• Non ci sono risultati.

Quesito teso a conoscere se la decadenza dall’incarico di Presidente di sezione del Tribunale comporti la decadenza dello svolgimento delle funzioni di Presidente della Corte di assise.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "Quesito teso a conoscere se la decadenza dall’incarico di Presidente di sezione del Tribunale comporti la decadenza dello svolgimento delle funzioni di Presidente della Corte di assise."

Copied!
7
0
0

Testo completo

(1)

Quesito teso a conoscere se la decadenza dall’incarico di Presidente di sezione del Tribunale comporti la decadenza dello svolgimento delle funzioni di Presidente della Corte di assise.

(Risposta a quesito del 24 gennaio 2008)

Il Consiglio superiore della magistratura, nella seduta del 24 gennaio 2008, ha adottato la seguente delibera:

“- visto il quesito con cui il Presidente del Tribunale di … chiedeva se la decadenza dall’incarico semidirettivo del dott. …, Presidente di Sezione del Tribunale di …, comporti per l’interessato anche l’incompatibilità a svolgere il compito di Presidente della Corte di assise e se, in tale ultima evenienza, possa configurarsi come utilizzabile, anche in assenza del magistrato titolare, il ricorso alla tabellata supplenza dell’altro unico semidirettivo in organico, dott. …, Presidente della seconda sezione civile del medesimo Tribunale;

- letto il parere dell’Ufficio studi che, rispondendo al più ampio quesito formulato sia con riferimento all’ipotesi in cui la decadenza dall’incarico semidirettivo si verifichi nell’ambito di processi per i quali è già intervenuta la dichiarazione di apertura del dibattimento, sia laddove il processo non sia stato ancora incardinato, ha svolto compiute ed elaborate osservazioni, in particolare segnalando che:

La risposta al quesito formulato dal Presidente del Tribunale di … postula, necessariamente, la precisazione in ordine alla natura della Corte di assise, vale a dire se essa sia “organo giurisdizionale autonomo” ovvero mera articolazione del Tribunale.

Il Consiglio superiore della magistratura, ormai da tempo, ha chiarito che la Corte di assise, per effetto dell’entrata in vigore del nuovo codice di rito e, soprattutto, del D.P.R. 489/1988, ha perso quelle essenziali caratteristiche in base alle quali era stata ritenuta la natura di “organo giurisdizionale autonomo”.

Per giungere a tale conclusione è indispensabile ripercorrere l’iter normativo, attraverso il quale si è giunti all’attuale disciplina del funzionamento della Corte di assise.

L’art. 3 L. 287/1951, nel testo introdotto dall’art. 1 D.L. 394/1987 (convertito con la L.

479/87), prevede che la Corte di assise è composta: a) da un magistrato del distretto con funzioni di appello, che la presiede, in mancanza o per indisponibilità del quale, è possibile ricorrere ad un magistrato con qualifica non inferiore a quella di appello; b) da un magistrato del distretto, avente le funzioni di magistrato di tribunale; c) da sei giudici popolari.

L’art. 8 L. 287/1951 dispone che la nomina del presidente e degli altri magistrati che compongono le Corti di assise e le Corti di assise d’appello è effettuata con decreto del Presidente della Repubblica in conformità e della deliberazione del Consiglio superiore della magistratura.

Allo stesso modo sono nominati un presidente ed un magistrato supplente per ogni corte (anche d’appello). La medesima norma prevede poi che, nel caso di impedimento anche dei magistrati supplenti, “la sostituzione può essere disposta con decreto motivato del Presidente della Corte di Appello, sentito il Procuratore generale presso la Corte, ove ricorrano motivi di particolare urgenza.

Il quadro normativo sopra delineato è stato radicalmente modificato dal D.P.R. 22 settembre 1988, n. 449, che ha introdotto nell'Ordinamento giudiziario (r.d. 30 gennaio 1941, n. 12) gli artt. 7 bis e 7 ter.

