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Lo screening neonatale per la fibrosi cistica: l'esperienza sui nati in Toscana

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA

Scuola di Specializzazione in Pediatria

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

Tesi di Specializzazione

Lo screening neonatale per la fibrosi cistica:

l’esperienza sui nati in Toscana

Relatore Candidato

Prof. Diego Peroni Dott. Matteo Botti

Correlatore

Dott. Giovanni Taccetti

(2)

I

INDICE

Pagina

1. RIASSUNTO

1

2. INTRODUZIONE

2.1 Gli screening neonatali

3

2.2 La fibrosi cistica

6

3. LO SCREENING NEONATALE PER LA

FIBROSI CISTICA

3.1 Strategie di screening neonatale per la fibrosi cistica 12

3.2 Il razionale dello screening neonatale per la fibrosi cistica 22

4. LO SCREENING NEONATALE PER LA

FIBROSI CISTICA: ESPERIENZA SUI NATI IN TOSCANA

4.1 Scopo della tesi 36

4.2 Pazienti e metodi 37 4.3 Risultati 40

5. DISCUSSIONE

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6. CONCLUSIONI

67

7. BIBLIOGRAFIA

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1. RIASSUNTO

La fibrosi cistica è la malattia genetica autosomica recessiva letale più frequente nell’etnia caucasica. La Regione Toscana è stata tra le prime in Italia a praticare lo screening neonatale per questa malattia, ancor prima che questo divenisse raccomandato nel 1992 da una legge nazionale. Nel corso degli anni le metodiche di laboratorio si sono affinate e dal 2011, alla tradizionale metodica della doppia determinazione di tripsina immunoreattiva associata al dosaggio della lattasi meconiale, viene affiancata la ricerca molecolare di un pannello prestabilito di mutazioni del gene CFTR.

Questo lavoro di tesi raccoglie i dati toscani del “Centro di Riferimento Regionale per la

Cura della Fibrosi Cistica” dell’Ospedale Meyer di Firenze, analizzando come si è evoluto

tale screening per i nati nella Regione Toscana dagli anni ’80 fino ad oggi.

I dati a nostra disposizione dimostrano come in questi 34 anni (1984-2018), in cui sono stati effettuati quasi 1 milione di screening ai neonati toscani, la maggior parte dei casi di fibrosi cistica è stato diagnosticato precocemente: solamente il 12,0% ha ricevuto una diagnosi tardiva per sintomi. La sensibilità dello screening è risultata negli anni progressivamente in aumento, raggiungendo il valore massimo (96,15%) nel periodo 2011-2018; in tale periodo si è ridotto anche il tasso di neonati richiamati per il retesting (0,39%) e l’intervallo temporale tra la nascita e la diagnosi di fibrosi cistica (38 giorni). Questi valori sono complessivamente in linea con le ultime raccomandazioni della European Cystic Fibrosis Society. Il valore predittivo positivo dello screening nella nostra regione (8,09%), non ha ancora raggiunto il valore raccomandato da tali linee guida.

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Lo studio dei soggetti CFSPID (screening positivo ma diagnosi inconclusiva), ha mostrato che il 12,1% dei 66 bambini CFSPID (nati dal 2011 al 2018) sono poi risultati affetti da FC per positivizzazione del test del sudore, dopo mediamente 29 mesi di follow-up.

I nati in Toscana dal 1992 al 2018 falsi negativi allo screening (18 casi) hanno manifestato i sintomi sospetti di fibrosi cistica ad un’età media di 6,6 anni. Tali falsi negativi, rispetto ai diagnosticati per screening, presentano più frequentemente un genotipo con mutazioni meno comuni e mutazioni unknown. I sintomi che più frequentemente hanno posto il sospetto di fibrosi cistica e pertanto indotto il medico a richiedere un test del sudore (esame da eseguire sempre come primo livello) sono stati: la sindrome da perdita di sali (comparsa sempre entro il primo anno di vita), le infezioni ricorrenti broncopolmonari, la ridotta crescita, i disturbi gastrointestinali (diarrea) e la poliposi nasale. La possibilità di trovarsi di fronte ad un paziente falso negativo allo screening per la fibrosi cistica è un’evenienza che, sebbene rara, deve essere considerata da qualsiasi medico di fronte ad un soggetto con sintomi sospetti, in quanto la sensibilità dello screening neonatale, seppure molto alta, non raggiunge il 100%.

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2. INTRODUZIONE

2.1 Gli screening neonatali

Con il termine screening si indica una strategia di indagini diagnostiche generalizzate, rivolte ad un’ampia quota della popolazione, utilizzate per individuare precocemente la presenza di malattia in persone che non ne presentano ancora i sintomi. Il risultato è la selezione di un gruppo di soggetti, apparentemente asintomatici, ma che hanno una probabilità elevata di avere la malattia tale da giustificare i successivi percorsi diagnostici. Un test di screening, facendo emergere una maggiore “probabilità” di malattia, non ha finalità diagnostiche: i soggetti con lo screening risultato positivo o sospetto devono essere comunque indirizzati al definitivo accertamento diagnostico.

Lo screening neonatale è un’attività di sanità pubblica che ha come obiettivo la diagnosi precoce di alcune malattie congenite ed è considerato uno dei più importanti programmi di medicina preventiva pubblica. Le patologie oggetto dello screening neonatale, se non riconosciute precocemente, possono causare danni spesso gravi ed irreversibili. L’identificazione di tali patologie nei primi giorni di vita è essenziale per intervenire in tempo e per evitare le conseguenze gravi sulla salute nel neonato. Generalmente la diagnosi precoce di queste malattie permette un intervento terapeutico farmacologico e/o dietetico finalizzato alla prevenzione dei possibili danni all’organismo del neonato [1]. Un test di screening neonatale deve essere semplice, sicuro, preciso e validato. I criteri generali di Wilson e

Jungner del 1968 [2] pubblicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, sebbene

sottoposti a numerose revisioni, sono ancora oggi validi nella determinazione delle patologie per cui poter attuare lo screening neonatale:

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 La patologia non è visibile al momento della nascita, il neonato appare sano.

 La patologia ha un'incidenza relativamente alta nella popolazione nazionale, cioè la condizione deve essere un problema rilevante di salute pubblica.

 Un ritardo nella diagnosi genera danni irreversibili o morte del bambino.

 L'esistenza di un test semplice, attendibile (sensibile e specifico) ed economico.

 Un intervento terapeutico tempestivo migliora il decorso della patologia e rende migliore la qualità della vita dell'individuo.

I benefici di un programma di screening devono essere superiori ai danni fisici e psicologici (causati dal test, dalle procedure diagnostiche e dal trattamento).

Nel percorso dello screening neonatale è necessario effettuare anche una pianificazione per gestire e monitorare il programma e un set concordato di standard di quality assurance. Se i portatori di una mutazione sono identificati come esito dello screening, deve essere conosciuta la storia naturale di queste persone con questa situazione, comprese le implicazioni etiche e psicologiche.

Lo screening neonatale in Italia vede le sue origini negli anni ’70 con l’avvio di studi pilota sullo screening per la fenilchetonuria, sulla scia di quanto aveva sviluppato il professor Robert Guthrie negli anni ’60 negli Stati Uniti [3]. Successivamente, negli anni 80, furono introdotti, solamente in alcune regioni, lo screening per l’ipotiroidismo congenito e per la fibrosi cistica.

Lo screening neonatale di queste tre patologie divenne obbligatorio in Italia con la legge del 5

febbraio 1992, n°104 la quale demandava alle Regioni: “l’obbligatorietà nel periodo neonatale del controllo per l’individuazione ed il tempestivo trattamento dell’ipotiroidismo congenito, della fenilchetonuria e della fibrosi cistica”. Negli anni successivi le Regioni

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hanno gradualmente attivato tale servizio: dopo l’Abruzzo e la Sardegna, dal 2016 anche la Puglia e il Friuli Venezia Giulia si sono allineate alla normativa vigente a livello nazionale e hanno attivato un servizio di screening neonatale per la FC.

