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Academic year: 2021

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Vol. 1 n. 1 (2020)

The conditions and results of innovation in educational models

IUL Research | Open Journal of IUL University www.iulresearch.it

www.iuline.it CC BY-NC-ND 4.0

Nuove proposte per una scuola integrata con il territorio: la necessità di

coordinare le risorse

Marzio Cresci, Direttore Museo diffuso del Chianti Abstract

The reflection frames the perspectives of outdoor education and non-formal education in the broader vision of community school development: the central theme is the decentralized classroom, in the perpective of the "widespread school", a theme analyzed through a specific methodological model, experimented by the Tuscany Region. The analysis of the historical phases of the model, the highlighting of the potential does not only have the purpose of offering a witness, but above all identifying "on the field", some key aspects of school-territory integration and the role that local institutions can play in a renewed alliance.

Sintesi

La riflessione inquadra le prospettive dell’outdoor education e dell’educazione non formale nella più ampia visione dello sviluppo della scuola di comunità: il tema centrale è quello dell’aula decentrata, si potrebbe dire della “scuola diffusa”, tema analizzato attraverso uno specifico modello metodologico, esperito dalla Regione Toscana. L’analisi delle fasi storiche del modello, la messa in evidenza delle potenzialità non ha solo lo scopo di offrire una testimonianza, ma soprattutto quello di individuare, con una lettura “sul campo”, alcuni aspetti chiave dell’integrazione scuola-territorio e del ruolo che le istituzioni locali possono giocare in una rinnovata alleanza.

Keywords: outdoor education, non-formal education, community school Parole chiave: outdoor education, educazione non formale, scuola di comunità

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“Ci vuole un villaggio per crescere un bambino” Proverbio africano

1. Scuola e territorio, tra riscoperte e nuove proposte

Del territorio come aula didattica decentrata, parla Franco Frabboni in un volume del 2007, il cui titolo sembra adatto all’incipit di questo contributo: «la scuola che verrà»1.

In quest’aula l’autore individua due linee metodologiche che qui cercheremo di tenere unite. La prima linea: «verso molte alleanze educative» e la seconda: «le banche dell’ambiente».

Il tema delle alleanze educative, metaforicamente il “mattone”, che incarna il “sociale”, il relazionale, dentro e fuori la scuola, vede questa dialogare con le famiglie attraverso rinnovati strumenti, di tipo normativo oltre che esperienziale.

A questo proposito, giova ancora ricordare un testo di riferimento: le Indicazioni Nazionali del 2012, sempre attuali, laddove recitano «la scuola persegue una doppia linea formativa: verticale e orizzontale. La linea verticale esprime l’esigenza di impostare una formazione che possa poi continuare lungo l’intero arco della vita; quella orizzontale indica la necessità di un’attenta collaborazione fra la scuola e gli attori extra scolastici con funzioni a vario titolo educativo», tra cui la famiglia in primo luogo, ma non solo2.

Il secondo tema, che nel testo di Frabboni è declinato operativamente, collocando il mondo della natura (il ciuffo d’erba) nell’ambito del Piano dell’Offerta Formativa, ci ricorda l’attualità della scuola all’aperto e dell’outdoor education, emersi ormai da diverso tempo come punti di vista educativi assolutamente da considerare e conoscere, specialmente nelle esperienze relative agli anni 0-63. La bibliografia recente testimonia un rinnovato interesse per il tema,4 sottolineato inoltre dalla nascita di organizzazioni nazionali innovative, come la rete delle scuole all’aperto: una semplice ed efficace rete di scopo tra scuole5.

Anche nel mondo della ricerca, il tema della collaborazione in orizzontale, meglio definita come “sistema di reti educative”, unitamente a quello degli spazi educativi multipli, è stato recentemente riattualizzato, nel vivo di questo momento storico contrassegnato dalle difficoltà della pandemia, in una serie di riflessioni e di incontri (on line) promossi da Indire, all’interno delle coordinate del

1 Franco Frabboni, La scuola che verrà, Trento 2007, Erickson, p.120-126.

2 Indicazioni per il curricolo della scuola dell’infanzia e il primo ciclo d’istruzione, 2012, anche in http://www.indicazioninazionali.it/wp-content/uploads/2018/08/Indicazioni_Annali_Definitivo.pdf. Noto a margine che questa sollecitazione compare nella Premessa, subito dopo “La scuola nel nuovo scenario” e “Centralità della persona”, alla voce “Per una nuova cittadinanza”.

3 Forniamo i riferimenti per poter consultare la formazione 0-6 organizzata dalla Conferenza per l’Educazione e l’Istruzione della Zona Senese a.e. 2018/2019: i temi della scuola all’aperto. http://www.culturachianti.it/comedu/risorse.html

4Ricordiamo R.Farnè, A.Bortolotti, M.Terrusi (a cura di), Outdoor education: prospettive teoriche e buone pratiche, Roma 2018, Carocci Editori; Alessandro Bortolotti, Outdoor education. Storia, ambiti, metodi, Milano 2019, Guerini Scientifica; Mirella D’Ascenzo, Per una storia delle scuole all’aperto in Italia, Pisa 2018, Edizioni ETS; M. Schenetti, I. Salvaterra, B. Rossini, La scuola nel bosco, Trento 2015, Erickson.

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progetto Piccole scuole, incontri e riflessioni denominati appunto “A scuola di prossimità”6. È infatti ai caratteri originali delle Piccole scuole che la ricerca INDIRE affida il ruolo di avanguardie sulla pista di una rinnovata alleanza scuola-territorio: «le piccole scuole tradizionalmente rinsaldano e conservano i propri tratti distintivi culturali e storici divenendo grandi comunità di memoria. Il loro rapporto con l’ambiente naturale, sociale e culturale può rappresentare una risorsa dalle forti potenzialità innovative nel momento in cui lega l’apprendimento alla realtà valorizzandola nel rispetto delle vocazioni territoriali»7.

