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Una valutazione degli impatti produttivi ed economici del cambiamento della variabilità climatica in aree dell agricoltura mediterranea

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e Graziano Mazzapicchio*

Una valutazione degli impatti produttivi ed economici del cambiamento

della variabilità climatica in aree dell’agricoltura mediterranea

1. introduzione

La Politica di sviluppo rurale dell’UE per il periodo 2014-2020 finanzierà anche le azioni che le aziende agricole intraprenderanno allo scopo di adattarsi ai cambiamenti climatici (CC) (Unione Europea, 2013). Questi aiuti saranno erogati solo se le aziende agricole finanziano una parte del costo necessario a realizzare le azioni di adattamento. Pertanto, l’efficacia di questa politica eu- ropea dipenderà anche dalla capacità di suscitare l’interesse degli agricoltori a investire in quelle azioni. Ovviamente, sarà più facile catturare quest’interesse se le misure di adattamento saranno progettate rispetto a modifiche del clima che gli agricoltori percepiscono già come minaccia ai loro redditi. L’approccio descritto in queste pagine segue cerca proprio di valutare l’impatto econo- mico del CC inquadrandolo nella normale gestione aziendale e specificando le possibilità di adattamento in riferimento alle opzioni gestionali delle varie tipologie di aziende agricole.

Questa prospettiva affianca molti altri approcci seguiti dalla ricerca scienti- fica per valutare le ripercussioni dei CC in agricoltura. Molti di questi approc- ci modellizzano i cicli di un ampio ventaglio di colture di cui specificano le condizioni ottimali per la crescita e gli effetti dei CC su di esse, considerando soprattutto le trasformazioni che potrebbero determinarsi a lunghissimo ter- mine e per molte zone del pianeta (Iglesias et al., 2009; Semenov e Shewry, 2011; Palosuo et al., 2010; Röotter et al., 2012). Questi studi indicano i

* DAFNE – Università degli Studi della Tuscia

** Questo lavoro è stato realizzato con il contributo del progetto MACSUR (www.Macsur.eu) finanziato dal MiPAAF

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principali fattori di stress, come l’aumento della siccità estiva e soprattutto della temperatura e permettono anche di valutare l’incertezza delle previsio- ni, confrontando i risultati di modelli diversi di simulazione. Infine, le stime sulla resa delle colture o sui fabbisogni dei fattori produttivi valutano anche alcuni impatti economici del CC. Queste valutazioni sono basilari e, tuttavia, non considerano le possibilità di adattamento degli agricoltori giacché non impiegano modelli economici che permettono di rappresentare e valutare i processi di scelta a livello settoriale, territoriale o aziendale.

Un contributo d’interesse sull’adattamento al CC è fornito dall’approccio ricardiano sviluppato da Mendelsohn che stima il rapporto econometrico tra il valore dei suoli e le condizioni climatiche sotto diverse condizioni climatiche e ambientali (Mendelsohn et al., 1994; Massetti e Mendelsohn, 2012).

Con questo approccio Van Passel et al. (2012) confrontano le situazioni produttive di Paesi europei climaticamente diversi tra loro concludendo che il riscaldamento globale genera perdite economiche per gli allevamenti che variano da -8% a -44%. De Salvo et al. (2013) stimano invece la riduzione dei ricavi netti in una sub-regione alpina italiana, mentre Lang (2007) analizza le condizioni produttive in Germania e Fezzi et al. (2014) studiano la situazione della Gran Bretagna in cui mostrano anche le zone dove i CC hanno effetti prevalentemente positivi. Stimando i parametri di questo tipo di relazioni, quest’approccio vuole anche misurare le possibilità di adattamento degli agricoltori ai CC di lungo periodo. Il suo contributo è ovviamente apprezzabile e, tuttavia, va rilevato che confrontare condizioni tecnologiche, di approvvigionamento delle risorse e ambientali distanti tra loro, non analizza il modo in cui avviene l’adattamento e, quindi, non indica quali politiche perseguire per supportarlo al meglio.

L’approccio presentato in queste pagine affronta questi limiti integrando l’analisi del clima di una tipica zona irrigua mediterranea, con la stima della sua produzione agricola e con un modello economico che riproduce le scelte delle imprese agricole che vi operano. In particolare, il processo di scelta economica è rappresentato assumendo che gli agricoltori è impostano l’attività gestionale considerando la variabilità delle risposte produttive delle colture e degli allevamenti, in buona parte attribuita alla naturale variabilità del clima1. In particolare, associando le aspettative produttive alla variabilità intrinseca del clima, gli agricoltori programmano l’attività premunendosi contro i più

1 Il termine “naturale variabilità del clima” è utilizzato per identificare variazioni climatiche che non sono attribuibili a o influenzati da ogni attività connessa agli esseri umani (American Me- teorological Society, 2014).

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probabili errori di programmazione dovuti all’instabilità del clima.

