GIORNI DI FESTA
Opere
diGIOVANNI RAPINI
FINZIONE
TRAGICO QUOTIDIANO 1906; 1913: 1918.
PILOTA CIECO 1907; 1913; 1918.
PAROLE E
SANGUE
1912; 1919.VITA DI NESSUNO 1912; 1918.
MEMORIE D'IDDIO 1911; 1918; 1919.
UN UOMO
FINITO 1912; 1915; 1917; 1918; 1919; 1920.BUFFONATE 1914;"'^1918; 1919.
LIRICA
CENTO PAGINE DI POESIA 1915; 1918.
OPERA PRIMA 1917; 1918; 1920.
GIORNI DI FESTA 1918; 1920.
TEORIA
CREPUSCOLO DEI FILOSOFI 1906; 1914; 1919.
ALTRA METÀ
1912; 1916; 1918.PRAGMATISMO
1913; 1920.POLEMICA
24 cervelli 1912; 1915; 1917; 1918.
stroncature 1916; 1917»; 1917»; 1918; 1920.
maschilità 1915; 1918.
esperienza futurista 1919.
5^polemiche religiose 1918.
la paga
delsabato
1915.l'uomo
carducci 1918; 1918»; 1919.testimonianze 1918; 1919.
^
europa
occidentale 1918." Chiudiamo le scuole 1919.
^'"^^
GIOVANNI PAPINI
Giorni di festa
Seconda
£clizioiieVALLECCHI EDITORE
-FIRENZE
DIRITTI RISERVATI
Fireuee, 1920
—
Stabilimenti Grafici A.Yallecplii,YiaRica^oliN.8.Indice
Convenevoli Pag. \
Salvazione 7
Doratura ^^
Discorsi colSordomuto 21
Sospiri di Negro 3'
Soperchierìa del Tempc 37
Tutto perduto 4'
Sogno di città 5*
Reclamo • • • 55
San Martin la Palma 59
La Zappa 73
BULCIANO
Careggiatura
....
^iLuna calante 82
Sera 83
11 Somarino 84
Il Rospo 85
IlSordo 86
Roba mia 88
La Fantasima 89
Paragoni Paz. 91
Mele d'inverna 92
Annata 93
Burrasca 94
Amore 96
Sete 98
Luglio 101
Le More 102
ESSERI
Dumba
^ 107Armiila
,...111
L'Uomo Pendolo . . . , 113
Un Uomo
Libe , 114Celenia iió
Tarullo 117
Feticci 118
Boghe 120
CAPARRE
Bellezze 123
Vergogna 124
Via Colletta 125
Invenzioni
"...
127Cerini 128
L'Amante di Napoleone 129
Genere Cinese
...
Genere Sud Americanj Piazza Sant'Ambrogio Sogno Russo
14Gennaio . . Geometria Bollettino delle Cravatta . . .
Occhi . . .
Rivalse . . .
Fantasie di Vi ';
Zero via zero .
La mia tavola . Scoperta Invidia Avventura Nuvole Suicidio .
Tramonto
P.'.-y 131 132 133 135 137 13S I3g 140 141 1+3 14j.
H5
14Ó 147 148 149 150 151 152
Fairyland ii;3
Boulevard Raspail 157
Versioro cammina 161
Scoperta delMare
..."
165Preghiera a Miche langi<|j .
,...,.
17^CONVENEVOLI
Papimi, Giornidi festa— 1
Non r ho diiamato
a caso, questo libro, Giorni di Festa. Perchè la poesia, anche se costa lavoro duro, èsempre una
festa per chi sa patirla Un'immagine può
dar colore di fe- licita auna
settimana intera e bastalascoperta del peso d'una
parola per starbene una
giornata.
Per molti anni
ho
riposto in altro lamia
contentezza.
Ma
poimi
sono avvisto che la poe- sia—
seppure è proprio lei enon
fantasima incoronatada menade — da un
pezzomi chiamava
per farmi suo eda
queltempo non
l'ho p>iù scansata
come
facevoquando mi
rav- voltolavo tutto nei saturnali metafìsid.Qiel poco o tanto che
m'
è riuscito di ra- cimolare rho
raccolto conamore
: questo librò, insieme a OperaPrima
e alle CentoPagine
di Poesia, è lavendemmia
di questi anni dicatiad
Ares e Tubalcain.Non vengo
avantarmi
d'aver fatto, qui, jnolti passi innanzi perdiè l'arte,come
la na- tura,non
fa salti,quando uno
è arrivato alladominazione
di sé e della materia.C
è, for- se,una maggiore
attenzione alla parola, più—
4—
probità, perchè l'artista, via via che invecchia e s'affina,
ha sempre
più rispetto delle cose divine che adopra.Ma
e' è anche,mi
sembra, molta semplice ingenuità, specie quand^jmi
fermo, in- vece di volare inun
cielo di segni e di simboli, a pitturare cose e persone dellacampagna.