Invero, per effetto delle modifiche indicate, la destinazione dei singoli magistrati alle Corti di assise è stabilita ogni biennio con decreto del Presidente della Repubblica, in conformità alle deliberazioni del Consiglio superiore della magistratura assunte sulle proposte dei Presidenti delle Corti di appello, sentiti i Consigli giudiziari (art. 7 bis, I comma, O.G.; va precisato, peraltro che, secondo lo schema previsto dall'art. 1, I comma, L. 13/1991, allo stato, è prevista la forma del decreto ministeriale).

I componenti, effettivi e supplenti, possono essere sostituiti, per sopravvenute esigenze degli uffici giudiziari (in particolare, in caso di mancanza o impedimento), con provvedimenti di modifica tabellare immediatamente esecutivi, adottati in via d'urgenza dai dirigenti degli uffici,

(2)

salva la deliberazione del Consiglio superiore della magistratura in merito alla relativa variazione tabellare (art. 7 bis, II comma, O.G.). Il Consiglio superiore della magistratura deve stabilire i criteri per la sostituzione del giudice astenuto, ricusato o impedito (art. 7 ter, II comma 2, O.G.).

L'art. 8 L. 287/51 non può non essere letto alla luce dei principi introdotti dalla richiamata innovazione normativa. Al riguardo, è corretto ritenere che questa abbia importato l'abrogazione implicita dei commi I e III dell' art. 8 cit. (non del comma II dell'art. cit., relativo alla nomina per ogni Corte di assise, di primo e secondo grado, di un presidente e di un magistrato supplenti, atteso che nulla dispone in proposito l'Ordinamento giudiziario), giacché la formulazione generale ed onnicomprensiva utilizzata nell'Ordinamento giudiziario innovato non consente di considerare ancora in vigore la disciplina speciale contenuta nella legge del 1951. Ne discende che, attualmente, tanto la nomina che la sostituzione dei magistrati addetti alle Corti di assise devono seguire il nuovo e diverso procedimento di cui agli artt. 7 bis e 7 ter citati. Pertanto, la nomina dei magistrati – sia titolari sia supplenti - addetti alle Corti di assise deve avvenire in sede tabellare.

Il D.P.R. 449/88 ha pure modificato l'art. 97 O.G., che disciplina le supplenze dei magistrati negli organi giudiziari collegiali, sostituendo il III comma e prevedendo che "il presidente della Corte di appello provvede [alla supplenza] per i magistrati che compongono le Corti di assise di appello, le Corti di assise e i Tribunali regionali delle acque pubbliche".

Questa norma, frutto probabilmente di un difettoso coordinamento delle nuove norme in materia di Ordinamento giudiziario, appare comunque operativa non in sede preventiva, in quanto l'indicazione dei componenti titolari e supplenti della Corte di assise (al pari di tutti gli altri uffici collegiali) deve avvenire in sede tabellare, nel rispetto del principio della precostituzione del giudice previsto dagli artt. 7 bis e 7 ter O.G., ma in sede successiva, quando la previsione tabellare risulti non sufficiente a soddisfare le esigenze di funzionamento ed efficienza degli uffici. Trattasi, in sostanza, della previsione di un potere di supplenza sussidiario, destinato ad operare nel caso di impedimento del magistrato supplente già indicato nelle tabelle.

Tale potere di supplenza deve essere esercitato in accordo con il principio generale previsto dall'art. 7 ter O.G., per il quale la sostituzione del giudice impedito deve avvenire nell'ambito dei criteri stabiliti dal Consiglio superiore della magistratura, introdotti per ciascun ufficio all'atto di approvazione della proposta tabellare del Presidente della Corte di appello. Ne deriva, in primo luogo, che si potrà legittimamente ricorrere alla procedura di cui all'art. 97, III comma, O. G. solo laddove non possa procedersi, in concreto, alla sostituzione del magistrato impedito a norma del combinato disposto degli artt. 7 bis e 7 ter O.G.; in secondo luogo, ove le tabelle in vigore già prevedano un sistema automatico e predeterminato di individuazione del magistrato destinato alla supplenza ex art. 97 O.G., il Presidente della Corte dovrà emanare un provvedimento che, in attuazione dei criteri indicati, individui il magistrato.