Le note vicende legate alla Sars-CoV-2 hanno portato ulteriormente alla ribalta l’educazione all’aperto, per essere stata citata in maniera puntuale nel DPCM del 17 maggio 2020, nell’allegato 8, relativo alle linee guida per le attività estive: «la realizzazione di esperienze ed attività all’aperto rappresenta un’opportunità fondamentale nel quadro dello sviluppo armonico dei bambini e degli adolescenti e sempre di più il tema ha assunto centralità e attenzione all’interno della definizione di outdoor education, con cui si sottolinea non solo l’aspetto ricreativo, ma innanzitutto il legame fra l’esperienza dell’ambiente e della natura e lo sviluppo di importanti dimensioni dell’esperienza individuale»8.

In un recente convegno, Danilo Casertano ha segnalato come assolutamente eccezionale questa citazione – «dieci anni fa mi dicevano che era impossibile fare scuola all’aperto in Italia»9 – e ha commentato che «in questo particolare momento storico è necessario capire come farlo su scala, come fare scuola all’aperto per tante persone non solo per piccoli gruppi di bambini. […] finché all’asilo del mare di Ostia su dodici chilometri di spiaggia ci andiamo solo noi, da ottobre fino ad aprile ci siamo solo noi, il problema non c’è, perché andandoci solo noi non dobbiamo prenotare un posto. Ma se come mi auguro, invece, da settembre, ottobre prossimi, sul litorale di Ostia ci dobbiamo andare in migliaia di bambini, allora il tema dei servizi igienici, il tema di quale spiaggia ho io e quale hai tu, i tragitti, la logistica per arrivare, i marciapiedi, le buche ecc. tutta una serie di domande devono essere risolte.» e conclude evidenziando «[…] la necessità di fare delle valutazioni sui singoli luoghi, le diverse regioni, i diversi scenari, fare una valutazione delle diverse collaborazioni che le singole comunità educanti hanno […]».

L’aspetto di organizzazione concreta ricordato da Casertano10 sembra idealmente riconnettersi alla prima linea metodologica dell’aula didattica decentrata che «fa rima con una scuola non più separata

6 Per il Progetto “Piccole scuole. Trame in rete”, vedi: https://piccolescuole.indire.it/ e in particolare: https://piccolescuole.indire.it/iniziative/a-scuola-di-prossimita/#tavolarotonda

7 Dal “Manifesto delle Piccole scuole”,

https://piccolescuole.indire.it/wp-content/uploads/2018/11/50x70_MANIFESTO_CON-FIRME_LUGLIO_2018_testoPON.pdf 8 https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/05/17/20A02717/sg

9 Danilo Casertano, co-fondatore Asilo nel Bosco, del Mare, Scuole Naturali, Presidente Ass. Manes. Le citazioni sono la trascrizione del suo intervento in September NOW, un evento di Spazioleo IC 3 Modena in collaborazione con

Giunti Scuola, CampuStore, Servizio Marconi/USR Emilia-Romagna

(https://register.gotowebinar.com/recording/6538730086848173835) a 1h44’.

10 Aspetti pratico organizzativi vengono sollecitati anche nel documento del CTS “Modalità di ripresa delle attività didattiche del prossimo anno scolastico”. Stralcio Verbale 82 della riunione tenuta, presso il Dipartimento della Protezione Civile, il giorno 28 maggio 2020, p.14: “[…] l’ottimizzazione e il potenziamento delle risorse, degli spazi e adeguate soluzioni organizzative. A riguardo è imprescindibile il coinvolgimento diretto degli Uffici Scolastici Regionali, degli Enti Locali (Regioni, Città metropolitane, Comuni, Municipi) e delle autonomie scolastiche, nonché delle realtà del territorio quali associazioni, gestori di spazi pubblici e privati, cooperative sociali, etc.”. Mancano riferimento agli aspetti

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dall’ambiente sociale e naturale, ma disponibile a legittimare e ad accreditare nei propri curricoli i patrimoni culturali delle opportunità extrascolastiche […]. Al crocevia della “scuola che verrà” campeggia l’esigenza di sperimentare forme di raccordo e di interdipendenza tra il sistema formale (la scuola), il sistema non-formale (la famiglia, l’ente locale ecc.) e il sistema informale (il mattone e il ciuffo d’erba)»11. Il ciuffo d’erba, l’abbiamo visto, rappresenta i parchi naturali, gli ecosistemi, le fattorie didattiche, gli agriturismi ecc., mentre il mattone diviene metafora per biblioteche, musei, mediateche, ludoteche, ecc.

Nel convegno già citato, un altro intervento, quello di Gabriele Benassi12, affronta il tema della necessità di immaginare nuovi spazi per la scuola che verrà, e riprende le categorie educative del formale, non-formale e informale, per sostenere la necessità di una «legittimazione istituzionale» che già Frabboni individuava «[…] a partire dall’alleanza (patto pedagogico) tra la scuola e le agenzie non-formali, intenzionalmente formative […]».

