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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PALERMO

Dottorato di Ricerca in

«Sociologia, Teoria e Metodologia del Servizio Sociale»

X ciclo

Tesi di Dottorato di GIULIO GERBINO {

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Tutore PROF. EMANUELE SGROI C~

Università degli Studi di Palermo , ·

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Co-tutore PROF. GIACOMO MULÈ

Università degli Studi di Pal~~o ~:x~ f"h/) ~·· - ~ cM

Coordinatore PROF. GIULIANO GIORIO / n. . /

Università degli Studi di Triest(

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(2)

Maria e Rocco

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INTRODUZIONE

CAPITOLO 1 - FORME DI SOLIDARIETÀ E CRISI DI INTEGRAZIONE POLITICA DELLA SOCIETÀ OCCIDENTALE CONTEMPORANEA

I.O. Premessa

I. I. Verso una sociologia della globalizzazione?

I.I.I. Globalizzazione e teoria sistemica: Niklas Luhmann l. I.2. Globalizzazione come occidentalizzazione?

1.1.3. Globalizzazione e multiculturalismo l.I.4. Multiculturalismo e cultura comune 1.2. Particolarismo e universalismo

I .2. I. Gli universalismi differenziati

1.2.2. Particolarismi, universalismi, identità, solidarietà 1.3. Aspetti attuali della differenziazione sociale

I.3.1. Alcuni spunti dai 'classici'

1.3.2. L'analisi neofunzionalista della differenziazione sociale I.4. La fiducia come problema e come risorsa relazionale

I .4. I. Cercando una definizione 1.4.2. Confidare e fiducia 1.4.3. Modelli difiducia

1.4.4. Solidarietà sociale e fiducia

1.5. L'associazione come problema sociologico 1. 6. Bene comune e beni comuni

I. 7. Altruismo e prosocialità 1.8. Forme di regolazione sociale

1

5 6 10 Il 13 16 19 22 25 28 38 40 43 53 53 60

65 72 74 93 109 120

CAPITOLO 2 - LA FILOSOFIA POLITICA CONTEMPORANEA E IL PROBLEMA DELLA CRISI DELLA CITTADINANZA

MODERNA 125

2. O. Premessa

2. I. Alcune definizioni filosofiche classiche

2.2. Prospettive della filosofia politica contemporanea 2.2.1. L'utilitarismo

2.2.2. Il liberalismo 2.2.3. Il liberismo 2.2. 4. Il marxismo

2.2.4.1. Il comunismo va oltre la giustizia 2.2.4.2. Giustizia e proprietà privata 2.2.5.11 comunitarismo

2.2.5.1. Doveri verso la struttura culturale 2.2.5.2. Neutralità e deliberazioni collettive 2.2.5.3. Legittimità politica

126 127 130 134 138 156 161 162 163 165 170 170 171

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2.2.6.2. Pubblico e privato 2.2.6.3. Un'etica della cura 2.2.6.3 .1. Le capacità morali 2.2.6.3 .2. Il '"agionamento morale 2.2.6.3.3. I concetti morali

CAPITOLO 3 - LA CITIADINANZA OLTRE LE APORIE DELLA MODERNITÀ

3. O. Premessa

3.1. Cittadinanza e progetto dell 'Jlluminismo 3.2. Cittadinanza versus disuguaglianza sociale

3.2.1. Critiche a Marshall: Giddens, Barba/et, Held 3.2.3. La cittadinanza repubblicana: Zolo e Habermas 3.2.4. Cittadinanza tra appartenenza e diritti

3.2.5. La 'terza via' di M Walzer

3.3. Cittadinanza statalistica versus cittadinanza societaria 3.4. Società civile e cittadinanza

3.5. La cittadinanza liberal

3.6. Cittadinanza e disuguaglianze ascritte 3. 7. La cittadinanza come relazione sociale

3. 7.1. La relazione tra cittadinanza e democrazia nella modernità 3. 7.2. Alcuni orientamenti teorici post-moderni

CAPITOLO 4 - SOLIDARIETÀ SOCIALE, AUTONOMIE SOCIALI E CITIADINANZA NELLA DIMENSIONE COMUNITARIA

4. O. Premessa

4.1. Comunità e società: una problematica attuale?

4.1.1. Il concetto di comunità in alcune opere sociologiche 'classiche' 4.1.2. Declino e ripresa del concetto di comunità

4.2. Gemeinschaft-Gesellschaft: una rivisitazione 4.3. La Gemeinschaft come supporto della Gesellschaft 4. 4. Leggere la società come 'rete '

4.4. /.Sviluppi del contributo parsonsiano

4.4.2. Gemeinschaft-Gesellschaft in chiave di complessità 4. 5. Il paradigma di rete per una lettura relazionale della società 4.6. Le reti sociali informali

4.6.1. L'analisi di rete

4. 7. Dalla coppia Gemeinschaft-Gesellschaft alla sociologia relazionale

4.8. Gemeinschaft-Gesellschaft: dibattito sociologico e dibattito filosofico-politico 4.9. Politica sociale e community care

CONCLUSIONI BIBLIOGRAFIA

181 182 183 184 184

190 191 192 200 203 208 213 217

220 226 233 236 239 247 260

263 264 264 264 270

273 276 277 277 279 281 284 286

288 290 298 311 328

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INTRODUZIONE

Solidarietà e cittadinanza sono termini chiave del dibattito sociologico classico e contemporaneo: si tratta di concetti che hanno attraversato le tormentate fasi storiche dell'Ottocento e del Novecento, oltre che i multiformi sviluppi della teoria sociale e politica. Le società della tarda modernità, ad elevata differenziazione societaria, presentano problematiche tali da sollecitare una rivisitazione dei fondamenti del pensiero moderno nel quale si inserisce quella riflessione sociologica cui si è fatto cenno. Il nostro itinerario di ricerca tenterà di ricavare spunti e chiavi di lettura per una rinnovata analisi di questi oggetti, con alcune 'incursioni' in territori di per sé estranei alla sociologia (la filosofia politica), ma dai quali possono provenire indicazioni circa il punto in cui si trova il pensiero sulla e della modernità.

Il concetto di solidarietà sconta attualmente un carattere di indeterminatezza, vaghezza, talvolta di ambiguità, secondo gli usi disinvolti o ideologici cui spesso è sottoposto: esso conserva ancora potenzialità analitiche utili ad una ricognizione della società occidentale contemporanea percorsa da tensioni, frammentazioni e ricomposizioni? Quali possono essere, in tal senso, le basi per il ripensamento dei sistemi di welfare? Si tratta di interrogativi certamente impegnativi, ma, riteniamo, non eludibili. Nel primo capitolo verranno anche esaminati alcuni fenomeni sociologicamente riconducibili alla solidarietà sociale: fiducia, associazione, beni collettivi e bene comune, altruismo, reciprocità. Verranno impiegate criticamente

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due chiavi di lettura generali, globalizzazione e differenziazione, necessane a comprendere nelle società ad elevata complessità le ragioni di quella che appare una debolezza complessiva dell'integrazione sociale e politica, che rende problematiche la costituzione e la continua innovazione delle basi della solidarietà sociale.

