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2. LE PATOLOGIE PROSTATICHE NEL CANE

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Academic year: 2021

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2.1. Considerazioni generali

Le patologie della prostata sono frequenti nei cani maschi anziani e interi, infatti rappresentano una delle entità cliniche di più comune riscontro.

I disturbi della ghiandola prostatica sono rappresentati da: • Iperplasia Prostatica Benigna (IPB)

Metaplasia squamosa Prostatite batterica Ascesso prostatico

Cisti prostatica e paraprostatica Neoplasia prostatica

Ai fini di questo studio abbiamo preso in considerazione solo quelle patologie che prevedono come possibile terapia l’ intervento chirurgico, di vario tipo, associato spesso anche ad un trattamento farmacologico. Pertanto non verrà analizzata nello specifico la Prostatite batterica se non come possibile riferimento nel corso della trattazione delle altre affezioni.

I segni clinici delle malattie prostatiche possono essere molto variabili, dalla malattia acuta, con effetti sistemici significativi, all’ingrossamento asintomatico della ghiandola che viene scoperto incidentalmente durante un esame di routine. Tutte le patologie, infatti, si manifestano con sintomi simili, raggruppabili in quattro categorie, quali: sintomi generali, anomalie della defecazione, disturbi delle basse vie urinarie e disordini della locomozione (Dorfman e Barsanti, 1998). In particolare (Simpson et al., 1998):

• digerenti: tenesmo, costipazione, dolore alla defecazione, feci appiattite, diarrea; non sempre costanti ma spesso rappresentano gli unici segni clinici di una patologia prostatica (Simpson et al., 1998);

• generali: febbre, abbattimento, anoressia, diminuzione del peso corporeo, dolore addominale;

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• locomotorie: zoppia, debolezza degli arti posteriori, andatura rigida e stentata, falsa cifosi;

• urinarie: disuria o anuria, incontinenza, scolo uretrale continuo o intermittente di materiale emorragico, purulento o trasparente, secondario allo stato di infiammazione prostatica che induce una iperproduzione di liquido prostatico; talvolta infezioni secondarie a cui conseguono ematuria, disuria e pollachiuria, ciò a causa del continuo reflusso di liquido prostatico nell’uretra prossimale e nella vescica.

La stranguria dovuta a fenomeni ostruttivi è un reperto comune nell’uomo mentre è rara nel cane , nel quale suggerisce l’ esistenza di un ascesso o di una cisti di grosse dimensioni oppure di una neoplasia (Dorfman e Barsanti, 1998).

Da quanto detto, si capisce come non sia sempre facile localizzare il problema ed emettere una diagnosi definitiva. Nonostante ciò, il sospetto di una patologia prostatica deve insorgere quando ci troviamo di fronte ad un cane maschio di età superiore ai 5 anni che viene portato alla visita per uno dei seguenti motivi:

- tenesmo

- perdita di sangue dal pene indipendentemente dalla minzione - ematuria

- infezioni ricorrenti del tratto urinario

La diagnosi di affezione prostatica non è mai semplice dal momento che mancano i segni patognomonici e i sintomi clinici sono estremamente variabili. Oltre al segnalamento, ad una anamnesi approfondita e all’esame clinico (parametri soggettivi) risulta quindi importante, ai fini diagnostici, la valutazione di alcuni parametri oggettivi (riportati di seguito). Bisogna comunque considerare che il confine tra parametri diagnostici oggettivi e soggettivi è molto sfumato, e quindi anche quei test che sono indicati come oggettivi sono in realtà semioggettivi poiché dipendenti dalla collaborazione del paziente e dall’abilità e interpretazione del medico indagatore (Artibani, 1992).

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•Palpazione digito-rettale

Alcuni Autori (Barsanti e Finco, 1989; Dorfman e Barsanti, 1998) consigliano di eseguire l’esplorazione rettale (DRE) contemporaneamente alla palpazione addominale, al fine di valutare correttamente la prostata (Figura 2.1.1.).