Quest’approccio si applica stimando innanzitutto le distribuzioni di probabilità (PDF) delle variabili produttive nelle condizioni climatiche dell’area, assumendo che queste generano le aspettative degli agricoltori sulle condizioni produttive. Queste PDF, opportunamente discretizzate, sono poi inserite in un modello economico che rappresenta le scelte aziendali nelle condizioni d’incertezza dovute alla variabilità climatica. Quindi si confrontano i risultati in uno scenario presente e in uno futuro per valutare gli effetti del cambiamento nella distribuzione di probabilità degli eventi climatici sulle tipologie aziendali delle aree di studio. Le analisi condotte con quest’approccio hanno considerato il periodi futuri relativamente vicini. Una di queste ha confrontato le condizioni climatiche e produttive del periodo 2000-2010 e quelle previste per il 2010-2020 (Dono et al., 2013a; Dono et al., 2013b; Dono et al., 2014). Altre hanno invece confrontato le condizioni del 2000-2010 e quelle del 2020-2030 (Dono et al., 2014a, 2014b, 2014c). Con intervalli così brevi non si può parlare di Cambiamento Climatico classico che, infatti, può essere valutato solo quando si stabilizza un nuovo assetto del Clima e, quindi, in una prospettiva di lungo periodo. Si può invece parlare di cambiamento della variabilità climatica (CCV). Questo è importante perché può essere direttamente percepita dagli agricoltori ed è utile considerarla per definire le misure di supporto all’adattamento della Politica di sviluppo rurale che si sta progettando in questi mesi.

Naturalmente il CCV interessa tante variabili meteorologiche in fasi di- verse dei cicli colturali e della gestione aziendale. Così, ogni studio si è dovuto soffermare solo su alcuni aspetti rilevanti per l’area in esame. Ad esempio, Dono et al. (2013, 2014) hanno esaminato la situazione di una zona irrigua mediterranea considerando che questa è esposta all’aumento delle temperatu- re estive, che fanno aumentare i fabbisogni irrigui estivi misurati dall’evapo- traspirazione netta (ETN), ossia la differenza tra evapotraspirazione e piovosi- tà. Inoltre, hanno considerato l’influenza del CCV nel ridurre la piovosità e le possibilità di accumulo idrico nel bacino artificiale che assicura l’irrigazione della zona. Lo studio considera anche l’effetto del CCV sulla produzione di latte bovino. Dono et al. (2014a) studia un’area molto vasta, localizzata nella Sardegna centro-occidentale, dove l’agricoltura è in parte irrigua, con foragge- re, ortive, risicoltura e l’agrumicoltura, e in parte asciutta, con prati e pascoli permanenti. Lo studio considera sia le condizioni climatiche che influenzano la domanda irrigua, in cui tra l’altro è molto rilevante la produzione di latte bovino, anch’essa indagata per gli impatti delle maggiori temperature estive;

sia le condizioni che influenzano la produzione foraggera per gli allevamen-

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ti ovini in collina. Una terza area di studio esamina sempre le condizioni di un’area irrigua, prevalentemente ortofrutticola, servita soprattutto inter- cettando le acque di un corso idrico, il Fiume Sele, in Provincia di Salerno (Dono et al., 2014b). L’analisi studia come possono variare le condizioni della domanda e dell’approvvigionamento idrico nel corso dell’anno, evidenziando effetti notevoli sul bilancio idrico anche in periodi diversi da quelli che co- stituiscono i classici picchi di domanda. Infine, è stata studiata anche l’area dalle province di Cremona e Piacenza, con la produzione del Grana Padano DOP. Qui l’analisi si è concentrata sugli effetti del CCV sulla coltivazione del mais da insilato e dell’erba medica per l’approvvigionamento foraggero degli allevamenti. Inoltre, è stato considerato l’impatto sulla produzione del latte bovino (Dono et al., 2014c).

L’analisi dei cambiamenti a breve termine delle variabili biofisiche e quella sull’implicazione di queste modifiche sulle scelte produttive delle aziende agricole possono supportare l’attuazione delle politiche di adattamento a scala regionale. In particolare, aiutano a individuare le variabili che rendono più incerte le varie fasi di cicli colturali. Inoltre aiutano a identificare le tipologie aziendali più vulnerabili al CCV, ossia un aspetto che sta diventando una priorità dei programmi di ricerca europei sulle misure di adattamento al CC del prossimo PSR (Orlandini et al., 2008; Reidsma et al., 2010). Ciò non risolve i problemi di specificazione delle misure a sostegno dell’adattamento al CC ma aiuta a discutere gli obiettivi da perseguire nei prossimi Programmi di sviluppo rurale.

2. materiali e metodi

2.1 Casi di studio: caratteristiche, gestione delle aziende agricole e incertezza del clima

Le analisi economiche sono state condotte, negli ultimi anni, su varie aree di studio, nelle quali sono stati valutati gli impatti economici del CC su differenti variabili di interesse agricolo.

La prima area a essere studiata è stata quella del Consorzio di bonifica della Nurra, situata nel nord-ovest della Sardegna. Si tratta di un’area climatica omogenea del Mediterraneo (Brunetti et al., 2002 e 2004), che dagli anni cinquanta del secolo scorso sta conoscendo un trend negativo della piovosità, con aumenti di temperatura ed evapotraspirazione (García-Ruiz et al., 2011), sia su scala stagionale che annuale. Gli scenari climatici futuri indicano la

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possibile accentuazione di questo andamento nel lungo periodo (García-Ruiz et al., 2011). Oltre che all’aumento dei fabbisogni irrigui delle colture, l’area vedrà anche ridursi le proprie disponibilità idriche. Il Consorzio di bonifica della Nurra distribuisce l’acqua per l’irrigazione prelevandola dal lago artifi- ciale del Cuga, che rifornisce di acqua potabile anche vari comuni dell’area (~

40% degli accumuli totali) (Dono et al., 2008; Dono e Mazzapicchio, 2010;