Il secondo capitolo contiene una rapida panoramica sui temi della giustizia sociale e dell'uguaglianza (elementi cardine della cittadinanza moderna e che rimandano ad un'idea di solidarietà sociale) secondo alcuni dei filoni della filosofia politica contemporanea: utilitarismo, liberalismo, neocontrattualismo, comunitarismo, marxismo, femminismo. Numerosi sono gli spunti stimolanti per l'analisi sociologica, tuttavia il pensiero filosofico politico contemporaneo rimane ancora interno alle logiche della modernità e non riesce ad osservare dall'esterno il proprio oggetto di studio e le sue principali categorie. La nostra attenzione si focalizzerà sull'esame delle modalità con cui le diverse teorie filosofico-politiche della giustizia tematizzano una qualche uguaglianza - morale, politica, sociale - fra soggetti. Un quesito importante è se esista - e se sì di che tipo - un fondamento filosofico alla solidarietà sociale, orizzontale e verticale, intesa normativamente come valore.

Nel terzo capitolo verranno prese in esame le teorie sulla cittadinanza - una delle dimensioni ed espressioni più significative di integrazione politica e di solidarietà sociale - valutandole criticamente rispetto alle sfide poste dall'attuale contesto societario: multiculturalismo, crisi dei sistemi di welfare state, ridefinizione della politica sociale, rapporto società civile-stato. L'analisi della crisi della cittadinanza

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moderna rinvia sociologicamente ai nodi strutturali della tensione tra modernità e post-modernità: da lì verranno enucleati elementi in grado di sostenere un'analisi riflessiva, capace cioè di esaminare dall'esterno il proprio oggetto, e di offrire elementi utili a rispondere al quesito «se, e se sì, in che senso e in quali modi, la cittadinanza sia o possa essere quel 'qualcosa' che può funzionare da 'cemento' politico della società».

Nel quarto capitolo verranno trattati i problemi relativi alla tensione Gemeinschaft- Gesellschaft. La comunità è stata ritenuta, dalla sociologia classica e contemporanea, una forma declinante e residuale rispetto al consolidarsi delle relazioni societarie, nelle società industriali caratterizzate da una crescente differenziazione sociale. Compiremo, pertanto, una rapida presentazione dell'analisi sociologica del concetto di comunità a confronto con letture di altro genere (segnatamente quella filosofico-politica), allo scopo di accertarne l'utilità analitica.

Prendendo spunto da un provocatorio quesito di Martin Bulmer - «è realistico scommettere sulla comunità» ai fini di programmi per il benessere collettivo? - tenteremo di mostrare le principali opportunità e i problemi implicati dagli approcci teorici nei quali è presente il concetto di comunità. Le prospettive teoriche possibili a partire dal paradigma della società come rete e dall'intervento di rete possono sostenere un approfondimento relazionale della cittadinanza e delle 'autonomie sociali' nel quadro di una rinnovata visione delle relazioni tra le diverse sfere civili in cui si articola la società tardo-moderna.

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CAPITOLO 1

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INTEGRAZIONE POLITICA DELLA SOCIETÀ OCCIDENTALE CONTEMPORANEA

1. O. Premessa

Il termine solidarietà incrocia frequentemente dibattiti teorici fra studiosi di varie discipline (sociologia, diritto, teoria politica, economia, psicologia sociale, politica sociale ... ). Al tempo stesso, esso è presente, in modo crescente, all'attenzione dei policy makers e dell'opinione pubblica per via della discussione circa i caratteri da imprimere alla riforma dello stato sociale e di alcuni dei suoi settori finanziariamente più consistenti (pensioni e sanità).1 Vi sono anche varie questioni sociali - la cui punteggiatura è data, spesso, da eventi sottolineati e amplificati dai mass media - che rimandano all'idea e alla pratica (a idee e a pratiche) di solidarietà: l'immigrazione straniera dal Sud del mondo e dall'Est europeo, la presenza di gruppi nomadi, la malattia mentale, la condizione di sieropositivi e malati di AIDS, le trasformazioni e la diffusione delle povertà, i costi delle trasformazioni del sistema produttivo e del mercato del lavoro, la questione ambientale, i conflitti bellici regionali, le carestie e le catastrofi in varie aree del pianeta. Solidarietà è inoltre termine caro alle molteplici espressioni del terzo settore (volontariato, cooperazione sociale, impresa sociale, associazionismo sociale), da esse assunto- come valore fondativo e riferimento, simbolico oltre che

1Per una mappa concettuale, si veda: ITALO DE SANDRE, Solidarietà, in «Rassegna italiana di sociologia», XXXV, 2, 1994, pp. 247-63; PAOLO NATALE, Forme e finalità dell'azione solidaristica, in BERNARDO CATTARINUSSI (a cura di), Altruismo e solidarietà. Riflessioni su prosocialità e volontariati, Milano, Angeli, 1994, pp. 57-76; GIAN PRIMO CELLA, Definire la solidarietà, in «Parolechiave», 2, 1993, pp. 23-

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pratico, per le motivazioni all'azione. Non si può peraltro trascurare la rilevanza del riferimento alla solidarietà storicamente documentato nell'esperienza dei movimenti sindacali e cooperativistici di varia ispirazione (perlopiù socialista e cattolico- democratica).

È evidente come l'ampia varietà di riferimenti empirici e di approcci e prospettive alle situazioni accennate sia tale da rendere indeterminato, vago o addirittura ambiguo il concetto di solidarietà. Esso non può essere - esplicitamente o implicitamente - ritenuto del tutto equivalente ai concetti di altruismo, generosità, giustizia sociale o simili.

Si rivela necessaria una riflessione che consenta di verificare se il concetto di solidarietà mantenga potenzialità analitiche, descrittive ed esplicative utili ad una ricognizione della società occidentale contemporanea, attraversata da un insieme inedito di tensioni, frammentazioni e ricomposizioni. Ciò può contribuire a evidenziare la solidarietà possibile e offrire basi per il ripensamento dei sistemi di welfare.

Ripercorrere criticamente e agg10mare l'analisi sociologica del concetto e delle pratiche di solidarietà sociale è un compito alquanto impegnativo, stante l'ampia portata semantica del concetto, risultante non solo dal dibattito scientifico ma anche dalle vicende storiche e sociali attraverso le quali esso è transitato, tra Ottocento e Novecento, come elemento di ideologie e tradizioni culturali e politiche (movimento operaio e socialista, cattolicesimo sociale, radicalismo laico borghese), come base dei programmi e delle azioni di partiti operai e movimenti sindacali, come principio

34. Per una ricostruzione storica delle vicende del concetto, cfr. MARIUCCIA SALVATI, Solidarietà: una scheda storica, in «Parolechiave», 2, 1993, pp. 11-22.

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finalistico sancito in alcune carte costituzionali, come criterio di fondo di politiche sociali e del lavoro. Tuttavia, pur con la consapevolezza dei rischi di ambiguità e indeterminatezL:a che tale oggetto può comportare, ciò non esime dal tentare una ricostruzione sociologica dell'analisi del concetto di solidarietà sociale.

