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A Rolando Damiani I «MONDI SEPARATI» DI CHIESURA:IL DIARIO DI GUERRAE IL RACCONTO IN VERSI DELLA PRIGIONIA

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(1)I «MONDI SEPARATI» DI CHIESURA: IL DIARIO DI GUERRA E IL RACCONTO IN VERSI DELLA PRIGIONIA Rolando Damiani. A. distanza di mezzo secolo dagli eventi vissuti nei giorni dello sbarco angloamericano in Sicilia e di quasi un trentennio dalla prima edizione presso Neri Pozza del proprio diario di guerra, Giorgio Chiesura volle misurare «il peso nella sua vita» (disse così) dell’esperienza d’eccezione o addirittura di shock lì registrata, dalla quale era stato formato come uomo e scrittore. Nella prefazione a Sicilia

(2) 1943, riproposto negli anni Novanta da Sellerio, constatò innanzitutto che tutta la sua letteratura, testimoniata da un numero di libri inferiore alle dita di una mano benché talvolta rielaborati a lungo, era sempre stata uno scrivere di guerra, in prosa o anche in versi, in stile memoriale o narrativo o persino saggistico come l’indagine sulla rivolta ungherese del 1956, pubblicata nell’anno successivo da Einaudi. Si

(3) chiese,

(4) guardandosi

(5) allo

(6) specchio

(7) nella

(8) sua

(9) fisionomia

(10) di

(11) scrittore: «Perché sempre e solo la guerra, con la sua violenza e il suo caos,

(12) che

(13) mi

(14) sospinge

(15) ad

(16) esprimermi

(17) e

(18) me

(19) ne

(20) oπre

(21) gli

(22) strumenti?».

(23) E si diede una risposta che sin dalla formulazione si è impressa per la chiarezza pressoché matematica nella mente di ogni lettore e interprete della sua opera, e tanto imprescindibile per un discorso che lo riguardi, specie se riferito al diario bellico e al poema narrativo sulla prigionia nei lager tedeschi, da doversi citare in esteso prima di provare a valutarli. Egli infatti si risponde non semplicemente come reduce dai campi di battaglia e di prigionia, ma quale autore del tipo «riccio» nel senso di Isaiah Berlin, ossia appartenente a quella famiglia di spiriti

(24) che,

(25) secondo

(26) la

(27) definizione

(28) del

(29) grande

(30) storico

(31) d’origine

(32) lettone,

(33) «riferiscono tutto a una visione centrale, a un principio ispiratore unico

(34) e

(35) universale,

(36) che

(37) solo

(38) può

(39) dare

(40) un

(41) significato

(42) a

(43) tutto

(44) ciò

(45) che

(46) essi sono e dicono»..

(47) 44. rolando damiani. La guerra si rivelò dunque per Chiesura «un Mondo Separato, una di quelle situazioni in cui si vivono esperienze, emozioni e sensazioni che non hanno alcuna possibilità di essere ripetute e continuate nella vita normale, rispetto alla quale, quindi, determinano una frattura». Erano peraltro molteplici i mondi separati o paralleli che egli accettava di riconoscere, accennandone negli esempi di «un grande amore, un grande vizio o una lunga malattia». Gli

(48) venivano

(49) in

(50) mente

(51) anche

(52) mondi

(53) separati

(54) su

(55) cui

(56) aveva

(57) fissato

(58) l’attenzione, come quello «fatto di roccia e di ghiaccio», in cui si sentiva «completamente se stesso» il suo amico Bruno De Donà scalatore agordino, o l’analogo ambientato invece fra «meraviglie e

(59) orrori

(60) degli

(61) oceani»

(62) aπrontati

(63) con

(64) la

(65) «terribile

(66) disciplina

(67) che

(68) essi impongono», dal quale Melville aveva desunto il suo epos marinaresco (e l’apparizione di Melville in questo preambolo di Chiesura non sorprende, perché forse lo scrivano Bartleby del celebre racconto, scandito dalla sentenza I

(69) prefer

(70) not, fu per lui in un momento

(71) solenne

(72) e

(73) drammatico

(74) un

(75) recondito

(76) modello).