Tra la 48° e la 72° ora di vita, prima della dimissione dal Punto Nascita, al neonato viene effettuato un piccolo prelievo dal tallone, attraverso il quale vengono raccolte poche gocce di sangue su apposita carta bibula assorbente, chiamata carta di Guthrie. Le procedure di laboratorio per lo screening sono usualmente costituite da analisi biochimiche e/o molecolari in campioni biologici speciali. I metodi d'analisi per lo screening neonatale classico (ipotiroidismo congenito, fibrosi cistica, iperfenilalaninemia e fenilchetonuria) sono stati per anni il test ELISA e i test immunofluorimetrici. Negli anni '90, Edwin Naylor e il suo gruppo di ricerca, partendo dai principi di spettrometria di massa, già noti ed applicati in altri campi della biochimica, approvarono l'utilizzo della Tandem Mass (o Spettrometria di Massa-Massa) per lo screening neonatale, ampliando così il pannello di malattie riconoscibili partendo sempre dal semplice spot di sangue su carta di Guthrie [4]. Tale tecnica ha permesso di ampliare il numero di patologie, fino ad oltre 40 malattie, per lo più si tratta di malattie metaboliche [9].

Nel 2016 è entrata in vigore una legge che prevede che ogni nuovo nato in Italia debba essere sottoposto gratuitamente allo screening neonatale esteso o screening neonatale metabolico allargato (Legge 167/2016), per oltre 40 malattie metaboliche, eseguito con sullo stesso prelievo di sangue effettuato per lo screening neonatale classico. Uno dei cambiamenti più rilevanti che ha amplificato il ruolo dello screening neonatale e incrementato l’offerta del pannello di patologie sottoposte a screening, riguarda le maggiori disponibilità di nuove opzioni terapeutiche come la terapia enzimatica sostitutiva, il trapianto di midollo e la terapia genica. Sino ad oggi lo screening neonatale esteso è stato prerogativa solo di alcune regioni che hanno avviato specifici programmi o progetti pilota per effettuare questo test a tutti i neonati alla nascita; la Regione Toscana già nel 2000 introdusse tale screening allargato, anticipando così il pannello approvato con il decreto ministeriale nel 2016.

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La delibera 909/2018 della Regione Toscana ha ulteriormente esteso lo screening neonatale a tre malattie di accumulo lisosomiale (malattia di Pompe, malattia di Fabry e mucopolisaccaridosi I) e alle immunodeficienze severe combinate (SCID), primo esempio in Italia.

2.2 La fibrosi cistica

La fibrosi cistica (FC) è la malattia ereditaria letale più comune nella popolazione caucasica, si stima che nel mondo ne siano colpite circa 80.000-100.000 persone, maschi e femmine indifferentemente. L’incidenza complessiva in Europa e nel Nord America è stimata di 1 neonato malato ogni 2500-4000 nati vivi (Figura 1) [6]. In Italia, dall’ultimo Registro Italiano di FC [7] risultano 5362 malati di FC e vengono diagnosticati 150-160 nuovi casi all’anno, di cui circa il 13% in età adulta.

Figura 1. L’incidenza della Fibrosi Cistica nel mondo secondo l’Organizzazione Mondiale

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La FC è una malattia genetica a trasmissione autosomica recessiva, correlata alla anomalia di una proteina, di 1480 aminoacidi, denominata CFTR (Cystic Fibrosis Transmembrane

Conductance Regulator), presente sulla membrana apicale delle cellule epiteliali dove svolge

una funzione di regolazione degli scambi idroelettrolitici [8]. Il gene codificante questa proteina, identificato nel 1989, si trova nel braccio lungo del cromosoma 7 [9]; attualmente sono riportate oltre 2000 diverse mutazioni a carico di questo gene. La frequenza delle mutazioni è differente nelle varie nazioni e anche nelle regioni di una singola nazione, data la diversa origine delle popolazioni che vi si sono insediate [10]. La mutazione più frequente in assoluto è la F508del, questa mutazione è presente in circa il 70% di tutti i cromosomi FC delle popolazioni anglosassoni e del nord Europa, mentre nelle popolazioni dell’area mediterranea (compresa l’Italia) interessa mediamente il 50%, con differenze a seconda delle regioni, in relazione alla peculiare situazione geografica ed etnica [7] (Figura 2).

Figura 2. Numero complessivo di pazienti in Italia portatori di almeno una mutazione con

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Tutte le mutazioni incidono a livelli diversi sulla struttura del gene e inducono anomalie strutturali variabili della proteina CFTR, comportando così alterazioni che vanno dalla mancata sintesi, a difetti di processamento o di traffico intracellulare, alla ridotta funzione. Per tale motivo le mutazioni possono essere suddivise in 6 classi a seconda del loro effetto sulla funzione della proteina CFTR [11], visibili nella Figura 3.

Alcune mutazioni del gene CFTR, che concorrono a formare particolari genotipi, possono determinare a livello fenotipico una malattia complessivamente più severa.

I sintomi della malattia sono in genere più gravi se la proteina CFTR è alterata in modo importante o è del tutto assente sulla membrana, come succede in presenza di mutazioni classificate come appartenenti alle classi I, II e III; i sintomi sono più lievi se è prodotta una quota anche minima di proteina CFTR normalmente funzionante, come succede con le mutazioni classificate come di classe IV, V e VI.

Queste osservazioni hanno una certa validità generale, ma difficilmente si confermano in ogni singolo caso, perché nel determinare l’evoluzione della malattia, oltre al genotipo CFTR, concorrono altri fattori, genetici e non genetici, solo in minima parte oggi conosciuti.

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Il CFTR assente o alterato determina un difettoso trasporto di cloro e conseguentemente presenza di secrezioni poco idratate a livello delle cellule epiteliali presenti nei vari apparati dell'organismo. Poiché la proteina CFTR è ubiquitaria, la FC è una malattia multisistemica: gli organi ed i sistemi più colpiti sono i polmoni e le alte vie respiratorie, il tratto gastrointestinale, il pancreas, il fegato, le ghiandole sudoripare e l’apparato genito-urinario [11]. Si hanno così l'accumulo di muco nei bronchi, l'ispessimento del succo pancreatico e i caratteristici elevati livelli di cloro nel sudore che permettono la diagnosi con il test del sudore [12].

Nel 2017 la Cystic Fibrosis Foundation ha pubblicato le nuove linee guida per la diagnosi di fibrosi cistica sia in epoca neonatale che in età adulta [13]. La definizione di FC è basata su criteri multipli: la presenza di almeno una delle caratteristiche fenotipiche (segni e/o sintomi di FC) o familiarità per FC o uno screening neonatale positivo, con riscontro di anormalità della proteina CFTR documentata da almeno una delle seguenti condizioni:

1) concentrazione elevate di cloro nel sudore valutate tramite test del sudore standardizzato (almeno due misurazioni patologiche),

2) identificazioni di 2 mutazioni del gene CFTR causanti la FC,

3) dimostrazione in vivo di difetto di funzione della proteina CFTR (tramite studio NPD,

nasal potential difference o ICM intestinal current measurement).

Dal 2008 è stato in introdotto il nuovo concetto di CFTR related disease (CFTR-RD, disordine correlato al CFTR) che consiste in un’entità clinica associata a disfunzione del CFTR che non rispetta i criteri per la diagnosi di FC: il test del sudore non è francamente patologico o i sintomi di FC sono presenti ma in un solo organo (atresia dotti deferenti / pancreatite / bronchiectasie) o le mutazioni CFTR rilevate non hanno una conseguenza fenotipica chiara [14].