Taluni approcci, riprendendo la lezione durkheimiana, ricordano come sia improprio accedere ad una sovrapposizione del concetto di solidarietà con quelli di altruismo e generosità:2 quest'ultima concezione rimanda a relazioni verticali fra gruppi segnati da differenze, tali da dare luogo a mobilitazione di gruppi più avvantaggiati a favore di gruppi o soggetti in posizione di svantaggio relativo. In realtà, il concetto di solidarietà concerne anche i legami orizzontali e la cooperazione di cui sono attori gruppi caratterizzati da una comunanza di interessi. Il diffondersi di allarme circa la 'crisi di solidarietà' si riferisce alla prima accezione, essendo totalmente fuori luogo rispetto alla seconda, in ordine alla quale, anzi, si assiste al moltiplicarsi di forme e contesti che testimoniano la permanenza di azioni e comportamenti solidali di tipo orizzontale: neocorporativismi e localismi sono solo due tra i possibili esempi di forme di solidarietà, anche se 'corte' e non certo universalistiche. Il prodotto di tale ragionamento è che occorre puntare, allo scopo di non compromettere ulteriormente il livello di integrazione della società, a stimolare relazioni solidali di tipo orizzontale basate su ciò che può accomunare soggetti e gruppi sociali in un contesto pluralistico: i diritti nella loro universalità. L'interesse a perseguire e tutelare i diritti (di cui tutti sono portatori) dovrebbe condurre ad occuparsi di chi non ne gode pienamente.

2Cfr. GIOVANNI SARPELLON, Solidarietà, altruismo, interesse, in PIERPAOLO DONATI-GIOVANNI B. SGRITIA (a cura di), Cittadinanza e nuove politiche sociali, Milano, Angeli, 1992, pp. 234-38.

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Da altre prospettive, nel quadro di un'ampia considerazione dell'esperienza italiana di welfare state, viene argomentata l'obsolescenza delle forme di solidarietà storicamente realizzatesi, in parte perché occulte o imposte e non chiaramente esplicitate e sostenute da consenso, in parte perché facenti riferimento ad un contesto societario profondamente mutato;3 al fallimento dello stato e del mercato rispetto al soddisfacimento dei bisogni sociali si è accompagnato il crescente ruolo del terzo settore. Per far fronte al disagio sociale e ai deficit di cittadinanza nelle loro varie forme, è necessario puntare ad una solidarietà di cittadinanza sulla cui base rafforzare le solidarietà di tipo comunitario e le risorse del! 'altruismo sociale, mantenendo un impianto universalistico.

La società occidentale contemporanea vive una forte crisi di integrazione politica.

Con la modernità, hanno iniziato a sfaldarsi I' ancien régime, Io statico ordine sociale premodemo, i tradizionali legami comunitari: nuove forme di integrazione sociale si sono sostituite o affiancate alle precedenti o inserite in esse. La sociologia nasce proprio in quest'epoca, quando si inizia ad avvertire e a problematizzare la differenziazione e l 'autonomizzazione della società dallo stato. In questo capitolo verranno esaminati e discussi i più significativi mutamenti attraversati dai fenomeni sociologicamente riconducibili alla solidarietà sociale: fiducia, associazione, beni collettivi e bene comune, altruismo, reciprocità. Globalizzazione e differenziazione sono chiavi di lettura generali, oggi necessarie a comprendere nelle società ad elevata complessità le ragioni di tale complessiva debolezza, che problematizza e

3Cfr. UGO ASCOLI, We/fare State e solidarietà: quale futuro per l'Italia? in «Parolechiave», Solidarietà. La parola, le interpretazioni, le storie, i luoghi, i modelli, 2, 1993, pp. 103-111.

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trasforma in profondità la costituzione e la continua innovazione delle basi della solidarietà sociale.

1.1. Verso una sociologia della globalizzazione?

I processi di globalizzazione, sempre più analizzati nella loro crescente portata e percepiti nei loro molteplici effetti, imprimono un'accelerazione crescente agli scambi e alle interdipendenze di tipo economico, politico, culturale all'interno delle società nazionali e tra di esse; tra i principali fattori di tali processi vi sono le innovazioni scientifico-tecnologiche, le trasformazioni delle organizzazioni produttive, i mezzi di comunicazione di massa, i profondi mutamenti nelle relazioni internazionali di cui sono attori stati e organizzazioni internazionali. Nella teoria sociologica l'interesse verso le dimensioni globali della socialità è presente già in autori classici - Comte, Spencer, Marx, Durkheim - ai quali si deve la prima elaborazione di categorie e modelli analitici che hanno segnato i percorsi della disciplina, in parallelo alle prospettive offerte dalle teorie dell'azione miranti ad osservare la società e le sue dinamiche a partire dalle azioni degli individui. Più recentemente, a partire dagli anni '70 si sono sviluppati alcuni approcci che hanno tentato di leggere secondo varie ottiche i fenomeni oggi sinteticamente riconducibili all'espressione globalizzazione: in chiave prevalentemente economica, come nel caso della teoria del sistema-mondo di I. Wallerstein, o secondo una visione attenta ai processi culturali, proposta da riviste come «lnternational Sociology» e «Theory, Culture & Society» e da esponenti come Ronald Robertson, il quale ha lanciato

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l'idea di dare vita ad una 'sociologia della globalizzazione'. Uno dei tratti comuni alle due impostazioni consiste nell'esprimere l'esigenza che la teoria sociologica elabori paradigmi innovativi, non più vincolati da una visione di società come entità coincidente con la nazione, idea che ha finito con il provocare un restringimento delle analisi e la difficoltà nel centrare le dimensioni societarie globali e le loro radici storiche e culturali.4

1.1.1. Globalizzazione e teoria sistemica: Niklas Luhmann

La teoria sistemica nella versione elaborata da Niklas Luhmann concettualizza il sistema societario come sistema comunicativo auto-poietico auto-referenziale globale: il sistema esiste grazie alla comunicazione dotata di senso che costruisce e interconnette le azioni che compongono il sistema stesso: il sistema societario

«racchiude al suo interno tutte le comunicazioni possibili, riproduce tutte le comunicazioni e costruisce orizzonti dotati di senso per ulteriori comunicazioni», in quanto «rende possibile la comunicazione tra diversi sistemi sociali».5 Al di fuori della società come sistema sociale, sostiene Luhmann, non può quindi aversi

4Per una efficace e sintetica presentazione dei due approcci teorici alla globalizzazione qui citati, si veda GIANFRANCO BOTTAZZI, Prospettive della globalizzazione: sistema-mondo e cultura globale in «Rassegna Italiana di Sociologia», XXXV, 3, 1994, pp. 425-40; le opere cui Bottazzi si riferisce sono: IMMANUEL W ALLERSTEIN, Unthinking Socia/ Sciences: The Limits of Nineteenth-Century Paradigms, Cambridge, Polity Press, 1991; MIKE FEATIIERSTONE (a cura di), G/obal Culture. Nationalism, Globalization and Modernity, London, Sage, 1991; RONALD ROBERTSON, Globalization. Socia/ Theory and Global Culture, London, Sage, 1992. L'articolo di LUIGI BONANATE, Globalizzazione e democrazia, ovvero alla scoperta _ di un equivoco in «Teoria Politica», 3, 1996, pp. 3-16, offre una serie di considerazioni sul versante politologico e delle relazioni internazionali, con un riferimento di tipo antropologico al rapporto della società occidentale con culture diverse e alla deterritorializzazione dello stato contemporaneo; ci sembra, però, insufficiente il ricorso alla democrazia procedurale come unica via di soluzione alle questioni sollevate dai conflitti tra multiculturalismo e cittadinanza democratica, quando appaiono abbastanza evidenti i limiti mostrati dalla attuale versione di quest'ultima.