E
in queste parti si vede meglio quella chechiamano
lamia
«toscanità ».^Ua
qualenon
riesco a
vergognarmi
perchè,insomma,
la lette- ratura italiana grande è per tre quarti toscana e toscana fu,almeno
in origine, la lingua let- teraria trionfante e lamia
terra toscana, specie làdove
è ancornuda
e rozza, piace almio
cuore più d'ogni altra.Diranno
chenon
tutto, qui dentro, è poe- siama
piuttosto mescolanza di ricordi e di no- tazioni e magari, d'abbozzi di racconti e di ri- tratti.E
ionon
pretendo che tutto sia poesia,come
si dice, «pura
» perchè anche nell'opere d'arte che passano per «impure
», cioècommiste
di elementi estrani, dell'arte ce n' è
sempre
e arte sipuò
fare,sembra
impossibile, perfinoavendo
diimnzi agli occhiun
soggetto !Ma non
voglio levar di bocca le parole ai critici che per avventura volessero stendere qual-cuna
delle lor tele grigie e leggere tra irami
di questo libro, che per
me
è statocome una
serie di riposi in
mezzo
a giorni riempiti di operee pene di più alta qualità.
E
questi pezzi di poe- sia o di prosa o di vita o di pittura o di senti-—
5—
mento
sono davvero, almio
ricordo recente, spiazzi e razzi di gioia, apparizioni inaspettate diun
po' di sole nella nuvolaia d'una sera mi- nacciante, ritrovamenti di gioventù d'un'anima che s'accorse tardi d'esser giovane.Giovanni
Papini.9 settembre 1918.
Salvazione
Le
orehanno
battutocome
tantemazze
sul pieno, quelle che aspettavo.
E mi toma
il conto.
Ora
che sonmorto
possoanche
vedereda
me
tutta lacombinazione
delmondo
trascorso e fiorito intorno allamia
vista.Disimpegnati, al rintocco,
da
questimari
e dalle linee chedavvero non
separavano, ora, sdraiatibene
in queste zone senza sotto e senza sopra,come
se nulla fossemozzato
: alla brava, alla bella, alla Ubera—
soppiantatoanche
il futuro : si stacome
angeli.E
cosìmorto mi sembra
d'esser salito al cielocome
i profeti.Mi
distendo fra le Gallinelle, inun
cantuccio,dove
e' èmeno
lume.Non
ritrovoil sole nella solita stazione dell' est
ma vedo
tutto a ridossocome quando
s' è chiuso gliocchi e
non
sidorme
ancora esiamo
tornati di fuorida
poco.Avevo
cercato il silenzio tutta la vita enon
l'avevo trovato
mai
:neppure
sullemontagne,
la sera, che e' è
sempre
quella po' d'acqua che allora si sente di f)iù o quel soffio di vento che sfoglia fiacco la quercia o quel cane chenon
s' è—
IO—
dato p^ce d'aver sentito
uno
scalpiccio tra isassi.
Avevo
cercatoanche
la solitudine e ci fusempre un
altro insieme ame
senza poterne fare ameno. Che
ora soltanto son separatoda
lui -;- ed era il più atrocecompagno
eh' io avessi, che lo conoscevo meglio di tutti. /E
ora che son qui enon
cerco nulla—
sol- tantouna
costellazione per stendermiquanto
son lungo—
enon muovo un
dito per atto di volontà enon
sono,come
fino a ieri,un
essere di terrada
poterci poggiarecome
sopraun
pi- lone, oggiho
quello chenon
desidero più, inun
gran sogno di assestamento.Mi
ricordo di tutto. Potrei ridire auno
auno
i milioni dimomenti
col loro peso e colore.10 seduto in terra con
un
grembiule turchino eun tegame
dipappa
fra legambe,
sul viottolo.11 sapore del torrone nelle scatoline bianche,
le sere di carnevale, in Borgognissanti.
Il presepio di cera sul cuscino di seta rossa colla frangia d'argento sul cassettone della Set- timia.
Una
chiocciolavuota
spiaccicata a settem- bre, sotto ilmuro nuovo
dell' Incontro.La mosca
che gira in tondo sulla filettatura blu della tazza e ogni tanto siferma
allungandola tromba.
Lo
stendersi lineare dell'ombra
sul veronese rigato di nero della persianaad
arco—
II—
Il puzzo del
vagone
diterza chemi
riportava, di gennaio, giùda
Milano ed eraun
gran buioumido
suicampi
d'acqua piantati di pali.Il
primo
sapore dellabirranazionale—
piscio tiepido e torbo— bevuta
per forza vicino alla stizza del mare.La morbidezza
d'unamanica
di seta, d^una camicia di mussola, d'una pelle giovine e di grana dolce.La
forza dell'acqua assenzio e laspuma
fre- sca su per il braccioquando mettevo
lamano
contro corrente
spenzolandomi
giù dal bar- chetto.Il canto lungo e sforzato di Gabriel e la sua chitarra sotto il
lume
a petrolio, e il suocom-
pianto diSardegna
: già spunta la riga sulmare
e ancora
non
t'ho
baciato il petto,colomba mia
!Ricordo ogni cosa e nello stesso
momento
e senza fatica. Perchè tutto è saldato, oramai, frame
e le registrazioni.Che
e' è dicomune
frame
e questo circolo friabile di sole ?Io sto con
me. Son
disciolto, lontano, fuor del sistema.Non
appartengo al tuo giro. I tuoi pensierinon
possono essere i miei.Un
elefante nascosto tra l'erba dura chebeve
allume
diluna
m'
intenerisce più dei regni e di tutte lepopolazioni.
La
parietaria che s'aggrappa alle pietre spu- gnose e affonda radici bianchedove
trova.
—
12—
molliche di
mota mi preme
più delle sorelleche aspettano.