Pertanto, ove le tabelle prevedano criteri appositi per l'individuazione del magistrato supplente, il provvedimento del Presidente della Corte che sia attuativo dei criteri stessi non darà luogo a modifica tabellare.

Il breve excursus normativo sopra tratteggiato consente di affrontare una questione la cui soluzione è essenziale ai fini della risposta al quesito posto dal Presidente del Tribunale di …:

quella della natura della Corte di assise.

Prima dell'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale e delle modifiche che, per l'effetto, sono state introdotte nell'Ordinamento giudiziario, costituiva orientamento consolidato che la Corte di assise fosse un organo giurisdizionale autonomo, con propria competenza e con autonoma circoscrizione territoriale nonchè propria composizione.

In una tale ottica, si affermava così, per esempio, che i magistrati togati che componevano la Corte di assise acquistavano la capacità di esercizio della funzione giurisdizionale relativa solo se nominati con decreto del Presidente della Repubblica, a norma dell'art. 8 L. 287/1951, nel testo modificato dal D.L. 394/1987 (successivamente convertito in legge ex L. 479/87). Soltanto al Presidente della Corte di appello - e non anche al Presidente del Tribunale, neppure per delega del primo - era riconosciuto il potere di provvedere alla sostituzione dei giudici togati quando fossero

(3)

mancati o fossero risultati impediti anche i magistrati supplenti, pur nominati con decreto presidenziale (cfr., in proposito, Cass., sez. I, 30 novembre 1989, Tommaso).

L'entrata in vigore del nuovo codice di rito e, soprattutto, del D.P.R. 22 settembre 1988, n.

449, induce ad un'attenta rimeditazione della questione, avendo la Corte di assise perso le essenziali caratteristiche sulla cui base era stata ritenuta la natura di "organo giurisdizionale autonomo". A tal fine risultano di decisiva rilevanza alcune indicazioni normative.

In primo luogo va tenuto presente l'art. 33, I comma, D.P.R. n.449/88, in base al quale "la Corte di assise e la Corte di assise di appello tengono quattro sessioni annuali della durata di tre mesi". Tale disposizione ha trasformato le Corti di assise da organi non permanenti a organi permanenti, allineandoli così a tutti gli altri organi giurisdizionali, in particolare alle altre articolazioni interne del Tribunale e della Corte di appello.

In secondo luogo, dall'art. 7 bis O.G., dedicato alle tabelle degli uffici giudiziari, sono ricavabili logicamente le seguenti conclusioni:

- la destinazione dei magistrati ordinari a presidente e giudice a latere delle Corti di assise è disciplinata in modo omogeneo a quella dei singoli magistrati in relazione alle diverse sezioni dell'ufficio giudiziario (Tribunale e Corte di appello) presso il quale ciascuno di loro svolge le sue funzioni a seguito di assegnazione o trasferimento da parte del Consiglio superiore della magistratura, il quale, peraltro, non "assegna o trasferisce" alle Corti di assise, bensì al Tribunale e alla Corte di appello. Ne consegue che le Corti di assise sono considerate articolazioni, sia pure con competenze particolari, degli uffici presso i quali sono istituite, vale a dire il Tribunale e la Corte di appello;

- la già ricordata abrogazione implicita dell'art. 8, I e III comma, L. 287/1951, disciplinante la nomina dei magistrati componenti le Corti di assise e le Corti di assise di appello nonché la sostituzione di questi in caso di mancanza o di impedimento.

