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Vittoria e il liocorno

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Academic year: 2022

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Vittoria

e il liocorno

a Vittoria per i suoi tre anni

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Vittoria e il liocorno

C’era una volta, in un paese lontano lontano, una graziosa fanciulla di nome Vittoria. Aveva 19 anni e abitava in un bellissimo borgo della Riviera Ligure. Aveva concluso brillantemente l’esame di ma- turità e decise di andare a trovare la nonna nella sua villetta sulla collina di Capo Mele. Prese la bicicletta e salì per la ripida stradina.

Giunta nel cortile, vide che la porta d’ingresso era aperta ed entrò, chiamando a gran voce la nonna.

Nessuno le rispose, anzi vide un grande disordine nelle stanze, con molte cose sparse sul pavimento.

Preoccupata, uscì di corsa e si trovò di fronte ad uno spettacolo incredibile. Un cavallo dal pelo color grigio perla era davanti alla porta, la guardava e le sorrideva. Si fermò e continuò a fissarlo a bocca aperta, a fissare soprattutto la sua fronte, su cui spiccava un corno bianchissimo. Era un vero liocorno, in carne e ossa!

«Tu sei Vittoria, vero? La nipote della signora Victoria?»

La giovane dovette appoggiarsi allo stipite della porta. Aver visto un liocorno era stato impressio- nante, ma il sentirlo parlare le fece perdere l’equilibrio. Riuscì a balbettare solo tre parole.

«Dov’è la nonna?»

L’animale cercò di tranquillizzarla, parlando in tono dolce.

«Non avere paura. Sono un amico della tua nonna. Purtroppo degli uomini sono saliti quassù e l’hanno rapita… Ma ora entriamo in casa. È meglio che nessuna mi veda qui fuori, nel cortile.»

I due entrarono e il liocorno fece sedere Vittoria su una poltrona della sala.

«È successo sei giorni fa. Victoria, già da tempo, aveva il sospetto che qualcuno volesse rapirla.

Quando il suo segnalatore di allarme suonò, si nascose in cantina e mi disse di scappare nel bosco dietro casa, dai miei amici cinghiali.»

Dopo due ore il liocorno, da lontano, aveva visto gli uomini armati uscire con la nonna. Nei giorni seguenti, era stato di vedetta sperando che qualche parente venisse a trovare la sua amica.

«Io so chi l’ha fatta rapire.»

«Chi è?»

«È stato Midamante. È un mago molto potente e, purtroppo, molto cattivo. Per ottenere ciò che vuole è disposto a usare la violenza, come con tua nonna. Devi sapere che Midamante è a caccia del famoso

“Aureum Saxum”, una pietra che, quando è messa a contatto con un certo metallo, lo trasforma in oro. Chi possiede quella pietra diventerebbe l’uomo più ricco del mondo.»

«La nonna aveva quella pietra?!»

«Sì, mia cara…»

* * * * *

La storia era iniziata il giorno in cui un’amica di Victoria, durante le sue ricerche tra le rovine di un antico castello, aveva trovato l’Aureum Saxum. Dopo molti tentativi, Crisodora era riuscita a sco- prire che il metallo da usare era il rame e anche a quale temperatura si dovesse farlo fondere prima di immergervi la pietra. Alla fine, aveva ottenuto che il rame si trasformasse in oro. Lei pensava di tenere il sasso nascosto per aiutare la povera gente. Midamante, però, lo aveva saputo e aveva fatto portare nel suo castello la povera Crisodora con la pietra.

«Ecco perché a Midamante non bastava avere la pietra magica, ma aveva bisogno anche di Crisodora per farla funzionare.»

Vittoria si era ripresa completamente e lo interruppe.

«Scusa, caro liocorno. Prima di andare avanti, vorrei sapere come è possibile che tu sia veramente un liocorno… un liocorno parlante.»

«È una lunga storia… Io ero un essere umano e fu proprio quel folle di Midamante a compiere un incantesimo incredibile e terribile. Voleva ottenere un cavallo col cervello umano e con le ali, come

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il cavallo mitologico Pegaso. Ma, dopo molti tentativi, ottenne come risultato finale me, cioè un ca- vallo senza ali. Posso parlare, ma ho perso la memoria di quello che ero prima… E dovrò vivere nascosto per sempre.»