Citando due esperienze progettuali a cui partecipò nel 2006, Benassi chiarisce: «sono tornato a quelle esperienze con la mente perché per me furono decisive per identificare quello che noi normalmente chiamiamo come competenze formali, non-formali e informali. Le competenze formali sono quelle su cui lavoriamo a scuola, che in qualche modo certifichiamo con la certificazione delle competenze in uscita del primo ciclo, con la “pagella”. Le competenze non-formali sono le competenze che magari un ragazzo si fa al di fuori della scuola ma comunque in ambienti strutturati. La squadra di calcio, il corso di chitarra, il corso di inglese, teatro ecc. E poi ci sono le competenze informali che ognuno di noi in qualche modo impara a gestire attraversando la vita, con tutti gli annessi e connessi che le tante esperienze di incontro di stimolo, di caduta, di slancio, in qualche modo ti dà. Mentre le competenze informali sono oggettivamente difficili da pianificare e se vogliamo da catalogare, quindi in fondo anche da valutare […] le competenze formali e le competenze non formali in realtà possono essere due pezzi di un puzzle inseribili l’uno nell’altro. E proprio in queste giornate in cui si parla di aprire la scuola al territorio, soprattutto di aprire il primo ciclo, ma non solo, alle risorse che il territorio ti offre, come le pinacoteche, i musei, i parchi, ma anche le associazioni che fanno teatro, le società sportive ecc. […] Io credo che da settembre anche questa dimensione dovremmo incominciare a pensarla come una dimensione operativa molto concreta. […] Quando si dice che si vuole portare la scuola nel territorio, il territorio nella scuola, si fa riferimento a questa ricchezza di attività che, badate bene, sono attività fondamentali nella formazione dei nostri ragazzi. […] Credo che la scuola da questo punto di vista possa cominciare ad avere anche un ruolo di interfaccia, quasi di coordinamento. […] Come può la scuola dare valore (valutare) anche le competenze non formali che i nostri alunni sviluppano al di fuori della loro classe?».

Tra i molti possibili richiami ai temi in questione, ho riportato queste citazioni perché rendono con vivacità e immediatezza lo spirito delle domande che moltissimi educatori e insegnanti in questo momento si stanno facendo. Rendono attuale e vivo un dibattito rimasto a lungo ai margini della discussione pedagogica, anche se l’urgenza di una sistematizzazione degli intrecci tra l’istituzione scolastica e il suo territorio è in realtà un’esigenza ampiamente sedimentata.

metodologici forse scontatamente pensati, anche in funzione delle peculiarità legislative territoriali, come di pertinenza regionale.

11 Franco Frabboni, cit. p.124.

12 Insegnante di lettere (21° Ist.Comprensivo) e Formatore per il servizio Marconi TSI-USR Emilia-Romagna. Trascrizione del suo intervento in September NOW, un evento di Spazioleo IC 3 Modena in collaborazione con Giunti Scuola, CampuStore, Servizio Marconi/USR Emilia-Romagna [https://www.youtube.com/watch?v=4Ja2QxPAA6g&t=11417s ] a 3h11’

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In effetti anche proprio alle porte di questa riflessione, in maggio e giugno, numerosi sono stati gli interventi culturali e di formazione volti ad accompagnare una trasformazione e un ripensamento della scuola a partire dalle esperienze delle scuole stesse, in larga parte in partenariato con gli enti territoriali, come nel caso dei già citati webinar “A scuola di prossimità”, con esempi di scuola diffusa e di sistema formativo allargato.

Del resto, di valorizzazione delle forme di flessibilità derivanti dall’Autonomia scolastica e del ruolo delle comunità territoriali, tra sussidiarietà e responsabilità, per la ripresa delle attività scolastiche, parla anche espressamente il Piano 2020-2021 del Ministero, “Adozione del Documento per la pianificazione delle attività scolastiche, educative e formative in tutte le Istituzioni del Sistema nazionale di Istruzione per l’anno scolastico 2020/2021”13.

2. Modelli incredibilmente moderni dismessi: un’analisi per un nuovo ruolo

L’aspetto individuato come cruciale nell’ambito della possibile formalizzazione, istituzionalizzazione, del rapporto tra la scuola e il territorio, dal ciuffo d’erba al mattone, nelle sue potenziali e reali offerte educative, riguarda l’ambito delle competenze non formali. Su questo aspetto la Regione Toscana può vantare un’esperienza metodologica assai approfondita, anche se in parte dimenticata. L’ambito è quello riconducibile alle politiche riassunte nella definizione dei “Centri Infanzia Adolescenza e Famiglia” (C.I.A.F.). L’esposizione delle tre fasi storiche in cui i Centri si sono sviluppati, attraverso una sintetica rassegna normativa, servirà a comprendere l’effettiva potenzialità del modello, ma anche a capire quali sono state le debolezze, nonché i motivi della mancata riconversione dei CIAF verso una funzione di coordinamento territoriale delle competenze non-formali.

La prima formalizzazione risale alla deliberazione del Consiglio Regionale n.162 del 18.03.1992 che approvava l’azione programmata Infanzia e Adolescenza. «Con questo strumento, la cui titolarità veniva attribuita ai Comuni, si individuavano linee strategiche e operative innovative rivolte al sostegno della famiglia e dei suoi componenti mediante la definizione di politiche complessive e globali, di interventi coordinati e integrati messi fra loro in rete per far interagire sia i soggetti istituzionali titolari delle diverse funzioni, sia le strutture tecniche di riferimento, sia infine gli operatori con le loro diverse professionalità»14.

È interessante mettere in evidenza che fin da questa prima programmazione, evidentemente orientata all’attivazione di un nuovo servizio, era comunque presente una sua possibile identificazione con la funzione di coordinamento. «Il Centro per l’infanzia l’adolescenza e la famiglia si poneva come contenitore unificante degli interventi di continuità educativa già realizzati nel territorio e delle risorse disponibili in un’unica struttura organizzativa; si poneva, inoltre, come centro della produzione culturale, della programmazione e della verifica degli interventi, nel presupposto che l’efficacia delle politiche non potesse prescindere dal coordinamento dei decisori e dalla integrazione delle azioni»15.