L'abrogazione in oggetto conferma che è venuta meno, sotto il profilo ordinamentale, l'autonomia delle Corti di assise, essendo stata introdotta una disciplina comune a quella delle altre articolazioni interne del Tribunale e della Corte di appello per la nomina e per la sostituzione dei magistrati.

In particolare deriva che per la sostituzione, in caso di urgenza, dei magistrati mancanti o impediti dovrà essere seguita la stessa procedura prevista per la sostituzione di ogni altro magistrato dell'ufficio (Tribunale o Corte di appello): potrà cioè essere disposta con "provvedimenti in via di urgenza...adottati dai dirigenti degli uffici..immediatamente esecutivi .." (art. 7 bis, II comma, O.G.), sulla base dei criteri stabiliti dal Consiglio superiore della magistratura "per la sostituzione del giudice astenuto, ricusato o impedito" (art. 7 ter, II comma, O.G.).

La rilevata scomparsa dell'autonomia della Corte di assise rispetto alle altre articolazioni interne dell'ufficio giudiziario ha consentito al Consiglio superiore di affermare l'applicabilità diretta alla Corte di assise della disciplina generale delle applicazioni e delle supplenze, avendo riguardo a quella specificamente dettata per il tribunale, salve le eccezioni espressamente previste dalle norme (cfr., ad esempio, art. 97, III comma, O.G.).

Deve ritenersi, peraltro, che l’impostazione fatta propria dall’Organo di autogoverno non vada mutata per effetto dell’entrata in vigore del D.Lgs. 160/2006, come modificato dalla L.

111/2007, traendo, al contrario, da esso ulteriore conferma della sua legittimità.

Invero, nel corpo della recente riforma dell’Ordinamento giudiziario non vi sono disposizioni dalle quali evincere la volontà legislativa di riconoscere alla Corte di assise una particolare autonomia proprio sul piano ordinamentale ma, viceversa, la nuova disciplina introdotta è del tutto comune a quella delle altre articolazioni interne del Tribunale e della Corte di appello.

In tal senso, va evidenziata la disposizione di cui all’art. 10, VII comma, D.Lgs. 160/2006, la quale, nel definire quali siano le funzioni semidirettive giudicanti di primo grado, non contiene alcuna specifica indicazione per la Corte di assise, contrariamente, invece, a quanto accade, ad esempio, per il Presidente ed il Presidente aggiunto della sezione dei giudici unici per le indagini

(4)

preliminari. Similmente, il successivo art. 12, che disciplina i “requisiti ed i criteri per il conferimento delle funzioni” non opera alcun richiamo alla Corte di assise.

Pertanto, anche alla luce del decreto legislativo da ultimo richiamato, va ribadito con vigore che la Corte d’assise non è organo autonomo ma mera articolazione interna dell’ufficio presso cui è istituita.

Proprio da tale conclusione occorre partire per verificare compiutamente se - ed in quali termini - il principio della temporaneità degli incarichi semidirettivi, pure introdotto dal D.Lgs.

160/2006, abbia inciso sulla composizione della Corte d’assise.

L’art. 3 L. 287/1951, come già indicato in apertura, prevede che essa sia presieduta da un magistrato con funzioni di appello ovvero, in caso di sua mancanza o impedimento, con qualifica non inferiore a quella di appello.

L’art. 4 L. 570/1966, nel disciplinare la destinazione dei magistrati di Corte d’appello, disponeva che gli stessi erano destinati ad esercitare le funzioni: 1) di consigliere di Corte d’appello e di sostituto generale presso la Corte di appello; 2) di presidente di sezione del Tribunale; 3) di consigliere istruttore nelle sedi in cui le funzioni di presidente del Tribunale sono esercitate da un magistrato di Corte di cassazione; 4) di procuratore aggiunto nelle sedi in cui e funzioni di procuratore della Repubblica sono esercitate da un magistrato di Corte di cassazione; 5) di pretore nelle sedi in cui, ai sensi delle norme in vigore, sono previsti magistrati di Corte d’appello senza funzioni di pretore dirigente.