Sono
incongedo
assoluto, collamia
integrità purificata dalle tristezze del giorno per giorno.Mi
butto,mi
ripiglio,mi
aggomitolo : sonoelastico.
Ora
lamia mano agguanta
la via lat- tea ene
fauna
federa per ilmio
sonno d'un'ora.Poi
mi nascondo
invisibile nell'oscurità—
e rsonoun punto
pienod'anima
e nulla più.Ho
restituito l'amore a chime
l'aveva dato- e son rimasto più leggero.
Ho
lasciato le ammirazioni siil limite del- l'atmosfera—
emi
sento più grande.Ho
regalato tutto l'odi© ai vicini—
e son tanto più forte.Ho
buttato i miei desideri giù di sottoad uno ad
uno,come
tanti sacchi di rena—
e sonsalito all' ultime zone.
Trionfo e definizione. Il canto d'ogni cielo è cantato.
Di
voce in voce è ripreso e s'allarga a ruota vibrante.Una
nota riposò sulla mio, bocca eppoi si perse e arriveràdove non
ci sia chi l'ascolti. Per tutti itempi
felici, senza sperpero di nostalgie e tortura d'occhi voltati in d'etro.L'acqua
è lieve intorno alla carne ; l'aria è più fine d'una carezzama
questovuoto
per- fetto dellamorte non
rassomiglia a nessuna gioia sperimentata.Delle battaglie di milioni
non
s'ode quassùneppure un
alito ; dei cannonineppur
si sqorge:^
—
13—
un
sospetto difumo
; l'Europa è un'ombra
spor- gente sulla pozza delmare
; RussiaGermania
e Francia son tutte
una
sola macchia,un
piccolo covo scuro chenon
e' entrerebbeun
coniglio a giacere.Pertutta lavita che si strazia e si disfa
—
gloriosa ridicolezza dei limiti :
un
dito piùqua
oun
dito più là !Perchèla terra
non ha
tantolume da
rischia- rare, per sé sola,un
mattino.Da
quest'altezza—
ch'èumiltàinabbandono Da
questamorte —
più vivadeua
vitaDa
questa superbia— non
perme ma
per l'eternoDa
questo disprezzo—
piùamoroso
della pietàio sorrido al dolore
come
se tutto fossefinito sul seriolicenziate le scorte allentate le guide chiuse le casse
a
uno
a due, a tre—
passo di marcia passo di corsa
passo
d'accompagnamento
più fitta la nottepiù solitaria
più profonda
solitaria, profonda
come
l'anima che tuttoha
voluto—
14—
e
non
scorderà/ Così
come
sorrido potreianche
piangere./ Senza
un rammarico
almondo,
con lastessa/ semplicità.
'
Lagrime
dagli occhi ciechi,ad una ad
una, dal cielo,da
quest'aria, lagrime diacce di morto, lagrime senza pianto dentro.Chi le vedrebbe, in questa notte ?
Chi l'asciugherebbe ?
Doratura
Anche
l' inferno, finalmente, è santificato.Sono
il santo del bar e dell'angolo.Soltanto per
me
idue
carri portano, il loro carico di stelle verso la fine dell' infinito.Ciondolo
come uno
steamer senza carboneinun mare
di sargassi.Dinanzi all'acquario delle tenere finezze re- cise
mi
soffermo per riconoscere i miei occhiriflessi tra i campanelli dei mughetti.
I giovanetti di scuola rattengono i sorrisi
ma
le
donne
sono indecenti : sotto cappelli e capellii loro pensieri son tristi di mestruazioni.
Da un metro
e ottanta d'altezza lamia
cat- tiveriaguarda
le basse stature abbigliate e celia collebambine
dal capo verde.II
colombo
diNoè
si posa sul frontone della biblioteca : le strade s'asciugano perchè il patto d'alleanza è firmato un'altra volta e laprimavera
appigiona tutte lecampagne
per le sue spocchie.Ma
dagli occhi sotto vetro partono a raggi fasci e correnti le titubanti allegrezze del ricco di sole.Spendo
senzarisparmio lamia
riserva di fan-ciullezza ; sotto la terra ogni cosa è
mia
:pago
FAfj..i Giorni di feuta
—
»—
I8—
puntualmente
ogni sabato sera conmarenghi
dipromesse.
L'
ho
ritrovata la strada con tutte le sue di-pendenze
;non ho
più bisogno dimani
; l'ami- cizia èun
lusso di poveri. Al nulla,mia
cara,anche
l'amore !L'omicidio è assolto ; fui salvato dall'acque
come Mosè
; ilfumo
dellemie Giubek
sali al cielocome un
ringraziamento e si perse nell' in- distinzione dell'assoluto.La mia
carne elastica, sostenutada
trava- ture d'osso inbuon
essere, si rivolge verso l'est-e si strugge di voglia per l'ozio caldo e la sabbia delle rovine.
Abbiamo
ricuperato il paradiso : ladonna non
partorirà con dolore e ogni nascita è abolita per decreto dell' immortalità.Sono
il padre d'una razzanuova
;non man-
cheranno i liquori per le feste dellememorie.
Potremo
dormire all'ombra dell'upas senza sospetto : il sangue èun
contravveleno.L'Affrica, che
ha forma
di cuore, ci riempiràle case di frutta : terremo l'oro sotto i piedi.