Dono et al., 2013a; Dono et al., 2013b; Dono et al., 2014). La ricarica del bacino si deve soprattutto alle piogge autunno-primaverili che hanno un’alta variabilità spazio-temporale perché dipendono da circolazioni atmosferiche che a loro volta sono molto variabili sia su scala inter-stagionale che inter- annuale (Chessa et al., 1999, Delitala et al., 2000). Alcune aziende agricole dell’area fronteggiano questa instabilità, sia pure solo in parte, ricorrendo al prelievo di acque sotterranee tramite pozzi privati (Ghiglieri et al., 2009 e 2012). Questa zona irrigua mediterranea è innanzitutto esposta all’aumento delle temperature estive, che fanno aumentare i fabbisogni irrigui estivi. Que- sti sono misurati dall’evapotraspirazione netta (ETN), ossia dalla differenza tra evapotraspirazione e piovosità. Lo studio considera inoltre che le modifiche delle condizioni climatiche estive, sintetizzate dall’indice TH (Temperature Humidity Index) influenzano anche la produzione di latte bovino. Infine, si considera che l’area è esposta alle variazioni di piovosità autunno-invernale che influenzano le possibilità di accumulo idrico nel bacino artificiale che le assicura l’irrigazione. L’aspetto è rilevante perché la dimensione del bacino che serve la zona non consente una gestione pluriennale degli accumuli idrici;

dunque, le possibilità d’irrigazione di una stagione dipendono direttamente dall’entità delle piogge nell’autunno-inverno precedente.

Un altro studio ha riguardato un territorio localizzato nella Sardegna centro-occidentale, in parte di tipo pianeggiante e servito dall’irrigazione del Consorzio di Bonifica dell’Oristanese, in parte di tipo prevalentemente colli- nare, caratterizzato da condizioni di produzione agricola in asciutto (Dono et al., 2014a). Nella prima area si coltivano principalmente frumento, foraggere e ortive. In essa è molto rilevante la produzione di latte bovino, nel distretto di Arborea dove si genera un rilevante indotto economico in un sistema che, oltre alla produzione del latte, è organizzato per la raccolta, il trattamento e il confezionamento di questo prodotto. Sono assai diffuse anche la risicoltura e l’agrumicoltura. Nella zona collinare è invece praticata un’agricoltura pre- valentemente non irrigua, anche se la presenza di pozzi aziendali permette l’attingimento dalla falda e la pratica di colture irrigue. Più del 50% dell’area fuori Consorzio è dedicata ai prati e pascoli permanenti e vi è concentra- ta la gran parte degli allevamenti ovini da latte per un totale di quasi 372

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mila capi. Lo studio di quest’area composita ha considerato innanzitutto le condizioni climatiche che influenzano la domanda irrigua. Questa ha una prima espressione primaverile-estiva per la produzione irrigua degli erbai di loietto; prosegue con le esigenze estive di ortaggi, foraggi e frutta. In questo caso si sono trascurate le modifiche nella piovosità: infatti, qui la dimensione del bacino che serve la zona è tale da consentire una gestione pluriennale degli accumuli idrici. Lo studio ha esaminato anche qui le condizioni della produzione di latte bovino, e gli impatti nella variazione delle temperature e dell’umidità estiva. Infine, nell’area collinare l’analisi ha valutato la variabilità delle condizioni che influenzano la produzione foraggera per gli allevamenti ovini in collina e gli effetti della sua modifica.

La terza zona comprende vari comuni in Provincia di Salerno e corri- sponde all’area servita dal Consorzio di Bonifica in Destra del Fiume Sele (Dono et al., 2014b). Le analisi sono state svolte su tutta la superficie del Consorzio, circa 15.000 ettari, tutti irrigati seppure con differenti metodi di distribuzione. La maggior parte della superficie è servita da impianti tubati, che garantiscono acqua ad alta pressione, mentre una parte residuale è ancora servita da canali a pelo libero, e quindi con acqua non in pressione. L’ap- provvigionamento idrico è garantito, inoltre, dai numerosi pozzi aziendali presenti sul territorio, che garantiscono disponibilità di acqua anche nei mesi in cui il Consorzio non opera e nei periodi di maggior fabbisogno irriguo delle colture. Nell’agricoltura della zona sono prevalenti le colture orticole, in pieno campo e in serra, e l’allevamento bufalino. Circa due terzi della super- ficie sono coltivati con ortive in pieno campo e in serra, 15% con foraggere e altrettanto con arboree da frutto. L’analisi studia come possono variare le condizioni della domanda irrigua e dell’approvvigionamento idrico dal corso fluviale nel corso dell’anno, evidenziando effetti notevoli anche in periodi diversi da quelli dei classici picchi della domanda irrigua.