La giovane si era commossa.

«Povero amico… Hai un nome con cui io possa chiamarti?»

«Chiamami Pegaso. È il nome che mi diede Crisodora. Fu lei a farmi fuggire da Midamante. Ma andiamo per ordine…»

Quando Crisodora si trovò davanti al mago, fu costretta a insegnargli tutto il procedimento per pas- sare dal rame all’oro, ma ci volle un po' di tempo per arrivare fino alla fine.

«Io avevo saputo dell’arrivo della povera maga e quella sera riuscii ad avvicinarmi alla finestra della sua camera. Le parlai e le spiegai che avrebbe potuto fuggire da quell’isola grazie al mio aiuto.»

«Fuggire da un’isola su un cavallo?! Ma tu non hai le ali!»

«Non ho le ali, però posso volare.»

«E come?»

«Me ne sono accorto per caso. Un giorno, mi misi a galoppare a perdifiato. Mi fermai per bere al laghetto e sentii un gran bruciore al corno. Specchiandomi sull’acqua, vidi che il corno era diventato rosso e quasi incandescente. Feci un balzo all’indietro e presi il volo, alzandomi ad una velocità paz- zesca.»

«Quindi volavi senza ali?»

«Proprio così. Non era come il volo di un uccello o di un aereo. Partivo come un missile e nei giorni seguenti mi esercitai a cambiare direzione e velocità finché riuscii a controllare il mio volo come se fossi un pilota.»

«È in questo modo che siete riusciti a fuggire?»

«Sì. Il mattino dopo, Crisodora stava controllando la temperatura del rame bollente. Ad un certo punto uscì con una scusa nel cortile, portando con sé la pietra. Io ero lì, già riscaldato a dovere, e la feci saltare in groppa, quindi partii a razzo e in pochi minuti raggiunsi la terraferma.»

* * * * *

A questo punto Pegaso spiegò che, per fuggire dall’isola, aveva bisogno che qualcuno trovasse per lui un nascondiglio sicuro e fu proprio Crisodora che glielo trovò presso la nonna Victoria. Dopo una breve sosta, il liocorno aveva ripreso il volo in direzione della Liguria ed era atterrato davanti alla casa di Victoria.

«Per tua nonna fu una bellissima sorpresa. Lei era molto amica di Crisodora e, dopo aver sentito la storia di noi due, si mise a pensare ad un piano per non farci scoprire da Midamante.»

Per prima cosa, disse che bisognava nascondere l’Aureum Saxum e trovò un modo molto ingegnoso.

«Ci disse che da giovane era stata assistente di un cugino veterinario e andò a prendere una piccola borsa con dei ferri chirurgici.»

«E cosa fece con quei ferri?»

«Fece un piccolo intervento sul mio addome. Mi fece mettere sdraiato a pancia in su sopra un tavolo, mi disinfettò e mi fece l’anestesia locale. Intanto Crisodora aveva messo la pietra in una busta steri- lizzata con l’alcol.»

Victoria, indossati i guanti sterili, fece col bisturi una incisione di sette centimetri e preparò una specie di tasca sotto i muscoli addominali, in cui infilò la pietra. Poi, con ago e filo, chiuse la pelle con dieci punti di sutura.

«La nonna è un vero genio. Ha usato lo stesso trucco di Ulisse col cavallo di Troia.»

«È vero! Ulisse ha messo nella pancia del cavallo i guerrieri greci e tua nonna ha messo nella mia pancia la pietra magica.»

«Non ti dà fastidio la pietra?»

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«No. Sento appena un leggero peso. Ti dicevo che Victoria aveva un piano secondo il quale Crisodora doveva allontanarsi il più possibile dall’Italia. Una loro vecchia amica si era trasferita in Finlandia e io la trasportai laggiù.»

«Dimmi Pegaso. Come ha fatto il mago cattivo a trovare la nonna?»

«Lui stava progettando una macchina molto potente che riusciva a seguire i movimenti delle persone che erano state nel suo castello.»

Sicuramente con quella invenzione aveva ricostruito il percorso fatto da Crisodora e, dopo averla individuata, l’aveva fatta prendere dalle sue guardie in Finlandia. Non avendo trovato con lei la pietra aurea, aveva mandato i suoi uomini a cercarla nella casa di Victoria.