I Canacchi ed i Cafri scriveranno di
mecca-
nica e di psicologiama
noi, che lasappiamo
lunga, ci contenteremo di sciogliere mattoni di zucchero nella notte
fumante
del caffè.La
felicitànon
è piùuna promessa
: a cola- zione e a cena,prima
di fumare, neprendiamo
una
cucchiaiata per uno.—
19—
Soppressa ogni differenza tra ilsole e la
morte
le parole cascano giù
ad una ad
una, raccartoc- ciate di colpo,come un
dispetto del vento.Si ritorno
daccapo
: in sei giorni lavorativi la creazione è restaurata e ricolorita.Viene, intanto, per questa incassatura di
mu-
ricciòli in salita : su in alto, sulla piazza recinta,
si pestano i morti modesti del 1840 che nessuno piange più.
Un nome
eun cognome
sopraun
cartellino di
marmo
incastrato nel lastrone di sasso e null'altro.Ma
noiprocediamo
innanzi : e' è la siepe di spinalbello che giraad
arco e si perde al taber- nacolo, facendo sperare passeggiate e vite seijzà distacchi.Chiude un
gran pratodove
gli ulivi si senton soU, tanto son radi, e pare che al con- tadinonon
importi,da
questa bellezza, ricavare olio e pane.Le
colline violastre spruzzate di bianchi da- di di ville sostengono fiocchi difumo
rappresosulle
punte
diboscate.Qui
c'èda
godere per tutti.Ma
noi, senzaneppure
avvedercene,sediamo
sulla base della croce di ferro, difaccia al convento chiuso dalle imposte castagne.Nessuno
passa enon
e' è bisogno di parlare :sotto i grandi semicerchi de' sopraccigli i tuoi occhi
mi
confessano la bellezza della santità.Discorsi col Sordomuto
Per rispettare la santità delle case il sordo-
muto
sifermava
a tutti gli usci e alzava lamano
quadra, carnosa,
muovendo
dito a dito per chie- der misericordia.La donna
della spesa pc =isava in furia esembrava
a lei,appena venuta
da' paesi senza treni, un'offesa ai campanelli d'ottone e alle porte cogli scalini e all' inferriate potenti quella giacchetta rinfrinzellata dell'uomo che voleva e^ser povero in quel delizioso quar-
tiere di quasi ricchi. Dalla persiana
appena
sco- statalasignorina delpianterrenoscampanellavairiccioli della fronte e spiava,congli occhi infru- scatidal chiaro del sole e dalla
neve
che stava di-moiando
tra sasso esasso.Le
donne, tuttedonne da
quelle parti, a quell'ora, rasentavano lemu-
raglie imbiancate e gli stipiti azzurri a passo di bersagliere che già sentivan sonarsi negli orecchi
le
campane
puntuali del digiune.Il
sordomuto
siguardava
intorno eguardava
sé stesso e faceva
due
passicome
se volesse tor- nare indietroma
la porta più vicina lofermava
di bel
nuovo
eun
signore vecchio, tornando a casa, lo scansava tirandosi addosso iilembo
del paltò che il silenzioetemo non
piace a chi sente-
-
à4-
la
morte
appressarsi in ciabattema
senza ri*-tardi.
Un
gran cielo didomenica
smerigliata si go-deva
della propria lucentézzacome
più lon- tano dalla superficie terrestre in quelmomento
di bilico fra il mattino e la sera.
La
casa cina- brese del viale stava raccolta in sé a godersi quelprimo
caldo ; lepalme
fasciate di paglia nei centri dei circoli rialzati rimettevan fuoriun
po' del verde vivoma
vecchio che la brinamangiava
ogni notte col suomorso
leggero di sale gelato.Il
sordomuto
si fermò anche all'uscio della villa rossa e aspettò secondodopo
secondo quel che nessuno gli offrivaneppur
col pensiero.La
sua solitudine spaventava il tipo normale, rav- volto nel ricordo di tanto suo parlare, chema-
gari ripigliava a
mezza
voce lo spunto d'una canzonetta per dimostrare a sé stesso la pos- sibilità di comunicare con tutti.Il
sordomuto
insisteva, la boccaun
po' soc- chiusa, il ditoun
po' nero, ritto a insegnare i labbri, e l'altramano
pendente giù lunga lunga, verso il marciapiede fradicio e durodove
il passo dell'amico risonava più cauto.La
con-danna
del silenzio in quella mattinata di risve- glio salubre e scricchiolante ; gli uccelli che bec-cavano
tra laneve
di carraia in carraia, tra le palle pagliose eumide
de' cavalli ; la necessità di sorrideredopo
tanta oppressione d'acqua, di—
25—
vento e di sudicio
—
ogni particola delmondo,
ogni suono era contrario a quella
mutezza
va-gabonda
e pertinace. *Io passeggiavo
da
quelle parti in cerca di malinconie realizzabili, di brillantezze tutte in-teme, di ricordi appropriati a ringiovanirmi.