Figura 2.1.1. Palpazione transrettale-addominale (Holt, 1996).

Talvolta, infatti, la ghiandola può essere apprezzata all’interno del canale pelvico, normalmente sul bordo craniale; altre volte, se l’organo iperplastico si è spostato notevolmente nel cavo addominale, la mano che palpa l’addome caudale può determinare una delicata spinta della prostata verso la pelvi, in direzione dorso-caudale, rendendola raggiungibile per via rettale (McCurnin e Poffenbarger, 1993). Durante la palpazione rettale si deve cercare di palpare i linfonodi sottolombari. Con questa tecnica si valuta volume, forma, simmetria, consistenza, mobilità della prostata e la presenza o assenza di disagio (Tabella 2.1.1.).

Patologie prostatiche Rilievi alla DRE

Iperplasia prostatica Aumento di volume simmetrico, consistenza solida, liscia o irregolare, non algica.

Cisti prostatica Aumento di volume asimmetrico, aree molli e fluttuanti.

Cisti paraprostatica Aumento di volume asimmetrico, sporgente dal margine ghiandolare.

Ascesso Aumento di volume asimmetrico, fluttuante.

Neoplasia Aumento di volume asimmetrico, noduli duri e irregolari, si può evocare dolore.

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La palpazione della prostata deve essere seguita da quella dello scroto per accertare la presenza di due testicoli di uguale misura e consistenza.

•Esame emocromicitometrico completo e profilo biochimico

La loro esecuzione è indicata soprattutto nei soggetti con segni clinici sistemici e prostatomegalia. La maggior parte dei cani con patologie prostatiche sono anziani e quindi questi esami sono importanti per poter escludere altre patologie geriatriche palesi o occulte.

•Esame delle urine

Le urine vengono raccolte sterilmente, o mediante catetere o tramite cistocentesi. Questo esame non consente, però, di attribuire in modo specifico la causa del disordine alla ghiandola prostatica.

•Analisi del liquido prostatico

L’analisi del fluido prostatico prevede l’esame citologico e la coltura batterica dell’eiaculato. Secondo Rubin questa tecnica se correttamente realizzata costituisce il mezzo più efficace e più sicuro per ottenere l’immagine reale di ciò che accade a livello prostatico (Dorfman e Barsanti, 1998). Il campione viene prelevato dalla terza frazione dell’eiaculato, che è la frazione spermatica più abbondante e quella di natura prostatica.

Il liquido prostatico può essere raccolto attraverso la stimolazione peniena o il massaggio prostatico.

Nel primo caso, il paziente deve essere collocato in un ambiente tranquillo e deve rimanere sul pavimento; talvolta è richiesta la presenza di una femmina in estro o in anestro, oppure è possibile utilizzare un feromone canino, il metil-p-idrossibenzoato, per la stimolazione. Prima si deve permettere al cane di urinare in modo tale da ridurre la possibilità di contaminazioni uretrali, poi il pene viene ripulito con acqua tiepida ed il campione di eiaculato raccolto in un contenitore sterile. Lo svantaggio di questa tecnica sta nel fatto che spesso è difficile stabilire se le anomalie dell’eiaculato hanno origine prostatica, pochè altre strutture come i

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testicoli, epididimo, dotti deferenti ed uretra contribuiscono alla formazione e trasporto del liquido (Barsanti, 1999).

Nel cane sano, il campione presenta occasionali globuli rossi e bianchi, a volte risulta positivo alla coltura batterica, i batteri sono Gram-positivi e sono presenti in concentrazione inferiore a 100.000 al ml, a causa della contaminazione da parte di microrganismi uretrali. Il reperto di un numero elevato di microrganismi Gram-negativi e di leucocitosi è indice di infezione, così come se non è avvenuta una contaminazione prepuziale, anche la presenza di un gran numero di Gram-positivi associato a iperleucocitosi indica un’infezione (Barsanti e Finco, 1984).