La norma de qua è stata abrogata dall’art. 54 del D.Lgs. 160/2006, il quale ha rivisitato complessivamente il sistema della progressione in carriera, delineando un sistema di valutazione professionale quadriennale, calibrata sull’attività in concreto svolta dal singolo magistrato, ed abolendo le previgenti qualifiche nonché la distinzione tra qualifiche e funzioni esercitate.

In tal senso la scelta legislativa è stata chiara, giacché è stata orientata, da una parte, a realizzare verifiche periodiche di professionalità e, dall’altra, a costruire un sistema ordinamentale in cui l’unico criterio distintivo sia dato dalle funzioni in concreto svolte dal magistrato.

Potrebbe, allora, già sostenersi che l’abolizione della distinzione tra qualifica e funzioni in concreto esercitate abbia determinato il venir meno della necessità della duplice condizione per poter presiedere la Corte d’assise, essendo sufficiente esclusivamente il possesso del requisito dell’anzianità di servizio corrispondente a quella d’appello, secondo le indicazioni fornite in tal senso nella circolare n. 20691 (parte III) deliberata in data 4 ottobre 2007. Peraltro, proprio in sede di pubblicazione degli uffici direttivi che si renderanno vacanti a far data dal 27 gennaio 2008, per effetto della decadenza sancita dall’art. 5 L. 111/2007, si è fatto riferimento esclusivo al requisito dell’anzianità di servizio, così come disciplinato dall’art. 12 D.Lgs. 160/2006, il quale individua per una certa categoria di uffici direttivi la legittimazione già al conseguimento della terza valutazione di professionalità (vale a dire al dodicesimo anno di servizio computato a decorrere dal decreto di nomina). Con riguardo proprio alla norma da ultimo richiamata, sarebbe singolare dover sostenere che la legittimazione de qua, ritenuta utile dal legislatore per ottenere la dirigenza di determinati uffici, non è tuttavia sufficiente per presiedere la Corte di assise.

A tale impostazione potrebbe obiettarsi che, operando la stessa comparazione effettuata nella sopra richiamata circolare con riguardo al riconoscimento delle attuali classi di anzianità, il riferimento alle “funzioni di appello” contenuto all’art. 3 L. 287/1951 continua ad imporre che la Corte d’assise sia presieduta da un presidente di sezione.

In realtà tale conclusione non appare convincente sulla base essenzialmente di due ordini di considerazioni, che finiscono per intersecarsi, fornendo così la soluzione al problema d’interesse.

Sotto un primo aspetto, deve osservarsi che il D.Lgs. 160/2006 ha introdotto e disciplinato all’art. 46 la temporaneità degli incarichi semidirettivi.

Per quanto rileva nella presente sede, va sottolineato che la nuova disciplina è strumentale a contrastare il formarsi di centri di potere e, al contempo, a riaffermare congruamente la natura di

“servizio” della funzione di direzione dell’ufficio giudiziario, nella prospettiva sia di consentire l’avvicendamento non traumatico di dirigenti sia di utilizzare sempre nuove energie. È evidente,

(5)

pertanto, che la decadenza dalle funzioni semidirettive, per decorso del termine massimo di permanenza, è dettata dalla volontà di tutelare con maggiore incisività l’indipendenza interna dei magistrati e l’immagine di imparzialità, che sempre deve assistere l’istituzione giudiziaria, non ignorandosi che il prolungato esercizio di funzioni semidirettive nel medesimo luogo può dar luogo a fenomeni di personalizzazione dell’ufficio nonché a condizionamenti nell’esercizio dell’attività giudiziaria.