13 Cfr. https://www.miur.gov.it/documents/20182/2467413/Le+linee+guida.pdf/4e4bb411-1f90-9502-f01e-d8841a949429?version=1.0&t=1593201965918

14 Cfr. Raffaello Profeti, L’educazione non formale sul territorio: i CIAF e gli Informagiovani. in I servizi educativi per infanzia, adolescenza e giovani in Toscana. Dati, tendenze e prospettive. Regione Toscana, Firenze 2006, p.21. https://www.minoritoscana.it/sites/default/files/servizi%20educativi_06.pdf

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Ai tempi della Legge 285/1997 (cd Legge Livia Turco), la Regione Toscana promulga la L.R. n. 22 del 23.04.99, Interventi educativi per l’infanzia e gli adolescenti, con cui disegna una governance completamente nuova e in cui nascono le “Zone” come soggetti centrali nella programmazione16. Nella L.R. 22/99, i CIAF costituiscono elementi portanti, nella accezione che già li caratterizzava alla nascita: tuttavia qui il sistema della programmazione non ha ancora assunto quell’impronta decisamente educativa che la Regione pur intendeva perseguire. Non è infatti infrequente che le Zone, mutuate dall’organizzazione socio-sanitaria, progettassero i propri piani zonali senza mutare composizione e quindi con una prevalenza al loro interno di professionalità relative ad attività di socializzazione. Vi furono alcune eccezioni, Siena fra queste: qui sono state istituite due differenti componenti delle riunioni di Zona, di cui una propriamente educativa con un proprio coordinatore, e progettando il CIAF denominato “Le Comunità Educative della Zona Senese”, con la funzione di promuovere la gestione associata di progetti zonali, che di fatto svolgeva un ruolo di coordinamento. Fu nello stesso periodo, e nello stesso territorio senese, evidentemente anche grazie alle azioni di formazione messe in atto dalla Zona, che si svilupparono in momenti successivi due CIAF territoriali, il Ciaf-Chianti e il Ciaf-Siena-Sud, con sia la funzione di produrre occasioni educative non-formali e del tempo libero sia, allo stesso tempo, significativamente, di coordinare tali attività con quelle dei rispettivi istituti comprensivi. Questo sviluppo fu reso possibile anche dalla particolare organizzazione che la Zona Senese si era data, suddividendo in quattro sub-aree omogenee il proprio territorio17. Gli effetti più eclatanti di questa azione di coordinamento si realizzarono nel far dialogare progettualità regionali sì appartenenti all’ambito educativo, ma promosse da differenti assessorati regionali, nello specifico i progetti PIA e i progetti INFEA di educazione ambientale, ben noti alle scuole del territorio. Purtroppo, bisogna riconoscere che se vi furono ricadute positive nella realizzazione delle singole attività, furono molto più sporadiche le azioni di documentazione per individuare, sostenere, far emergere, anche a livello di riflessione pedagogica, la specifica funzione del CIAF che si stava attuando.

Ulteriore consolidamento del sistema si ottiene con la LR 32/2002, “Testo unico della normativa della Regione Toscana in materia di educazione, istruzione, orientamento, formazione professionale e lavoro” che sostituisce la 22/9918.

Il relativo “Piano di indirizzo generale integrato L.R.32/2002”19, approvato con deliberazione del Consiglio Regionale della Toscana n.137 del 29.07.2003, con l’art. 32, colloca i Centri per l’infanzia l’adolescenza e le famiglie (CIAF) nell’ambito delle attività di educazione non formale degli adolescenti, dei giovani e degli adulti e detta indirizzi specifici per gli interventi di continuità

16 Art. 8 - (la zona: il piano zonale per gli interventi educativi). 1. L’ambito territoriale di associazione tra i comuni per la programmazione e la realizzazione di interventi educativi coordinati ed integrati, e di riferimento per l’allocazione delle risorse necessarie a garantirne l’efficienza con il conseguimento degli obiettivi della programmazione zonale, è la zona di cui all’articolo 19 della l.r. 72/1997. Cfr. https://www.isfol.it/sistema-documentale/banche-dati/normative/archivio/13526

17 Le sub-aree erano le seguenti: Siena capoluogo, Chianti: Castellina in Chianti, Castelnuovo Berardenga, Gaiole in Chianti, Monteriggioni e Radda in Chianti; Arbia-Crete: Asciano, Buonconvento, Montalcino, Monteroni d’Arbia, Rapolano Terme, San Giovanni d’Asso; Val di Merse: Chiusdino, Monticiano, Murlo e Sovicille.

18 Cfr. https://www.regione.toscana.it/documents/10180/453512/legge200200032.pdf/87ad96b1-3f6d-4517-88db-3028f99eb444

19 Per il Piano, detto PIGI, cfr. https://www.regione.toscana.it/documents/10180/71336/PIGI/c8389313-0f6c-4318-9797-4f8941521099

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educativa per il tempo libero e di sospensione delle attività scolastiche rivolti all’infanzia e agli adolescenti e ai giovani. […]. Per l’efficacia di questi interventi è necessario sia il coinvolgimento delle famiglie nella partecipazione alle scelte educative e alla verifica della loro attuazione, sia il raccordo dei piani dell’offerta formativa (POF) delle diverse scuole del territorio, per costruire, attraverso una progettazione integrata, un piano dell’offerta formativa territoriale che ottimizzi le risorse educative di cui il territorio dispone per le diverse fasce di età20.

Purtroppo, salvo rare eccezioni – che comunque non sono riuscite ad emergere come modello – i CIAF per lo più si configurarono «come momenti organizzativi generalisti di attività tendenzialmente tese a occupare il tempo libero con finalità educative e di socializzazione, ma senza specifiche funzioni che li ponessero come strumenti non formali di apprendimento in relazione ai problemi emergenti nella società»21.