L’ultima area a essere stata studiata è stata quella dalle province di Cre- mona e Piacenza, aree di produzione del Grana Padano DOP (Dono et al., 2014c). Su un totale di 4.840.018 forme di Grana prodotte, il 28% circa proviene da queste due province (CLAL, 2014), che comprendono 1.014 allevamenti su un totale di 6.868 nell’ambito delle 13 province attive produt- trici (6° Censimento dell’Agricoltura, ISTAT 2010). In queste province viene allevato più del 23% dei 702.994 capi bovini dell’area. Quasi il 60% dei 65 mila ettari presi in analisi è coltivato a mais da insilato (a differente stadio di maturazione alla raccolta tra le due province), mentre più del 20% a erba medica (maggiormente diffusa nella provincia Piacenza, dove si rileva anche una maggiore produzione di fieno di prato stabile). Infine, è stata studiata

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anche l’area dalle province di Cremona e Piacenza, con la produzione del Grana Padano DOP. Qui l’analisi si è concentrata sugli effetti del CCV sulla coltivazione del mais da insilato e dell’erba medica per l’approvvigionamento foraggero degli allevamenti. In particolare, si è considerato l’effetto del CCV sulle esigenze irrigue di quelle colture e dunque sulla pressione di domanda esercitata nell’area del bacino del Po. Inoltre, è stato considerato l’impatto generato dal cambiamento delle condizioni di temperatura e umidità sulla produzione del latte bovino.

2.2 I modelli e i dati utilizzati per l’analisi

Le analisi economiche dell’impatto del CC sul settore agricolo si basano sull’ipotesi che le aspettative degli agricoltori rispetto alle variabili climatiche dipendano dall’esperienza acquisita con la loro osservazione nel tempo. In particolare, si è assunto che un agricoltore, per raggiungere una buona con- sapevolezza riguardo agli espetti climatici del territorio in cui opera, guardi a un orizzonte temporale corrispondente ai 30 anni precedenti. Quindi per pianificare le scelte attuali, un agricoltore si basa sugli eventi climatici che si sono verificati nell’arco di questo periodo e allo stesso modo farà nel futu- ro. La differenza sta nel fatto che le condizioni climatiche che generano le aspettative presenti da quelle che le genereranno nel futuro sono cambiate e quindi gli agricoltori faranno scelte diverse. Queste diverse decisioni su come utilizzare le risorse che ha a disposizione hanno effetti sui risultati economici delle loro attività e misurando gli scostamenti di questi risultati rispetto al presente è possibile misurare l’impatto economico dei CC. In quest’ottica, due aspetti sono particolarmente rilevanti: il primo riguarda le variabili che possono essere più influenzate dal CC; il secondo riguarda la specificazione delle condizioni di clima presente e clima futuro. Le analisi hanno usato ap- procci diversi soprattutto in merito a quest’ultimo aspetto.

Nell’analisi svolta sulla Nurra si è lavorato a più riprese e con diversi approcci. Un primo lavoro di Dono e Mazzapicchio (2010) ha conside- rato tre livelli di disponibilità idrica nella diga del Cuga, basso medio e alto, ognuno con una certa probabilità di verificarsi. Lo scenario di clima presente (2004)2 riflette le condizioni di disponibilità idrica del ventennio precedente (1984-2003). Il futuro è ottenuto proiettando al 2015 le pro-

2 Il 2004 è stato scelto perché era disponibile un set completo di fotografie aeree della zona, utilizzato per calibrare i modelli economici.

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babilità di ciascuno stato di disponibilità idrica ed emerge una progressiva riduzione degli accumuli. Un’analisi successiva ha considerato sia la dispo- nibilità idrica nella diga, sia la domanda irrigua delle colture (Dono et al., 2013a; Dono et al., 2013b; Dono et al., 2014). In questo caso le aspetta- tive nel presente sono state costruite utilizzando i dati del trentennio che precede il 2004, mentre quelle del futuro sono state stimate utilizzando le osservazioni meteorologiche del 2001-2009 per forzare il generatore clima- tico WXGEN a produrre 60 anni di clima sintetico. Questa costruzione si basa sull’ipotesi che le aspettative degli agricoltori nel decennio 2010-2020 saranno molto influenzate dall’esperienza di grande cambiamento climatico che hanno fatto nel decennio 2001-2009.

Nelle analisi relative alle aree di Oristano, Destra Sele e Area Padana (Dono et al., 2014a, 2014b, 2014c), le aspettative nel presente (2010) riguar- dano le rese delle colture, i fabbisogni irrigui, l’ETN, la mortalità del bestiame allevato e la qualità del latte prodotto. Le aspettative sono state ricostruite sia nel presente che nel futuro (2020-2030) sulla base di due serie di dati fornite per quegli intervalli da un modello climatologico (RAMS). Questo ha per- messo di ottenere scenari climatici correnti e futuri che sono coerenti tra loro rispetto al processo di generazione dei dati.

2.2.1 Stima delle PDF inserite nel modello economico

Le PDF delle variabili agricole dei vari casi di studio sono state costruite con i risultati ottenuti applicando i modelli colturali e zootecnici ai dati cli- matici degli scenari presenti e futuri. Le uscite di queste applicazioni sono state poi sottoposte a uno stimatore di massima verosimiglianza e a un test chi-quadrato per identificare nell’ambito di una vasta gamma di funzioni di distribuzione quella che meglio approssima il set di dati. Le PDF ottenute sono state divise in vari stati della natura, a ciascuno dei quali sono associati un valore di riferimento e una certa probabilità di verificarsi. Ad esempio la PDF relativa alla disponibilità di acqua per l’irrigazione è stata divisa in tre stati: basso (con probabilità del 25%), medio (50%) e alto (25%). Nel futuro, lasciando invariate le probabilità, sono stati variati i valori di riferi- mento di ciascuno stato.