L’impiego di un tampone uretrale è indicato per escludere la contaminazione uretrale quale causa della coltura positiva dell’eiaculato. Se il numero di organismi dell’eiaculato è più elevato rispetto a quello del tampone uretrale, per un fattore 102, è presente un’infezione della prostata.

Il massaggio prostatico, invece, viene effettuato quando la raccolta dell’eiaculato è ostacolata dall’indole del soggetto o dalla sua inesperienza o per presenza di dolore.

Si procede introducendo in vescica un catetere urinario in gomma rossa o in polipropilene; si svuota la vescica e si lava più volte con soluzione fisiologica sterile allo 0,9% e si raccolgono 5ml dall’ultimo lavaggio da utilizzare come campione di riferimento. A questo punto il catetere viene retratto in modo che la punta si venga a trovare in posizione distale rispetto alla prostata che viene massaggiata per via rettale o addominale per 1-2 minuti (Figura 2.1.2.).

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Si infondono 5ml di soluzione fisiologica sterile attraverso il catetere occludendo l’orifizio uretrale esterno per prevenire il reflusso del liquido. Mentre si effettua una delicata e continua aspirazione, il catetere viene fatto avanzare fino alla vescica (Onclin et al., 1994).

I campioni prelevati prima e dopo il massaggio prostatico vengono valutati mediante esame citologico e colturale quantitativo. In cani sani, sono relativamente acellulari e contengono solo pochi eritrociti, leucociti, cellule squamose e dell’epitelio di transizione. La coltura è solitamente negativa oppure evidenzia un basso numero di organismi (<1000/ml), compatibile con una contaminazione uretrale associata alla caterizzazione. Nei soggetti con patologie prostatiche il campione può apparire emorragico o torbido, si possono rilevare un gran numero di cellule infiammatorie, soprattutto neutrofili e macrofagi, batteri, eritrociti e cellule neoplastiche (Barsanti e Finco, 1984).

I possibili rischi del massaggio prostatico comprendono lo sviluppo di peritonite, in seguito alla rottura di un ascesso e l’introduzione di un’infezione del tratto urinario e sepsi dovuta ad embolismo di batteri derivanti da un’infezione acuta. E’ importante tener presente, inoltre, che il massaggio prostatico non è facile nella pratica; il liquido si ottiene in piccolissime quantità e tende a rifluire in vescica; la ghiandola è mobile, e quindi difficile da massaggiare.

Il prelievo del liquido prostatico può essere eseguito anche per aspirazione con ago sottile (Slatter, 2005).

•Agoaspirazione

Viene eseguita per via percutanea con approccio perirettale (Figura 2.1.3.), nella regione del perineo a 1-2cm dal piano sagittale mediano (a destra o a sinistra) e a 1-2cm dall’ano (a ore 5 o a ore 7) (Barsanti, 1999), o transaddominale, in posizione parapeniena a destra o a sinistra del piano sagittale mediano. L’approccio è determinato dalla localizzazione della prostata, evidenziata alla palpazione o all’ecografia (Slatter, 2005).

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L’animale viene sedato e la sede prescelta tricotomizzata e disinfettata. Dopo il prelievo, il materiale viene sottoposto ad esame colturale e citologico (Dorfman e Barsanti, 1998).

Figura 2.1.3. Agoaspirazione con accesso transrettale (Osborne e Finco, 1999).

Questa metodica, effettuata con ago spinale, non deve essere utilizzata nei casi in cui si sospetti un ascesso prostatico per il rischio di peritonite o di diffusione locale dell’infezione lungo il tragitto dell’ago.

In condizioni normali, all'esame citologico si riscontrano cellule epiteliali prostatiche normali da cubiche a cilindriche di dimensioni uniformi (10-15 µm di diametro), con nuclei da centrali a basilari e di forma variabile da tonda ad ovale e con citoplasma basofilo finemente granulare (Thrall et al., 1985). La coltura batterica dovrebbe fornire un esito negativo.