La diagnosi definitiva di FC viene posta mediante test del sudore secondo metodica di Gibson

e Cooke che consiste nell’ induzione della sudorazione mediante iontoforesi pilocarpinica, e

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con cloro ≥ 60 mmol/l, negativo con cloro ≤ 29 mmol/l e borderline con cloro tra 30 e 59 mmol/l se l’età è inferiore a 6 mesi, tra 40 e 59 mmol/l se l’età è maggiore di 6 mesi. Un lattante con screening positivo e con il cloro sudorale superiore a 60 mmol/l, in almeno due test del sudore, è considerato affetto da FC anche in assenza completa di sintomatologia. La FC, patologia multisistemica, di tipo cronico ad andamento evolutivo, rappresenta la principale causa di pneumopatia severa e di insufficienza pancreatica esocrina nelle prime fasi di vita. Il carente trasporto di cloro nell’epitelio bronchiale comporta la produzione di muco anomalo che porta all’ostruzione delle vie aeree, alla infiammazione cronica ed a infezioni polmonari ricorrenti, che producono una malattia polmonare cronica ostruttiva evolutiva fino all’insufficienza respiratoria, che è la causa di morte in oltre il 90% di questi soggetti. L’insufficienza pancreatica è presente alla diagnosi in più dell’80% dei pazienti ed in oltre il 90% con l’aumentare dell’età. Questa è causa di malassorbimento di grassi, proteine e vitamine liposolubili, che comporta malnutrizione e difetto di crescita. L’ileo da meconio è la più precoce manifestazione clinica della FC, presente in circa il 12% dei pazienti con forma clinica classica [7], ad esso si associa un andamento clinico meno favorevole con una più alta incidenza di complicazioni. Lo screening neonatale non anticipa la diagnosi per questi bambini, data la precocità dei sintomi dell’ileo meconiale.

Caratteristica della malattia è che le modalità di comparsa, l'entità dei sintomi e il decorso sono estremamente variabili. La prognosi è principalmente determinata dall'entità della broncopneumopatia; è però influenzata anche dallo stato di nutrizione, migliore nei soggetti diagnosticati precocemente tramite lo screening [16], come pure dall'aderenza al programma di cure e alla presa in carico assistenziale da parte di centri specializzati [17].

In Italia, la rilevanza sociale della fibrosi cistica è stata riconosciuta con l’istituzione dei

Centri Regionali di Riferimento e dei Servizi Regionali di Supporto per la presa in carico

globale del paziente. La legge 548/1993 riconosce a questi centri numerose funzioni assistenziali e promuove le conoscenze cliniche ed epidemiologiche, i programmi di screening, la ricerca e la formazione didattica.

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I cardini del trattamento della FC sono essenzialmente due: promuovere un buono stato nutrizionale e ritardare, o meglio, prevenire lo sviluppo della malattia polmonare [12]. Il follow-up e la cura del paziente affetto da FC è in costante evoluzione. Il continuo miglioramento nella sopravvivenza dei pazienti rappresenta il risultato principale della miglior comprensione dei meccanismi patogenetici, nonché degli sviluppi di nuovi protocolli e terapie. Nelle ultime 3 decadi la sopravvivenza media è progressivamente aumentata: negli anni ’80 più del 50% dei malati non superava i 14 anni, attualmente la sopravvivenza media di vita nei paesi occidentali è di circa 45 anni [18]. Il raggiungimento di un soggetto adulto affetto da FC indipendente e produttivo nella società, è oggi per molti un obiettivo realistico.

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3. LO SCREENING NEONATALE PER

LA FIBROSI CISTICA

3.1 Strategie di screening neonatali per la fibrosi cistica

Negli anni ’70 iniziarono i primi studi mirati ad identificare già alla nascita i neonati affetti da fibrosi cistica. Con il termine screening neonatale della fibrosi cistica (newborn screening for

cystic fibrosis, NBSCF) si definisce un programma coordinato di procedure laboratoristiche

condotto nella popolazione neonatale, finalizzato all’individuazione di soggetti a rischio per la malattia, al fine di avviarli precocemente all’accertamento diagnostico, che ancor oggi è rappresentato dal test del sudore. I test di screening, grazie all’evoluzione della biologia e delle tecnologie di laboratorio, negli anni si sono perfezionati e sono diventati sempre più specifici e sensibili. Lo scopo dello screening neonatale per la FC, così come per le altre patologie oggi sottoposte a screening, è di rilevare la più alta percentuale di malati con il numero minore possibile di falsi positivi, ed al costo economico minore possibile [19]. Lo screening neonatale della FC secondo gli ultimi standard della ECFS (European Cystic

Fibrosis Foundation) deve avere una sensibilità maggiore o uguale al 95%, un valore

predittivo positivo (PPV, rapporto tra numero dei falsi negativi e numero totale dei positivi al test) di minimo 30%; il tempo che passa dalla nascita alla prima visita in un centro specialistico di FC deve essere ridotto al minimo: viene raccomandato un tempo massimo di 35 giorni, e comunque non oltre 58 giorni [12].

Attualmente, nei paesi sviluppati, la metodologia usata per lo screening dispende da molteplici fattori organizzativi, geografici, genetici, ed economici; ogni Stato o Regione,

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dovrebbe infatti plasmare il proprio progetto di screening in relazione alla genetica del CFTR della popolazione e in base alle infrastrutture disponibili nel sistema sanitario [12].

I neonati che risultano positivi a queste tappe devono ricevere una conferma diagnostica tramite il test del sudore [13]. Questo è il test più sensibile per la diagnosi della malattia, ma non può essere praticato prima di 2 settimane di vita poiché la maggior parte dei bambini non riesce a produrre quantità sufficienti di sudore prima di tale età. Un appropriato supporto ai genitori del bambino con nuova diagnosi di FC e l’indirizzo verso un Centro specifico per la cura della FC sono elementi fondamentali di tali programmi [19]. Il successo di questi programmi, indipendentemente dalla metodica utilizzata, risiede infatti in uno stretto collegamento multidisciplinare tra i vari soggetti che ruotano attorno allo screening: genitori del neonato, personale sanitario delle Neonatologie (ostetriche, infermiere neonatologi), Laboratorio del Centro Screening, Centro FC di Riferimento, medici genetisti, pediatri di famiglia, personale che gestisce il Database dello Screening [20].

Nessun metodo o strategia è ideale per tutte le realtà regionali, quindi è fondamentale documentare gli esiti dello screening così da poter valutare nel tempo i benefici e gli eventuali danni [21].

Di seguito sono elencati i test di screening per la fibrosi cistica più significativi. Spesso queste opzioni sono utilizzate in associazione, con combinazioni diverse che rendono molto eterogenee le diverse strategie di screening neonatale nel mondo. Ogni strategia avrà quindi una propria specificità e sensibilità, cioè una propria percentuale di falsi positivi e falsi negativi.

3.1.1 Programma di analisi dell’albumina indigerita su meconio (SQRID)

A metà degli anni ’70 gli studi sul meconio, come la misurazione dell’albumina nel meconio, furono i primi ad essere utilizzati [22]. Tale screening consisteva nel dosaggio nel meconio dell’albumina indigerita, i cui livelli nei neonati affetti da FC sono elevati, e si basava su una

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tecnica di immunodiffusione radiale secondo Mancini, attuata su piastre di agarosio miscelato ad anticorpi anti-albumina [23]. Tale test di screening risultava però poco sensibile, facendo sfuggire un numero di malati troppo elevato (bassa sensibilità), pertanto oggi non viene più utilizzato.

3.1.2 Programma IRT/IRT

Lo screening neonatale per la FC divenne concretamente fattibile dalla fine degli anni ‘70 con l’avvento di un test per il dosaggio della tripsina immunoreattiva (IRT) su sangue adsorbito su carta da filtro e disidratato (carta di Guthrie) [24,25], procedura già usualmente utilizzata fin dagli anni ’60 per l’esecuzione di altri screening neonatali [3]. Il razionale per l’impiego di tale test per selezionare alla nascita i pazienti affetti da FC deriva dal riscontro di valori elevati di questo enzima nel torrente circolatorio dei neonati FC nei primi mesi di vita, probabilmente da attribuire al reflusso della tripsina verso il torrente ematico per una ostruzione dei dotti pancreatici. Elevati livelli di IRT sono riscontrati anche nei pazienti FC con sufficienza pancreatica e raramente anche in alcuni portatori [26].

