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La cassetta degli attrezzi del ribelle

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Academic year: 2022

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Ribellarsi è giusto, aveva scritto Jean Paul Sartre a metà degli anni Settanta in un famoso pamphlet contro le ingiustizie e il perbenismo della società occidentale. Già, ma come si fa a ribellarsi? Come si passa dall’indign-azione morale all’azione attiva? È sufficiente gridare

“basta!”? O ci vuole qualcosa di più, che ci faccia scattare e fare il passo successivo per affrontare la realtà e modificarla?

Per diventare ribelli, dovete però prima capire chi siete, o meglio, chi potete diventare con quello che siete stati finora.

È la regola suggerita da Diletta Bellotti, giovane attivista per i diritti umani, in The Rebel Toolkit, Guida alla tua ribellione (DeAgostini, 12,90 €), agile trattato per mettere insieme, con coscienza, gli strumenti che portano al cambiamento. Un libro che dovrebbe/potrebbe essere adottato nelle scuole o fatto leggere a tutte quelle ragazze e a tutti quei ragazzi che si trovano in età pre e adolescenziale per poter meglio prendere coscienza di sé, delle proprie potenzialità, e diventare degli esseri, persone e cittadini, migliori. Attivi. E intraprendenti socialmente. Capaci di

discernere tra i giusto e l’ingiusto, tra il bene e il male, riconoscendo soprattutto dove sono le ingiustizie.

State attenti, però, se sarete attivi, se cercherete di smuovere le cose, vi daranno dei ragazzini e delle ragazzine per molto tempo ancora e questo non è altro che un modo per delegittimarvi, cioè per togliere valore e forza a quello che fate,

si legge ancora.

Darvi dei ragazzini e delle ragazzine che non sanno niente del mondo sarà praticamente una scusa per liquidare voi e quello che fate [mentre] voi siete già molto e con quello che siete potete già fare tanto, [quindi] non ascoltate la maggior parte degli adulti [che vi dirà] che c’è poco da scoprire su voi stessi, perché siete ancora in divenire, vi state cioè formando, state insomma diventando quel che sarete.

Se in parte c’è qualcosa di vero, nella realtà “è anche vero tutto il contrario” perché “in voi c’è già il seme della ribellione che si sta sviluppando”. Basta forse solo saperlo assecondare. O coltivare.

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L’identikit del ribelle è quello di “chi non si conforma”. Chi sente ribollire qualcosa dentro di sé e non se ne dà pace. Per cui “in un mondo che va veloce, andare piano è un atto ribelle” oppure “in un mondo che butta via un paio di jeans perché bucati, cucire una toppa è un atto sovversivo” o, ancora, “in un mondo in cui tutti si maltrattano, la gentilezza è un atto anticonformista”. Parole- chiave e ingredienti della ribellione sono “passione”, “empatia”, “indignazione”, “cura”, “paura”,

“emancipazione”, “prassi”, “umiltà” e “speranza”, tutti attrezzi di una pratica che ha come punto di partenza e d’arrivo la voglia di combattere per quello in cui si crede. Che poi non sono altro che i propri ideali, dunque il proprio fine o scopo nella vita:

Penso si giusto dedicare la mia vita a rendere le ingiustizie meno aspre – scrive Diletta – e in questo per me c’è già molto di quello che intendo per cura [perché] dietro alla cura c’è il rispetto.

Il senso di responsabilità e la gratuità.

Ma per parlare di The Rebel Toolkit non si può prescindere dalla biografia della sua autrice.

Ventisei anni, romana, un buon liceo classico e poi anche un’ottima laurea in Diritti Umani e Migrazione Internazionale a Bruxelles, Diletta Bellotti è stata una ragazzina con molte domande e urgenze dentro la propria testa, già dai tempi del liceo – se non addirittura prima –, istrionica e

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poco conformista, piglio d’artista, vezzo creativo, una ragazzina in sé “diversa” in quanto non usuale, che nel 2019 all’età di 24 anni ha lanciato sui social e nelle piazze la campagna di sensibilizzazione “Pomodori Rosso Sangue” per denunciare e contribuire a far luce sulle condizioni di sfruttamento nelle campagne italiane. Specie degli immigrati. Meglio, per denunciare la pratica del caporalato e combattere le agromafie:

Mi sono interrogata su qual fosse l’elemento debole della mia cultura e delle mia conoscenza e dopo una ricerca mi sono risposta che questo elemento era proprio il cibo. Da quel momento mi si è come scoperchiato un vaso di Pandora, a dir la verità cose non certo belle… Dove donne e uomini vivono nel mondo dell’agricoltura, settore nel quale vigono ancora sistemi arcaici di sfruttamento. Dove non è possibile percepire un salario dignitoso per poter dar corso ad uno stile di vita normale. E questo, perché ci sono sistemi di sfruttamento organizzati in mafie. Anzi, dove il modo informale di organizzare il lavoro è il caporalato. Che si basa su un concetto: ‘Te lo do io un passaggio al campo, tu dammi due euro’,

ha raccontato pochi mesi fa la stessa Diletta nel suo appassionato ma crudo intervento ai ragazzi dei licei romani e del Lazio che hanno partecipato a una mattinata dei Progetti Scuola ABC Arte Bellezza Cultura della Regione Lazio.

Il libro di Diletta Bellotti è, da principio, un racconto del suo “sentirsi sbagliata” e della presa di coscienza di sé immersa nel mondo delle ingiustizie. A cominciare da quando l’estate, in Puglia, durante le vacanze dai nonni osserva incuriosita i ragazzi alle prese con la caccia ai polpi:

Li avrei guardati per ore, ma questo non mi faceva sentire bene, anzi mi faceva sentire sbagliata.

Ero certo che ci fosse qualcosa di strano in quello che succedeva, ma non capivo il motivo.

Una volta pescati, i polpi venivano tenuti nelle reti a mollo nell’acqua prima che i ragazzini li uccidessero sbattendoli sugli scogli. Diletta, però, assalita dai crampi allo stomaco e da pizzichi di irritazione e indignazione si cala nella acqua munita di un coltellino e senza esser vista da nessuno taglia le reti liberando i polipi.

I cacciatori di polpi ci misero poco a capire che le reti erano state tagliate (…) allora un ragazzino della mia età mi cercò con lo sguardo, mi corse incontro e mi diede un cazzotto in faccia

urlandomi contro che avevo rovinato tutto!

Lei riflette:

Sicuramente avevo rovinato la sua giornata, e forse anche la sua cena, ma dopo mesi, forse anni, a sentirmi sbagliata nel guardare e sentire i polpi morire sbattuti sugli scogli, decisi che era

importante sentirsi sbagliata; capii che anche se i polpi non sapevano che io ero dalla loro parte, per me era importante prendere posizione, perché quello che faceva male a loro, faceva male

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anche a me.

È il suo primo atto di ribellione.

The Rebel Toolkit è la storia di una sensibilità. Del mettersi dalla parte di chi soffre e subisce delle ingiustizie.

Con il passare del tempo molte lampadine si sono accese. Quando si sono accese quasi tutte, o comunque molte, ho capito che ero diventata adulta e dal punto della collina dove mi trovavo potevo vederle molto bene. E questo, immagino, significhi crescere,

scrive Diletta Bellotti, quindi “più ci guardiamo intorno e più estesa diventerà la mappa fatta di scene ingiuste”, alla quale tentare di porre un argine.

Quando pensiamo al ribelle, ci immaginiamo qualcuno che cerca di sovvertire le regole, di rovesciare quello che è storto, di creare lo scompiglio con le proprie idee. Ci immaginiamo insomma qualcuno che a che fare con il cambiamento radicale, e questo è giusto – osserva

l’autrice – ma il ribelle è molto di più: è tutto ciò che vuole! Perché è libero. E nella sua libertà di perseguire anche quella degli altri. Ciò che vuole. Veramente è liberare se stesso, le persone, gli animali e la Terra, [ma] per farlo deve includere nella sua prassi rivoluzionaria uno strumento essenziale: la cura. Che non è solo una carezza veloce, ma un impegno a lungo termine.

Ecco perché il messaggio lanciato da Jean Paul Sartre quarantasei anni fa è uno slogan buono e giusto. E sempre attuale.

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