•Esame radiografico

L’esame radiografico ha il compito di confermare, talvolta, la relazione tra le anomalie morfologiche della prostata e i sintomi clinici (Osborne e Finco, 1999). Una ghiandola normale e matura appare come una opacità di tessuto molle, ovoidale, omogenea, a margine liscio, caudale alla vescica e contenuta, principalmente, nel canale pelvico. Spesso nei radiogrammi in proiezione laterale si può osservare il margine craniale, cranialmente al margine della pelvi, soprattutto se la prostata è aumentata. Un’ area triangolare di tessuto adiposo, posta tra il margine caudoventrale della vescica ed il margine cranioventrale della

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prostata, fornisce un contrasto sufficiente ad identificare i due organi (Slatter, 2005) (Figura 2.1.4.).

Figura 2.1.4. Radiogramma laterale di un cane con ingrossamanto prostatico. Un’area triangolare

di tessuto adiposo (freccia) si trova tra il margine caudoventrale della vescica e quello cranioventrale della prostata (Slatter, 2005).

Nei radiogrammi laterali, una prostata normale occupa meno del 50% della parte dorsoventrale del canale pelvico. L’opacità dei tessuti molli, compresa quella delle feci contenute nel tratto intestinale, le pieghe degli arti posteriori ed i muscoli quadricipiti, si sovrappongono alla prostata e possono simulare una malattia prostatica. Nella proiezione ventro-dorsale è più difficile identificare la prostata, a causa delle feci contenute nel colon e per la sovrapposizione delle ossa pubiche.

In accordo con quanto appena descritto e considerando che le affezioni più frequenti sono caratterizzate da aspetti radiologici analoghi, sovente sovrapponibili e quindi di difficile differenziazione, si capisce come la radiografia diretta si riveli, spesso, di poco ausilio nella diagnosi delle specifiche patologie della prostata (Ettinger, 1995). Per questo viene consigliata l’uretrocistografia retrograda che consiste in una opacizzazione simultanea dell’uretra e della vescica che permette di ottenere un profilo dettagliato della prostata e dell’uretra, di tipizzare ulteriormente le anomalie prostatiche e di differenziare la prostata dalla

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vescica. Infatti, in alcuni casi, nei radiogrammi diretti non è possibile stabilire se una massa addominale caudoventrale sia effettivamente la prostata o la vescica. Sebbene l’uretrocistografia retrograda con distensione della vescica possa permettere un migliore esame dell’uretra prostatica e della prostata, la tecnica comporta la presenza di potenziali complicanze, quali ematuria, induzione dell’infezione delle vie urinarie e possibilità di rottura della vescica in caso di grave patologia o lesione della parete vescicale.

•Esame ecografico

L’utilità clinica e la sicurezza dell’ecografia hanno fatto di questo esame una parte integrante della diagnosi e del trattamento della malattia prostatica. Al fine di mettere in evidenza una malattia parenchimale prostatica ed il coinvolgimento dei testicoli e dei linfonodi, l’ecografia fornisce più informazioni ed è un esame più accurato rispetto alla radiografia (Slatter, 2005); infatti, fornisce immagini dinamiche e precise di ciò che sta accadendo in ambito prostatico, consentendoci di emettere diagnosi più precise e, di conseguenza, scegliere la terapia più efficace. Questo esame ci permette, inoltre, di seguire l’evoluzione di una malattia o gli effetti di una terapia nonché risulta utile per l’agoaspirazione, la biopsia e per l’aspirazione e l’alcoolizzazione delle cisti e degli ascessi.

L’esame risulta semplice dal momento che la ghiandola non è situata in profondità nel canale pelvico, non richiede alcuna sedazione del paziente, non è invasiva, è sicura per il paziente e per l’operatore, può essere ripetuta più volte senza alcun pericolo e non si conoscono effetti secondari e controindicazioni.