È stata evidenziata la tendenza dei neonati con FC ed ileo da meconio ad avere livelli di IRT generalmente all’interno del range di normalità [27,28]. Per tale motivo i neonati che presentano ileo da meconio, così come i neonati con storia familiare di fibrosi cistica, oltre ai test di screening, è consigliabile che effettuino comunque un test diagnostico del sudore [19]. Il problema maggiore di un singolo dosaggio con IRT-test è rappresentato dalla bassa specificità, cioè dall’alto numero di falsi positivi, infatti un’ampia varietà di condizioni cliniche può essere associata ad ipertripsinemia nel periodo natale. Un incremento dell’IRT è stato rilevato nella trisomia 13 e 18 [29,30]. Livelli elevati di IRT sono stati trovati anche nei neonati con infezioni congenite, insufficienza renale, atresia intestinale e diabete insipido nefrogenico [31, 32]. Generalmente lo stress aspecifico perinatale può essere un fattore importante nella ipertrispsinemia [33].

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Per superare il problema della bassa specificità del test nei primi giorni di vita (il primo campione di sangue viene infatti raccolto in 3°- 4° giornata di vita), nei soggetti risultati positivi al test si può eseguire un secondo prelievo di sangue (retesting) dopo 2-4 settimane, per confermare o escludere la condizione di ipertripsinemia [34]. Tale programma di screening detto IRT1/IRT2 (detto anche “programma biochimico a doppio richiamo”) prevede

appunto l’esecuzione di un secondo prelievo per la seconda determinazione di IRT in tutti i soggetti con il primo valore, nei primi giorni di vita, superiore al cut-off. Il declino dei livelli di IRT nel sangue è molto più veloce nei falsi positivi che nei soggetti con FC [35,36]. Prelievi eseguiti oltre la 6°-8° settimana di vita, per ridotta sensibilità e il rischio più elevato di false negatività si ritengono inadeguati alle finalità di screening. Con il secondo dosaggio dell’IRT il test di screening risulta più specifico, e con un valore predittivo positivo più alto, ma ha lo svantaggio di dover richiamare il bambino e i genitori in ambiente ospedaliero per eseguire il prelievo. Esiste un’ampia variabilità nel tasso di declino dell’IRT nei pazienti con FC: alcuni mostrano già una normalizzazione dell’IRT tra i 40 e i 60 giorni di vita [37] altri presentano livelli di IRT elevati fino ad un anno e oltre [38]. Sembra che ci sia anche una minima variabilità etnica dei livelli di IRT nel periodo neonatale: i neonati di origine afro-americana paiono avere livelli mediamente più alti [39].

Non avendo il parametro IRT una distribuzione normale (gaussiana) il valore di cut-off viene definito mediante l’uso dei percentili (statistica non parametrica). I cut-off dell’IRT sono variabili a seconda delle tecniche di laboratorio e degli obiettivi di sensibilità e specificità dei programmi di screening. Mediamente il cut-off del primo IRT si attesta tra i 50 e i 70 ng/ml che corrisponde al 99°- 99,5° percentile; mentre il cut-off dell’IRT del prelievo di richiamo è significativamente più basso (circa 20-30 ng/ml) [40]. Usando un valore più basso di cut-off di IRT, esempio del 95° percentile si andrebbe a ridurre drasticamente il valore predittivo positivo. I valori di IRT riportati nelle stagioni più calde risultano apparentemente ridotti, come da degradazione della proteina con il calore, per questo motivo alcuni laboratori

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aggiustano continuamente i cut-off (“floating cut-off”) attraverso il monitoraggio continuo dei valori di IRT nel tempo [26].

Tali test basati sul dosaggio dell’IRT su sangue risultano più sensibili e specifici se confrontati con i vecchi test su meconio [40, 41].

Sebbene il dosaggio dell’IRT sia uno strumento molto valido per lo screening, anche i programmi più efficaci avranno dei casi non rilevati di FC. Indubbiamente la causa più comune di un falso negativo è il valore del primo IRT al di sotto del cut-off. Ridurre il cut-off del primo IRT è il più semplice modo di migliorare la sensibilità [19]. Tuttavia, anche una piccola riduzione del cut-off del primo IRT avrà un sostanziale effetto sul valore predittivo positivo, con un aumento del numero di bambini falsamente positivi allo screening, richiedendo così un notevole dispendio di risorse per l’incremento dei richiami al secondo IRT.

Secondo la best practice della ECFS del 2018 [12] il numero dei neonati richiamati per l’esecuzione della seconda raccolta di sangue per il secondo dosaggio dell’IRT (indice di richiamo, “recall rate”), dovrebbe essere costantemente monitorato e non dovrebbe superare lo 0,5% dei nati; più di 20 bambini richiamai allo screening ogni 1000 nati (2%) è sempre da considerare un valore inaccettabile.

Dagli anni 90’ nei laboratori di screening si è iniziato ad utilizzare saggi immunoenzimatici (EIA, ALISA, DELFIA ecc.) per il dosaggio dell’IRT implementati su analizzatori automatizzati o semiautomatizzati. Questi saggi, confrontati con i convenzionali saggi radioimmunologici, offrono i vantaggi di una riduzione degli errori dovuti a manipolazione dei campioni, impiego dei reagenti non radioattivi, riduzione dei tempi di lavoro e più elevate sensibilità e specificità.

Anche per questi motivi il dosaggio dell’IRT è oggi in tutto il mondo alla base della totalità dei programmi dei test di screening neonatale per la FC [34].

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3.1.3 Programma IRT/IRT + LACT

Il programma di screening IRT/IRT + lattasi (LACT) implica la raccolta, aggiuntiva rispetto a quella ematica, di un campione di meconio neonatale da inviare al Centro Screening. Il test per la lattasi può essere considerato un test complementare al dosaggio dell’IRT che può evidenziare precocemente l’insufficienza pancreatica. Il razionale per l’utilizzo della lattasi, un enzima labile proteolitico prodotto dalla mucosa intestinale, è costituito dai suoi elevati livelli meconiali nella maggior parte dei neonati con FC [42]. La lattasi meconiale si considera positiva se ha valori > 0,5 U/grammo di feci [43]. I programmi di screening che utilizzano la lattasi vengono usualmente associati al dosaggio della tripsina immunoreattiva (IRT).

Il primo step del programma IRT1/IRT2 + LACT (detto anche “programma biochimico

integrato a doppio richiamo”) prevede il dosaggio dell’IRT nelle gocce di sangue essiccato, seguito dal contemporaneo dosaggio della lattasi sullo striscio meconiale nei casi in cui l’IRT risulti sopra i livelli stabiliti di cut-off. Confrontando i due risultati così ottenuti (primo IRT e LACT) viene deciso se fermarsi considerando lo screening negativo, oppure procedere al secondo dosaggio dell’IRT (IRT2) su sangue essiccato prelevato a 3-4 settimane di vita

(retesting). Il test del sudore viene effettuato se anche IRT2 è risultato positivo. In alcuni

protocolli, nei soggetti ad alto rischio, ciò quelli con IRT1 molto elevato (superiore al 99,5°

percentile) e lattasi positiva, vengono richiamati immediatamente per eseguire il test del sudore, risparmiando così tempo e risorse per il retesting di IRT2.

Il dosaggio della lattasi meconiale ha quindi il beneficio di ridurre il numero dei retesting e di velocizzare la diagnosi in quei soggetti ad alto rischio che vanno direttamente al test del sudore senza retesting [44].

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3.1.4 Programma IRT/ PAP

La pancreatitis-associated protein (PAP) è una proteina ematica, assente in condizioni di normalità e secreta dal pancreas in condizioni di stress (infettivo-infiammatorie o degenerative).

Nei soggetti con FC, è stato scoperto negli anni ’90, che la produzione di questa proteina inizia già in utero, correlandosi all’entità del danno pancreatico e determinando la presenza ematica alla nascita (range 0,8-15,8 µg/l). Pertanto dalla fine degli anni ’90 questa proteina venne presa in considerazione come nuovo candidata per lo screening della FC [45,46]. Il dosaggio del PAP, effettuato sulla stessa goccia di sangue dove veniva effettuato il dosaggio dell’IRT, fu introdotto da Sarles et al. nel programma di screening neonatale, come secondo step dopo il dosaggio dell’IRT [47]. Diversi programmi di screening si basano sulla variazione di questo protocollo IRT + PAP e raggiungono una sensibilità accettabile, tra il 76% e il 96% [48-50]. Il valore predittivo positivo (PPV) dei programmi IRT/PAP però risulta mediamente inferiore rispetto ai programmi IRT/DNA [51-53], che saranno descritti nel paragrafo successivo.