La figura 1a fornisce un esempio dei risultati ottenuti stimando le PDF dell’ETN nella Nurra (Dono et al., 2013a; Dono et al., 2013b; Dono et al., 2014). La figura si può leggere iniziando con la PDF ottenuta con i dati del trentennio 1951-1980 (la curva nera continua) e proseguendo fino alla

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PDF stimata con i dati del trentennio che finisce nel 2009 (la curva grigia continua)3.

L’analisi dei grafici mostra che negli anni appena trascorsi le PDF si sono già notevolmente spostate. In particolare, si può considerare la soglia di 933 millimetri che delimita lo stato di ETN alta e che ha una probabilità di 0,21 sulla PDF del 1951-1980 (si veda la tabella inclusa nel grafico). I valori della tabella mostrano il progressivo aumento della probabilità di avere uno stato di ETN alta da 0,21 nel 1951-1980 fino a 0,80 per la PDF stimata con i dati del trentennio 1980-2009.

La figura 1b confronta invece la PDF dell’ETN nel baseline presente (anno 2004, stimata con i dati del trentennio 1974-2003), disegnata con la curva nera, e quella del futuro prossimo, curva grigia. Il confronto tra le due PDF mostra che nel futuro la probabilità di avere uno stato di ETN alta dovrebbe aumentare da 0,25 a 0,34. I valori ottenuti con il test chi-quadro indicano che le funzioni stimate sono rappresentative dei dati osservati (P = 0,94).

3 Nel nostro approccio quest’ultima rappresenta le aspettative degli agricoltori nel 2010.

Fig. 1a PDF dell’ETN dal 1983 al 2011 Fonte: Dono et al. 2014

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Alle variazioni indicate dalla figura 1b corrispondono valori diversi di ETN normale e alta, e relativi fabbisogni irrigui, nello scenario di riferimento base- line e in quello del futuro prossimo, tabella 1.

2.2.2 Il modello economico di PSD

Gli effetti della variabilità climatica sulle scelte degli agricoltori sono state rappresentate con un modello di Programmazione Stocastica Discreta (PSD) (Cocks, 1968; Rae, 1971; McCarl and Spreen, 1997; Hardaker et al., 2004;

Connor et al., 2009). Questo modello simula un processo decisionale svolto in una condizione in cui lo stato di alcune variabili è incerto al momento del- la pianificazione stagionale e si definirà solo nei mesi successivi (stadi). In quei mesi le variabili incerte potranno assumere valori diversi (stati della natura) che condizioneranno in modo differente i successivi stadi e infine i risultati produttivi. Dunque, al momento della programmazione il decisore, nel no- stro caso l’agricoltore, può solo assegnare un livello di probabilità a ogni stato Fig. 1b PDF di ETN nel baseline e nel futuro prossimo

Fonte: Dono et al. 2014

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della natura e definire delle azioni correttive per proseguire al meglio l’attività produttiva qualora le scelte fatte si rivelino sub-ottimali, ossia non corrispon- dano allo stato della natura che veramente si è presentato.

Pertanto, utilizzando la PSD, si assume che gli agricoltori pianifichino la loro attività optando per gli stati della natura che massimizzano il reddito atteso, calcolato ponderando le possibilità di avere risultati ottimali ma anche risulta- ti sub-ottimali4. Pianificare considerando che possano verificarsi risultati sub- ottimali porta a effettuare scelte precauzionali, e dunque a ottenere in ogni caso un reddito inferiore rispetto a quello che sarebbe conseguibile in un contesto di certezza sulla soluzione ottimale. Questo costo dell’incertezza può crescere se il CC, o il CCV, modifica la probabilità o i valori rappresentativi degli stati della natura: l’impatto del CCV può così essere valutato confrontando i risultati forniti dal modello PSD in uno scenario di clima presente e futuro.

La specificazione del modello PSD

La rappresentazione matematica compatta del modello PSD utilizzato in quest’analisi può essere definita come:

4 Come accennato, il risultato ottimale si consegue se l’attività è pianificata sulla base della com- binazione di stati della natura che realmente si verifica. Un risultato sub-ottimale si ha invece quando si verificano altre condizioni, diverse da quella attesa e scelta per pianificare l’attività.

scenari baseline ∆% del futuro

rispetto al baseline

stati della natura normale alto normale alto

ETN (mm) 934 1.145 9,9 -1,1

Fabbisogni irrigui totali

(m3/ha)

Mais da insilato 5.122 5.444 10,5 6,5

Mais da granella 6.811 7.163 11,6 8,6

Erba medica IRR 5.704 6.541 1,2 1,4

Erba medica DRY 1.987 2.063 -11,0 -4,5

Rese (ton/ha s.s.)

Mais da insilato 17,8 18,5 8,3 5,1

Mais da granella 12,0 12,1 7,0 7,9

Erba medica IRR 6,6 6,2 22,3 40,9

Erba medica DRY 6,1 4,9 -15,4 -7,7

Wue (kg ss/mm)

Mais da insilato 34,7 34,0 -2,0 -1,3

Mais da granella 17,6 16,9 -4,1 -0,6

Erba medica IRR 11,6 9,4 20,9 39,0

Erba medica DRY 30,9 24,0 -4,9 -3,4

Tab. 1 ETN, fabbisogni irrigui, rese e efficienza d’uso dell’acqua (Wue) del mais e dell’erba medica – valori assoluti del baseline e cambiamenti percentuali del futuro rispetto al baseline.