«Come facciamo a trovare la nonna? Mi sembra una cosa impossibile.»

«Mia cara, abbi fede. Io sento di avere dei poteri che mi permetteranno di scoprire e di liberare Vic- toria.»

«Tu pensi che non sia stata portata nel castello sull’isola?»

«No. Il mago ha un rifugio segreto dove prova i suoi incantesimi e le sue invenzioni. Ma non so dove sia…»

* * * * *

In quel momento Vittoria notò sul pavimento, vicino ai vetri rotti di una brocca, un foglio con delle macchie di the. Si alzò e andò a raccoglierlo. C’erano, quasi del tutto cancellate, delle parole.

«C’è scritto qualcosa: “Mi portano…” Poi ci sono delle macchie. Poi, più sotto: “Victoria”. Poi due parole staccate: “Porto… far…»

«Sai cosa ti dico? Questo è un messaggio che Victoria deve aver scritto prima che la portassero via.

Avrà sentito dire dove sarebbero andati e ce lo ha fatto sapere.»

«Sì! La nonna è sempre stata in gamba. Adesso, però, dobbiamo capire dove si trova questa città e cosa significano “porto” e “far”.»

Vittoria prese dalla libreria l’enciclopedia e cercò la città di Victoria. Era una città di mare in Ca- nada, sull’Oceano Pacifico, con un grosso porto.

«Ecco dove si trova. E “far” significa faro. Quindi è nel porto, vicino al faro.»

«Fammi vedere la carta del Canada, così so dove dirigermi.»

Pegaso studiò la carta, poi invitò la ragazza a seguirlo nella stalla. Qui le fece vedere la sella speciale che Victoria aveva costruito per chi lo cavalcava quando raggiungeva velocità elevatissime.

«Sembra l’abitacolo di un aereo a reazione.»

«Esatto. Io volo molto più veloce di quelli e tu, quando mi salirai in groppa, dovrai essere protetta dallo spostamento d’aria.»

Mentre rientravano in casa, il liocorno si ricordò di una cosa importantissima.

«Prima di partire, c’è ancora una cosa che tua nonna aveva inventato e ci sarà utilissima. Un orologio segna-persona.»

«Cosa?!»

«Beh. Più che un orologio è un braccialetto che rileva la vicinanza di una persona. Vittoria me lo fece provare alla zampa. Lei si allontanò e io schiacciai il pulsante dell’accensione con lo zoccolo. Quando tornò indietro, a mano a mano che si avvicinava, il segnale diventava sempre più forte. Con questa invenzione capiremo dove si trova la nonna.»

«Non riesco a credere a quante cose ha fatto nonna Victoria. Allora. Quando partiamo?»

«Un momento! E’ mezzogiorno. Dobbiamo mangiare qualcosa e tu devi preparare un po' di vestiario da portare in viaggio.»

«Ho il mio zaino, con la roba per dormire dalla nonna due o tre giorni.»

«Bene. Così i tuoi non ti stanno aspettando a casa.»

Mezz’ora dopo, Pegaso iniziò la galoppata per caricare il suo motore di animale volante. Quando il suo corno divenne incandescente, Vittoria caricò l’abitacolo sul suo dorso e vi entrò, legandosi con le cinture.

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«Ho calcolato che arriveremo in meno di cinque ore. Partenza!»

* * * * *

Il liocorno prese il volo e sorvolò la Francia e la Spagna, passò sull’Atlantico e raggiunse la costa del Canada. Qui fece una breve sosta, poi ripartì e arrivò in vista del Pacifico esattamente dopo cinque ore di viaggio. Atterrò e Vittoria uscì dall’abitacolo.

«Ecco là in fondo il porto di Victoria. Io vado a bere a quella fontana e ad assaggiare quell’erbetta nel prato. Tu intanto mangia i panini con l’aranciata.»

Al termine di quella rapida cena, i due si misero in cammino verso il porto. Vittoria aveva comprato un sombrero messicano e lo aveva infilato in testa a Pegaso per nascondere il corno. Giunti vicino al grande faro sul promontorio che faceva da riparo alle imbarcazioni, venne acceso il segna-per- sona.