5NIKLAS LUHMANN, La società mondiale come sistema sociale, ( ediz. orig. 1982), trad. it. in NICOLÒ ADDARIO - ALESSANDRO CAVALLI (a cura di), Economia, politica e società, Bologna, Il Mulino, 1990, pp.

113-24; il passo citato è a p. 114.

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comumcaz10ne dotata di senso. Un sistema è articolato in sottosistemi che scaturiscono da processi di differenziazione, i quali, a loro volta, ingenerano il grado di complessità del sistema medesimo. La differenziazione che caratterizza il cambiamento delle società occidentali nella modernità si basa sul criterio delle funzioni (politica, economica, culturale, scientifica ... ). I confini tra sistemi sociali non sono più di natura territoriale, ma di comportamento comunicativo. La differenziazione funzionale fa sì, dunque, che tutti i comportamenti comunicativi siano inclusi nel sistema societario, il quale altro non può essere che un sistema globale: «la società moderna è [ ... ] una società mondiale in un duplice senso. Essa fornisce un mondo per un sistema e integra tutti gli orizzonti del mondo come gli orizzonti di un unico sistema comunicativo. Il significato fenomenologico [di mondo] e quello strutturale convergono. Una pluralità di mondi possibili diventa inconcepibile. Il sistema comunicativo mondiale costituisce un unico mondo che comprende tutte le possibilità».6 In quest'ottica, il concetto di sistema societario non necessita del requisito dell'integrazione sociale, né in termini di identità e autostima comune (come per lo stato nazionale) né in termini di eguaglianza di condizioni di vita: il sistema sussiste se si ha un adeguato fluire della comunicazione dotata di senso, in grado di elaborare le differenze tra sistema e ambiente. Più un sistema è differenziato al proprio interno (e quindi - almeno tendenzialmente - minore è il grado di integrazione sociale) meglio esso potrà gestire il proprio confine con l'ambiente. La differenziazione funzionale presuppone eguaglianza (poiché differenzia solo in base a particolari funzioni e gli individui sono inclusi in un sottosistema funzionale in virtù di pari opportunità), ma crea diseguaglianza,

6/bidem, p. 116.

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giacché ali' interno dei sottosistemi funzionali le differenze sono reimpiegate secondo la funzione e dunque rimarcate. Il processo appena descritto può diventare distruttivo se arriva ad interrompere la comunicazione dotata di senso. In sintesi, per Luhmann, ciò si presenta sotto forma di due elementi: « 1) un sistema mondiale differenziato funzionalmente sembra minare alla base i suoi stessi prerequisiti; e 2) la pianificazione non può sostituire l'evoluzione - al contrario, essa ci renderebbe maggiormente dipendenti da sviluppi evolutivi non progettati». 1 Una possibile alternativa all'evoluzione socio-culturale in un solo sistema è la differenziazione strutturale nei sottosistemi funzionali, la quale può introdurre in essi processi evolutivi auto-referenziali innovativi, migliorando la 'capacità adattiva' dell'intero sistema. Poiché neanche questa ipotesi è in grado di garantire un controllo completo dell'evoluzione del sistema sociale globale, non rimane, secondo Luhmann, che potenziare l'auto-osservazione del sistema medesimo, seguendo alcuni attuali orientamenti epistemologici che incorporano strutture auto-referenziali e che si ricollegano alla teoria dei sistemi.

1.1. 2. Globalizzazione come occidentalizzazione?

Una quarta prospettiva, elaborata da Serge Latouche, legge la globalizzazione come processo di occidentalizzazione del pianeta:8 l'Occidente - inteso come entità non solo geografica (I 'Europa), ma anche religiosa (il cristianesimo), filosofica (l'illuminismo), razziale (la razza bianca), economica (il capitalismo) - non si

7/bidem, p. 120.

8SERGE LATOUCHE, L'occidentalizzazione del mondo. Saggio sul significato, la portata e limiti de/l'uniformazione planetaria, trad. it., Torino, Bollati Boringhieri, 1992.

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identifica totalmente ed esclusivamente con l'uno o l'altro dei suoi elementi storicamente costitutivi, peraltro mutevoli; all'Occidente è possibile imputare il complesso dei mutamenti avutisi con la modernità. Il carattere ideologico della nozione di Occidente emerge considerando gli esiti dei processi di differenziazione in ognuna delle dimensioni in cui tale nozione si articola. L'Occidente possiede «la credenza, inaudita nella scala del cosmo e delle culture, in un tempo cumulativo e lineare e l'attribuzione all'uomo di dominare totalmente la natura, da una parte, e la credenza nella ragione calcolatrice per organizzare la sua azione, dall'altra. Questo immaginario sociale che svela il programma della modernità così com'è esplicitato in Newton e in Descartes, ha chiaramente origine nel fondo culturale ebraico, nel fondo culturale greco e nella loro fusione».9 Le idee moderne di progresso e di sviluppo trovano un senso solo all'interno di questo quadro antropologico e culturale. L'occidentalizzazione ha tra le sue espressioni più incisive la deculturazione: l'Occidente è un"anticultura', una civiltà che svuota dall'interno le culture deboli o marginali - sia centrali che periferiche - riempiendole con i propri codici e imperativi. La specificità dell'Occidente consisterebbe nella sua autoriflessività, cioè nel fatto che l'Occidente come cultura è in grado di distanziarsi da sé ed autorappresentarsi, manifestando una superiore vocazione universale al contatto con altre culture. Tuttavia, esistono culture non occidentali (India, Cina, Islam) di ampia portata e con 'effetti di seduzione' sulle piccole culture: anch'esse, però, subiscono in parte il fascino dell'Occidente. Ciò in quanto, osserva Latouche, la cultura occidentale moderna fonda la sua universalità, in ultima analisi, sulla competizione individuale e la ricerca della performance: elementi che vengono

9 Ibidem, p. 48.

(20)

percepiti come dotati di una sembianza di neutralità rispetto ai caratteri antropologici delle culture. L'Occidente non è universalizzabile come civiltà - colonialismi e neocolonialismi lo attestano - ma è riproducibile in quanto macchina tecno-economica, e i casi del Giappone e delle 'tigri' del Sudest asiatico ne sono dimostrazione, anche se non è possibile prevedere gli esiti dell'assorbimento della concezione lineare e cumulativa del tempo e della 'sacra' credenza nella possibilità di dominare la natura. Il processo di occidentalizzazione è dunque universale - poiché le dimensioni economiche e culturali dell'Occidente si sono dispiegate in ampiezza spaziale e temporale - e riproducibile nella sua dimensione tecno-economica. La deculturazione si attua attraverso una gamma di meccanismi che non comprende soltanto la violenza e la spoliazione, ma anche il dono: mediante quest'ultimo «l'Occidente acquista il potere e il prestigio che generano la vera destrutturazione culturale»; 10 di fronte al dono da parte della cultura occidentale le culture marginali sono disarmate, poiché ne riconoscono la superiorità tanto del contenuto (la tecnica, l'aiuto umanitario, il messaggio religioso ... ) quanto della modalità dell'atto: esse si sentono in debito.