(77) Egli

(78) infine

(79) poteva dubitare sull’inesistenza del cosiddetto mondo normale, che era forse «un mito o una convenzione». Ma la guerra restava comunque il mondo separato per eccellenza, perché in esso era abolito il fondamentale tabù vigente fra gli uomini, che proibisce l’omicidio. Al di fuori di categorie politiche, che pure avrebbero potuto avvalorare il suo giudizio soprattutto se si fosse richiamato al concetto di «stato d’eccezione» stabilito da Carl Schmitt, Chiesura, giurista allievo di Norberto Bobbio, e magistrato nel suo ‘primo mestiere’, presenta la guerra come una «situazione» sospesa tra legalità e legittimità in cui l’uccidere «viene legittimato, anzi comandato». L’uomo «normale», come egli chiama il partecipe di uno stato di diritto per il quale sarebbe stato impensabile «poterlo fare nella sua vita di prima», viene nella nuova condizione intermedia fra quella di natura e quella giuridica «addestrato a uccidere e costretto a farlo», ma al tempo stesso è obbligato ad accettare «di poter essere lui stesso legittimamente ucciso». Dalla latitanza del diritto nello stato d’eccezione bellica derivano – scrive Chiesura nella prefazione del 1993 in cui dà uno spazio particolare all’opinione nei propri confronti del suo «vecchio professore»

(80) Bobbio

(81)

(82) «tutti

(83) gli

(84) altri

(85) sconvolgimenti

(86) fisici

(87) e

(88) morali

(89) .

(90) i «mondi separati» di chiesura. 45. che la guerra produce nelle popolazioni che ne sono investite (le distruzioni, gli esodi, le crudeltà, i saccheggi, gli stupri, le stragi, la tortura, con gli stravolgimenti e le mutazioni che tutto ciò comporta nei costumi, nella morale e nella psiche sia di massa che dei singoli)». 1 In precisi termini giuridici, ben noti a Chiesura, lo stato d’eccezione bellica determina al polo opposto e tuttavia speculare nella diπerenziazione

(91) tra

(92) legalità

(93) e

(94) legittimità

(95) il

(96) «diritto

(97) di

(98) resistenza»,

(99) in nome del quale popolazioni e singoli – riprendiamo qui le parole soppesate da Chiesura – sono ‘legittimati’ per gli stravolgimenti subiti

(100) al

(101) rifiuto

(102) delle

(103) norme

(104) d’emergenza

(105) sanguinosa

(106) imposte

(107) dal

(108) potere costituito. Attribuendosi questo diritto il ventiduenne diarista di Sicilia

(109) 1943 decide dopo l’8 settembre e il periglioso ritorno a Venezia di consegnarsi prigioniero ai tedeschi, di «uscire fuori della storia e di restarvi», dice addirittura Chiesura. Fino a quel momento il giovane sottotenente ha fatto persino con coraggio il suo «dovere» – come riconobbero Carlo Bo e Alessandro Galante Garrone già nelle recensioni dell’edizione Neri Pozza – non importa se con decrescente o smarrita convinzione del proprio agire. Ma ora sceglie una resa da solitario perdente, che è però animato da una ferrea volontà di «resistenza» (termine cui egli dà il senso di diritto del singolo) ai tentativi del nemico ex alleato di ottenere la sua collaborazione. È una scelta essenzialmente individualistica e impolitica (sia pure di una ‘impoliticità’ da intendere alla Thomas Mann), e tuttavia foriera di «un’esperienza in qualche modo esaltante», come rivendicò giustamente Chiesura sottintendendo la sua ideale vicinanza di prigioniero per propria volontà a chi nel contempo combatteva per la liberazione dell’Italia. Scrisse al riguardo parole solenni, di cui

(110) non

(111) dovrebbe

(112) dimenticarsi

(113) la

(114) storiografia

(115) di

(116) quell’epoca:

(117) Quella mia decisione non solo non fu politica se non incidentalmente, ma

(118) fu

(119) sostanzialmente

(120) contraria

(121) ad

(122) ogni

(123) definizione

(124) in

(125) tal

(126) senso

(127) perché

(128) uscire dalla storia e dal suo caos, negarsi ad ogni partecipazione a quel caos, voleva dire negarsi anche alla politica che ne fa parte. Quello che scelsi fu il privilegio di starmene fuori e, visto il prezzo che mi costò e che

(129) pagai

(130) regolarmente

(131) e

(132) fino

(133) in

(134) fondo,

(135) fu

(136) un

(137) privilegio

(138) scevro

(139) da

(140) ogni

(141) sospetto di viltà, attendismo o opportunismo. Non fu facile perché, seb1. G. Chiesura, Sicilia 1943, Prefazione: I Mondi Separati, Palermo, Sellerio, 1993, p. 11..