Ho
seguito il sordomuto, 1'
ho
avuto vicino ame
una
volta,due
volte,mi
sono spogliato per lui d'ogni capacità di terrore.A
pensarci, a riempirsi della tua vita, a fis- sare il suo occhio chesembra
ciecoda quanto
è
scompagnato
dalla parola, avrei sofferto piùdi tutti gli altri passanti che
non hanno —
sivede alla faccia :
—
lamia
sconosciuta delica- tezza.Ho
ceduto per lui,mi
sono spogliato dime, ho
rattenuta la repugnanza.Le
parole in-teme
che si legavano a forzacome una
catenadi reminiscenze e d' insofferenze, le
ho
ringoiate giù fino a sentirmi male.Ho
rinunziato almio
passo perchènon
si sentisse abbandonato.Non
ho
voluto offenderlo con segni e gesti. L'ho
presocome un
santo eho
detto lapreghiera senza alzare la faccia, senza tremar colle labbra al- l'uscita delle sillabe.Mi
sono inginocchiato di- nanzi a lui senza piegare i ginocchi. L'ho amato
senza stringerlo al petto.I
due
occhi cogli altridue
occhihanno
par- lato.La
sola lingua chenon
poteva offenderloho
adoprato con lui che altrenon
ne sapeva.Mi
disse ilsordomuto guardandomi
:—
«6 -.^—
lo chiedo e nessunomi dà
nulla. Perchènon
solamentarmi
e gridarenon
e' èuomo
odonna
chemi
ascolti. Ilmio
corpo ècompleto,non
voglion credere allamia
fame. Se capisseroil
mio
strazio sarebbero impotenti.Ogni
soldo sarebbe nulla.Ho
la bocca per ingoiare soltanto e gli orecchinon
sentono i cattivi no.Ed
io risposi guardandolo :—
Se tu fossi cieco ognidama
diritomo
dallamessa
metterebbe qualcosa nella tuapalma
di- stesa.Ogni
signore sbottonerebbe il pastrano per cercare il soldo battuto o il ventino falsoche
danno
noia enon
si posson rifilare agli illu-minati. Perchè le
une
e gli altri saprebbero che tunon
li vedi enon
e' è castigo più atroce dello sguardo puntato del povero. Chidomanda
colle parolema non guarda
cogli occhiha
ilbuon
posto nelmondo.
Sul portale della chiesa è ri-mj.sta la tradizione e la miseria
sembra man-
sueta, quasi
un
conforto, per chiva
a desinarepensando
in cuor suo che le fìammxe del predica- tore sono evitabili.Ma
chinon
parlaha
più eloquenza negli occhi di tutti i giudici del gran giorno.Ogni
benestanteha
paura di te perchèha
paura di sé stesso. Nel tuo silenzio ci sono troppe verità ; la tuamano
alzata èun
rimpro- vero.La
tua bocca serrata èuna
minaccia più terribile d'ogni esclamazione.Tu
porti in giro, sotto scusa di bisogno, lo spavento a chiha
—
27—
bisogno di parlare a gran voce
come
il fuggitivo nel buio dellecampagne.
Il
sordomuto
ascoltò colle pupille aperte ilmio
discorso eappena
ebbi finito le abbassòverso laneve
pestata emi
tornò inmente
la certezza che nessuna morale poteva consolare quella sua sperduta disperazione.Ma
s'avvicinò d'un passo emi
stese lamano
grande, indurita dal freddo, per lasciareanche me
e ritrovarsi piti solo, piti libero.Stretta la
mano mi
frugai per cercare imiei soldi
ma
ilsordomuto
s'allontanò, affrettòi passi, sv^oltò senza voltarsi alla cantonata vi- cina. Dalla parte contraria
mi
mossi anch' io e pernon
tremarecamminai
piìi presto e giun-si a casa coi piedi caldi
ma
senza voglia di nulla.Perchè
avevo
pensato ame
dinanzi a lui enon avevo
più dubbi su quello che fossi.Un
poeta, dicerto, se poeta si
chiama
chiva
spiluc-cando
l'universo a grande stento di risonanze e assonanze.Ma
chipiù s'avvicina alla poesia più sente cheresteràsempre
distanteda
quelloche la sublimitàpremente
vorrebbeda
noi ; e più sa esprimersi a piacer degli altri più si persuade che ogni espressione èmanchevole
e mancata.Chi megliodicetanto
meno
dicepersé. Chi segue, troppo curioso, quel che balena eppoiritoma
in sé stesso più si disanima elascia.
Quanto
più^
28—
si vive davvero, in profondità, e piti ci si ferma
al
momento
di aprirsi. Parolecomuni
per vistecomuni
: l'equazione è* perfetta.Ma
chi s'ap- parta evede
tutto con occhi nuovi è perduto.I segni inventati dagli altri
non
son più niente per lui. Chiederàda
bere eda mangiare ma
tuttoil suo spirito rimarrà
un
segreto per luimede-
simo, che per raccontare a sé stesso lemera-
viglie sarà
muto
ancheda
solo a solo. Ciascunodi noi tenta ; fa cenni con segni pesi di lettere e
annaspa come un
abbacinatonuota
nell'aria in cercad'ombra
nella piazza infinita.E
la sua voceè
come
voce silenziosa nel sogno :ne
luiné
i vi-cini l'avvertono.
Ogni
novità è ineffabile e inco- municabile.Ciascuno di questi
uomini —
fra i quali sonoio
—
émuto come
ilmuto
della strada.La
poesia éun
gesto di braccia,un
volger d'occhi sei za speranza,un
incomprensibile linguaggio che ricasca giti,come
lamano
del poverodopo
chele spalle s'allontanano rifiutando.