Rispetto ai primi anni dalla scoperta, il test per dosaggio del PAP, di tipo fotometrico, è stato rivisto e sostituito con altri tipi di test come un kit per ELISA di anticorpi monoclonali [49] oppure un test di tipo fluorometrico [54].

Questi avanzamenti della tecnologia di laboratorio suggeriscono la necessità di rivedere i livelli di cut-off del PAP. Sembra che, rispetto ai protocolli IRT/DNA, la combinazione di IRT e PAP permetta una più specifica selezione di pazienti candidati al test del sudore e una riduzione dei costi e dei casi di CFSPID (CF screen-positive inconclusive diagnosis) [49,54,55].

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3.1.5 Programma IRT/DNA

Dagli inizi degli anni ’90 divenne possibile, grazie alla scoperta del gene CFTR, inserire nel test di screening l’analisi del DNA che esaminava l’eventuale presenza di un pannello di mutazioni causanti malattia (CF-causing mutation) [56,57].

Nel programma di screening l’analisi genetica non si effettua mai come primo livello ma come secondo o terzo step (dopo il dosaggio di IRT1). È possibile effettuare tale ricerca

genetica sulla stessa goccia di sangue usata per il dosaggio dell’IRT, evitando al neonato ulteriori prelievi di campioni biologici. Inizialmente, in alcuni protocolli di screening veniva ricercata esclusivamente la mutazione F508del, la più comune mutazione nella popolazione con FC [58], successivamente negli anni il pannello di mutazioni si è progressivamente ampliato nella maggior parte dei protocolli esistenti [59].

Alcuni Centri di screening, attraverso l’analisi genetica, non richiedono più un secondo esame IRT ma procedono subito all’analisi di mutazioni sul primo campione di sangue risultato IRT positivo e passano in un secondo momento al test del sudore, se al test genetico viene rilevata 1 o 2 mutazioni causanti la FC [19]. Il protocollo IRT/DNA ha il vantaggio di rimuovere la necessità di un secondo campione, migliorando così la tempestività della diagnosi. Questa procedura ha infatti permesso di diminuire in misura importante il numero dei recall con primo dosaggio di IRT sopra il cut-off (falsi positivi). Per i bambini che portano due mutazioni incluse nel pannello, l'uso di un protocollo IRT/DNA può ridurre sostanzialmente il tempo di diagnosi, in alcuni casi, a meno di 14 giorni di età [60]. La sensibilità del test di screening con IRT/DNA può essere influenzata dal grande numero di mutazioni CFTR esistenti, alcune con una bassissima incidenza nella popolazione, per cui la possibilità di perdere una mutazione rara, ma causante la malattia, è un dilemma dei protocolli IRT/DNA. Tale eventualità è un problema di notevole importanza nei paesi, come ad esempio in Italia, in cui è presente una grande variabilità genetica delle mutazioni del CFTR [61].

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Per affrontare parzialmente questo problema è possibile adattare il protocollo in modo da ricercare al primo step un pannello di mutazioni che copra il maggior numero possibile di mutazioni nella specifica regione dove viene effettuato lo screening. Infatti generalmente il pannello di mutazioni sottoposte a screening copre una frequenza variabile a seconda della popolazione di appartenenza, questo perché alcune mutazioni sono più rappresentate in specifiche popolazioni. Tra le mutazioni (“causanti FC” o a “conseguenza cliniche variabili”) peculiari di alcune regioni d’Italia c’è ad esempio la S737F in Toscana, la mutazione T338I nella popolazione sarda o la R1162X presente quasi esclusivamente nel Nord-Est italiano [62].

La percentuale di mutazioni che copre il pannello rispetto alla variabilità di mutazioni presenti sul territorio, definisce il “detection rate” del test genetico; generalmente negli anni il detection rate è andato aumentando. Sulla base della legge di Hardy-Weinberg [63] un

detection rate molto al di sopra dell’80% ha un effetto minimo sui falsi negativi, mentre va

ad incrementare considerevolmente la rilevazione di portatori sani (Figura 4) [19]. La presenza di 2 mutazioni causanti FC consente di porre diagnosi di malattia; in caso di identificazione di una sola mutazione, è il test del sudore (ma non sempre) che può discriminare tra portatori e malati.

Figura 4. Effetto del CFTR mutation coverage dello screening sulla percentuale di

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Successivamente, come secondo step, nei soggetti con screening positivo ad alto rischio ma con mutazioni apparentemente non evidenziabili, sarà possibile approfondire l’analisi genetica con il sequenziamento del gene CFTR (EGA, extended genetic analysis by

sequencing) per evidenziare l’eventuale seconda mutazione non presente nel pannello dello

screening [64].

Sebbene oggi con la tecnica della next- generation sequencing, sia diventato possibile sequenziare un gene senza un eccessivo dispendio di risorse economiche e di tempo, tale analisi genetica non può essere applicata routinariamente dopo un IRT1 positivo, in quanto i

costi sarebbero eccessivi, il tempo per la diagnosi sarebbe troppo lungo e aumenterebbe l'incertezza diagnostica a causa dell'identificazione di un elevato numero di mutazioni ad esiti fenotipici non chiari.

La positività al test genetico, indipendentemente dall’esito del test del sudore, dovrebbe essere sempre associata ad una consulenza genetica ai genitori [19].

Il protocollo IRT/DNA in USA e in Europa presenta una sensibilità variabile che va dall’86,6% al 97,5%, dipendente principalmente dai cut-off dell’IRT1 e dalla eterogeneità

allelica delle mutazioni del CFTR [65].

Nei vari Stati e Regioni del mondo dove lo screening per la FC è effettuato, vengono attuati una combinazione variabile tra i vari protocolli IRT1/IRT2 ± LACT ± PAP ± DNA ± EGA,

che comporta quindi una notevole frammentazione dei risultati dello screening in termini di specificità, sensibilità, PPV, costi, vantaggi e svantaggi [34]. Oggi, nella maggior parte dei programmi di screening, il test IRT è seguito dall’analisi di un pannello di mutazioni causanti la malattia.

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3.2 Il razionale dello screening neonatale per la

fibrosi cistica

Per la gestione ottimale del paziente con FC è ormai noto che è necessario un approccio multidisciplinare che agisca sui molteplici aspetti della malattia, in modo da ripercuotersi su una migliore qualità di vita e sopravvivenza [12,66]. Lo screening neonatale per la FC permette una diagnosi precoce e sebbene questa non possa attualmente essere seguita da un intervento terapeutico risolutivo, le sono riconosciuti vantaggi che riguardano diversi aspetti [19]. Il fondamento di ogni programma di screening è che il neonato con uno screening positivo venga fin da subito indirizzato verso i centri specialistici (in Italia sono presenti i Centri di Riferimento specifici per ogni Regione) capaci di effettuare diagnosi corretta e di intervenire sulla malattia secondo gli standard di cura dell’attuale best practice [12].

Dall’introduzione dello screening neonatale l’età media di diagnosi si sta progressivamente abbassando, anche se, paradossalmente, il numero di pazienti diagnosticati tardivamente aumenta ogni anno per la sempre maggiore diagnosi di forme CFTR-related disease. Una diagnosi di FC prima dei 2 mesi di vita è l’obiettivo ideale dello screening neonatale, in quanto una diagnosi più tardiva si associa ad un peggior outcome e una maggiore necessità di terapie [67].

Dall’ultimo Registro Italiano Fibrosi Cistica [7] si evince che la percentuale dei pazienti diagnosticati entro il compimento del secondo anno è del 71% (anno 2016); mentre la percentuale dei pazienti con screening neonatale positivo diagnosticati entro il compimento del secondo anno di vita aumenta dal 72,5% nel 2011 al 93,2% in concomitanza con l’attivazione dei programmi di screening neonatale in tutte le Regioni italiane.