Mi sembra importante chiudere questa analisi fornendo una ipotesi possibile sul perché di una così maldestra perdita di un modello progettuale che ancora oggi, lo abbiamo visto nel paragrafo precedente, potrebbe rappresentare un insostituibile strumento per raggiungere l’integrazione scuola-territorio, e chiedendosi se è possibile immaginarne il recupero e l’attualizzazione.

Il modello del CIAF ha avuto il maggiore sviluppo nel periodo 1992-2006. Sembra plausibile affermare che il rapporto tra le politiche regionali espresse, diciamo per semplificare, dal sistema delle Conferenze Zonali e la Scuola, abbia raggiunto un effettivo dialogo con il varo delle Conferenze per l’educazione e l’Istruzione e l’istituzione dei PEZ (Progetti Educativi Zonali)22. Questo per tutta una serie di motivi che non possiamo approfondire in questo spazio, ma che possono emergere anche dagli strumenti effettivi di cui la scuola viene dotata dall’istituzione dell’Autonomia per concretizzare, materializzare, questo rapporto, come ad esempio le Reti di Scopo23. Di fatto, per dirlo in maniera brutale, prima dei PEZ la scuola “ignorava” quali fossero le azioni promosse dalla L.R. 32/2002. I PEZ hanno reso “visibile” la progettazione territoriale, hanno raccolto attorno al tavolo della progettazione i referenti delle scuole, degli enti locali, delle agenzie territoriali. Credo che l’esito “generalista” che poi di fatto ha marginalizzato il finanziamento dei CIAF, sia stato determinato da un imperfetto dialogo tra scuola e L.R. 32/2002, decisamente corretto con il varo dei PEZ.

Nell’ambito di rinnovate alleanze tra scuola e territorio, che sia la scuola che i diversi soggetti del territorio sono fortemente chiamati a realizzare, credo siano invece da recuperare tutti gli strumenti che possano facilitare una loro sistematizzazione, anche tramite quegli istituti già delineati in Toscana (ancora presenti nella legislazione vigente), ma presenti in diverse forme anche altrove, in grado di coordinare le risorse e le professionalità legate all’educazione non formale.

20 Cfr. Ibidem, p.24.

21 Cfr. Ibidem, p. 46.

22 Cfr. https://www.regione.toscana.it/-/i-progetti-educativi-zonali

23 Fondamentale per le reti di scuole l’art.7 del DPR n.275 del 1999, Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, in seguito rinnovato dall’art. 1 della Legge 107 del 2015.

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3. Esempi concreti: i Ciaf territoriali

L’esempio senese del Ciaf-Chianti24 può contribuire a far conoscere esperienze di centri orientati al patto pedagogico, rendendo esplicativo un modello che crediamo rinnovabile/replicabile e facendo emergere i tratti distintivi di una progettazione realmente integrata, legata ai progetti culturali e di partecipazione attivi nel territorio e sostenuti dagli istituti scolastici. I dati che presentiamo sono stati elaborati nell’anno scolastico 2010/2011 in occasione degli Stati Generali della Scuola, promossi dalla Regione Toscana.

3.1. Gli aspetti distintivi

L’interazione scuola-comunità costituisce un valore fondamentale nel percorso formativo. Perché effettivamente si realizzi, è importante sostenere sul territorio un sistema di rete incentrato sulla continuità educativa, sulla relazione tra gli interventi rivolti ai diversi target, sulla valorizzazione delle risorse formali e non formali. Il modello di rete che si propone, attualmente sperimentato in contesti rurali, è rappresentato da “CIAF territoriali”, identificati dai seguenti aspetti distintivi:

l’omogeneità del contesto di riferimento: un “sistema a misura di” bisogni, risorse, specificità individuate come comuni;

l’unitarietà e la coerenza progettuale delle azioni: individuazione di un “filo rosso” rappresentato dall’uso del territorio come “laboratorio di conoscenza”;

la valorizzazione, come spazi educativi, di luoghi di valore storico e ambientale: parchi naturali, aree archeologiche, musei, ecc. presenti sul territorio;

il partenariato con gli Enti che sul territorio si occupano di istruzione, educazione, cultura: istituti scolastici, musei, biblioteche, ecc., che dialogano attraverso una specifica equipe di coordinamento;

la programmazione delle attività nell’ambito di alcuni i filoni tematici: educazione al consumo culturale, alla cittadinanza attiva, alla sostenibilità;

l’uso di metodologie e offerte specifiche: ricerca-azione; processi partecipativi; laboratori di story telling, laboratori di archeologia sperimentale, ecc.

3.2. Le esperienze

Il CIAF Chianti (Circondario Chianti Senese) è un istituto territoriale con una sperimentazione ultradecennale che ha prodotto esperienze diversificate per temi e target. Si citano alcune realizzazioni fortemente distintive:

Rispetto alle attività:

i laboratori della memoria, in continuità scuola-extrascuola, incentrati sui metodi della Banca del tempo e della Banca dei Saperi, sulla valorizzazione delle Biblioteche comunali come centri aggregativi e di documentazione territoriale;

• i laboratori di animazione antropologica, in continuità scuola-extrascuola, centrati sulla sperimentazione (di attività di ricerca, di attività produttive e artigianali storicamente e

24 Per il significato di laboratorio territoriale del CIAF-CHIANTI, cfr. Marzio Cresci (a cura di), La via di Castiglioni

un itinerario nel paesaggio, Poggibonsi 2001, pp. 43-61 http://www.culturachianti.it/eBook/viacastiglioni_territorio.pdf

Si veda anche la Rivista dell’Ecomuseo del Chianti: gli itinerari archeologici – Ia Edizione febbraio 2009

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geograficamente contestualizzate etc.) e la simulazione (di eventi, di attività sociali di comunità del passato);

i laboratori di cittadinanza attiva (Agenda 21 dei Ragazzi), per il coinvolgimento dei ragazzi nei processi di Agenda 21 Locale.