Fonte: Dono et al. 2014

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soggetto a:

dove n è il numero di stadi del processo decisionale ed s sono gli stati della natura che possono essere assunti dalla variabile incerta. X1 è la terra, la cui al- locazione avviene nel primo stadio; XRns sono le azioni correttive svolte negli stadi seguenti (n= 2,..,N) per rispondere all’avverarsi di uno tra i vari possibili stati. Le azioni correttive modificano la disponibilità di risorse aggiuntive ed hanno un costo (Cr). L’equazione (1) è la funzione obiettivo (z) che somma i margini lordi (GI) delle attività scelte nel primo stadio (X1), i costi (Cr) delle azioni correttive XRns. I valori delle attività incerte negli stati della natura sono pesate con le loro probabilità (Ps) e sommate per gli n stadi. Infine, la funzione obiettivo somma i ricavi per il latte, in base ai prezzi (Pm) e alla quantità to- tale (Qm) ottenuti con il clima presente e nel futuro5. Il vincolo (2) si riferisce alle risorse terra e lavoro: A è la matrice dei vincoli tecnici e B è la quantità di risorse disponibili. Il vincolo (3) si riferisce alle risorse idriche e mostra che l’incertezza riguarda As, i fabbisogni di adacquamento delle colture irrigate, e che le scelte coinvolgono azioni correttive, XRns, negli stadi (n) per ogni stato (s). Il vincolo (4) riguarda l’alimentazione animale: N sono gli apporti unitari degli elementi nutrizionali, R sono i fabbisogni nutritivi delle categorie di bestiame. L’incertezza riguarda Ys, ossia le rese delle colture da foraggio, e le scelte implicano azioni correttive, XRns, negli stadi (n) per ogni stato (s).

5 La notazione matematica del modello considera gli effetti del clima presente e futuro sui ricavi del latte bovino. Gli effetti sui costi di produzione del latte sono invece considerati nella parte del modello che rappresenta la produzione e l’acquisto di foraggio: qui sono previste azioni correttive in caso di condizioni sub-ottimali. Azioni correttive simili riguardano la produzione e l’acquisto di foraggi per il settore ovino. In questo caso, tuttavia, la produzione estiva di latte è irrilevante, quindi, il modello trascura gli impatti climatici su di esso.

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Il numero di stadi, parametri e variabili dipende dallo specifico caso oggetto di studio. Per esempio, nel modellizzare l’incertezza sulla disponibilità di acqua in una diga, Calatrava e Garrido (2005) hanno suddiviso il processo decisionale sull’allocazione della risorsa terra in due stadi, ciascuno con stati della natura corrispondenti a diversi livelli di disponibilità idrica. Dono et al. (2013b) han- no invece considerato tre stadi, considerando, oltra all’incertezza sulle diponibi- lità idriche in diga, anche quella sui fabbisogni irrigui delle colture.

Per la calibrazione dei modelli di PSD costruiti nelle aree di Oristano, del Destra Sele e Padana è stato anche utilizzato l’approccio della Programmazione Matematica Positiva (PMP). In questo modo i modelli replicano esattamente l’uso del suolo effettivamente osservato nell’anno di riferimento. Negli studi in esame l’uso del suolo nel 2010 è stato costruito in ciascuna area di studio con dati di fotografia aerea, con dati forniti dai Consorzi di Bonifica operanti in quelle zone, e con dati delle aziende rappresentative della rete FADN.

3. discussione dei risultati

Le analisi svolte con l’approccio presentato nelle pagine precedenti hanno mostrato in tutti i casi che le aspettative degli agricoltori così come simula- te per il periodo futuro dovrebbero essere di fabbisogni irrigui delle colture maggiori di quelli presenti e, dall’altra parte, di riduzione della disponibilità idrica. Dovrebbe crescere anche l’aspettativa di condizioni di temperatura e umidità estiva più pesanti per la produzione di latte di quei mesi. Conversi et al. (2010) hanno evidenziato tendenze e impatti analoghi di CCV lavorando sugli ecosistemi mediterranei. Un altro contributo generale di questo approc- cio è di esaminare l’effetto combinato di cambiamenti diversi, che talvolta non agiscono in maniera addizionale ma sono sinergici e in qualche caso sono compensativi. In particolare, si sono analizzati due fattori di incertezza cli- matica, fabbisogni irrigui e disponibilità idriche, che dipendono da variabili atmosferiche diverse, che agiscono in periodi diversi. Di esse si è stimato l’im- patto economico specifico e congiunto, a livello aziendale e territoriale, come non sempre possono fare le classiche analisi agronomiche o le valutazioni di tipo ricardiano. È emerso che nei territori studiati l’impatto economico mag- giore si deve al calo delle disponibilità idriche mentre l’incertezza sull’ETN ha soprattutto effetti sull’ambiente perché riduce l’uso degli input chimici ma aumenta pure l’uso dell’acqua di falda.

La tabella 2 sintetizza i risultati ottenuti applicando il modello PDS nelle quattro aree di studio e riporta la stima dell’impatto del CCV sul livello di

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reddito netto totale di ogni area agricola e la stima dell’impatto sull’uso della risorsa idrica. Si può notare che gli effetti generali sono molto diversi e varia- no dal quasi 4% del reddito netto nella Nurra (Nord Sardegna), che si deve alla riduzione nei livelli di accumulo idrico nella diga all’1% nel Destra Sele.