«Non si sente nessun segnale. Avviciniamoci.»

«Aspetta Vittoria. Vado avanti io, per non destare sospetti se c’è qualche uomo di guardia. Fissami il braccialetto alla zampa.»

Dopo un quarto d’ora Pegaso, che aveva girato intorno al faro e aveva incontrato soltanto il vecchio guardiano seduto davanti alla porta, ritornò deluso dalla ragazza.

«Victoria non è qui. Forse abbiamo sbagliato a interpretare il messaggio della nonna.»

«Già. Deve esserci un’altra città col nome Victoria…»

«Senti, mia cara. Si sta facendo notte e tu devi trovare un albergo dove dormire. Io ho visto una grotta di fianco alla scogliera e andrò là, ma tu chiedi l’informazione a qualcuno.»

Proprio in quel momento, passavano lì vicino quattro ragazzi che scherzavano tra loro. Vittoria cercò di parlare nel suo inglese scolastico e chiese dove fosse l’albergo più vicino. Rispose la più anziana.

«Ma tu sei italiana! Come noi. Anzi come me. Io sono venuta in vacanza dai miei cugini qui a Victo- ria. Loro hanno una pizzeria al porto. Oh, scusa se non mi sono presentata. Mi chiamo Mirella. E tu?»

Vittoria era rimasta colpita dall’accoglienza di quella simpaticissima ragazza e le porse subito la mano.

«Piacere. Io sono Vittoria. È una fortuna avervi incontrato, così non devo parlare in inglese.»

«Tu ci hai chiesto di un albergo. Non hai nessuno qui a Victoria?»

«No. Sono appena arrivata e domattina devo ripartire.»

«Nessun problema! Sarai nostra ospite! Vero cuginetti miei?»

I tre ragazzi risposero subito “siii” in coro.

«La loro casa è grande e c’è una camera anche per te. Dunque, accetti?»

«Sì, Mirella. Grazie infinite.»

«Permetti una domanda. Quel bel cavallo col sombrero è tuo?»

«Sì. Si chiama Pegaso. Lui stanotte ha già trovato dove dormire.»

«Dove? Non ci sono stalle qui attorno.»

«Dorme in una grotta.»

«In una grotta!? Povera creatura! Dormirà anche lui da noi. Mio zio ha una stalla con capre, pecore e conigli. Pegaso troverà della morbida paglia e della biada saporita. Su, andiamo!»

* * * * *

Il gruppetto si mise in marcia e raggiunse la villa degli italo-americani, che accolsero la nuova ar- rivata con grande simpatia. Mentre sedevano e parlavano delle loro città di origine, Vittoria chiese se conoscevano un’altra città col nome Victoria. A rispondere fu il vecchio nonno, che in gioventù aveva viaggiato per mare e aveva fatto più volte il giro del mondo.

«Nelle Isole Seychelles c’è una grande città che si chiama Victoria.»

«È sul mare? Ha un porto?»

«Certo. Un grande porto. Ricordo anche che c’era un faro gigantesco.»

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«Grazie! Volevo proprio sapere questo.»

«Aspetta. Il nome Victoria mi ricorda un altro posto. A Melbourne in Australia, attaccato al porto, c’è lo stadio Victoria, che è il nome dello Stato che ha come capitale Melbourne. Ci ero andato per vedere una partita tra le due squadre della città.»

«Grazie, grazie. Ora so proprio tutto su questo nome.»

Quella notte Vittoria sognò porti, fari e campi di calcio. Al mattino, dopo un’abbondante colazione, i due ospiti salutarono quei nuovi amici e si diressero verso la campagna. Il liocorno fece la galop- pata, poi partì con Vittoria nell’abitacolo. Riattraversarono il Canada e l’Atlantico e si fermarono sulla costa africana. Pegaso potè gustare l’erba tropicale, quindi spezzò con lo zoccolo il guscio della noce di cocco caduta da una palma. Vittoria si mangiò come frutta metà del cocco dopo la pizza che le aveva preparato la zia di Mirella.

«Ho guardato la carta dell’Africa. Devo arrivare all’Oceano Indiano e andare in direzione sud-est. Le Seychelles sono un grosso arcipelago e Victoria si trova sull’isola più grande.»