Le autorità sanitarie devono bilanciare il rapporto rischi / benefici di uno screening neonatale per la FC relativamente alla loro popolazione; in particolare se l'incidenza della FC è ≤ 1/7000 nascite, è necessaria un'attenta valutazione per studiare la validità di un programma di

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screening; il protocollo infatti deve causare il minimo impatto negativo possibile sulla popolazione [12].

Il calo di incidenza della FC, dovuto essenzialmente allo screening del portatore, non dovrebbe compromettere l'indicazione ad effettuare un programma di diagnosi precoce di FC; lo screening neonatale e lo screening del portatore hanno ruoli complementari e nessuno dei due può sostituire l'altro [68].

Gli effetti dello screening neonatale per la FC sono stati estensivamente studiati e dibattuti. Al contrario delle altre due patologie soggette a screening neonatale obbligatorio dal 1992 (la fenilchetonuria e l’ipotiroidismo congenito), per la FC c’è stato in passato una discussione sull’evidenza che lo screening rispetti o meno il criterio dell’OMS del miglioramento significativo dell’outcome del bambino.

Due grossi trials randomizzati controllati (RCT) effettuati, uno in USA [69,70] e l’altro nel Regno Unito [71,72] hanno dimostrato che lo screening comporta diversi vantaggi potenziali su molteplici aspetti clinici, ma con alcuni rischi iatrogeni da non sottovalutare. Altre evidenze che supportano lo screening neonatale sono derivate dall’analisi di grandi database clinici [73-75] oppure da studi di coorte retrospettivi [76-80], i risultati di questi ultimi però sono inevitabilmente influenzati dal generale notevole incremento della sopravvivenza media dei malati di FC avvenuta progressivamente negli ultimi 30 anni.

La diagnosi tardiva di FC è stata associata ad uno stato generale di salute peggiore (FEV1

ridotto, rallentamento della crescita, maggiore incidenza di infezione cronica da

Pseudomonas aeruginosa, maggiori ospedalizzazioni) rispetto ai malati che hanno ricevuto

una diagnosi precoce (a 1-2 mesi di vita) tramite screening neonatale [81].

Un workshop del 2004 del CDC (Central Disease Control degli Stati Uniti) ha concluso che sulla base di una preponderanza delle evidenze, i benefici dello screening per la salute dei bambini con FC superano gli eventuali rischi di effetti negativi, pertanto giustificano lo screening per la FC [82]. In USA lo screening per la FC è praticato universalmente a tutti i nati dal dicembre 2009.

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Le ultime raccomandazione del 2018 della ECFS riportano che c’è una “chiara evidenza nel

supportare lo screening neonatale per la fibrosi cistica” [12].

Per questi motivi la pratica dello screening neonatale si va sempre più estendendo nei paesi occidentali, compresa l’Europa (Figura 5).

Figura 5. Espansione 2000-2016 in Europa del test di screening per la FC. In verde scuro gli

stati che hanno un programma di screening nazionale, in verde chiaro gli stati che hanno programmi singoli regionali, in arancione gli stati stati che stanno prendendo in considerazione di iniziare lo screening per la FC. Figura di Barben et al. [84]

Da quanto affermato dalla European Cystic Fibrosis Society Neonatal Screening Working Group, sembra però che ancora circa 2 milioni di bambini ogni anni in Europa non abbiano accesso allo screening per la FC [83].

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3.2.1 Vantaggi dello screening neonatale per la fibrosi cistica

- Malattia pancreatica, stato nutrizionale e crescita

L’assorbimento alimentare deficitario, per la presenza di insufficienza pancreatica e il consumo energetico aumentato, per l’infiammazione cronica polmonare, determinano un fabbisogno calorico maggiore rispetto a quello della popolazione generale; pertanto conservare un buono stato nutrizionale è particolarmente difficile nei pazienti con FC. Diversi studi dimostrano l’associazione tra malnutrizione e funzionalità polmonare e quindi prognosi della malattia, infatti il mantenimento di un buono stato nutrizionale è necessario per garantire una maggiore sopravvivenza e una migliore qualità della vita in pazienti con fibrosi cistica [85]. L'identificazione precoce e il trattamento del malassorbimento intestinale è fondamentale per il raggiungimento di uno stato nutrizionale ottimale [86].

Una diagnosi precoce di FC nelle prime settimane di vita, permette di iniziare subito una terapia con enzimi pancreatici sostitutivi nei pazienti con insufficienza pancratica accertata [87]. Il beneficio sullo stato nutrizionale è stato uno dei primi aspetti vantaggiosi dello screening ad essere stato riportato; gli studi di Farrell et al [69,88] dimostrarono come i bambini che ricevevano la diagnosi tramite screening presentavano valori antropometrici migliori durante il follow-up e una ridotta incidenza di malnutrizione, soprattutto chi aveva una FC con insufficienza pancreatica. Tale evidenza venne poi ribadita dalla Cochrane del 2009 [89]. Tramite i programmi di screening con IRT/DNA è possibile identificare da subito pazienti con mutazioni ad alto rischio di avere insufficienza pancreatica, i quali richiederanno uno stretto follow-up per monitorare la funzione pancreatica nella eventualità di iniziare prontamente una terapia sostitutiva.

Un effetto positivo sulla crescita, vista come migliori percentili dei valori di lunghezza e peso, rispetto ai bambini che ricevevano diagnosi per sintomi, fu rilevata in uno dei RCT sopracitati [69] e in diversi altri studi [73,78,81,90-92].

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La carenza di proteine e vitamine liposolubili può essere una conseguenza di una diagnosi di FC ritardata, infatti lo screening sembra prevenire queste carenze [93]. In un RCT i bambini con FC diagnosticata tramite screening hanno mediamente livelli più elevati di vitamina E rispetto ai diagnosticati tramite sintomi, mentre lo sviluppo cognitivo non sembra essere statisticamente migliore in chi aveva ricevuto diagnosi tramite screening [94]. Inoltre lo screening, grazie alla precoce supplementazione salina finalizzata a evitare la sindrome da perdita di sali, permette di attuare una prevenzione della mortalità per FC in epoca neonatale correlata all’alcalosi metabolica tipica dei primi mesi di vita.

- Funzione polmonare

Nel paziente affetto da FC l’entità del danno polmonare è l’elemento che correla maggiormente con la prognosi. La patologia polmonare riflette la crisi della clearance muco-ciliare, mediata dal deficit di funzione del CFTR; il meccanismo patogenetico è complesso e riconosce il ruolo di fattori esterni e geni modificatori rendendo così conto della variabilità di insorgenza e della gravità della malattia broncopolmonare [95]. L’esordio della patologia polmonare è quanto mai variabile sia per età di insorgenza che per gravità della patologia stessa, che tuttavia è classicamente evolutiva.

Nel RCT statunitense [70] è stato verificato che il gruppo di bambini che riceveva diagnosi tramite screening aveva meno alterazioni polmonari evidenziabili nella prima radiografia del torace effettuata, rispetto ai bambini diagnosticati tramite sintomi; ma tale differenza con l’età tendeva a ridursi fino ad annullarsi.

Studi effettuati sul database americano [93] hanno mostrato una migliore funzione polmonare nel gruppo dei diagnosticati con screening sia tra i 6-10 anni che tra gli 11-20 anni. È stato evidenziato anche un numero maggiore di pazienti con FEV1 inferiore al 70% nel gruppo che

riceveva diagnosi tramite sintomi, rispetto a quelli tramite screening [74].

In un lavoro sul database dei pazienti CF del Regno Unito [96] non sono state trovate differenze di funzione polmonare tra i due gruppi, sebbene la coorte dei pazienti diagnosticati

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con screening avesse ricevuto un numero significativamente inferiore di trattamenti antibiotici. Uno studio australiano [79] ha mostrato una migliore funzione polmonare fino a 15 anni, mentre uno studio di coorte tedesco [76] solo fino a 12 anni.