Ognuno
di noi é sordo per volontà a quel chenon
si potrebbe ripetere ; ed émuto
perchènon
sa dire quel che fu tutta piena ricchezza ed ora è balbettìo gemente, vergognoso della sua impotenza.Come
te, io poeta, fuisordomuto
ecome
tevo
di porta in porta e alzo lamano
eguardo
negli occhi e nessuno
mi
ascolta enon
e' èuomo
che abbia misericordia per questa
mia
miseria.Da una
mattina all'altra,quando
e' è il sole e la—
29—
nevesi scioglie, traverso anch' io lestrade nuove, love
uno può immaginare
che il silenzio sia legge per tutti emi
consolo a dimenticare, e adoro le finestre chiuseda
ferri e tendine, ed offro,ad
ogni sguardo che incrocio, lamia
costretta gran- dezza di taciturnoSospiri di Negro
Ci sono stati di quelli che
mi hanno
guardatocome
si guarda il vitello squartato sui ganci del macellaro ; e altrihanno
voltato, verso i vetri aperti nei muri, ivisi rattratti nel finto soprap- pensiero.Ho
avvertito ne'loro tacchi, dietro dietro inciampicando,uno
scricco di più, quasiun
singulto risareccio per labuona
riuscita.Eppure
! Chi vichiamò
intorno ame
senon
queidue
occhi miei così ghiotti dietro gli spazzolini corti de' cigli, queidue
occhi che sotto la facciata unita della fronte ingoiano tutti imomenti
le cose ?Mi
bastano, nel piazzone guar- nito di ragazzi in maglia rossa,due
botte ditamburo
per rifarmi inun lampo
l'anima che sta bene al deserto.L'anima
del nero che sa ballare al calore del sole e del fuoco.Una
negra soltanto poteva essere ladonna
che avrebbe steso sopra lemie
palpebre grinzose di troppolume
lo scialle bianco del sonno. Sarò, nella seconda parte delmondo, un buon
negrodi
romanzo
che si bagneràdopo
il rinoceronte e avràuna
religione di legno scolpita a coltello.Oggi, cavallo di privata scuderia, tagliato a
Papini, Giorni di festa
—
3. ,~
34—
striscie il cuoio lucente, col
muso
tra il fieno chenon
vidi verdeggiare, porto a spasso nella vettura di nolo tutte le signore dellemie
im- maginazioni.Un
salto diqua
euno
di là :per giorni e per giorni
appena un
raggio lamat-
tina, eppoi tutto ilgiorno, imbiancato, senza so-
le, finiva
prima
di seracome un
trasporto per carità.Laggiù
sarei stato proprietario dellamia
spe- lonca di travi collamaschera
di cinabro inchio- data alla soglia.Dentoni
bianchi di conchiglie avreimesso
fra labbro e labbro a inorridire gli spiriti e avrei sorseggiato ilrhum
cristiano ladomenica
sera, di nascosto a tutti.Mia
moglie, spalmata d'olio erasala testa, avreblDC guardato, alia destra della stola coniugale, le sue cioccle pendenti a guanciale fino al bellico, il suo grasso bellicospiombante
a grembiule fin soprale cosce.Ora
aspetto, sull'ora di cena, chi passa nel vento e nei riflessi della gran piazza schiacciata da'marmi. E mi
sento cosìscompagnato
dallamia
razza vestita di lana, così intirizzito difreddo e d' incèrto dolore !
Se un'ora di gioia smarrita viene a visitarmi
non
so riceverla incasa mia.Non mi
appartiene.Da
nessunomi
fu destinata.Vienee spariscesenza toccarmi e se nel polso il sangue vuol battere lamisura del risorgimento
non
vien risposta dalla parte del cuore.—
35—
Nella solitudine, invece,
mi
sollevo più alto dime come
il giovane vincitore di bronzo sottogli archi della loggia.
Mi
crescono intorno ai capelli foglie di sempreverdi e duri fiori d' in- verno.Rido
colmio
specchio ; segno il passo nel vuotoarmonico
delle dodici scoccate ; gusto ed assaggio con indicibile raccoglimento tutta la soavità dellamia
tristezza bastarda.Nessuno può prendermi
ilbraccio in quell'ore.Si
spengono
i lumi e sivedon
megliole strade del cielo fra palazzo e palazzo e il getto dell'acqua nella rotonda fontanadà
bianche faville di goc- cie sulla brunita della pietra invecchiata.Passo eripasso per rivedere quel che
ho
visto mezz'ora fané mi
stanco di questo giro di cose intorno ame
stesso, più fresco diamore
che almomento
della levata.Le
carrozze son ferme e chiusecome
bare d'epidemia : se tutti gli orologi dei dintorni suonano, l'undopo
l'altro, ilprimo
tocco delnuovo
giorno penso con fremiti di pas- sione alla bellezza dell'eternità.Non
svegliatemi. Ripenso alladonna
alta ematura
che si fece guardareda me
verso l'otto, tutta chiusa nei suoi grossi vestiti di velluto e di pelli, colla faccia nascosta dietro la veletta, tesacome una
finestra di filo tra i capelli ed il mento.La
pelliccia lunga che le rimodellava in dolcimonti
il corpo grande e fasciatomi
lasciòun
cattivo senso di fortezza
da
prendere.E quando
- 36-
mi
fu lontana fui contento più delmomento
in-nanzi. Accesi pronto
una
sigarettacome una
ricompensa odorosa.Non
potrò essereun
negro. Se questa pelle di secca recluta checonsumò
camicie troppo fini lustrasse di granamora
sotto il soled'Uganda
e degli occhi
non
si vedesse che il bianco, più bianco ditutto sopra ilmio
nasocamuso
dicane,non
avrei,né
alla lucené
al buio, questiamari
passatempi. Dormireicome un
ceppo, colloscudo sotto la parrucca cresputa,né mi
sveglierebbe infingarda la luce bigia degli orti.Avrei tanto bisogno d'esser più barbaro !