L’ecografia transaddominale prevede l’approccio ventrale con l’animale in decubito dorsale , laterale o in stazione quadrupedale. Collocata la sonda in posizione paraprepuziale e tenendola leggermente inclinata in direzione caudale, si rintraccia la prostata caudalmente alla vescica, che dovrebbe essere in condizione di massimo riempimento, rappresentando, quindi, un punto di repere, per la localizzazione della prostata, e un mezzo per spostare la ghiandola verso la cavità addominale, rendendola più accessibile. La prostata viene esaminata da entrambi i lati con scansioni paraprepuziali longitudinali e trasversali. La

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ghiandola normale si presenta, in scansione trasversale, come una formazione rotondeggiante, solida, omogenea, di media ecogenicità e ben delimitata (Figura 2.1.5.).

Figura 2.1.5. Scansione trasversale: cane di 3 anni, prostata normale; parenchima ben delimitato e

più ecogeno rispetto alle strutture circostanti. La simmetria dei lobi conferisce la tipica forma a farfalla.

La capsula non è sempre ben definita, essa si evidenzia soltanto in condizioni di perfetta perpendicolarità degli ultrasuoni e, quando appare, è indicata da un interfacies sottile, continua e debolmente ecogena; inoltre, essendo questo organo rotondeggiante, si possono via via valutare solo brevi tratti della capsula (Poulsen e Tobias, 2000). Al centro della ghiandola si evidenzia un’area rotonda di piccole dimensioni, anecogena, riferibile all’uretra. In scansione longitudinale si evidenzia una struttura allungata attraversata dal canale anecogeno dell’uretra.

•Biopsia

Il prelievo del tessuto prostatico è necessario per determinare precisamente il tipo di patologia presente. I campioni bioptici possono essere sottoposti ad esame colturale, per la ricerca di batteri, ad esame citologico ed istologico.

Esistono due metodi per eseguire una biopsia prostatica, quello percutaneo e quello chirurgico.

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La biopsia percutanea può essere effettuata sia per via perirettale che transaddominale (Figura 2.1.6.), in anestesia locale. La ghiandola viene immobilizzata per via addominale o rettale, viene quindi inserito un TruCut, a distanza dal centro della ghiandola per evitare l’uretra. Viene utilizzata la via perirettale se la prostata è a livello pelvico, in questo caso si incide il perineo e si introduce l’ago fino alla prostata; se la ghiandola è in addome si usa la via transaddominale. L’ago da biopsia può essere guidato tramite palpazione o con l’ultrasuonografia. È importante tenere i soggetti sotto osservazione per 12 ore dopo la biopsia, dato che possono insorgere delle complicanze, quali: dalla più frequente ematuria ad un’emorragia significativa, rotture di ascessi, sviluppo di fistole uretrali, e, come riscontrato raramente, orchite ed edema scrotale (Weaver, 1977).

Per ovviare a tutto questo, può essere condotta una biopsia per via laparotomica. Essa permette, infatti, grazie ad una visualizzazione diretta, di localizzare in modo esatto la zona della lesione; però è una tecnica più invasiva, richiede l’anestesia generale del soggetto e necessita di un periodo di recupero post-intervento più lungo rispetto al metodo precedentemente descritto.

Figura 2.1.6. Biopsia prostatica per via transaddominale.

Comunque la biopsia è raramente necessaria, poiché, generalmente, l’integrazione dei dati anamnestici con i sintomi clinici e con gli esami di laboratorio consente un idoneo orientamento diagnostico.

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In aggiunta alle difficoltà d’interpretazione legate alla sintomatologia, bisogna dire che stiamo trattando di un organo che non è visibile clinicamente, né facilmente includibile in dettagli radiografici. E’ possibile addirittura richiedere un intervento chirurgico per arrivare ad una diagnosi definitiva.