Questi effetti di reddito si accompagnano, però, a modifiche notevoli nell’uso delle risorse e la tabella mostra come potrà variare l’uso dell’acqua per irriga- zione. C’è il calo notevolissimo nell’uso dell’acqua d’irrigazione fornita dal Consorzio di bonifica nella Nurra, dovuta alla diminuzione degli accumuli idrici in diga stimati per il futuro. C’è anche l’apprezzabile espansione negli

area di studio rn di area uso annuale dell’acqua d’irrigazione

consortile falda

Nurra -3,8 -33,2 1,2

Oristanese -2,6 1,9 0,1

Pianura Padana -2,1 8,4

Destra Sele -0,8 15,8 33,4

Tab. 2 Stima dell’impatto sul reddito netto totale delle aree di studio e sull’uso dell’acqua d’irrigazione

tipologie baseline (000 €) ccv

totale acqua

in diga irrigazione etn

ml rn rn + cap ∆% rispetto al baseline

Bovine latte grandi 1.306,8 389,3 655,2 -3,4 -1,8 -4,2

Bovine latte medie 99,2 40,8 58,4 0,1 -1,2 -1,0

Miste grandi 27,5 16,8 26,3 4,9 3,7 3,1

Miste medie 27,5 18,7 22,6 -12,6 -12,8 -0,4

Miste piccole 4,2 3,0 3,3 -2,6 -3,2 0,8

Olivicole medio-grandi 13,1 -8,5 40,4 -2,9 -3,8 1,4

Olivicole piccole 1,2 -0,9 3,9 -0,9 -2,1 0,1

Orticole medio-grandi 28,5 21,4 26,0 -23,1 -19,1 4,9

Orticole piccole 5,1 2,7 3,2 -44,8 -43,6 -0,2

Ovine latte medio-

grandi 48,7 24,1 29,8 -3,4 0,6 -3,4

Ovine latte piccole 20,2 9,9 13,0 -3,2 -0,3 -3,1

Viticole grandi 14.447,9 5.778,9 5.778,9 0,0 0,0 0,0

Viticole medio-piccole 43,9 26,3 26,5 -0,5 -0,4 0,0

Aziende grandi 2.194,7 845,2 922,6 -0,6 -0,4 -0,8

Aziende medie 34,1 19,1 27,9 -1,5 -1,2 1,4

Aziende piccole 6,8 4,1 6,0 -7,1 -7,3 -0,1

Tab. 3 Margine lordo (ML), reddito netto (RN) e RN più pagamenti Pac (RN+Cap) per tipologia aziendale: valori assoluti (000 €) e variazioni percentuali del RN+Cap

Fonte: Dono et al. 2014

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usi idrici dal corso fluviale sia nel Nord Italia, che nel Sud del Paese. In par- ticolare, in quest’ultima zona è impressionante l’aumento degli attingimenti alle falde acquifere.

A fronte di quest’impatto generale è però ancora più interessante l’effet- to sulle varie tipologie aziendali che operano nelle aree di studio. Gli effetti sulle varie aziende sono infatti assolutamente diversificati, con tipologie che soffrono l’impatto del CCV notevolmente più della media. Tutto ciò emerge con chiarezza dalla tabella 3 che mostra gli impatti sulle singole tipologie nell’area della Nurra riportando i cambiamenti del reddito netto inclusivo dei pagamenti della Pac (RN + Pac)6. Le ultime tre righe della tabella riportano gli impatti totali del CCV e quelli specifici delle sue due componenti, ossia la riduzione dell’acqua in diga e l’aumento dei fabbisogni irrigui delle colture.

Emerge che le aziende ortive subiscono l’effetto maggiore, che è anzitutto dovuto alla riduzione delle disponibilità idriche in diga. Soffrono molto anche le aziende miste medie, che sono la gran parte delle unità produttive dell’area: da risultati non mostrati in tabella si rileva che il declino dei loro redditi si deve al fatto che queste aziende perdono proprio la produzione ortiva. Quest’ultima si espande invece nelle aziende miste grandi che si avvantaggiano del cambiamento simulato. Inoltre, mentre l’effetto generale di reddito e quello sulle aziende coltivatrici è dovuto soprattutto alla riduzione nelle disponibilità idriche, le aziende bovine da latte e le ovine, soffrono soprattutto per l’aumento delle temperature estive. L’area è dunque collocata in una regione in cui gli aumenti delle temperature e dell’umidità estiva iniziano ad avere effetti di un certo rilievo sulla produzione del latte bovino.

Le ultime tre righe della tabella riportano l’impatto sui gruppi delle picco- le, medie e grandi aziende, divise in base ai valori di NI + Pac, con soglie di

€ 24.000 e 50.000 €. Si nota che le aziende più piccole soffrono la riduzione del reddito più marcata; inoltre, il calo del reddito delle tipologie più grandi è consistente a causa della riduzione nelle bovine da latte di grande dimensione.

Naturalmente va considerato che altri effetti rilevanti, non considerati in questi studi, potranno affiancarsi a quelli in esame. Ad esempio, ci potrà esse- re un impatto notevole del cambiamento nelle condizioni che determinano le infezioni batteriche o fungine o gli attacchi dei parassiti animali. Allo stesso

6 Si notino le differenze tra aziende rappresentate, in cui le aziende viticole e le bovine da latte più grandi coltivano superfici e ottengono redditi ben più alti degli altri tipi. In contrasto, la dimensione economica media delle aziende di piccole dimensioni è davvero minuscola. Inol- tre, i pagamenti della Pac hanno un rilievo notevole per le aziende di piccole e medie imprese e per le Aziende olivicole dove generano un valore apprezzabile di NI + Pac e invertono il valore negativo di NI.