I due ripresero il viaggio e atterrarono vicino al porto di quella città. C’era molta gente sulla ban- china e anche intorno al faro, per cui Vittoria si mescolò alla folla e accese il segna-persona. Anche questa volta, purtroppo, non ci fu alcun segnale.

«Pegaso, mi dispiace, ma dobbiamo ripartire. Proviamo ancora in Australia.»

«D’accordo, ma non essere così triste. Vedrai che la nonna è lì. E poi, siamo vicinissimi: c’è da fare solo un tratto di mare.»

In effetti ci volle poco più di un’ora di volo, favorito anche dal forte vento che soffiava in direzione dell’Australia. Scesero poco lontano dal faro che si trovava in fondo al molo del porto. Vittoria si mise a passeggiare sempre più vicina al faro, con il segna-persona acceso. Dopo venti minuti, si arrese e tornò dal liocorno. Qui non potè trattenere le lacrime. Dopo averla lasciata sfogare, Pegaso la consolò con una idea che gli era venuta mentre l’aspettava.

«Ti ricordi che, quando siamo passati sull’Africa, il segna-persona si era acceso e aveva fatto qualche ticchettio?»

«Sì. Ho pensato che fosse stato il tuo spostamento di direzione.»

«Ebbene. Ho fatto un ripasso di geografia dell’Africa e mi è venuto in mente il Lago Victoria. È un lago grandissimo e sicuramente ci sarà un porto con un faro. Domani mattina ti porto là.»

«Oh, Pegaso. Sei un tesoro!»

* * * * *

Quella sera, Vittoria trovò da mangiare e da dormire in un piccolo albergo per studenti, dietro all’Università, mentre Pegaso si sistemò nel parco vicino. Dopo la colazione partirono per l’Afri-ca e, giunti sul lago, fecero un lungo giro sulle coste alla ricerca di un porto. Lo trovarono finalmente vicino ad una città. Era un grande porto con piccole imbarcazioni e un piccolissimo faro in cima a un roccione. Scesero e si avvicinarono al faro col segna-persona acceso, che rimase silenzioso.

Quella sera, Vittoria trovò da mangiare e da dormire in un piccolo albergo per studenti, dietro all’Università, mentre Pegaso si sistemò nel parco vicino. Dopo la colazione partirono per l’Africa e, giunti sul lago, fecero un lungo giro sulle coste alla ricerca di un porto. Lo trovarono finalmente vicino ad una città. Era un grande porto con piccole imbarcazioni e un piccolissimo faro in cima a un roccione. Scesero e si avvicinarono al faro col segna-persona acceso, che rimase silenzioso.

«Deve essere disabitato da anni. Ci sono erbacce e ragnatele dappertutto.»

«Sì, Vittoria. Abbiamo sbagliato anche questa volta.»

I due si girarono e raggiunsero a testa bassa una piazzetta con delle panchine. Vittoria si lasciò cadere su una di quelle e Pegaso si appoggiò allo schienale. Avevano girato quasi tutto il pianeta per niente. La giovane, alla fine, alzò il capo e girò lo sguardo intorno, fermandolo su un grande cartellone pubblicitario sul quale c’era una scritta coloratissima: “Venite alle Cascate Victoria, con una indimenticabile crociera in battello sul fiume Zambesi!”.

«Pegaso! Pegaso! Ecco dov’è la nonna! Se c’è un battello vuol dire che c’è un porto e anche un faro.»

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«È vero! Quelle cascate sono molto famose e ricordo che sono a poca distanza da qui. Forse, quando ieri il segna-persona si era messo a suonare, stavo passando proprio là sopra.»

Il liocorno fece il solito galoppo, caricò Vittoria e partì in direzione sud-ovest, sorvolando la giungla e giungendo al larghissimo fiume Zambesi. Quando furono sulle cascate, rimasero a bocca aperta davanti a quello spettacolo: una larghezza di oltre un chilometro e un’altezza di centoventi metri, con una lunga nuvola bianca che saliva dagli altissimi spruzzi.

«Ho visto un battello là in fondo. Seguo il corso del fiume e sicuramente arriveremo al porto.»