(142) 46. rolando damiani. bene i nostri non fossero campi di sterminio, erano tuttavia campi dove si moriva. Non fu facile, ma fu una grande soddisfazione essere laggiù, nel cuore del caos, in mano ad una delle maggiori e più spietate potenze del caos, subendo tutta la violenza che esso continuava ad esercitare su di

(143) noi

(144) per

(145) rifarci

(146) suoi

(147) strumenti

(148) e

(149) tuttavia

(150) riuscire

(151) a

(152) rifiutarglisi

(153) per

(154) diciannove lunghi mesi senza fare nient’altro che resistere: senza uccidere, senza

(155) ordini,

(156) senza

(157) ubbidire

(158) a

(159) nessuno,

(160) senza

(161) credere

(162) a

(163) nessuno,

(164) perfino

(165) senza odiare, dovendo rispondere della propria decisione solo a se stessi e potendo solo, al massimo, essere uccisi. 1. Nella poesia che dà il titolo alla Zona

(166) immobile e risalente alla prima reclusione fra il settembre del ’43 e il gennaio del ’44 in un lager situato in Polonia, dicono gli ultimi versi: Fra le illusioni del passato e del futuro sta questo solo reale per noi immobile tratto di vita isolato dal passato e dal futuro, se mai ne avremo, con due tagli nitidi. E mentre intorno tutto il mondo crolla si può dire che questa zona immobile è una delle meraviglie di quest’epoca. 2. Nella

(167) prigionia,

(168) in

(169) cui

(170) per

(171) sua

(172) definizione

(173) «poteva essere ucciso ma non poteva più uccidere», Chiesura sostenne di aver conosciuto «un periodo di grande purezza e serenità interiore». 3

(174) Lo

(175) confidava

(176) agli amici, i quali rispondevano con un sorriso pensando a un suo paradosso, ma egli si mostrava convinto di aver compiuto nel consegnarsi ai tedeschi una scelta di libertà come mai nella sua vita. Da tale profonda persuasione gli era nato il proposito di narrare in versi il racconto di quei pur terribili diciannove mesi. Ma in quella diaristica

(177) prosa

(178) versificata,

(179) definita

(180) per

(181) approssimazione

(182) poema

(183) in

(184) prosa, c’era come voluta contraddizione di fondo un lirismo del puro disincanto, della solitudine in catene, della sopravvivenza vuota di ogni sostegno. Quasi all’inizio della Zona

(185) immobile, nella poesia Il concilio, Chiesura si presenta tra i suoi compagni in una delle sere trascorse attorno alla stufa. Tutti hanno qualcosa da commentare sulla sbobba e sui tedeschi e sul giorno che forse «verrà»; soltanto lui tace, 1. Ivi, p. 19. G. Chiesura, La zona immobile, i,

(186) Forte

(187) dei

(188) Marmi,

(189) Galleria

(190) Pegaso,

(191) pp.

(192) 3 40-41. Idem, Sicilia 1943, cit., p. 20. 2.

(193) i «mondi separati» di chiesura. 47. finché

(194) qualcuno

(195) non

(196) cerca

(197) di

(198) tirarlo

(199) «nelle

(200) discussioni»

(201) sfidandolo

(202) a esprimersi sulla guerra e sulla sua durata. E spazientito un capitano, che gli è un po’ amico, lo attacca di fronte agli altri: «Ecco, lui…» abbaia Carlini «…lui… » e mi addita «…lui, vedete, per esempio… sempre contento, sempre beato lui… Così mi piaci, sai, mi piaci proprio… […] Lui è giovane e cosa vuoi che sia, sai, per lui, fare un poco il prigioniero?... un’avventura, capisci, come un’altra… una scommessa… una bella avventura… Avventure avventure… il mondo è grande… ma ci sono anche situazioni, sai… mica tutti qui sono come te! C’è chi ha famiglia, sai… ci sono uomini…». E