- Ospedalizzazione

Il numero di ospedalizzazione e la necessità di terapia antibiotiche per via endovenosa riflette indirettamente la progressione e la prognosi della malattia. Nel RCT britannico [71] e in due studi osservazionali [90,93] i pazienti con FC non sottoposti a screening avevano 2-3 volte più ricoveri ospedalieri rispetto ai pazienti identificati con screening neonatale. Un più basso numero di trattamenti endovenosi e per via aerosolica è stato trovato nei neonati diagnosticati con screening rispetto ai neonati non diagnosticati con screening, a parità di genotipo CFTR e condizione cliniche. Questo suggerisce che il peso delle cure è ridotto per le famiglie di neonati diagnosticati con screening [92,96].

- Sopravvivenza

Nel RCT americano [70] non è stata eseguita alcuna analisi di sopravvivenza e nel RCT anglosassone è stato rilevato un rischio inferiore di morte prematura nei pazienti diagnosticati con screening, anche se i dati si riferiscono a piccoli numeri da prendere con cautela [72]. Una revisione sistematica della letteratura riporta una mortalità ridotta nella coorte dei pazienti FC diagnosticati con screening [75].

Uno studio retrospettivo italiano di circa 40 anni (1971-2014), dimostra come la mortalità dei pazienti con FC severa, sia significativamente maggior nei soggetti che avevano ricevuto diagnosi tramite sintomi rispetto quelli per screening [97].

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- Effetti psicosociali

L’analisi degli aspetti psicologici (sia positivi che negativi), derivanti dal test e dalle procedure diagnostiche successive, è un elemento di importante valutazione nell’ambito di uno screening.

Molti genitori che hanno avuto un figlio che ha ricevuto la diagnosi tramite sintomi riferiscono che avrebbero preferito una diagnosi precoce in quanto hanno sofferto un lungo periodo caratterizzato da ansia ed incertezza prima di arrivare alla diagnosi [98]. Le famiglie con un figlio diagnosticato tramite screening non sono costrette a sperimentare la cosiddetta “odissea diagnostica” per arrivare alla diagnosi conclusiva di FC, né devono sperimentare diversi test diagnostici e trattamenti non specifici, prima di giungere ad una diagnosi certa. Alcuni studi psicologici mostrano un ridotto livello di stress nei genitori con figli diagnosticati tramite screening rispetto a quelli diagnosticati con sintomi [99,100].

- Farmaci modulatori del CFTR

Il recente sviluppo del trattamento della FC con i nuovi farmaci modulatori (ivacaftor, lumacaftor, tezacaftor, elexacaftor) costituisce uno dei migliori esempi di medicina di precisione, in quanto agiscono direttamente sulla causa della malattia per pazienti portatori di specifiche mutazioni del CFTR [101,102]. Pertanto, il genotipo del paziente, già facilmente determinabile nel periodo neonatale con l’adozione di protocolli di screening basati su metodiche molecolari, apre interessanti prospettive sull’impiego precoce dei modulatori del CFTR. Uno dei concetti che negli ultimi anni ha governato la strategia di approccio al paziente con FC è stato l’intervento precoce. Su queste basi è ipotizzabile che l’impiego dei nuovi farmaci nelle fasi iniziali di malattia possa consentire una maggiore efficacia nel prevenire i danni irreversibili a livello di vari organi e apparati. Al momento nessuno di questi nuovi farmaci è prescrivibile dalla nascita, ma in un prossimo futuro, se verrà dimostrata l’efficacia e la sicurezza, potrebbero essere ammessi [34]. In attesa dei risultati di

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studi clinici, l’ipotesi di un uso sempre più precoce di questi farmaci, efficaci sul difetto di base della malattia, può essere considerata molto attraente.

- Riduzione della prevalenza della malattia

Fra i potenziali benefici dello screening ci può essere quello di fornire una tempestiva consulenza genetica alle famiglie e quindi evitare nuove nascite di soggetti malati. Non esistono dati a riguardo univoci, ma in Bretagna (Francia) una riduzione del 15,7% dell’incidenza della FC è stato attribuito all’introduzione nella regione di un programma di screening [103].

- Vantaggi economici

Dietro uno screening neonatale, come quello per la FC, c’è un notevole dispendio di risorse economiche. I costi devono coprire molteplici aspetti gestionali dello screening: kit dello screening, formazione del personale sanitario dei punti nascita, trasporto dei campioni, materiali per le analisi chimiche/genetiche, mantenimento e rinnovamento dei laboratori, remunerazione del personale sanitario, programmi di supervisione dei dati, spese per gli esami diagnostici per i falsi postivi. Alle origini, la decisione di sviluppare lo screening per la FC è stata presa in considerazione soprattutto per fattori clinici e sociali, attualmente invece l’aspetto economico dello screening è diventato un elemento chiave nella promozione di questa intervento di sanità pubblica. Negli ultimi anni alcuni lavori scientifici hanno analizzato questo aspetto e sembra che il costo dello screening per la FC, sebbene considerevole, possa essere ripagato nel caso in cui l’assenza di uno screening ritardasse la comparsa dei sintomi (e quindi la necessità di terapie farmacologiche costose) [104]. Alcuni studi mostrano infatti come la spesa per un paziente con FC sia minor se la malattia è diagnosticata prima attraverso lo screening [105-107]. Pertanto, con i dati attuali, sembra che lo screening per la FC non sia una spesa ma un investimento per i Sistemi Sanitari Pubblici, nell’obbiettivo di un risparmio economico futuro.

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3.2.2 Potenziali svantaggi dello screening neonatale per la fibrosi cistica

- Ansia nei familiari

L’identificazione dei falsi positivi allo screening neonatale per la FC è un problema comune a tutti i tipi di screening. Al giorno di oggi, i genitori dei bambini che vengono indirizzati al test del sudore per lo screening positivo, possono accedere facilmente tramite internet a informazioni riguardanti la FC, spesso poco veritiere ed estremamente allarmanti. Queste coppie con bambini non affetti, in attesa di diagnosi, presentano mediamente livelli di stress e depressione elevati [108,109], e talore l’ansia in alcuni genitori persiste anche per un tempo considerevole dopo il risultato negativo del test del sudore [110]. Per tale motivi è cruciale l’aspetto comunicativo del sanitario, che spieghi alla famiglia il concetto di screening positivo e diagnosi negativa, in modo che il messaggio finale dato ai genitori sia il più chiaro e rassicurante possibile.

- Necessità di mantenere la sorveglianza sui falsi negativi

Nei paesi dove è presente un programma di screening neonatale per la FC il numero di pazienti in cui la diagnosi viene effettuata per sintomi sta gradualmente riducendosi [19]. Il programma di screening neonatale, sebbene con l’introduzione del DNA abbia raggiunto sensibilità maggiori del 90-95%, non permette al contempo la diagnosi precoce di tutti i casi di FC. Un numero di malati, difficile da quantificare precisamente, vengono diagnosticati tramite sintomi anche molti anni dopo la nascita [111]. Dall’ultimo Registro Italiano per la FC [7] risulta che una percentuale del 15%-20% del totale delle nuove diagnosi (comprensive delle diagnosi in età adulta) presentava uno screening neonatale falsamente negativo o uno screening neonatale non effettuato (perché nati negli anni in cui alcune regioni italiani non effettuavano ancora lo screening). Tale evidenza conferma la necessità, nonostante la presenza di uno screening neonatale di massa, di mantenere sempre una attenta vigilanza nelle cure primarie (pediatria di famiglia e medico di medicina generale), volta a

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diagnosticare precocemente i casi risultati falsi negativi allo screening [112]. Sembra, da un singolo studio sull’argomento, che attualmente la presenza dello screening non ritardi eccessivamente la diagnosi dei casi falsi negativi [113].