L'immaginario delle culture deboli è stravolto dal constatare che il proprio mondo tradizionale è solo uno dei mondi esistenti, molti dei quali sono radicalmente diversi. Cade, dunque, il solipsismo culturale che aveva agito da fattore di garanzia della persistenza delle culture non occidentali. La deculturazione non consiste in un processo di acculturazione, ma di sostituzione e di interiorizzazione pressoché completa di una cultura con un'altra: «paradossalmente, l'Occidente è al tempo stesso la sola 'cultura' che si sia veramente mondializzata con una forza, una

10/bidem, p. 71.

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profondità e una rapidità inaudite, e la sola 'cultura' dominante che non riesce ad assimilare veramente non solo gli allogeni ma i suoi propri membri. [ ... ] La sua universalità è negativa. Il suo prodigioso successo consiste nello scatenamento mimetico di modi e pratiche deculturanti. Esso universalizza la perdita di senso e la società del vuoto». 11 L'occidentalizzazione, però, mostra tutti i suoi limiti e i suoi fallimenti, tanto nella crisi delle strutture istituzionali, economiche e politiche di molte ex-colonie quanto nella presenza di forme culturali sincretiche e nel proliferare di particolarismi e fondamentalismi etnici o religiosi. Economia informale e forme di microsolidarietà nelle bidonvilles delle aree urbane del Sud del mondo attestano l'esistenza di una vitalità inimmaginabile in contesti asfittici e ritenuti non in grado di valorizzare le proprie risorse.

1.1.3. Globalizzazione e multiculturalismo

Riprendendo A. J. Toynbee,12 Franco Cassano13 indica due possibili modalità di risposta, da parte delle culture deboli, alla deculturazione analizzata da Latouche:

l 'Erodianismo, caratterizzato dall'assunzione della cultura forte come modello e dal tentativo di imitazione nei confronti di quest'ultima, e lo Zelotismo, che corrisponde alla posizione di chiusura, al contempo timorosa e aggressiva, nella propria identità.

Si tratta - in entrambi casi - di posizioni di subalternità, che non assumono in maniera costruttiva il conflitto, ma o lo ignorano, come nel primo caso, o lo estremizzano rendendo irriducibili e contrapposte le due polarità. Nell'analisi di

11/bidem, p. 88.

12 ARNOLD J. TOYNBEE, Civiltà al paragone, trad. it., Milano, Bornpiani, 1983.

(22)

Toynbee, le due posizioni hanno referenti empirici nelle vicende di alcune società, sebbene l 'Erodianismo abbia avuto una diffusione di gran lunga minore dello Zelotismo. Vi sono, aggiunge Cassano, delle forme intermedie tra le due estreme:

una di esse corrisponde alla cosiddetta prostituzione della cultura subalterna, cioè al tentativo di mantenerne gli aspetti compatibili con la cultura importata, distruggendo i riferimenti culturali e morali più significativi senza sostituirli con altri e dando luogo a patologie sociali su vasta scala (povertà assoluta, devianza, mercificazione dilagante, economia illegale). Un'altra modalità di risposta alla deculturazione è l'integralismo, sviluppatosi in paesi che qualche decennio fa avevano tentato senza successo la strada dell 'Erodianismo. Uno dei punti centrali dell'argomentazione di Cassano si basa sulla considerazione che «le patologie da deculturazione [ ... ] non nascono dai limiti intrinseci di alcune culture, ma dall'inserimento coatto in un modello dominante che impone loro di trasformarsi o perire». 14 L'integrismo del modello produttivistico è però 'asettico', in quanto ammantato di razionalità. Occorre allora rimetterlo in discussione dall'interno, evidenziandone gli aspetti che possono frenare la mercificazione e la tecnicizzazione della vita sociale. Torna il tema dei 'limiti dello sviluppo' e l'interrogativo posto all'identità occidentale, al paradigma dell'infinità e a quello della libertà dell'individuo. La risposta più adeguata della cultura occidentale all'integralismo, sostiene Cassano, consiste nella decostruzione di se stessa e dei suoi meccanismi repressivi: «l'atto più universalistico e coerente del nostro

13FRANCO CASSANO, L'integralismo della corsa, in FRANCO CRESPI - ROBERTO SEGATORI (a cura di), Multiculturalismo e democrazia, Roma, Donzelli, 1996, pp. 11-20.

14/bidem, p. 18.

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universalismo dovrebbe consistere nel riconoscere le proprie patologie e la propria parzialità».15

I processi di socializzazione, identificazione, produzione simbolica sono fortemente collegati, nelle società a modernità avanzata, con il processo di differenziazione della società: in essa si presentano gruppi - a base diversa: etnica, religiosa, razziale, nazionale - provvisti di culture o subculture proprie. In certi casi ciò può anche essere il risultato di consistenti flussi migratori.

Il multiculturalismo, nella visione di Blau16, può essere descritto come l'esito - virtuoso, auspicato: il che denuncia un certo carattere ideologico di tale nozione - di significative relazioni comunicative e di scambio fra individui appartenenti a gruppi diversi, in un clima di reciproco riconoscimento, rispetto, valorizzazione senza pretese di primogeniture di sorta: «l'obiettivo del multiculturalismo è quello di incrementare i benefici portati dalla diversificazione a vantaggio di più persone e della società nel suo insieme, migliorando la comunicazione tra i vari gruppi».17 Possono tuttavia prodursi delle conseguenze indesiderate: la valorizzazione di ogni cultura, se non adeguatamente posta in relazione con le altre, può far sorgere tentazioni etnocentriche. Il paradosso del multiculturalismo consiste, per Blau, nel fatto che esso lavora per la sua scomparsa: una società sostanzialmente multiculturale porterà gradualmente all'attenuazione e alla scomparsa delle differenze culturali, le quali si fonderanno in una sintesi (si potrebbe dire in un melting pot) in cui i singoli elementi costitutivi originari resteranno indistinguibili.

15 Ibidem, p. 20.

16PETER M. BLAU, I paradossi del multiculturalismo, trad. it., in «Rassegna italiana di sociologia», XXXVI, 1, 1995, pp. 53-63.

17/bidem, p. 56.

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In realtà, le condizioni sociali affinché ciò accada non sono di poco conto, se si considera che, nella quasi totalità dei casi, le differenze culturali sono accompagnate da pesanti differenze di status. Una strategia di multiculturalità avrà successo soltanto se anche questa classe di variabili sarà soggetta ad adeguati interventi perequativi: «in termini astratti, un prerequisito per il successo del multiculturalismo è l'intersecarsi delle differenze di classe e culturali, non la forte correlazione che si verifica attualmente».18

1.1. 4. Multiculturalismo e cultura comune

Il tema del multiculturalismo richiama - simmetricamente, si potrebbe dire - la problematica della cultura comune, cioè di un insieme più o meno limitato di elementi comuni ali' interno della cultura della società contemporanea. Mike F eatherstone19 si è riproposto di esaminare le condizioni in base alle quali una cultura comune interagisce ali' interno dei processi di integrazione sociale, orientando individui e gruppi sociali verso «un superiore e coerente insieme di valori e di gusti». Egli mette in guardia contro il rischio di confondere due piani che invece vanno tenuti distinti: l'analisi della cultura comune esistente e la teorizzazione circa la sua desiderabilità nella società postmoderna, attraversata dal fenomeno della cultura consumistica di massa.