Poco dopo avvistò un gruppo di barche e barconi attraccati a una banchina di legno. Scese a poca distanza e si avvicinò con cautela, seguito da Vittoria. Il faro non c’era, ma appena lei accese il segna-persona, questo si mise a suonare con dei click molto ravvicinati.

«La nonna è qui! Finalmente ce l’abbiamo fatta!»

«Tu, Vittoria, vai a dare un’occhiata a quelle case, mentre io salgo sulla collinetta per studiare il posto.»

La ragazza camminò fino al porticciolo e si fermò davanti a un edificio che aveva una grossa insegna sopra la porta: “Porto Safari”. Vittoria non trattenne un’esclamazione.

«Ecco cosa voleva dire quel pezzo di parola “far”: era safari!»

In quel momento sentì dei forti rumori provenire dalla banchina. Degli uomini caricavano delle casse e dei sacchi dentro un’imbarcazione. Si avvicinò e rimase stupefatta. L’imbarcazione era un piccolo sottomarino argentato con il portello aperto per far passare il carico. Sulla fiancata c’era scritto

“Nautilus”. Vittoria sorrise e si disse tra sé che forse il capitano si chiamava Nemo. Ma subito fece dietro front e ritornò a dove l’aspettava il liocorno.

* * * * *

«Pegaso! Devo dirti due cose! Al porto c’è un sottomarino, un vero sottomarino. E la scritta “far” non voleva dire faro, ma safari, porto safari. C’è un ufficio per prenotare un safari sul fiume.»

«Un safari sul fiume!?»

«Sì. C’è scritto che dal battello si vedono da vicino ippopotami e coccodrilli.»

In quel momento si sentì il rumore di un motore.

«È il sottomarino che si è messo in moto. L’avevo visto dall’alto, mentre lo caricavano. Sono sicuro che è roba che devono trasportare al nascondiglio di Midamante, che forse si trova proprio in una caverna dietro la cascata. Sai ora cosa faccio?»

«Dimmi.»

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«Scendo al fiume e lo seguo nuotando sott’acqua. Mi porterà all’imboccatura della caverna e lì cer- cherò di scoprire dove tengono Victoria.»

«Sei sicuro di farcela a nuotare sott’acqua?»

«Certo, mi ero già esercitato sull’isola. Ciao!»

«Mi raccomando, Pegaso. Stai molto attento!»

Il liocorno si immerse nel fiume e nuotò dietro il sottomarino fino alla cascata. Qui il sottomarino andò in immersione per evitare la pesantissima caduta d’acqua, poi manovrò per infilarsi in una grossa apertura della roccia che era nascosta dalla cascata. Pegaso, dopo aver fatto alcune profonde respirazioni, lo seguì ed entrò in una galleria in fondo alla quale il sottomarino era emerso. Fer- mando i motori, si era affiancato ad una piccola banchina illuminata da quattro lampioni. Anche il liocorno era emerso e si era nascosto dietro il muro di una costruzione da cui erano usciti gli uomini che andavano a scaricare il sottomarino.

«Ecco dove si trova l’edificio segreto di cui parlavano nel castello sull’isola.»

Intanto, mentre Vittoria girava per il piccolo villaggio, due uomini in divisa militare la fermarono e, prendendola per le braccia, la trascinarono verso il porto. Dopo dieci minuti, il sottomarino attraccò alla banchina, caricò la ragazza e ripartì per il sotterraneo nascosto. Cosa era successo? Una guar- dia di Midamante aveva riconosciuto da lontano il liocorno mentre parlava con Vittoria e lo aveva segnalato al comandante. Nel frattempo Pegaso, senza far rumore, faceva il giro del grande edificio costruito sotto la parete di una caverna gigantesca.

«Quanto è grande. Ci sono decine di finestre. Ecco il laboratorio ed ecco i suoi aiutanti.»

Stava completando il giro, quando si trovò davanti a una finestra aperta. Affacciò il muso e rimase a bocca aperta. Nella stanza c’erano Victoria e Crisodora. Le chiamò sottovoce.

«Ehi. Sono io. Sono venuto a liberarvi.»

Le due donne corsero alla finestra e abbracciarono il collo dell’animale.

«Pegaso! Che magnifica sorpresa. Ma come hai fatto a trovarci?»