E
di stringere al
mio un
corpo ubbidiente con diti sudici di sangue infedele.Partirò
una
mattina. Sarà liscio ilmare come
la saponata nella conca e sarà il cielo tutto disteso e tirato
come una
pezza di seta nuova.Partirò verso i candori del Sud'
cantando a
mezza
voce tra il sorriso de' mozzi.Soperchieria del Tempo
Come
l'ombra del giorno cadentemangia
a gradi la luce che si distese intera la mattina—
il tempo, introduttore della m.orte,
mangia
notte per notte l'ultime solate dellamia
gioventìi.Al
tempo ho
consegnato ogni cosamia
: imiei minuti, i miei pensieri, le
mie
speranze, lemie
più belle disperazioni, i miei più ricchi do-lori.
Ed
egli s' è preso, senza proroghe, tutto quel che m'apparteneva.Ed
ora, per me, che resta ?n
tempo, esattore frodolento,mi ha
spo- gliato.Sono un
questuante alla porta di ogni anno.Ora
che tuttoho
dato vìa. nessuno darà nulla a ch^ siraccomanda.
xl^^yiX .Prima, negli antichi tempi, nell'altro secolo, ero
un
impaziente creditore delmondo. Volevo
che lamia
partemi
fosse pagata d'un colpo, in contanti.Non mi
contentavo di chirografi e ca- parre. Volevo che tutto l'essere entrasse, tutto insieme, in questaminima
parte dell'essere.E
cercavo l'alture perchèalmeno
l'occhiomi
desse
un
miraggio di smisurata dominazione.E
salivo, collamia
pallidezza aggrondata su—
40—
per le scorciatoie del
monte
etnisco, tra gli ulivi storti, i cipressi spennacchiati, ipàmpani
rug- ginosi.Mi
pareva, salendo, di farmi più santo, d'ac- costarmi auna
briaca purezza, di andare in cerca d'un intercessore, d'un bel martirio, d'una solitudine mortificata e voluttuosa, vicino sol-tanto a
un Dio
cheneppur ^nominavo. E
ri-masto
solo colla notte sentivo volontà di pian- gere—
di pianger d'un pianto disperatocome
quello di chi piange
una
volta sola nella suavita. Il paese stesso era
un
tradimento, una' vi- gliacca ironia d'agguati.Ma
sapevo,come
tutti gli uomini, d'esser fi-gliolo della notte e aspettavo la
mia
fresca so- rella : la mattina. L'altamattina
di sole tre-mante
che s'alzavada un mar
leggero dicaligine, e la città rosata, velata,sembrava
di carne,come una
donna.La
città promessa, la cittàdell'uomo,—
la mia.Ora
iltempo ha
ripreso tutto—
l'ombramangia
la luce, il giornomangia
la vita e s'ap- prossima lagrande
notte chenon
avrà pìh mattine.Tutto perduto
Sento
uno
sbatter d'ali vicino al finestrohe*Mi
affaccio : èun
uccellino cheva da una
docciaall'altra, smanioso,
come uno
smarrito chenon
ritrova il suo.
Entra
sotto la gronda, frugaun momento,
poi sfrulla fuori, fa il giro della casa e si ricaccia inun
altropunto
del canal di la- miera.Sembra
che abbia perso qualcosa : forseil nido, forse i figlioli, forse
una
bruca abboc- cata soprauna
foglia.Il sole, fatta la sua giornata, s' è riposato
un momento
dietro gli abeti delle Gualanciole eppoi, dato fuoco alle nuvole, è strapiombato dietro Montesilvestre.Una
ghiandaiami dà
con grande schiamazzo labuona
sera—
ed esco fi-nalmente
di casa.Su
nell'aia trovoNo
villo che frigna.No
villo èun amico
di quattr'anni, con gli occhi bian- chi, conun
sottanino che gli arriva sì eno
alginocchio e che
ha sempre
l'aria d'averpaura
di crescere.
—
Cosa hai fatto ?Mi
guardaun
po' di sotto in su, alza il sot- tanino per asciugarsi ilmuso
sudicio e lagri-—
44—
moso
e scopre le coscie ignuda conun
brincello grinzoso nel mezzo.—
Cosa hai fatto ?— Ho
perso la rota.Aveva una
rotellina di legno che gliavevano
infilata tra
due
bastoni : ci s'era divertito tuttoil giorno
sognando
chissà quali carri fantastici e quali corse lontane.Ora
1'ha
persa e forse ilcuore gli duole, stasera,
come quando
perderà,da
grande, ladonna
che gli parrà preziosa co-me
gli pareva, oggi, quella rota di legno sudicio.Vado
innanzi em' imbatto
nella Genoeffa.La
Genoeffa è quasiuna
ragazza fatta e la do- menica, colla pezzolona gialla in capo, s' im- branca, alla messa, tra le citte canterine.Ma
stasera
ha
gli occhi stralunati enon ha
voglia di ruzzare.— O
Genoeffa cosa ti succede ?— - Se sapesse !