(203) l’aggredito

(204) dal

(205) biasimo

(206) non

(207) si

(208) oπende,

(209) disposto

(210) anzi

(211) a

(212) capire

(213) e

(214) a essere d’accordo in parte: E io so bene quello che vuole dire e so benissimo che dovrei tacere. So che Carlini non è più un ragazzo e che molti di loro hanno bambini e hanno una donna che li aspetta a casa, e forse io posso solo immaginare cosa vuol dire tutto ciò per loro di impazienza, di pensieri anche per soldi, di timori vaghi o più precisi…. Per rispetto, chiamandolo con il suo grado militare, si forza allora a dirgli quieto la propria opinione sulla guerra che crede «durerà parecchio», e solo per questa ragione lui «si risparmia il

(215) fiato».

(216) Subito in coro tutti gli altri si levano contro di lui e il più animoso, Dal Fabbro, si spinge a urlare: «È un fascista, un disfattista, un

(217) coglione!....

(218) ».

(219) Ma

(220) anche

(221) di

(222) questo

(223) grido

(224) l’oπeso

(225) intende

(226) il

(227) senso: Dal Fabbro è onesto è un uomo forte ed è deciso ad

(228) arrivare

(229) fino

(230) in

(231) fondo

(232) senza

(233) cedere, e sa benissimo che durerà parecchio. Ma crede sempre che sia un dovere questo suo continuare ad ingannare ancora gli altri e che sia meglio tenergli su il morale.

(234) 48. rolando damiani come facevamo coi soldati trascinandoceli dietro con miraggi. E io non sono di questa sua opinione. Io sono qui perché stanco di inganni. 1. Nel suo solitario, drammaticamente solipsistico «diritto di resistenza»

(235) Chiesura

(236) sviluppa

(237) di

(238) riflesso

(239) un’acuta

(240) coscienza

(241) civile

(242) del

(243) proprio tempo storico, che in più punti della Zona

(244) immobile

(245) si manifesta in alta poesia di tale genere. Si può scegliere come esemplare, e citare per intero, un componimento da situare ai vertici della lirica italiana testimone di quell’epoca di rovine e insieme di spes

(246) contra

(247) spem. Si intitola Il

(248) nuovo

(249) mondo

(250) e risale al periodo della reclusione a Gross-Hesèpe fra il gennaio e l’aprile 1945: Stavo steso sulla sabbia ad osservare il passaggio degli aerei e ad ascoltare il loro tuono e la terra che si scuoteva per il gran rombo sotto a me e mi rimandava la loro vibrazione che mi entrava nel corpo come uscendo di sotterra. Li guardavo e non potevo non pensare che sono pieni di bombe che cadranno sulle popolazioni; non potevo non pensare anche all’Italia ed alle nostre città e case distrutte, a questa guerra perduta, alle rovine, alla sventura là di tutti, ed alla nostra qui nei campi, al freddo e alla fame di questi anni tremendi e alla miseria qui del mio corpo disteso che sente passare nel sangue questa immensa vibrazione di vita e forza che non è la sua; al nostro mondo e alla nostra nazione antica comunale contadina aπamata

(251) invecchiata

(252) inadeguata ai

(253) nuovi

(254) tempi

(255) finita

(256) dissanguata;

(257) e questo rombo e questi vascelli così lucenti e come trasparenti che sono la grande strapotenza del nuovo mondo che ci viene a liberare e a schiacciare; e che sono così belli. E dicevo: presto, fate presto. 2 1 2. Idem, La zona immobile, i, cit., pp. 29-39. Idem, La zona immobile, ii, cit., pp. 137-138..