L’impostazione culturale del nuovo ordinamento giudiziario, del tutto innovativa rispetto al passato, configura l’ufficio semidirettivo quale mero “incarico” temporaneo e non come posizione gerarchica stabilmente acquisita all’esito di un cursus honorum, resa potenzialmente immutabile dal riconoscimento della prerogativa dell’inamovibilità. La logica fondante della previsione, dunque, mira ad incidere su profili strettamente organizzativi, inevitabilmente connessi all’attività giudiziaria in senso proprio e, tuttavia, non è a quest’ultima che essa tende. In altri termini, il legislatore ha voluto dettare misure volte a tutelare l’indipendenza e l’imparzialità della magistratura, intervenendo sulla durata delle funzioni semidirettive, con l’intento esclusivamente di modificare il sistema previgente in relazione alla durata degli incarichi in oggetto ma senza intendere agire, nel perseguimento di tale obiettivo, sull’attività giudiziaria del magistrato. Tanto trova conferma sia nell’art. 5 L. 111/2007 sia nell’art. 46 D.Lgs 160/2006, giacché il magistrato decaduto dalle funzioni semidirettive (a meno che non faccia richiesta di trasferimento nei modi e nei termini indicati dal citato art. 46) rimane assegnato - anche in soprannumero – nello stesso ufficio in cui ha esercitato l’incarico in oggetto.

Di conseguenza, sostenere che la decadenza de qua incida sulla presidenza della Corte di assise significherebbe venir meno alla stessa ratio posta a fondamento della riforma ordinamentale in esame nonché della legge istitutiva della Corte d’assise.

È necessario, a questo punto, precisare che l’indicazione di cui all’art. 3 L. 287/1951, in ordine alla composizione della corte medesima, risponde all’evidente necessità che essa, in considerazione sia dei reati di particolare gravità di sua competenza sia della presenza dei giudici popolari, venga presieduta da magistrati di comprovata esperienza anche sotto il profilo dell’etero- organizzazione.

Appare, allora, di immediata percezione, pure in ragione della precisazione di cui sopra, che la decadenza sancita dall’art. 46 D.Lgs. 160/2006 (nonché dall’art. 5 L. 111/2007 per la disciplina transitoria) non può comportare la violazione della stessa ratio delle norme in oggetto nonché della L. 287/1951. Infatti, sostenendo che il venir meno dell’incarico semidirettivo per il decorso del termine ottennale comporta ipso iure l’impossibilità di presiedere la Corte d’assise, viene del tutto svilita e privata di valore l’attività presidenziale fino ad allora svolta dal magistrato decaduto dall’incarico de quo ed in tal modo la direzione della Corte d’assise risulta sganciata proprio dal dato esperienziale valorizzato in sede normativa dall’art. 3 L. 287/1951. D’altra parte, non può certo obliterarsi che la temporaneità delle funzioni semidirettive è il risultato di una recentissima riforma, ben lungi dall’essere immaginata dal legislatore del 1951, di talché è inevitabile che la legge istitutiva della Corte di assise sia interpretata anche alla luce delle norme di carattere generale introdotte in epoca successiva, così come è avvenuto, ad esempio, con l’approvazione del nuovo codice di procedura penale ed in sede di attuazione del DPR 449/88, quale legge generale e successiva “per l’adeguamento dell’ordinamento giudiziario al nuovo processo penale”.

Sotto un secondo profilo, la Corte di assise, persa l’originaria autonomia, è oggi una mera articolazione interna dell’ufficio presso il quale è istituita, vale a dire il tribunale o la corte di appello. Sulla base di tale assunto, è stata già affermata l’applicabilità diretta alla Corte di assise della disciplina generale delle applicazioni e delle supplenze, avendo riguardo a quella specificatamente dettata per il tribunale, salve le eccezioni espressamente previste dalle norme (art.

97, III comma, O.G.).