Rispetto ai luoghi:

• valorizzazione del Parco Archeologico di Poggio La Croce, dal 1998 Centro all’aperto del Ciaf-Chianti, come “spazio di comunità”, ovvero laboratorio di conoscenza partecipata dell’ambiente e della storia del territorio chiantigiano, per il coinvolgimento dei residenti nelle azioni di sensibilizzazione ai temi dello sviluppo sostenibile.

Rispetto alle modalità:

attivazione di partenariati ad hoc con gli Enti Culturali del territorio. L’esempio più interessante è rappresentato dal partenariato con il Museo Archeologico del Chianti Senese che ha collaborato mettendo a disposizione spazi, competenze, supporto logistico. 3.3. I risultati

Ampliare gli spazi scolastici e dell’educazione. Sostenere progettualità che consentano alla scuola di utilizzare l’ambiente naturale, culturale e sociale del territorio come “aula didattica decentrata”.

Sostenere la continuità educativa e il life long-learning. Mettere in rete spazi ed iniziative incentrati sull’educazione al consumo culturale e sulla partecipazione come valori trasversali e di continuità tra educazione formale, non formale e del tempo libero.

Contrastare la dispersione scolastica. La “scuola del fare e del partecipare” come strategia a sostegno dell’inclusione e del successo scolastico.

Sostenere il dialogo scuola-famiglia-comunità. Sostenere progettualità di facilitazione al coinvolgimento degli adulti, nel percorso curricolare e formativo, come risorsa di saperi, competenze, esperienze.

Sostenere la trasferibilità delle buone pratiche. Realizzare un sistema di rete che, oltre alla pertinenza territoriale, produca spazi ed opportunità aperti alla fruizione da parte dell’esterno, con specifico riferimento alle scuole.

4. I progetti del territorio: progetto Ominidi e il Museo Diffuso del Chianti

Concludiamo questo contributo con la presentazione di un progetto di outdoor education che ha una storia molto lunga e articolata. Nato nell’ambito del Ciaf-Chianti, oggi rappresenta un’attività del Museo Diffuso del Chianti, istituto che in altra forma, per iniziativa di una associazione di volontariato, sta in parte cercando di continuare a sostenere le funzioni che un tempo aveva il Ciaf-Chianti25.

Con questo esempio intendiamo evidenziare una delle forme in cui si può concretizzare la ricchezza progettuale nell’ambito delle attività non formali espresse dal territorio. Il loro inserimento

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in una cornice progettuale in grado di valorizzarle, utilizzando in modo non occasionale forme organizzative già disponibili, può certo rappresentare un modo per favorirne ulteriormente l’efficacia e lo sviluppo.

Il progetto Ominidi, in corso continuativamente da ormai quasi trent’anni, è un’esperienza educativa del tutto peculiare, che ha coinvolto almeno due generazioni di ragazzi e le loro famiglie, offrendo per questo motivo, tra l’altro, anche un interessante punto di vista per misurare, negli ultimi decenni, il progressivo cambiamento nella relazione tra la comunità e l’ambiente. Nata infatti nel lontano 1994 essenzialmente come progetto di educazione al patrimonio (necessità degli archeologi di rendere la propria ricerca patrimonio vivo e collettivo), si è sviluppata negli anni, grazie ad un team di lavoro che ha saputo contaminarsi con altre professionalità, giungendo alla realizzazione di un vero e proprio centro educativo in cui i valori ambientali e le attività più “tradizionali” dell’outdoor education (osservazione scientifica, orto, psicomotricità, ecc.) si coniugano, in una dimensione ampia, con i valori della memoria di cui l’ambiente, inteso come paesaggio antropico, è depositario.

Un bosco nel Chianti. Poggio La Croce rappresenta il contesto narrativo in cui si svolge il progetto, un luogo dallo straordinario valore storico ed ambientale. Si narra l’avventura della scoperta, su questo monte (+ 633slm), di testimonianze relative ai paesaggi più antichi del Chianti Senese: quelle di un importante villaggio etrusco di 2300 anni fa, abbandonato per una imprevista e devastante guerra alla fine del II secolo a.C., e quelle di un gruppo di pastori transumanti di 3000 anni fa che ogni estate dai pascoli invernali della Maremma raggiungevano il Chianti, utilizzando l’antichissimo itinerario di transumanza Ombrone-Arbia. Si narra di come questa avventura abbia coinvolto fin da subito la comunità locale, rafforzando la già sentita relazione tra questa e il Monte alla Croce.

Il gioco degli Ominidi. L’esperienza, partendo dal ben noto gioco del “far finta”, si sviluppa simulando la vita dei pastori transumanti dell’Età del Bronzo finale che, come i ragazzi, arrivavano sul Poggio in estate e ne ripartivano in autunno. Il villaggio riprende vita attraverso la sperimentazione da parte dei ragazzi delle attività materiali (costruzione di ripari e di oggetti di uso quotidiano in ceramica e altri materiali, tessitura, recupero delle risorse alimentari, ecc.) e delle attività immateriali (vita sociale nella suddivisione dei ruoli, ritualità, divertimento, modalità di prendere le decisioni, accoglienza, ecc.) che caratterizzavano la sua comunità. Il gioco è rivolto innanzitutto ai ragazzi del territorio dai 6 ai 14 anni di età.