Ho
perso la Caprona, la più bella di tutte le mi' pecore.— E
dov'eri a parare ?—
Alla Macogliesema
chissà che ventoha
preso IHo
girato dappertutto.Ho
girato il Fel- cetonè, Pian della Chiara, Pian di Lastrelle, ilCerreto
—
sonoandata
fino al^a selva de' casta- gni,ho
frugato nella Scapigl'a'a.Ma
sì !Non
e' è in ^^elie !
Chiama, chiama —
sarà tre ore che la cerco.Era
la più bella del branco : grassacome una
picchia,aveva
fattoun
agnello chenon
sene
vede. Fosse un'altranon
ci farei la—
45—
testa
ma
quella lì, la mi' Caprona, tantoamo-
rosa, che
mi
s'era affezionata finda
quand'era agnella,mi
dispiace proprio.Ho paura
chemi
sia capicollata in quegli scatrafossi dalle parti di Castellare.
Ma
ormai è notte : chi la ritrova ?E
la povera Genoeffava
via col capo in seno, tutta immusita,come
se la colpa fosse mia.Scendo
giù verso le case e sento,prima
d'ar- rivare,un
sussurrìo,un
brusìo,un
passeraio didonne
rotto ogni tantoda una
voce chechiama
alla disperata.
Mi
avvicino per veder cosa e' è.Un'altra disgrazia. L'Argenta
non
ritrova più ilsuo ultimo figliolino, il suo Gioiele.
È
statotutto il giorno vicino a casa, a fare i Castellini coi sassi, a correr dietro ai galli,
ad
acchiapparei saltagreppi.
Prima
che andasse sotto il sole è sparito.Nessuno
Vha
più visto.L'Argenta
1'ha
cercato in tutte le case, in tutti i capanni, per- fino nei seccatoi.E
scesa giù fino alla vasca, è arrivata su fino al Passo del Rosso.E chiama da
tutte le parti, col viso fradicio di lagrim.e—
il suo povero viso bruciato dai soli e dai venti
—
e nessun risponde.
Due uomini hanno
preso lelanterne per andare alla
macchia
; la Sabina sispenzola per guardar nel pozzo con
una paura tremenda
di vedere in fondoun
fagotto di cenci.Ma
Gioielenon
vien fuorida
nessuna parte e ilsuo
nome
riempie inutilm.ente la valle che s' in-gorga di buio.
Non potendo
essere utile a nulla, coi mieiocchi mezzi ciechi, torno indietro. Sotto il
muro
e' è
un uomo
checammina
innanzi ame gobbo
gobbo.— Buona
sera, Mencaccio.— Buona
sera.Ma
perme
è cattiva.— E
perchè ?— Non mi
riesce di ritrovare la mi' duca.L'avevo
nell'aia, legata allo stollo, em'
è scap- pata. Si vede cheavevo
fattomale
ilnodo
e ora chissà dov' è giunta.Ho paura
che sia an- data ai grani, là verso il Cardeto o ilCampo
alla Rosa.
E una
bestiacciamatta
chenon mi
riesce averla a niente. Se ora
mi
si fa notte perbene non
la riacchiappo fino a domani.Per
la bestia sarebbe poco
male
che soffrirenon
soffre m.a se
mi
fa qualchedanno
nel gran degli altrimi
tocca a pagare a me.E
Mencaccio passa giù per la via dello Spic- chio, borbottando tra di se.Mi
fermoun mo- mento
a guardar la luna che s' è alzata zitta zitta dallemacchie
di Roti col suo visone sba- lordito e gialluto, più gonfio di ierisera. Nei pri-mi
minuti par che salga più presto, quasi abbia furia d'allontanarsi dalla cresta nera dell'oriz- zonte,ma non appena
arrivataun
pezzo in su ripiglia la sua andatura infingarda, tanto ada-gio che par ferma in cielo.
Ma uno
scalpicciare lesto tra i sassimi
favoltare
E
Favolo che viene verso dime
guar-dando
in terra.—
47—
—
Co«^a cercate, Favolino ?— Ho
perso la falce, si figuri. Staseranon
so
dove
abbia la testa.Quando
sonoandato
amerenda
l'avevo enon mi
possorammentare dove r ho
poggiata. In casanon
e' è, nelcampo non
e' è, e se 1'ho
persa per la strada chi la ri-trova ?
Ora
aspetto che la luna facciaun
po' piùlume
e e' è il caso di vederla luccicare. Bisogna chela ritroviin tuttiimodi
:domattina
m'aspet- tano a mietere al Lavacchio. Sarebbe bella do- vessi perderTopra
per via della falco iHo
capito : stasera tutti perdon qualcosa.Questa luna, che a guardarla par tantoscioraa.
deve portar male. Vi meglio tornare a casa.
Ma
cos' è quel lumicino che simuove
lag- giti davanti alla casa del Bernacchi ?Andiamo
a vedere anche questa.
Quando
son \dcino vedoil povero Bernacchi chinato in terra, con
una
lanternina accesa, che raspa in terra tra i ceppi e gli attrezzi.
La
sua vecchiagroppa
copertada una
giubba d' inverno pareun
involto checam-
mini.
Duro
fatica a distinguere i capelli bianchi che gli escon dal cappello eun manone
grinzosoche pare, tra il buio, la
zampa
d'un mostro.—
Cosa cercate, Bernacchi ?Il vecchio si rivolta verso di