L’Ufficio studi, anche in passato, avendo presenti proprio le considerazioni illustrate anche nella presente sede in ordine alla natura della Corte di assise, ha affermato, nel verificare il rapporto esistente tra la L. 287/1951 e la normativa istituiva del giudice unico, che la Corte d’assise è stata

(6)

considerata organicamente dalla sistematica ordinamentale e che la destinazione ad essa dei magistrati va prevista in sede tabellare. Ha precisato, altresì, che più giudici possono essere assegnati, anche non in via esclusiva, alle dette Corti ed alle loro sezioni e che la presidenza dei singoli collegi va individuata in base alla previsione contenuta nell’art. 47 quinquies O.G.

Di conseguenza, nello sviluppo logico dell’impostazione in oggetto, non vi è alcuna ragione normativa che impedisca di applicare alle Corti di assise gli artt. 47 quinquies e 104 O.G. Invero, una volta riconosciuto che esse sono articolazioni interne dell’ufficio giudiziario presso il quale sono istituite, non vi sono ostacoli a ritenere estensibili ad esse le disposizioni dettate per l’organizzazione dell’ufficio medesimo. Ciò comporta, di conseguenza, che, fermo restando il requisito dell’anzianità di servizio indicato dall’art. 3 L. 287/1951, da cui non è possibile prescindere, la presidenza della Corte di assise va attribuita secondo le indicazioni fornite dall’art.

47 quinquies O.G., di talché essa potrà essere assunta alternativamente anche dal magistrato più anziano tra quelli di pari qualifica assegnati alla Corte medesima. Si tratta, dunque, di disposizioni organizzative da prevedere nelle tabelle di ogni singolo ufficio giudiziario, avendo presenti anche i requisiti attitudinali e dovendosi tenere conto per il futuro pure delle scadenze fissate dall’art. 46 D.Lgs. 160/2006.

Pertanto, è al sistema tabellare che deve essere affidata la possibilità di valutare l’assegnazione della funzione di Presidente della Corte di assise ad un magistrato che non ricopra l’incarico semidirettivo di Presidente di sezione del Tribunale, soprattutto nel momento in cui manchi o sia assente il titolare di detto incarico semidirettivo, come si verifica nel caso di specie.

Conforta questo assunto la delibera dell’Assemblea plenaria dell’8 novembre 2006, che, nel rispondere al quesito posto dal Presidente del Tribunale di …, ha già ritenuto possibile la costituzione di più collegi all’interno di una medesima sezione di Corte d’assise, senza prospettare la necessità che essi siano presieduti dal Presidente di sezione; se questo è possibile in presenza di una situazione di copertura dell’incarico di Presidente di sezione, a maggior ragione sarà prospettabile quando quel posto risulti vacante.

Per altro verso va pure tenuto presente che, ove la Corte d’assise abbia assunto la strutturazione della sezione, nulla impedisce l’applicazione dell’art. 104 O.G. e, dunque, in mancanza del Presidente di sezione le funzioni a lui spettanti saranno esercitate dal più anziano dei giudici che compongono la sezione.

Nella previsione dell’art. 5, comma III, L. 111/2007 il magistrato che decade dall’incarico di Presidente di sezione resta assegnato con funzioni né direttive né semidirettive nello stesso ufficio, eventualmente anche in soprannumero, e, pertanto, egli ben può mantenere le funzioni giurisdizionali che esercitava in precedenza attraverso un’opportuna assegnazione tabellare, che potrà essere eventualmente rivista nel momento in cui verrà destinato all’ufficio il nuovo Presidente di sezione.

La soluzione prospettata, attesa la portata e le ragioni giuridiche poste a suo fondamento, trova applicazione non solo per i processi ancora da incardinare innanzi alle Corti di assise ma anche per quelli per i quali il dibattimento sia stato già dichiarato aperto; qualora nel corso del processo dovesse essere destinato all’ufficio il nuovo Presidente di sezione, cui ben potrà essere affidato, anche se non necessariamente, l’incarico di Presidente della Corte di assise, si avrà cura di far proseguire il processo già iniziato con lo stesso magistrato, attraverso gli opportuni strumenti tabellari al fine di preservare l’attività processuale già espletata.