Osservare, ascoltare, muoversi. Lo spazio educativo è definito principalmente dagli aspetti naturali che caratterizzano il bosco e dalla loro percezione e utilizzo, in relazione allo svolgimento delle attività previste dal gioco di Ominidi; le opportunità che questo “spazio naturale giocato” offre sono inoltre sviluppate per progettare altre tipologie di attività dedicate sia alla stessa fascia di età (dai 6 ai 14 anni), ma anche e soprattutto ai più piccoli, i bambini e le bambine nella fascia 0-6 anni.

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Tracce, indizi e scoperta. Una delle competenze principali che il gioco di Ominidi intende sviluppare nei ragazzi è quella di imparare a leggere gli indizi a partire dai dati ambientali collocati in uno specifico contesto: gli archeologi la chiamano “archeologia dei paesaggi”, per la stratificazione diacronica di attività/esiti che contraddistingue la formazione dell’ambiente, che può contenere le tracce di un insediamento antico scomparso; ma anche un albero di olmo, o di melo selvatico, in un bosco di querce che ha ricolonizzato un terreno, può essere indice di un suo evidente uso agricolo nel passato. Poggio la Croce è anche la collina delle farfalle e dei prati fioriti nel bosco rado, adatto ad esperienze naturalistiche e fantastiche da rivolgersi ai più piccoli.

Fare, giocare, costruire. Il gioco del far finta qui si realizza con opportunità e tecniche specifiche usate per la realizzazione dei manufatti materiali come ripari, contenitori, stoffe, ecc., rispettando uno specifico contesto di ricostruzione; si inventano e vengono realizzati giochi di abilità (tiro al bastone, dell’alveare, scansa-ortiche, ecc.), sempre utilizzando il principio del rispetto dei contesti antropologici, anche in una prospettiva di simulazione di differenze sia in senso cronologico, sia in senso geografico.

Ovunque o quasi. “Ominidi”, anche se nato in un contesto specifico e con specifiche modalità, rappresenta tuttavia un’esperienza trasferibile, un modello, quasi un “caso studio” in funzione di possibili progetti di outodoor education, che sappiano utilizzare a fini didattici le potenzialità dell’ambiente in cui si trovano la scuola, il centro di animazione territoriale, educativo, il centro educativo, ecc. L’esperienza esemplifica come spazi esterni di varia natura possano essere utilizzati e valorizzati quali “aule didattiche” all’aperto, con particolare riferimento ai paradigmi dell’archeologia dei paesaggi e della simulazione antropologica, ad esempio per l’apprendimento attivo della storia, intesa innanzitutto come interazione tra comunità e ambiente e come processo di cambiamento delle modalità e della misura di questa interazione.

“Ominidi” conferma ancora una volta come l’uso didattico dello spazio naturale/antropizzato diviene efficace pratica educativa anche per la prima infanzia, e in senso più ampio per la fascia 0-6, in realtà da sempre al centro della sperimentazione dell’outdoor education26.

Gli elementi, a mio avviso essenziali, che hanno determinato il successo di questa esperienza e che devono essere posti all’attenzione sono:

• l’avvio del progetto attraverso una ricerca inedita e la convinzione da parte dei ricercatori/educatori che tale ricerca debba essere innanzitutto diffusa presso la comunità;

26 Cfr. Con riferimento all’ambito educativo

- Gli storici fondamenti teorici dell’outdoor education (John Dewey, Johann Heinrich Pestalozzi, Kurt Lewin ecc.) e le più recenti esperienze in questo ambito con particolare riferimento agli Studi dell’Università di Bologna.

- Gli studi su gioco ed educazione con particolare riferimento al gioco di finzione a partire dagli studi dell’Università di Pavia con Anna Bondioli.

Con riferimento all’ambito culturale

- Gli studi sui parchi tematici e gli iper-luoghi nell’ambito dello sviluppo di una economia della cultura orientata alla sostenibilità e al benessere sociale. A titolo esemplificativo, gli studi di sintesi di Everardo Minardi.

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• le metodologie educative che mettono al centro i ragazzi e le loro famiglie, rendendoli non fruitori di un servizio, ma protagonisti essi stessi di un percorso di ricerca, conoscenza e tutela di un luogo dai forti valori identitari, sia ambientali che storici;

• le strategie relazionali che devono sostenere il progetto, improntate, nella logica della comunità educante, al coinvolgimento costante di un numero quanto più ampio possibile di soggetti del territorio, dalla Scuola alle Amministrazioni Locali, agli Enti deputati a vario titolo alla ricerca e alla tutela, al Volontariato-Associazionismo locale, alle Agenzie Educative;

la necessità di una crescita dinamica, capace di intercettare risorse professionali diversificate, in grado di sollecitare apporti costanti di conoscenza e metodo.

Due parole finali, e doverose, sul Museo Diffuso del Chianti. La sua istituzione, nell’ambito delle attività dell’organizzazione di volontariato-Associazione “Emilio Sereni”, è riconducibile all’iniziativa da parte di tre soci27, ispirandosi al modello che si può riassumere in questa definizione: «un’organizzazione ramificata di museo laboratorio, visto come sistema di servizi preposti al recupero, alla conservazione, alla tutela, saldamente connessa non più soltanto alle fonti, agli istituti di ricerca, alle gallerie, alle accademie, ma soprattutto ai luoghi produttivi artigianali e industriali, alle comunità locali, alle strutture dell’istruzione, compresa l’istruzione permanente. È, questo, il museo diffuso28». Le premesse sono state le seguenti: «un impegno lavorativo pluriennale ha prodotto una conoscenza approfondita e puntuale di questo territorio [Chianti] e, al di là della consueta e pur accurata realizzazione di servizi, ha permesso di creare e gestire vere e proprie istituzioni che hanno caratterizzato in maniera sostanziale sia l’acquisizione di nuove informazioni sulla storia del paesaggio chiantigiano, sia la produzione costante e continuativa della promozione e realizzazione di modelli culturali ed educativi dei quali hanno usufruito in varia e specifica maniera tutti i cittadini, sia la comunità formata dai piccolini e dagli adolescenti, sia quella dei giovani, degli adulti e degli anziani, creando un vero e proprio legame con relazioni profonde tra le persone29».