«Ho seguito le tue indicazioni sul foglio. Sono arrivato insieme alla tua eccezionale nipote Vittoria che adesso è al villaggio vicino alle cascate.»

«Vittoria è qua!? Ma siete in pericolo tutti e due! Ci sono guardie dappertutto.»

«Sta tranquilla. Lei è molto prudente e io riuscirò a farvi uscire da qui.»

«Dobbiamo dirti una cosa, Pegaso. Midamante, dopo un lungo interrogatorio, è riuscito a farci con- fessare dove abbiamo nascosto il sasso aureo. Sta cercando di raggiungerti con la sua macchina cerca- persone. Ci dispiace tanto…»

«Non preoccupatevi per me. So cavarmela da solo, ma adesso devo trovare la stanza dove fa gli esperimenti.»

* * * * *

In quel momento si sentirono delle grida provenire dalla banchina.

«Lasciatemi stare! So camminare da sola!»

I tre si guardarono tra loro stupefatti. Parlò per prima la nonna.

«Questa è la voce di Vittoria!»

«Oh no! L’hanno scoperta! Adesso la interrogheranno e chissà cosa le faranno.»

«Povera piccola. Pegaso. Fa qualcosa, ti prego.»

«Chiudetevi in camera. Vi lascio. Cerco di scoprire dove la portano.»

Vittoria era stata condotta da Midamante che, sorridendo, l’accolse con un saluto cordiale.

«Buongiorno, mia cara ragazzina. Sei forse parente della cara signora Victoria?»

Vittoria non rispose.

«Ti rifiuti di dirmi chi sei. E va bene. Spiegami, allora, come mai eri insieme al mio liocorno. Dove si trova lui adesso?»

Non ci fu nessuna risposta.

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«Ho capito. Sei una ragazza con la testa dura. Vediamo se cambi idea quando ti porterò da due persone che sicuramente conosci. Là ti farò confessare con la forza come avete fatto a trovare il mio labora- torio segreto.»

Midamante ordinò a due guardie di seguirlo con la ragazza e si diresse verso la stanza delle due prigioniere e si fece aprire.

«Lasciatemi solo con le tre donne. Cercherò di convincerle con le buone maniere.»

Le due guardie rimasero fuori e il mago, dopo aver lasciato che la nonna abbracciasse Vittoria, si rivolse alle due donne.

«Care signore, vi invito a convincere questa ragazza testarda a spiegarmi come lei e il mio liocorno sono arrivati fino qua.»

Intanto Pegaso era ritornato indietro e aveva sentito le ultime parole del mago. Si mise a pensare e gli venne un’idea geniale. Si ricordò che, mentre studiava medicina, aveva fatto un corso di ipnote- rapia durante il quale aveva scoperto di essere dotato di capacità eccezionali. Si concentrò al mas- simo e si mise a parlare con voce profonda e rallentata.

«Midamanteee… Midamanteee… Chiudi gli occhiiii… Rilassatiii…»

Tra lo stupore delle prigioniere, il mago chiuse gli occhi, abbassò le braccia e si girò verso la fine- stra. Il liocorno, incoraggiato da questa risposta alle sue parole ipnotizzanti, continuò a dare ordini.

«Midamanteee… Ora devi respirare profondamenteee… E col respiro devi fare uscire tutti i tuoi pensieriii…»

Il mago ormai era in suo potere e Pegaso gli ordinò di scavalcare la finestra e di seguirlo verso il portone d’ingresso. Qui gli si affiancò e gli sussurrò di dire alle guardie che doveva andare nel laboratorio col suo liocorno. I due camminarono fino alla stanza privata che era vietata a tutti ed entrarono.

* * * * *

«Ora, Midamante, devi cercare nel libro degli incantesimi la formula per perdere tutti i poteri magici.

Poi dovrai preparare il filtro della formula e dovrai berlo.»