- Diagnosi del portatore di FC

I protocolli di screening che includono l’analisi delle mutazioni del CFTR (protocollo IRT/DNA) identificano inevitabilmente alcuni neonati non affetti ma con una mutazione in eterozigosi causante malattia. Una volta esclusa, con il sequenziamento del CFTR, la presenza di eventuali altre mutazioni più rare (non presenti nel pannello di screening), ed effettuato il test del sudore risultato negativo, tali neonati vengono semplicemente considerati soggetti portatori di FC. Va segnalato che i portatori hanno una maggiore probabilità rispetto ai non portatori di risultare positivi al primo dosaggio dell’IRT, e pertanto più frequentemente vengono rilevati [114,115]

Generalmente in alcuni Centri, rilevata una mutazione allo screening, decidono di estendere l’analisi genetica ai genitori del neonato, in questo modo può essere utile per la coppia la valutazione dello stato di portatore nella programmazione di future gravidanze [116]. Un rischio indesiderato è quello di rilevare nella coppia nessun portatore della mutazione del bambino, andando così a palesarsi una “spiacevole” prova di non-paternità [20]. Dal punto di vista della prospettiva del bambino, che non ha potuto decidere se essere testato o meno, la scoperta dello stato di portatore, non ha alcun beneficio, almeno nell’immediato, e potrebbe addirittura essere considerata una violazione dal punto di vista etico [19]. Inoltre è stato rilevato, nei genitori di un figlio portatore di FC, un maggiore stato di ansia nei confronti della salute del figlio nei 4 anni successivi allo screening [117]. I genitori, nonostante la consulenza genetica che gli viene generalmente offerta, riferiscono mediamente di sentirsi confusi dal risultato del test e la loro vita riproduttiva essere condizionata dal risultato dello screening [110]. Le principali difficoltà nell’attuazione della consulenza genetica possono essere rappresentate dall’ansia dei genitori, dalla non completa comprensione delle

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indicazioni del genetista al momento del colloquio e dalla difficoltà nel conservare il messaggio della consulenza genetica nell’arco di un lungo periodo temporale.

L’alternativa per evitare l’identificazione dei portatori è usare protocolli di screening che non ricercano le mutazioni del CFTR, ma in tale modo si ridurrebbero la sensibilità e la specificità dello screening.

- Diagnosi incerte dopo screening positivo

Durante lo sviluppo del consenso diagnostico per la FC del 2008 [15], è stato riconosciuto che la maggiore attuazione dello screening neonatale aveva portato ad un inconveniente: una nuova e complessa diagnosi di bambini con test di screening anormali ma test del sudore e/o risultati del test del DNA non conclusivi.

Le famiglie di tali pazienti, che non presentano i sintomi di FC, spesso rimangono mesi o anni in una “zona grigia”, in attesa di una conferma o di una smentita di una diagnosi di FC. Negli Stati Uniti è stato coniato il termine CRMS (CFTR- related metabolic syndrome) [118] per identificare quei pazienti con elevati livelli di IRT allo screening, ma con test del sudore non patologico (esempio borderline) e/o anomalie genetiche del CFTR non conclusive di diagnosi (esempio per mutazioni non causanti malattie o non presenti nel database CFTR2). In Europa il termine CRMS non è stato accettato, infatti la Europena Cystic Fibrosis Society nel 2015 ha preferito usare la definizione più esplicativa di CFSPID, cioè Cystic Fibrosis

Screen Positive, Inconclusive Diagnosis [119]. Vengono definiti CFSPID i bambini positivi

allo screening neonatale e aventi uno dei 2 criteri A o B:

A. Test del sudore negativo (cloro < 30 mEq/L) + 2 mutazioni del CFTR, di cui almeno 1 associata a conseguenze fenotipiche poco chiare. B. Test del sudore borderline (cloro tra 30 e 59 mEq/L) + 1 o nessuna mutazione del CFTR causante malattia

Le decisioni diagnostiche e gestionali di questi bambini sono sfide per i medici della FC e situazioni stressanti per le famiglie. Tutti i protocolli di screening possono portare

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all’identificazione dei CFSPID, ma l’incidenza è aumentata con l’introduzione nello screening della ricerca delle mutazioni nel DNA e l’eventuale sequenziamento esteso del gene CFTR [120]. Alcuni programmi IRT/DNA hanno portato all’identificazione di un neonato CFSPID ogni due diagnosi di fibrosi cistica [121,122]. Infatti, generalmente i neonati con 1 mutazione causante malattia rilevata nel protocollo di screening IRT/DNA, vengono sottoposti in seconda battuta all’intero sequenziamento del gene CFTR, con il rischio poi di trovare alterazioni genetiche con conseguenze fenotipiche poco chiare.

Con la diffusione progressiva dello screening neonatale per la FC, in particolare del protocollo IRT/DNA, è diventato più diffusa e studiata la condizione di CFSPID; negli ultimi anni stanno aumentando le informazioni sull'epidemiologia e sull’outcome di questi bambini [123,124]. Al momento non esistono linee guida univoche riguardo il follow-up ma è noto che vi sia un rischio di evoluzione in FC nel tempo o di isolamento di batteri tipici della malattia. Tali bambini CFSPID, dovrebbero essere pertanto seguiti nei Centri di riferimento per la FC e durante il follow-up è stato visto [119,125,126] che possono sviluppare quattro situazioni differenti: possono diventare pazienti con diagnosi confermata di FC (per positivizzazione del test del sudore o comparsa di sintomi), possono rimanere CFSPID (mantenendo così il follow-up fino ad almeno 3-5 anni), possono diventare soggetti affetti da CFTR-RD, oppure possono essere considerati semplicemente soggetti sani, spesso semplicemente portatori (per negativizzazione del test del sudore e non comparsa di sintomi). I dati disponibili sono scarsi e poco uniformi, ma sembra che mediamente 1 bambino CFSPID su 10 nel follow-up di 3 anni evolva poi in una diagnosi di FC [121,126,127]. Argomenti di discussione in letteratura per questi bambini CFSPID sono: la durata del follow-up, la frequenza delle visite, le ripetizioni del test del sudore, il monitoraggio microbiologico, la supplementazione salina [119,120].

Le famiglie con un figlio CFSPID, sono costrette quindi a gestire un intenso carico di stress, in quanto sono inserite in un follow-up in un Centro di FC, anche se il figlio molto probabilmente non avrà la FC [128].

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Va segnalato che alcuni adulti hanno una condizione chiamata CFTR-related disorder che è caratterizzata da una malattia mono-organo e test del sudore borderline [14]; è stato ipotizzato che questi bambini CFSPID potrebbero avere una maggiore probabilità da adulti di sviluppare una CFTR-related disorder [34].

- Discriminazione etnica

Nelle comunità multietniche, come le grandi metropoli, con i protocolli IRT/DNA è evidente il rischio di perdere i malati che presentano mutazioni causanti malattia non presenti nel pannello dello screening, in quanto molto rare. Ci sono evidenze che mostrano come i pannelli di mutazioni standard che vengono usati hanno il rischio di non rilevare una quota considerevoli di malati di FC appartenenti a minoranze etniche [129,130]. In alcuni programmi IRT/DNA, per evitare tale problema, è stato considerata la possibilità di effettuare un secondo IRT nei neonati che avessero il primo IRT positivo, ma zero mutazioni riconosciute [131,132].

- Infezione da Pseudomonas aeruginosa

L’infezione polmonare da Pseudomonas aeruginosa incide pesantemente sul decorso clinico e sulla prognosi dei soggetti affetti da FC. La prevalenza di questo microrganismo, il più frequente e pericoloso agente infettante le vie respiratorie, varia dal 9% in età prescolare, al 32% a 10-15 anni, in età adulta la maggior parte vive colonizzata cronicamente da questo batterio [133].

Dal RCT americano è risultato che i pazienti diagnosticati tramite screening avevano una più precoce infezione cronica di P. aerugonosa, rispetto ai pazienti che ricevevano una diagnosi tramite screening [70]. Questo dato, poi molto discusso, potrebbe essere la conseguenza del rischio di infezione tra i pazienti che avveniva nei luoghi del Centro di cura FC nel periodo del trial in cui la coortizzazione microbiologica dei pazienti ancora veniva effettuata incostantemente. Infatti diversi altri studi hanno poi riportato una minore percentuale di

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pazienti cronicizzati da P. aeruginosa nel gruppo diagnosticato tramite screening rispetto al gruppo di controllo [74,77,93,96]. Lo screening può agire anzi, anche sulla prevenzione di epidemie batteriche da ceppi patogeni trasmissibili (P. aeruginosa, B. cepacia complex e S.

aureus) attraverso il monitoraggio microbiologico, la coortizzazione dei pazienti e il precoce

Riferimenti

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