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modo potranno modificarsi le condizioni da cui dipendono i livelli qualita- tivi dei prodotti. In questo studio si considerano gli effetti sulla qualità del latte (contenuto in grasso e proteine) e con essi quelli sui prezzi pagati agli agricoltori. Non si considerano invece gli effetti sulla qualità delle produzioni vegetali, da quelle ortofrutticole a quelle cerealicole, olivicole e vitivinicole.

4. conclusioni

L’approccio descritto in queste pagine è diverso da quelli basati sulla classica costruzione degli scenari di cambiamento del clima che si riferiscono a oriz- zonti temporali di lunghissimo termine, 30-50 anni. Questa prospettiva ren- de alquanto difficile l’impiego di modelli economici basato sulle condizioni vigenti della tecnica, delle strutture aziendali e dei mercati. Quest’approccio invece non solo permette di utilizzare questi tipi di riferimento ma, con- centrandosi sui cambiamenti a breve termine, permette anche di focalizzare l’attenzione sui possibili effetti di misure per l’adattamento al CC che è già in atto in questo periodo. Quest’aspetto è rilevante perché il cambiamento del clima nel lungo periodo potrebbe non essere percepito dalle imprese come una minaccia immediata, tale da sollecitarne l’impegno a cofinanziare le azio- ni promosse dalle misure di adattamento. Così, un approccio che, come que- sto, cerca di indicare le tipologie aziendali che stanno già subendo gli effetti dei cambiamenti in corso può aiutare a progettare le misure di adattamento al CC che si stanno implementando nei PSR.

I risultati delle analisi condotte con quest’approccio mostrano che il cam- biamento della variabilità del clima che si osserva in condizioni mediterranee può avere un’influenza rilevante in zone che già soffrono di carenza idrica e in cui i sistemi di distribuzione dell’acqua irrigua hanno limitate possibilità di regolazione pluriennale. I cambiamenti in corso nella variabilità delle precipi- tazioni, nella temperatura massima e nella concentrazione di CO2 vanno tutti considerati per sforzarsi di aumentare la resilienza dei sistemi agricoli nel pros- simo futuro. Questi cambiamenti possono essere già un pericolo per le colture irrigue tradizionali e per i loro sistemi di produzione, a un livello che può anche indurre l’abbandono di attività redditizie quali l’orticoltura e la produzione del latte bovino. Dato l’aumento relativo della temperatura e della domanda di ac- qua, è strategico accrescere e stabilizzare la disponibilità d’acqua. A tale scopo si dovrebbe investire per migliorare l’efficienza delle infrastrutture collettive per lo stoccaggio e la distribuzione dell’acqua nei Consorzi di bonifica. Questo inve- stimento produrrebbe anche un impatto ambientale positivo grazie alla minore

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estrazione di acque sotterranee, la cui qualità è già minacciata in particolare nelle isole e nelle zone costiere e può ulteriormente peggiorare se il CCV fa aumentare la domanda per l’acqua di irrigazione.

L’integrazione di competenze disciplinari diverse in un’analisi a scala di bacino è stata basilare per simulare le risposte agricole ai cambiamenti nella variabilità del clima. Essa ha mostrato che i CCV hanno effetti diversi in momenti e su comparti agricoli diversi e che richiedono specifiche misure di adattamento. La modellazione presentata in questo lavoro dovrebbe svi- lupparsi ulteriormente perché adesso ignora gli effetti del CCV su parassiti e patogeni delle colture e degli allevamenti, che poterebbero far aumentare i costi per le misure di controllo. È importante considerare anche l’impatto della CCV su altri aspetti della produzione agricola, come la lavorabilità dei suoli e le condizioni di vita del bestiame e la qualità dei prodotti.

Un limite importante dell’analisi appare, però, l’assunzione che gli agricol- tori, data l’esperienza sugli eventi meteorologici di questi anni, desumano che le PDF di quelle variabili climatiche vanno spostandosi proprio nel modo sti- mato dallo studio. Su questo non ci sono prove. Anzi, mentre in un contesto climatico stabile è ragionevole ipotizzare che le aspettative nate dall’esperien- za trentennale effettivamente guidano la programmazione aziendale, è arduo mantenere quest’assunzione in una situazione di cambiamento. In altre parole, gli agricoltori potrebbero non riconoscere il cambiamento pesando gli even- ti in base alla frequenza trentennale, come fatto per stimare le PDF di que- sto studio. C’è dunque un notevole spazio di approfondimento, ad esempio sulla formazione delle aspettative in un contesto di cambiamento radicale, che richiede d’integrare l’analisi con altri modelli di comportamento e di formazio- ne della conoscenza. Nonostante ciò, lo schema analitico che supporta questo lavoro può dare ancora altri frutti. Ad esempio può essere impiegato per stimare le conseguenze economiche di un’errata valutazione del cambiamento da parte degli agricoltori e, quindi, di una programmazione dell’attività ancora basata sulle vecchie PDF. Questo genere di analisi potrebbe rivelare che l’effetto di quell’errore è apprezzabile ed è utile investire per accrescere la consapevolezza degli agricoltori sulle modifiche in corso: questa potrebbe anche risultare la misura che è più urgente finanziare con i nuovi PSR.

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