Il mago, passivamente, eseguì tutti i comandi e quando ebbe bevuto il filtro, tutta la stanza cominciò a tremare e dagli armadi caddero a terra i barattoli contenenti le polveri e i vari liquidi, che si sparsero sul pavimento. Anche il mago tremava e sudava e alla fine perse conoscenza, crollando sulla sua poltrona. Il liocorno si mise a tremare e nel giro di pochi secondi si sentì svenire e scivolò a terra. Nell’edificio, che aveva cominciato a vibrare come per un terremoto, tutti furono presi dal terrore e si gettarono verso l’uscita. Dopo alcuni minuti le scosse terminarono e si fece il conto delle persone. Mancava solo Midamante e anche quello strano animale.

«Chissà cosa è successo a Pegaso. Forse il mago si è risvegliato e lo ha punito con una tremenda magia.»

In quel momento, sulla porta comparve il mago a braccetto con un giovane sorridente. Era alto e bello e Vittoria non potè fare a meno di osservarlo con ammirazione. Il giovane si rivolse alle guar- die.

«Sono il nuovo aiutante di Midamante.»

Mentre diceva queste parole, le tre prigioniere sussultarono. La voce era la stessa di Pegaso. Il gio- vane le guardò e portò l’indice sul naso per fare loro segno di tacere e subito riprese a parlare.

«Il nostro capo è rimasto traumatizzato dal terremoto ed è ancora un po' confuso, perciò devo accom- pagnarlo all’ospedale più vicino. Aiutateci ad entrare nel sottomarino. Ah, dimenticavo. Mi aveva ordinato di portare via anche le tre donne.»

Le cinque persone vennero fatte scendere all’interno del “Nautilus”, che partì e uscì dalla caverna, dirigendosi verso la grande città, un centinaio di chilometri più a valle. Qui, il giovane, che era rimasto silenzioso durante il viaggio, affidò Midamante alle guardie perché lo portassero al pronto soccorso. Quando rimasero soli, ci fu l’abbraccio delle tre donne con il loro salvatore.

«Finalmente siamo soli! Ve lo avevo detto che vi avrei liberate.»

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«Pegaso, grazie! Sei tornato un essere umano! E anche bello!»

«Sì, nonna Victoria, sono tornato me stesso. Non mi sembra vero.»

Anche Crisodora continuava a ringraziarlo.

«Pegaso, mio caro. Poi ci dovrai raccontare come hai fatto a ipnotizzare il mago e ad annullare l’in- cantesimo.»

«Vi racconterò tutto più tardi. Ora dobbiamo correre all’aeroporto. Ho preso dei dollari dal portafo- glio di Midamante e comprerò i biglietti per Roma. La mia casa è là e vi ospiterò.»

L’unica che non aveva parlato era Vittoria. Continuava a guardare il loro salvatore e sentiva che la simpatia che aveva già provato per il liocorno era ora molto più grande verso quella persona così in gamba e così dolce. Anche Pegaso la guardava, con lo stesso sentimento. Alla fine, Vittoria parlò.

«Dimmi, Pegaso. Quale è il tuo vero nome?»

«Il mio nome è Eugenio, ma tutti mi chiamano Eu.»

«È un nome bellissimo.»

La nonna, che li fissava intenerita, fece un’osservazione.

«È il nome giusto per te che sei un genio. E la parola eu, in greco indica bene, bontà. E tu sei anche quello. Vero, Vittoria?»

La giovane arrossì.

Qui finisce la fiaba. Eugenio e Vittoria si fidanzarono e poi si sposarono e tutti vissero lunghi anni felici e contenti.

“Dama con liocorno”

Luca Longhi (1550) Roma - Museo Castel Sant’Angelo

Capo Mele

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Il borgo ligure di Laigueglia

Il faro del porto di Victoria (Canada)

Cascate Vittoria sul fiume Zambesi

VICTORIA FALLS RIVER SAFARI

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“Les licornes” (particolare) di Gustave Moreau (1888) Paris - Musée National Gustave-Moreau

“Gustave Moreau and the Eternal Feminine” at the National Gallery of Victoria, Melbourne (mostra: 10th December 2010 - 10th April 2011)

In braccio tiene un piccolo liocorno, simbolo di purezza verginale poiché, nella mitologia, essi erano addomesticabili solo dalle vergini. La giovane ritratta potrebbe essere Giulia, della famiglia Farnese, nel cui stemma era raffigurato un liocorno.

“Dama col liocorno”

Raffaello Sanzio (1505) Roma - Galleria Borghese

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