Sulla base delle considerazioni svolte, può dunque ritenersi che il dott. …, già Presidente della Corte di assise di …, pur decadendo dall’incarico semidirettivo di Presidente di sezione, possa continuare a presiedere la Corte medesima, giacché mantiene l’assegnazione ad essa e vanta un’anzianità di servizio conforme a quella richiesta dall’art. 3 L. 287/1951, non riscontrabile per gli altri magistrati destinati alla Corte di assise.

All’esito delle considerazione svolte, si ritiene che la Corte di assise non sia organo autonomo ma mera articolazione interna dell’ufficio presso cui è istituita. Sulla base di tale assunto,

(7)

è stata già affermata l’applicabilità diretta alla Corte di assise della disciplina generale delle applicazioni e delle supplenze, avendo riguardo a quella specificatamente dettata per il tribunale.

Pertanto, non appare configurarsi alcun ostacolo all’applicazione anche dell’art. 47 O.G.

quinquies, in tema di formazione dei collegi, nonché dell’art. 104 O.G., per l’ipotesi di vacanza del posto di Presidente di sezione di Corte di assise. In sede tabellare andranno indicati i criteri per l’individuazione del Presidente della Corte di assise, che, fermo restando il requisito dell’anzianità di servizio indicato dall’art. 3 L. 287/1951, non dovrà necessariamente essere un Presidente di sezione.

Il dott. …, conseguentemente, potrà continuare a presiedere la Corte di assise di … anche in data successiva al 27 gennaio 2008, perché l’art.5, III comma, L. 111/2007 prevede il mantenimento nella stessa funzione del magistrato decaduto dall’incarico di presidente di sezione e, pertanto, al medesimo magistrato potranno continuare ad essere affidate, attraverso opportuni provvedimenti tabellari, le funzioni giurisdizionali che egli svolgeva prima della data sopra indicata, tra cui quella di Presidente della Corte di assise;

- ritenuto che le argomentazioni dell’Ufficio studi sopra richiamate siano integralmente condivisibili;

delibera

di rispondere al quesito posto dal Presidente del Tribunale di … come in parte motiva.”

Riferimenti

Documenti correlati

Tale norma al secondo comma recita testualmente “il magistrato, al momento della scadenza del secondo quadriennio, calcolata dal giorno delle assunzioni delle funzioni, anche se

Vincenza Carrozza Giudice popolare.. per avere, agendo in concorso fra loro con premeditazione, quali componenti della “Commissione” della mafia palermitana, organismo

Di contro l’adesione che i due detenuti capimandamento hanno dato all’impresa delittuosa, dimostra che avessero concorso a deliberarla e ciò, per quanto

Come risulta dalle testimonianze dell'ono Sergio Mattarella, dell'ono Leoluca Orlando, dell'ono Mario Fasino e della d.ssa Maria Grazia Trizzino (Capo di Gabinetto del

a) dichiarava Greco Michele, Riina Salvatore, Provenzano Bernardo, Brusca Bernardo,. Calò Giuseppe, Madonia Francesco e Geraci Antonino colpevoli del delitto di omicidio in danno

Restano così accertati, secondo la Corte, "precisamente gli elementi intorno ai quali la Cassazione aveva sollecitato l'indagine": cioè, da un lato "il nesso di

BATTAGLIA Giovanni; BIONDINO Salvatore (sostituto dela mandamento di San Lorenzo e membro della Commissione); BIONDO Salvatore (uomo d’onore della famiglia di

Rocco CHINNICI, - all’epoca Consigliere Dirigente dell’Ufficio Istruzione del TRIBUNALE di PALERMO - e la sua scorta, composta quel giorno da sei appartenenti all’Arma dei