Esiste, e, se sì, in che termini una cultura comune? Occorre innanzitutto sgombrare il campo da un'idea di cultura unitaria, aconflittuale e del tutto funzionale ali' ordine

18/bidem, p. 63.

19MIKE FEATHERSTONE, Cultura comune o culture non comuni?, trad. it. in «Studi di sociologia», XXIX, I, 1991, pp. 41-61.

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sociale: un'idea mitica risalente allo storicismo e al romanticismo tedeschi20 e che ha inciso, in particolare, nello sviluppo degli studi in antropologia. Tale concezione contiene una 'visione estetica della cultura', caratterizzata i) da una struttura unitaria, in cui le parti sono armonicamente integrate fra loro e ii) dalla necessità di una raffinata sensibilità interpretativa (intuizione artistica) per esprimere e realizzare il significato intrinseco della cultura stessa. 21 Questo è il concetto di cultura comune che è possibile ritrovare nella sociologia funzionalista del Novecento, in particolare nel pensiero di Parsons. Con valenza e denominazione diverse, il concetto è presente anche negli studi di orientamento marxista, dove la cultura è vista, in chiave manipolativa, come ideologia dominante (cioè 'falsa coscienza').

F eatherstone si rifa ad alcuni studi22 che hanno mostrato - mediante l'esame dei casi del feudalesimo, del capitalismo ottocentesco e di quello novecentesco - che la riproduzione delle società non avviene né per mezzo di una cultura comune né per mezzo di un'ideologia dominante. Due sono le argomentazioni principali a tale proposito. Innanzitutto, non è dimostrato che in passato le società occidentali fossero più integrate di oggi: ad esempio, in età feudale le comunicazioni erano carenti, gli stati centrali - sebbene fosse largamente dominante l'ideologia della cristianità- non erano in grado di esercitare una forza integrativa rilevante, i flussi migratori erano costanti, magia e superstizione permanevano nella cultura degli strati sociali inferiori. Il mito secondo il quale le società feudali erano state comunità integrate è derivato da una lettura errata dell'opera tOnniesiana, dall'impostazione di Durkheim e dalla rilettura parsonsiana di quest'ultimo. Era stato Durkheim, infatti, a

2°Cfr. MARGARET ARCHER, Culture and Agency, Cambridge, Cambridge University Press, 1988.

21Cfr. MIKE FEATHERSTONE, Cultura ... cit., p. 43.

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focalizzare l'attenzione sulla coscienza collettiva, a forte impronta religiosa, che nelle società primitive a bassa differenziazione garantiva un'elevata integrazione morale e sociale.

Il secondo punto del ragionamento di F eatherstone parte da un quesito: in che modo ricostruire e mantenere nel tempo un consenso morale, in un contesto desacralizzato? È possibile creare la «sensazione che la società sia divenuta una comunità nazionale unitaria»?23 Nelle società moderne ciò è alquanto improbabile in termini concreti, ma si può considerare il 'potenziale mitico' dell'integrazione culturale: si tratta della «invenzione delle tradizioni»24 operata da 'specialisti nella produzione dei simboli', i quali intervengono nei processi di costruzione e ricostruzione delle rappresentazioni di una comunità. 25

In ordine alla questione relativa alla formazione di una cultura comune, Featherstone accetta l'idea di Raymond Williams secondo la quale tale cultura deve assumere positivamente la differenziazione tipica della società complessa e al contempo favorire la solidarietà, cioè «restituire la diversità senza causare separazioni».26 Si tratta di un paradosso, poiché tale nozione di cultura comune richiede di essere sviluppata, non essendo però al tempo stesso programmabile.

Williams ritiene che la cultura di massa non sia un frutto degenerato di una errata ricerca di una cultura comune: l'espressione 'cultura di massa', a suo avviso, risente ideologicamente di una elitaria separazione fra cultura della borghesia colta e cultura popolare.

22N. ABERCROMBIE -S. HILL -B. S. TuR.NER, The Dominant ldeology, London, Allen and Unwin, 1980.

23MIKE FEATHERSTONE, Cultura ... cit., p. 45.

24E. HOBSBAWN- T. RANGER, The lnvention ofTradition, Cambridge, Cambridge University Press, 1983.

25MIKE FEATHERSTONE, Cultura ... cit., p. 45.

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Gli approcci al tema della globalizzazione che abbiamo presentato~ se adoperati congiuntamente e in modo complementare, possono rivelarsi utili a costruire un quadro di tali dimensioni in cui sia gli aspetti strutturali ed oggettivi, cioè le interdipendenze di tipo economico, che quelli di tipo socioculturale - le immagini del mondo come sistema globale e i processi di creolizzazione delle culture particolari e locali - seppure con dinamiche ed esiti altamente diversificati, emergano nella loro rilevanza e nelle loro relazioni.

1.2. Particolarismo e universalismo

La problematica appena esaminata si ricollega alle tensioni esistenti fra particolarismo e universalismo, secondo la definizione parsonsiana delle variabili strutturali come alternative di orientamento e di azione nella classificazione delle relazioni sociali, soprattutto di tipo istituzionale. La modernità, in buona sostanza, ha connotato negativamente il primo elemento - identificato con sistemi di appartenenza arcaici che mortificavano le potenzialità individuali e cristallizzavano le relazioni fra ceti - e positivamente il secondo, corrispondente ad una nuova concezione antropologica e del rapporto stato-individuo basato sulla cittadinanza comune a tutti i 'consociati'. Le realtà storiche da superare erano quelle della società feudale, dello stato assoluto o di quello tradizionale, che impedivano alla borghesia di affermare compiutamente la propria egemonia culturale ed economica.

Particolarismo, dunque, come ostacolo ai processi di modernizzazione della società

26RAYMOND WILLIAMS, Common Culture e Culture is Ordinary, in Resources of hope, London, New Left Books, 1989 citato in MIKE FEATHERSTONE, Cultura ... cit.

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o come uno degli indicatori del carattere premoderno/tradizionale della società, perché ritenuto una minaccia alle esigenze e alle mete universalistiche o, ancora,

<<Una tipica espressione dell'egoismo sociale, economico e politico, degli interessi di parte, delle lealtà ristrette».27 Secondo una visione meno modellistica e meno dualistica, è possibile considerare la dicotomia particolarismo-universalismo m termini più articolati e complessi, individuando un numero molto ampio di combinazioni fra i due elementi, disposte lungo un continuum i cui estremi sono costituiti da sistemi di azione premoderni e da sistemi di azione modernizzati. Sarà così possibile cogliere taluni particolarismi che sono sorti dalla e nella modernizzazione o altre manifestazioni che possono divenire «fattore di sostegno allo sviluppo una volta che siano state inserite in circuiti istituzionali e di potere appropriati»28 o, ancora, forme di mobilitazione caratterizzate come particolaristiche nelle loro genesi, poi apertesi a prospettive universalistiche. 29 Già ne Il sistema sociale Parsons faceva riferimento a tipi di struttura sociale improntati anche a modelli universalistici di attribuzione o a modelli particolaristici di realizzazione;

questi ultimi, in particolare, sono stati l'oggetto di alcune ricerche, citate nell'articolo di Mutti, che hanno mostrato come criteri particolaristici appartenenti alla cultura tradizionale di una società, se filtrati e combinati con criteri realizzativi, possono favorire i processi di modernizzazione. Mutti va oltre, osservando che «le relazioni interpersonali particolaristiche costituiscono un lubrificante indispensabile

27ANTONIO Mum, Particolarismo, in «Rassegna Italiana di Sociologia», XXXVII, 3, 1996, pp. 501-11; p.