Sebbene le patologie prostatiche si verificano in tutte le razze di cani senza una precisa predisposizione (Read e Bryden, 1995), sembra che nelle razze di taglia grande, soprattutto Dobermann e Pastore Tedesco, vi sia una incidenza maggiore (Krawiec e Helfin, 1992).

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2.2. Iperplasia Prostatica Benigna (IPB)

È generalmente accettato che lo sviluppo dell’iperplasia prostatica benigna è legato all’età del soggetto e alla presenza dei testicoli (Shapiro e Lepor, 1994); infatti, è la patologia prostatica di più frequente riscontro nel cane intero, incidenza dello 0,78% (Read e Bryden, 1995), e la sua frequenza aumenta pressoché parallelamente all’avanzare dell’età. È stata riscontrata istologicamente iperplasia benigna nel 16% di cani di 2 anni di età (Berry et al., 1986; Ewing et al., 1984), nell’ 80% di quelli con età superiore a 5 anni (Johnston et al., 2000) e nel 95% di quelli che hanno superato i 9 anni di vita (Klaunsner et al., 1992). L’IPB si riscontra spesso associata a prostatite, cisti prostatiche e paraprostatiche, ascesso e neoplasia (Johnston e Kamolptana, 2000).

L’ elevata incidenza di questa alterazione è legata all’aumento dell’età media dei cani, dovuta sicuramente alle migliorate condizioni di vita, grazie alla maggior attenzione dei proprietari nei confronti della salute dei propri animali, che ha portato ad un incremento di quelle patologie tipiche dell’età senile, in similitudine con quanto accade nell’uomo (Vannozzi, 2003), fino al punto che oggi l’IPB viene definita da molti Autori come un’alterazione fisiopatologia legata all’età e principale causa di malattia prostatica nel cane (Barsanti e Finco, 1984). È stato infatti calcolato che l’età media della diagnosi di iperplasia prostatica benigna è di 8.9 anni (Krawiec e Helfin, 1992).

È da sottolineare che, anche se molti cani presentano una prostata iperplastica, solo alcuni di questi mostrano una sintomatologia correlata all’aumento volumetrico della ghiandola; alla luce di quanto detto, alcuni Autori (Simpson et al., 1998) sotengono che solo la comparsa dei sintomi clinici può far considerare tale affezione una patologia.

Tra i vari Autori esiste un sostanziale disaccordo nel definire questo fenomeno prostatico se ipertrofico o iperplastico. L’iperplasia è differenziabile dall’ipertrofia in quanto con ipertrofia si intende un aumento di volume dell’organo dipendente dal solo aumento di volume delle cellule costituenti, mentre l’iperplasia consiste in un aumento del volume d’organo dovuto ad un’aumentata moltiplicazione

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cellulare. Però, come accade spesso negli organi ghiandolari, l’uno può associarsi all’altro evento (Marcato, 1997) risultandone quindi, comunque, un aumento di volume dell’organo.

Oggi i vari Autori utilizzano pressoché indifferentemente ed in modo sinonimo i termini di ipertrofia ed iperplasia prostatica ma non manca chi sottolinea che si tratta essenzialmente di un processo iperplastico. Così la scuola anatomo-patologica Tedesca preferisce adottare il termine di “cosiddetta ipertrofia” prostatica (Roggia, 2001); sulla stessa posizione sono Reitano e Lanza (1967), per i quali il termine ipertrofia è consacrato dall’uso ma non è esatto perché il processo patologico è essenzialmente sostenuto dall’iperplasia di uno o più dei suoi principali elementi. Anche Walsh et al. (1998) nel Trattato di Urologia di Campbell definiscono come scorretto dal punto di vista anatomo-patologico il termine di ipertrofia, trattandosi di un processo iperplastico. Infine Bartsch (2000) riporta che studi sull’assorbimento delle timidine indicano chiaramente un aumento della sintesi di DNA, per cui il termine “ipertrofia prostatica benigna” è un termine non corretto per indicare tale patologia.