(258) i «mondi separati» di chiesura. 49. Forse neppure Chiesura ha mai notato che la posizione in cui qui si ritrae dal vivo, «steso sulla sabbia» e nella polvere, è analoga a quella da lui assunta e patita nel bombardamento di Caltanissetta, dove ha luogo, nella notte tra l’11 e il 12 luglio 1943, all’indomani del suo rientro in Sicilia dopo la licenza e a due giorni dallo sbarco alleato, la scena shock primaria cui egli stesso nella memoria ricollegherà la decisione di farsi prigioniero. Nella prefazione del ’93 al diario la citò testualmente nel frammento in cui aveva ripreso i sensi dopo una serie di esplosioni prodotte da aerei in picchiata. Era rimasto intrappolato con pochi altri commilitoni in un vicolo,

(259) gettandosi

(260) a

(261) terra

(262) di

(263) fianco

(264) a

(265) una

(266) casa.

(267) Sentì

(268) cadergli

(269) addosso

(270) pietre

(271) e

(272) pensò

(273) in

(274) ultimo

(275) di

(276) finire

(277) travolto

(278) sotto

(279) le

(280) macerie.

(281) Ripresosi dal breve svenimento, ebbe per dolori alla testa e al ventre l’immediata percezione, in «un grande buio» nel quale «non vedeva né sentiva niente», di essere ferito e sepolto dal pietrame. A quel punto avvenne il fenomeno psicologico o forse anche spirituale che egli riportò sul diario qualche giorno dopo, rifugiato nell’u√cio

(282) del

(283) reggimento

(284) a

(285) San

(286) Cataldo,

(287) distante

(288) pochi

(289) chilometri

(290) da Caltanissetta: «Ciò che è strano è che non me importava. Sentivo

(291) anzi

(292) un

(293) immenso

(294) sollievo

(295) e

(296) non,

(297) aπatto,

(298) perché

(299) ero

(300) ancora

(301) vivo,

(302) ma

(303) perché

(304) tutto

(305) per

(306) me

(307) era

(308) finito.

(309) Era

(310) cessata

(311) la

(312) gran

(313) nausea,

(314) il grande sforzo degli istanti precedenti l’esplosione. Ero disteso, finalmente

(315) in

(316) pace,

(317) in

(318) preda

(319) ad

(320) una

(321) profondissima

(322) stanchezza.

(323) Ero

(324) contento di essere ferito e di essere sotto le macerie perché ciò mi esonerava da ogni obbligo. Sentivo solo il desiderio assurdo di

(325) non

(326) dovermi

(327) più

(328) muovere

(329) di

(330) lì.

(331) “Per

(332) me

(333) è

(334) finita”

(335) pensavo

(336) con

(337) pigrizia “se mi salvano bene; se no basta”». 1 Come questa è la prima immagine generata da shock della «zona immobile»,

(338) in

(339) cui

(340) comincia

(341) (si

(342) aπerma

(343) in

(344) apertura

(345) del

(346) poema

(347) sulla

(348) prigionia) il «lento / cieco movimento interiore / di ognuno in sé chiuso a cercare / la sua nuova forma di vita», così il «gran rombo» degli aerei annuncianti nel tuono il nuovo mondo, che scuote la terra del campo di Gross-Hesèpe e fa vibrare con essa il corpo steso al suolo, è un suono tremendo riecheggiante quello udito nella notte fatale di Caltanissetta. E forse anche per tale ragione Chiesura può capire che «la grande strapotenza», espressa da quel boato, «ci viene a liberare / e a schiacciare». 1. Idem, Sicilia 1943, cit., p. 42..

(349) 50. rolando damiani. «Le picchiate degli aerei sono un rombo inaudito – aveva scritto

(350) a

(351) San

(352) Cataldo,

(353) appena

(354) messo

(355) in

(356) salvo

(357)

(358) che

(359) cresce

(360) senza

(361) fine

(362) e che nel buio, non vedendo l’aereo, pare sempre che ti si scagli addosso… durante le picchiate, quando quel tuono cresceva all’infinito,

(363) era

(364) come

(365) se

(366) un’orrenda

(367) bastonata

(368) mi

(369) si

(370) stesse

(371) avventando

(372) sulla testa…. Per istanti che sembravano eterni sentivo la violenza inconcepibile che mi si stava scaraventando addosso e la mia impotenza sotto ad essa». 1 Nel lager, in una posizione supina che pare convenire al vinto, egli ascolta l’analogo rintronante fragore dei bombardieri che «invadono il cielo» (dice nella poesia appena precedente) sin dal mattino «in grandi stormi». 2 Con gli occhi della memoria vede il remake

