzione di un determinato avvenimento che forma l’oggetto del racconto. I secondi hanno invece un lungo, ampio e tortuoso sviluppo che abbina il dato biografico a quello ideologico e si muovono in un tempo e in uno spazio che sono insieme reali ed astratti, immanenti e trascendenti. I personaggi dei racconti sono il prodotto di intuizioni liriche, quelli del romanzo sono dei simboli. È evidente dall’altra parte che il personaggio del romanzo non potrebbe in alcun modo essere compreso dentro i limiti angusti del racconto, come appunto quello del racconto non potrebbe, senza snaturarsi, essere disteso nella narrazione romanzesca42.

Prima ancora di mostrarne e descriverne carattere e psicologie, l’autore ritrae con cura e attenzione le proprie figure narrative nel loro aspetto fisico, nella loro fisicità, nella loro corporeità. Questo è un processo narrativo importante in Moravia, che spesso si concentra in descrizioni fisiche dei personaggi dei racconti non risparmiandosi particolari e dettagli minuziosi. Diverse storie, diversi racconti ci mostrano che «ogni figura nasce, o almeno si presenta, in Moravia sotto un prevalente aspetto di fisicità. E di fisicità speciale, circoscritta:

quella che più propriamente si chiama carnalità. Lo spirito, l’anima, o il quid che sta per essi, sono veduti soprattutto in funzione dell’impronta, del marchio che hanno stampato nella carne

43

». Sono emblematiche in questo senso descrizioni fisiche di personaggi come la coppia di amici Perrone e Mostallino in La solitudine, Leda in L’amore coniugale, il camionista nel racconto omonimo

44

, le due donne protagoniste de La provinciale, la madre Giacinta Foresi e la figlia Gemma. Queste ultime vengono ritratte nei minimi particolari dall’autore, all’inizio del racconto:

Delle due donne, la madre poteva avere circa quarant’anni: era bassa, pingue, dimessa nei vestiti e umile nei modi; ma le mani lisce, piccole

42 ALBERTO MORAVIA, Racconto e romanzo, in L’uomo come fine, p. 165.

43 GIACOMO DEBENEDETTI, L’imbroglio di Moravia, in Saggi critici, seconda serie, Milano, Il Saggiatore, 1971, p. 172.

44 Il racconto a cui si fa riferimento è Il camionista, presente all’interno del volume Racconti romani.

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