Questa realtà rappresenta in modo significativo ed emblematico le tante potenzialità dei territori e non è difficile immaginare i vantaggi del loro inserimento nell’ambito della programmazione delle competenze non-formali nel curricolo scolastico.

27 Ilaria Alfani, Marzio Cresci e Laura Dainelli.

28 Fredi Drugman, Idee per un progetto di museo lungo il Trebbia, Firenze 2016 (Edifir Edizioni Firenze), p.154. 29 Dall’atto di fondazione del Museo Diffuso del Chianti – Radda in Chianti 7 giugno 2018.

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138 FIGURA 1 -

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FIGURA 2 - DIRITTO AL DIALOGO

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Conclusioni

Il modello individuato nel contesto toscano, e qui descritto nella sua evoluzione nell’arco di oltre un decennio, circostanza che permette di considerarne sia le premesse metodologiche sia gli esiti locali pertinenti alle realizzazioni pratiche, riguarda una forma di organizzazione in grado di rendere disponibile uno strumento per realizzare la programmazione integrata tra le attività formali e quelle non formali, tra la scuola e il territorio.

La necessità di riflettere sui modelli organizzativi nasce dalla considerazione che tale integrazione si può ottenere efficacemente attraverso l’effettivo inserimento delle attività non formali nel curriculo, tra l’altro attuando così concretamente quel 20% di curricolo locale ampiamente previsto dalla normativa scolastica e nel quale anche le Regioni hanno una loro parte30. Ritengo infatti che la quota di curricolo locale che le istituzioni scolastiche possono declinare e formalizzare nel loro Piano dell’Offerta Formativa sia un utile strumento per promuovere prime iniziative di progettazione integrata, per valorizzare la molteplicità culturale e territoriale, per sperimentare l’innovazione didattica attraverso nuove forme di apprendimento, legate ad attività di ricerca e scoperta, ai compiti di realtà, agli apprendimenti di tipo collaborativo, attraverso l’uso consapevole e mirato di spazi e ambienti alternativi/integrativi all’aula.

Tra i compiti della scuola in regime di autonomia attinenti alla definizione del curricolo, cito in particolare una voce dell’art.8 del DPR 275/99: «definire il curricolo della singola istituzione scolastica anche attraverso l’integrazione tra diversi sistemi formativi sulla base di accordi, protocolli di intesa, convenzioni e contratti con enti e/o istituzioni pubbliche e/o private» (cfr. nota 29).

La scelta di studiare l’esempio toscano è maturata soprattutto per la possibilità di suggerire un facile recupero della sperimentazione del modello, attraverso le Conferenze Zonali per l’Educazione e l’Istruzione e l’attuazione di reti di scopo specifiche, poiché i CIAF, cioè gli strumenti per il coordinamento delle attività non formali, sono ancora previsti nella legislazione regionale vigente.

Un necessario approfondimento dovrà essere realizzato nell’ambito delle esperienze presenti nelle altre regioni, di cui questo contributo spero possa costituire un riferimento da cui partire31.

Bibliografia

ALFANI,I.,CRESCI,M.,&DAINELLI,L. (a cura di) (2001). La via di Castiglioni un itinerario nel paesaggio. http://www.culturachianti.it/eBook/viacastiglioni_territorio.pdf

BORTOLOTTI,A. (2019). Outdoor education. Storia, ambiti, metodi. Guerini Scientifica.

30 Cfr. DPR 274/1999, CAP. III, art. 8 (Regolamento di Autonomia delle Istituzioni Scolastiche); DM 234/2000, art.3, comma 1 e 2; Legge 53/2003, art. 2.1, lettera L; Dlgs 59/2004, art. 3, comma 1, art. 7, comma1, art 10, comma1; Dlgs 226/2005, art.27; DM 47/2006 e nota MIUR, prot.721 del 22/06/2006. Vedi anche” La scuola dell’autonomia viene così a realizzare un curricolo che si costruisce in un rapporto di reciprocità culturale e didattica con l’ambiente, fino a considerarlo aula decentrata, nella quale imparare ad essere ed imparare a vivere è possibile, contestualmente all’ imparare ad imparare e ad imparare a inventare.”, cit. in Il curricolo nella scuola dell’autonomia, [https://archivio.pubblica.istruzione.it/news/2007/allegati/curricolo_indicazioni.pdf].

31 A conclusione di questo mio contributo esprimo un ringraziamento particolare alla Professoressa Gloria Bernardi e alla Dott.ssa Ilaria Alfani, e una dedica a tutti i ragazzi del progetto “Ominidi”.

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BORTOLOTTI,A.,FARNÈ,R.,&TERRUSI,M. (a cura di) (2018). Outdoor education: prospettive teoriche e buone pratiche. Carocci.

D’ASCENZO,M. (2018). Per una storia delle scuole all’aperto in Italia. Edizioni ETS. DRUGMAN,F. (2016). Idee per un progetto di museo lungo il Trebbia. Edifir Edizioni. FRABBONI,F. (2007). La scuola che verrà. Edizioni Erickson.

SCHENETTI,M.,SALVATERRA,I.,&ROSSINI,B. (2015). La scuola nel bosco. Edizioni Erickson.

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Riferimenti

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