(373) della

(374) pellicola

(375) fissata

(376) nella

(377) mente

(378) a

(379) Caltanissetta

(380) «fino

(381) nei

(382) minimi particolari». Nel diario aveva annotato tutto con precisione nella sosta del 17 luglio a San Cataldo: «Gli aeroplani erano caccia bombardieri e ora penso che fossero Lightning, perché spezzonarono e mitragliarono sempre in picchiata: prima spezzonarono e poi mitragliarono. Noi eravamo già in mezzo alle case. Cominciò tutto con un fuoco rosso in cielo». 3 Il Lightning, ossia in inglese ‘fulmine’, era un caccia bimotore in uso alla raf e all’aviazione americana: l’immagine del «tuono», presente nel racconto del bombardamento di Caltanissetta così come nel verso 3 del Nuovo

(383) mondo può bene accordarsi con il ‘fulmine’ Lightning. Ma nella prostrazione della prigionia è addirittura commovente che quei fulmini e quei tuoni, annuncianti per lui in Sicilia una morte da cui si salvò per caso dopo averla sentita quasi certa e averla accettata (al punto che poi per sollevarsi al buio, quando capì di potersi muovere, dovette compiere per sua confessione «uno sforzo penosissimo, con una repugnanza indicibile e con una profonda delusione»), 4 portino nel rinunciante alla guerra per singolo diritto di resistenza il pensiero insopprimibile («non potevo non pensare», ripete per due volte) dell’Italia lontana e delle sue «città e case distrutte», della «sventura là di tutti» speculare a quella,

(384) ogni

(385) giorno

(386) confinante

(387) con

(388) la

(389) morte,

(390) patita

(391) «nei

(392) campi».

(393) 1. Ivi, p. 41. Idem, La zona immobile, ii, cit., p. 136. La poesia si intitola I bombardieri e costituisce un dittico con Il nuovo mondo. 3 4 Idem, Sicilia 1943, cit., p. 39. Ivi, p. 43. 2.

(394) i «mondi separati» di chiesura. 51. La voce solitaria, chiusa nel lutto della propria soggettività morta per suicidio all’azione insieme ad altri compatrioti, si fa qui plurale, perché non può non nominare, sotto quei fulmini che minacciano «bombe sulle popolazioni» quel particolare luogo distante

(395) e

(396) infine

(397) amato,

(398) appena

(399) ria√ori

(400) il

(401) ricordo

(402) dell’ultima

(403) nuotata

(404) «breve ma bellissima» il 9 settembre ’43 con Gabriella al Lido «in un mare verde splendente bottiglia a piccole creste ribollenti», 1 che è il «nostro mondo», la «nostra nazione / antica comunale contadina

(405) /

(406) aπamata

(407) invecchiata

(408) inadeguata

(409) /

(410) ai

(411) nuovi

(412) tempi

(413) finita

(414) dissanguata». Il diario si chiudeva con l’abiura della «cosiddetta patria» (una patria

(415)

(416) annota

(417) con

(418) qualche

(419) illusione

(420) ancora

(421) nel

(422) definitivo

(423) disinganno

(424) l’u√cialetto

(425) ormai

(426) deciso

(427) a

(428) consegnarsi

(429) ai

(430) tedeschi

(431)

(432) «che,

(433) l’ho visto coi miei occhi, è l’opposto di tutti gli italiani»); 2 e analogamente

(434) all’atto

(435) di

(436) uscire

(437) dalla

(438) «zona

(439) immobile»

(440) una

(441) di√denza

(442) e

(443) il senso di un incerto futuro frenano o debilitano la soddisfazione del ritorno a casa. Consapevole di quest’ulteriore ambiguità a lui imputabile nella prospettiva dei partigiani, o anche del suo maestro Bobbio o dell’amico Piero Dallamano, a lui legato «già prima della guerra» 3 e attivo poi nella resistenza e nel cln, Chiesura volle spiegarla nella prefazione a Sicilia