2.2.1. Eziopatogenesi

Nel cane, in passato, l’iperplasia veniva considerata principalmente di origine epiteliale (Brendler et al., 1983) ma successivamente è stato dimostrato anche l’aumento di volume della componente stromale (Lowseth et al., 1990); nell’uomo, invece, l’iperplasia è principalmente stromale e nodulare (Bartsch e Rohr, 1980).

L’iperplasia prostatica benigna decorre in due fasi, ghiandolare e complessa. Nei cani di età inferiore a 5 anni, la condizione è principalmente ghiandolare (soprattutto epiteliale) mentre in quelli più anziani si osserva tipicamente la forma complessa, in cui coesistono segni di iperplasia e aree di atrofia epiteliale (Gabello e Corrada, 2002).

La patogenesi esatta di questa patologia non è stata ancora completamente chiarita. Il diidrotestosterone (DHT), che deriva dalla conversione irreversibile del

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testosterone (T2) attuata dalla conversione della 5α-reduttasi nell’ambito delle

cellule epiteliali prostatiche, viene considerato fra i principali ormoni stimolanti l’aumento di volume della prostata, favorendo la crescita sia dei componenti stromali che di quelli ghiandolari (Russell e Wilson, 1994). Nel cane, nel corso della vita adulta si verifica un moderato declino dei valori di T2 e DHT circolanti,

una rapida metabolizzazione della frazione libera ed un incremento della frazione legata alla TeGB (Testosterone globulin binding) (Marcato, 2002). È stato osservato anche che, nonostante gli androgeni diminuiscano a livello sierico, la loro concentrazione aumenta nella ghiandola, in particolare il DHT. Ciò avviene, molto probabilmente, sia per un aumento dell’attività enzimatica di sintesi di tale ormone ad opera della 5α-reduttasi, non accompagnato da un corrispettivo aumento dei processi catabolici, sia per una più intensa attività di legame del DHT (Isaacs e Coffey, 1981). Infatti, nella prostata ipertrofica sia il contenuto in assoluto che il rapporto tra il diidrotestosterone e il testosterone sono aumentati in favore del DHT, se comparati ad una ghiandola immatura e matura e sana (Gloyna et al., 1970) (Figura 2.2.1.).

Figura 2.2.1. Concentrazione del Testosterone e diidrotestosterone nella prostata di cani immaturi,

maturi e affetti da iperplasia benigna. (In grammi è espresso il peso della prostata al momento dell’espianto) (Gloyna et al., 1970).

Parallelamente a ciò si instaura un aumento della sensibilità prostatica per il diidrotestosterone, in quanto insieme ad una riduzione del livello sierico di

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androgeni si ha un aumento assoluto o relativo di estrogeni circolanti, responsabili di una up-regulation dei recettori androgenici negli acini ghiandolari, che comporta una maggiore captazione degli androgeni circolanti (Griffiths et al., 1991). Pertanto, l’aumento di volume della prostata con l’avanzare dell’età si verifica contemporaneamente alla diminuzione del rapporto tra ormoni androgeni ed estrogeni in circolo. Infatti, l’induzione sperimentale all’ IPB richiede sia l’una che l’altra componente ormonale, come dimostrato dallo studio dove solo i cani che erano stati trattati con 17β-estradiolo e 3α-androstenediolo sviluppavano una vera IPB con metaplasia squamosa e ipertrofia-iperplasia delle cellule dell’epitelio prostatico (Winter et al., 1995; Merk et al., 1986). Il trattamento con 17β-estradiolo, da solo, induce iperplasia stromale e ghiandolare, metaplasia squamosa con conseguente diminuzione della funzione secretoria delle cellule epiteliali metaplastiche ed un incremento del numero di recettori intranucleari per gli estrogeni (Rhodes et al., 2000). I cani trattati con androgeno mostrano, invece, una leggera proliferazione ghiandolare e una lieve evidenza istologica di IPB ((Merk et al., 1986).