501. Vedi anche, per una visione che propone l'idea di un 'universalismo differenziato', MAURO MAGATil, Mutamento sociale e differenziazione de/l'universalismo, in «Studi di sociologia», XXXIV, 1, 1996, pp. 15-35.

28ANTONIO MUTII, Particolarismo ... cit., p. 508.

29GABRIELLA TuRNATURI, Associati per amore, Milano, Feltrinelli, 1991.

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al funzionamento delle società moderne»,30 e non solamente nelle sfere private individuali o nei gruppi e nei movimenti sociali ma anche nella sfera economica e in quella politico-istituzionale della società. Vivere in una società globalizzata, dove le relazioni sociali sono sottoposte a stretching (stiramento) nello spazio e nel tempo31 genera negli individui 'insicurezza ontologica', che può essere da essi controllata mediante legami particolaristici che consentano di adottare atti di fiducia basati su comportamenti dei propri interlocutori caratterizzati da un minimo di prevedibilità, e perciò rassicuranti. 32 Schematizzando, Mutti individua due forme idealtipiche di particolarismo che potremmo definire hard e soft. La forma hard, ostile alla modernizzazione e alternativa all'universalismo, identifica comunità chiuse verso l'esterno, con confini netti basati sulla dicotomia amico/nemico, basate su tradizioni sacralizzate e ritenute immodificabili. La fo~a soft di particolarismo, simbiotica rispetto alla modernità, corrisponde a comunità che, pur rappresentando comunque un riferimento identitaria significativo per i suoi membri, presentano caratteri di maggiore articolazione, flessibilità ed apertura, di disponibilità al dialogo e alla cooperazione con altre, diverse comunità.

30ANTONIO MUTII, Particolarismo ... cit., p. 508. Vedi anche, per aspetti collegati al tema in questione, dello stesso autore, Reti sociali: tra metafore e programmi teorici, in «Rassegna Italiana di Sociologia», XXXVII, 1, 1996, pp. 5-30. Il tema dell'analisi di rete verrà ripreso più avanti.

31L'espressione è di ANTHONY GIDDENS, La costituzione della società. Lineamenti di teoria della strutturazione, trad. it., Milano, Comunità, 1990, come ripresa in PETER DICKENS, Sociologia urbana, trad.

it., Bologna, Il Mulino, 1992.

32Sulla tematica della fiducia e sui meccanismi che legano fiducia interpersonale e fiducia sistemica nelle relazioni sociali, Mutti si riferisce, su un piano microsociologico ai seguenti studi: ERIK H. ERIKSON, Infanzia e società, trad. it., Roma, Armando, 1970; S. M. LIPSET - W. SCHNEIDER, The Confidence Gap, New York, Free Press, 1983.

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1. 2.1. Gli universalismi differenziati

Il tema degli universalismi - in qualche modo speculare rispetto a quello dei particolarismi poc'anzi esaminato - conduce a ulteriori riflessioni. Considerare la differenziazione degli universalismi, ricostruendoli a partire dai soggetti più che dalle istituzioni, consente, secondo Turnaturi,33 di assumere la problematicità dell'orizzonte della vita quotidiana della persona, dimensione caratterizzata dalla presenza contraddittoria e dinamica di un 'pluralismo di universalismi'; questo approccio intende offrire elementi utili alla costruzione di uno scenario in cui universalismo equivalga a riconoscimento e rispetto delle differenze, le quali non vanno considerate, dunque, come realtà statiche o da sottoporre ad omologazione.

Cogliere una sorta di differenziazione del! 'universalismo comporta «reintrodurre elementi di disuguaglianza nella forzata eguaglianza, di tener conto di percorsi, processi, pathos, emozioni, dell'individuo nella sua interezza». 34 Nella società contemporanea l'universalismo assume, per vari ordini di motivi, il carattere della paradossalità: in molti casi il particolarismo presenta le proprie ragioni in nome dell'universalismo, «si nutre vampirescamente di universalismo».35 Ci sembra di potere affermare che questa analisi non è totalmente condivisibile, nel senso che è forse eccessivo pensare ad un universalismo quasi totalmente 'strumentalizzato' dai particolarismi hard e svuotato dei suoi contenuti propriamente universalistici - una visione che potrebbe essere ritenuta frutto di una indebita sovrapposizione del concetto di universalismo a quello collegato, ma diverso, di globalizzazione. È pur

33GABRIELLA TuRNATURI, I soggetti dell'universalismo, in «Rassegna Italiana di Sociologia», XXXV, 3, 1994, pp. 361-83.

34/bidem, p. 3 71.

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vero, tuttavia, che taluni fenomeni sociali contemporanei possono essere ricondotti a un «duplice processo di universalizzazione del particolarismo e di particolarizzazione dell'universalismo» :36 i particolarismi hard e soft crescono, si differenziano e acquistano in maggiore misura riconoscimento e visibilità sociale e culturale, anche come risposta o reazione a stati di 'insicurezza ontologica' o per le altre dinamiche già ricordate (universalizzazione del particolarismo), ma si ha, anche se non in ragione direttamente proporzionale alla crescita dei particolarismi, la particolarizzazione dell'universalismo come «conseguenza della generalizzazione dell'idea di essere tutti partecipi, pur nel particolare, di un'essenza umana universale».37 Vale comunque la constatazione che sempre più difficilmente, in un contesto tendenzialmente globalizzante, i particolarismi si costituiscono in assenza di universalismo - e in ciò consistono gli effetti globalizzanti che scaturiscono dai processi di comunicazione - determinando una situazione inedita: «l'insorgere dei particolarismi, dei nazionalismi, dei localismi nei nostri giorni si differenzia da quello ottocentesco proprio perché nasce dalla mancanza di senso, dalla perdita dell'identità, oltre che da reali discriminazioni, nasce dalla voglia di differenziazione, di scissione dalla globalità, dall'esigenza di poter narrare la propria esperienza a sé e agli altri. La crisi dell'universalismo nasce, paradossalmente, da un eccesso di universalismo, da un eccesso di comunicazione puramente formale, dalla perdita di senso della propria esperienza e della possibilità di una sua narrazione e condivisione»;38 tale crisi si ha quando l'universalismo assume i caratteri del

35 Ibidem, p. 362.

36RONALD ROBERTSON, Globalization ... cit., in GIANFRANCO BOTTAZZI, Prospettive della globalizzazione ...

cit., p. 434.

37GIANFRANCO BOTTAZZI, Prospettive della globalizzazione ... cit., p. 435.

38GABRIELLA TuRNATURI, I soggetti de/l'universalismo ... cit., p. 365.