(444) 1943. E asserì che nel lager fra i dispersi del grande caos, simili a ombre penitenziali vaganti in una landa «fuori dal tempo e da ogni luogo e sospesa / fra storia e storia», dove si incontravano «per un primo ultimo istante / prima di riscomparire nella vita» (così aveva detto in versi dell’aprile-giugno ’45), 4 era nata una «nuova comune cittadinanza» di appartenenti a una patria astorica e con essa era insorto «il timore di perderla rientrando nella vita». 5 Chiesura non si chiede se questo nuovo mondo separato, distinto da quello che ha intravisto all’orizzonte «nel cielo verso Meppen… dalla parte dell’Olanda» seguendo con lo sguardo la scia luminosa dei bombardieri e udendone il tuono, sia presente 1. 2 Ivi, p. 28. Ivi, p. 143. Ivi, p. 16. È il punto della prefazione in cui Chiesura ricorda l’articolo del «carissimo»

(445) Dallamano

(446) nel

(447) quale

(448) giudicava

(449) la

(450) sua

(451) scelta

(452) della

(453) prigionia

(454) «una

(455) specie

(456) di

(457) cupio

(458) dissolvi,

(459) di

(460) volontà

(461) di

(462) morire»,

(463) e

(464) la

(465) lettera

(466) successiva

(467) di

(468) giustificazione

(469) dell’articolo. 4 Idem, La zona immobile, ii, cit., p. 161. Sono versi della poesia intitolata La 5 grande landa. Idem, Sicilia 1943, cit., p. 20. 3.

(470) 52. rolando damiani. nel suo singolo cuore o nella realtà condivisa con i compagni cui poté apparire per i suoi pensieri «un fascista, un disfattista, un coglione». Sarebbe una domanda inutile, perché è forse lui solo a essersi creato quel nuovo mondo in se stesso e a poterne parlare in prima persona quando la notizia del rimpatrio gli provoca (come ricorderà nel tempo) invece che gioia «un forte turbamento e quasi rammarico». Il prigioniero si consegna con un cuore renitente alla liberazione.

(471) La

(472) scena

(473) finale

(474) del

(475) diario

(476) è

(477) perfettamente

(478) speculare

(479) a

(480) quella

(481) che

(482) chiude La

(483) zona

(484) immobile

(485) e insieme annuncia il nuovo mondo della «grande strapotenza che ci viene a liberare e a schiacciare». I versi dell’ultima poesia intitolata Il

(486) confine sono gli stessi citati al termine della

(487) premessa

(488) autogiustificativa

(489) al

(490) diario

(491) e

(492) risalenti

(493) al

(494) momento

(495) della

(496) partenza

(497) definitiva

(498) dal

(499) campo

(500) di

(501) Linghen

(502) verso

(503) l’Italia: è ancora indietro che il mio cuore invece vive, lì a Linghen, ad Hammerstein e Przèmjschl, nei più profondi luoghi e più dispersi del nostro caos e della solitudine, ed è lì che vorrei ancora tornare come se dovessi continuare qualcosa di appena cominciato. E c’è angoscia e divisione dentro me come

(504) un

(505) uomo

(506) sulla

(507) linea

(508) di

(509) confine. 1. La «zona immobile» era come l’occhio del ciclone attorniato dai vortici. I mondi separati, nel male o nel bene apparente, si rivelano pur prodotti da planetarie ‘tempeste d’acciaio’ passeggeri come le nuvole che i bombardieri provocano in cielo con i «lunghi vapori di condensazione», cui Chiesura dedica un verso. 2 Lo stato d’eccezione sfuma, l’I

(510) prefer

(511) not

(512) dello

(513) scrivano

(514) Bartleby

(515) finisce

(516) per

(517) essere inghiottito dalla routine. Non basta la volontà, meno che mai

(518) quella

(519) singola,

(520) a

(521) spezzare

(522) nessi

(523) infiniti

(524) cui

(525) la

(526) vita

(527) è

(528) allacciata,

(529) neanche combattendoli con l’assopimento e la dimenticanza, con una stoica apatia della coscienza. Una prova il sottotenente l’ha avuta sulla costa siciliana, durante una sosta sul greto del Floripotema nell’entroterra di Milazzo, dove il 7 agosto d’improvviso gli sono piovute addosso undici lettere di Gabriella, di familiari e di zie, e sul quaderno poggiato 1 2. Idem, La zona immobile, ii, cit., pp. 192-193. Ivi, p. 136. È l’ultimo verso della poesia I bombardieri..