(32)

livellamento che omologa esperienze e differenze. Altro fattore di paradossalità dell'universalismo, prosegue Turnaturi, è dato da una frequente confusione dei diritti della persona con quelli del cittadino. 39 Tuttavia, se da un punto di vista analitico tale distinzione è necessaria, porre in quest'ottica le questioni relative ai diritti delle minoranze culturali nelle società occidentali contemporanee non evita il sorgere di conflitti circa tali diritti, ma soltanto ne sposta il terreno da quello dei diritti - perlopiù sociali - di cittadinanza a quello dei diritti umani, rinviando ai problemi della loro costituzionalizzazione formale e materiale e della loro implementazione a livello di policies. Su queste problematiche avremo modo di ritornare; per il momento ci limitiamo a concordare con la constatazione che «oggi la cittadinanza dei nostri ricchi paesi rappresenta l'ultimo privilegio di status, l'ultimo fattore di esclusione e discriminazione anziché - come fu all'origine dello stato nazionale - di inclusione e parificazione, l'ultimo relitto premoderno delle differenziazioni personali, l'ultima contraddizione irrisolta con l'affermata universalità ed uguaglianza dei diritti fondamentali»40 Questa osservazione ci pare utile, in quanto riteniamo si possa esprimere, a partire da essa, una duplice necessità:

i) chiarire i nessi tra le dimensioni giuridiche e quelle sociologiche del concetto e delle pratiche della cittadinanza moderna e contemporanea, e ii) evidenziare la complessità della dinamica particolarismo-universalismo - soprattutto con riferimento alle prospettive di società multiculturali - irriducibile in logiche di livello sottosistemico (economico, politico o giuridico) poste come reciprocamente esclusive. In sintesi, ridefinire e differenziare l'universalismo a partire dalle persone

39Tale posizione prende spunto da alcune note di LUIGI FERRAJOLI, Cittadinanza e diritti fondamentali, in

«Teoria politica», IX, 3, 1993, pp. 63-76.

(33)

segnala sicuramente un certo disagio verso la tradizionale formulazione del concetto e delle pratiche - soprattutto culturali, politiche e giuridiche - ad esso connesse e rimanda, inoltre, ad approcci al tema della giustizia - come quello proposto da Amartya Sen, 41 che chiama in causa la dimensione della scelta e le sue componenti emotive oltre che razionali - imperniati sul riconoscimento pieno delle differenze e delle capacità individuali, ma nello stesso tempo attenti a non legittimare particolarismi hard.

1.2.2. Particolarismi, universalismi, identità, solidarietà

Franco Crespi42 si propone di ricercare nuove basi della solidarietà nella società contemporanea, attraversata dalle dinamiche della globalizzazione e della differenziazione e dalle conseguenti tensioni fra universalismo e particolarismo: «se è vero [ ... ] che la solidarietà non è sempre una condizione necessaria per il funzionamento del sistema sociale, è anche vero che la forma democratica non può che essere basata su regole universalmente condivise».43 La globalizzazione ha migliorato notevolmente le condizioni di vita in taluni paesi, mentre in altri ha fatto sorgere nuove aspettative, diverse da quelle tradizionali. Consumismo e competitività sembrano essere diventati tratti assunti a modello per molte società e a ciò si è accompagnata anche una certa omogeneizzazione di alcuni stili di vita, soprattutto giovanili. Tuttavia, a tali trasformazioni culturali non ha corrisposto la

40/bidem, p. 74.

41AMARTYA K. SEN, La diseguaglianza: un riesame critico, trad. it., Bologna, Il Mulino, 1994. Per un breve esame di questa posizione, cfr. infra, capitolo 2.

42FRANCO CRESPI, Mutamento sociale, identità e crisi della solidarietà, in FRANCO CRESPI - ROBERTO SEGATORI (a cura di), Multiculturalismo ... cit.; pp. 3-9.

43/bidem, p. 3.

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diffusione del modello liberaldemocratico: economia di mercato e democrazia rappresentativa non vanno di pari passo, e i casi delle 'tigri' asiatiche e della Cina lo confermano. La crescita economica e un più elevato benessere hanno offerto spazi più ampi allo sviluppo e all'espressione delle differenze culturali. La crescita delle interdipendenze economiche e la fine dell'ordine mondiale basato sulla contrapposizione politico-ideologica fra due blocchi hanno determinato fattori critici per i sistemi politici dei vari paesi, con una elevata variabilità legata ai singoli casi.

Le istituzioni politiche tradizionali devono fare i conti con l'erosione dei propri fondamenti; prendono piede forme di separatismo sulla base di un'identità etnica, religiosa, nazionale e di fondamentalismo. Crespi individua un elemento problematico nel «fatto ( ... ] che il giusto principio del riconoscimento dei diritti particolari sta un po' dovunque configurandosi come conflitto di identità anziché come conflitto di interessi: ciò porta a opposizioni che, di per sé, tendono a presentarsi come inconciliabili e non suscettibili di compromesso, impedendo di affrontare in modo pragmatico le contraddizioni». 44 Già K. Marx aveva tentato senza successo di fondare la solidarietà sociale sui rapporti economici reali e quindi nella società civile; in seguito anche É. Durkheim, che individuava la base della solidarietà sociale nella solidarietà organica risultante dalla divisione del lavoro in una società modernizzante ad elevata specializzazione funzionale, aveva dovuto riconoscere la necessità di un riferimento a principi generali di tipo etico-religioso.

Le interdipendenze economiche agite nel contesto della globalizzazione e i connessi valori e modelli di vita e di relazione non sono in grado di offrire adeguati riferimenti alle identità individuali e collettive e al senso di appartenenza. Si spiega

44/bidem, p. 6.

(35)

perciò l'attuale tendenza a cercare nuove forme di identità e di appartenenza richiamandosi a (non sempre reali) tradizioni religiose, etniche, nazionalistiche. Si pone dunque un dilemma di non facile soluzione, che vede opposte le forme di appartenenza particolaristiche, ormai troppo 'corte' rispetto alle esigenze di integrazione e di solidarietà sociale, e quelle sovranazionali, eccessivamente universalistiche e non in grado di sostenere un'identità culturale. Crespi ritiene che

«occorre da un lato riconoscere il bisogno insopprimibile di identità e, dall'altro, mostrare che le definizioni delle identità sono riduttive rispetto alla complessità della situazione esistenziale nella quale ci troviamo».45 Riconoscere la priorità dell'esistenza rispetto ad ogni conoscenza - in opposizione ad uno dei tratti più marcati del modello culturale dell'Occidente - è un passaggio necessario che si ricollega al ritenere parziale ogni interpretazione della realtà e a ricercare il senso ultimo della vita, anche se questo è inattingibile nella sua globalità: «questo significa che mentre possiamo riconoscere tutta l'importanza della richiesta di senso contenuta nella ricerca dell'identità, possiamo anche riconoscere che le definizioni dell'identità non esauriscono mai l'intera realtà degli individui e delle collettività». 46 Quanto detto aiuta a ridimensionare il riferimento alle identità particolari e a mantenere di più i conflitti entro l'ambito degli interessi, per definizione negoziabili e ben più manipolabili attraverso procedure e strumenti razionali. «L'attenzione all'esistenza, come situazione comune caratterizzata dalle dimensioni affettive, dal desiderio, dall'angoscia -e dalle gioie, dalla consapevolezza della morte, ma anche come condizione comune di non sapere riguardo al senso ultimo della vita, sembra

45/bidem, p. 7; tali considerazioni sono estesamente sviluppate nel volume, dello stesso autore, Imparare ad esistere. Nuovi fondamenti della solidarietà sociale, Roma, Donzelli, 1994.

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