(530) i «mondi separati» di chiesura. 53. sullo zaino egli ha dovuto commentare assumendo il soggetto collettivo dei soldati con lui superstiti: «Noi vivevamo ormai così staccati, preparati, abituati ad ogni evento ed, ecco, arriva la voce dei nostri e il suo suono non ci aiuta: ci fa male. Essi vengono a riprenderci

(531) e

(532) ci

(533) legano

(534) nuovamente

(535) a

(536)

(537) con

(538) mille

(539) fili

(540) e

(541) ci

(542) impediscono di liberamente salutare ancora una volta tutto, come già avevamo fatto tante volte, ogni volta credendolo per sempre. Essi ci

(543) fanno

(544) ritornare

(545) indietro

(546) e

(547) ci

(548) rendono

(549) tutto

(550) più

(551) di√cile.

(552) Con

(553) le

(554) loro parole e il loro amore non ci possono evitare nessun male e ci tolgono ciò che solo, qui, ci aiutava e dava felicità: l’oblio e questa vita vegetale; questa assenza di gioia e di dolore in un eguale ridestarsi e riassopirsi, qui distesi, [anche lì distesi, aggiungiamo noi, come a Caltanissetta e a Gross-Hesèpe sotto i ‘fulmini’] in questo riposo animale, che riassorbe nella sua necessità tutti gli eventi ordinari e straordinari e tutti i pensieri della vita». 1 Sono parole che vengono da un abisso di comprensione delle cose umane, cui si può guardare soltanto con il coraggio non egoistico ma anzi generoso della verità. Chiesura, restio a imbracciare nell’insorgente Resistenza «le armi proprie del caos» per contrastarlo,

(555) pur

(556) ammirando

(557) alla

(558) fine

(559) chi

(560) l’aveva

(561) fatto

(562) mantenendo

(563) in

(564)

(565) intatti gli ideali e la moralità, 2 fece della sua esperienza sul fronte siciliano e nei lager non solo un racconto diaristico e in versi ma una

(566) propria

(567) filosofia.

(568) Una

(569) sapienza

(570) profonda

(571) delle

(572) cose

(573) gli

(574) si

(575) era

(576) rivelata, nell’età compresa tra i ventidue e i ventiquattro anni, in quelle circostanze atroci, tra fulmini e tuoni di guerra, e per restare

(577) a

(578) essa

(579) fedele

(580) doveva

(581) diventarne

(582) amante,

(583) farsi

(584) ‘filosofo’

(585) di

(586) quel

(587) mondo separato. Nella prefazione del ’93 ne parlò come del tratto distintivo della sua esistenza e della sua opera: Insomma è lì che ho appreso tutto, o quasi, quello che ancora so adesso sulla natura umana e non c’è, quindi, da stupirsi del fatto che la guerra sia rimasta dentro di me come un tempo fondamentale e, con tutta la sua 1. Idem, Sicilia 1943,

(588) cit.,

(589) pp.

(590) 87-88.

(591) Il

(592) torrente

(593) o

(594) fiume

(595) Floripotema

(596) viene

(597) chiamato da Chiesura Floripotamo. 2 Ivi, p. 22: «Certo è che chi scelse la lotta armata in nome di un ideale di giustizia, con la speranza di contribuire a creare un mondo meno soggetto alla violenza del caos, dovette, in quella lotta, fare propria quella stessa violenza ed usare anch’egli, di necessità, le armi proprie del caos. Ed io ammiro molto quelli

(598) che

(599) sono

(600) riusciti

(601) ad

(602) aπrontare

(603) e

(604) superare

(605) una

(606) tale

(607) contraddizione,

(608) mantenendo

(609) intatti

(610) il

(611) loro

(612) ideale

(613) e

(614) la

(615) loro

(616) moralità»..

(617) 54. rolando damiani. orribile essenza e nonostante essa, come una specie di mia patria segreta, che sono costretto ad amare, nel bene e nel male, come sempre si devono amare le patrie, e alla quale sono costretto a ritornare ogniqualvolta mi metto alla ricerca del mio e del nostro destino. 1 1. Ivi, p. 12..

(618)

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