Sembra che anche gli ormoni ipofisari intervengono nello sviluppo dell’ipertrofia prostatica benigna. È stato dimostrato che la prolattina regola la differenziazione e la proliferazione dell’epitelio prostatico nel ratto e nell’uomo, inoltre sono stati osservati aumenti di volume della ghiandola in giovani pazienti umani con acromegalia non trattata. L’ormone della crescita può stimolare l’aumento di volume della prostata interagendo direttamente con i recettori specifici oppure innalzando i livelli plasmatici del fattore della crescita1-insulinosimile (Gabello e Corrada, 2002).

È stato stimato che più dell’80% dei cani maschi interi con più di 5 anni presentano segni istologici di IPB e che il volume ghiandolare nei cani affetti è da 2 a 6.5 volte maggiore rispetto al volume prostatico in cani di peso corporeo simile (Laroque et al., 1994, 1995, Hornbuckle et al., 1978; Kamolpatana, 1998). In caso di IPB le dimensioni della ghiandola aumentano, ma la capacità secretoria per unità di volume diminuisce (Robinette, 1993).

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L'iperplasia prostatica benigna del cane esordisce come iperplasia ghiandolare o semplice e col passare del tempo aumenta la tendenza allo sviluppo di iperplasia cistica (Gabello e Corrada, 2002). La prostata affetta da questa condizione assume un aspetto a nido d'ape in sezione trasversale; si formano nel parenchima numerose cisti che variano in dimensioni e contorni e contengono un fluido sottile, chiaro-ambrato.

Le cisti intraparenchimatose spesso comunicano con l'uretra e possono essere di dimensioni maggiori alla periferia della ghiandola (Barsanti, 1999). Quindi l'iperplasia cistica intraprostatica può essere considerata come una evoluzione dell'iperplasia ghiandolare (Leav e Cavazos, 1975). Le cisti sarebbero causate dalla abbondante formazione di connettivo muscolare e dalla retrazione sclerotica dello stesso (Monari et al., 1984) che determina una azione di compressione sul parenchima circostante e sui dotti escretori, causando l’accumulo del secreto nel lume degli acini che si dilatano progressivamente fino a costituire una piccola cavità cistica.

Nei Beagles l'iperplasia ghiandolare colpisce i cani fin dal primo anno d'età, con picchi di prevalenza tra i 5 ed i 7 anni (Figura 2.2.2.).

Figura 2.2.2. Incidenza di IPB età-correlata, in 182 cani Bearle (Isaacs, 1984).

Da un punto di vista istologico, si riscontra una proliferazione uniforme delle strutture secretorie con la comparsa di alveoli più grandi che contengono duplicature papillari marcate (Robinette, 1993). Nonostante il peso della prostata possa aumentare notevolmente, la consistenza complessiva rimane normale.

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L'iperplasia cistica, invece, non compare fino ai 2 anni d'età ma colpisce il 70% dei cani di 8-9 anni. Da un punto di vista istologico, sono presenti alveoli cistici e dilatati con cellule epiteliali eterogenee che variano da cellule normali a cellule cubiche non funzionali. Gli acini sono ripieni di materiale eosinofilico e negli elementi stromali della ghiandola sono presenti plasmacellule e linfociti. L'aumento in peso della prostata è più pronunciato in questo tipo, e l'iperplasia dello stroma è più evidente che non nel caso dell'iperplasia ghiandolare (Bojrab, 2001).

L'irrorazione della prostata aumenta nell'iperplasia e la ghiandola va facilmente incontro a sanguinamento (Huggins e Clark, 1940). E’ comune il rilievo istologico di modica flogosi, principalmente di tipo interstiziale. (Lowseth et al., 1990). Attraverso studi è emerso, infine, che alcune razze presentano una percentuale di rischio di sviluppare l’IPB maggiore di altre, presupponendo quasi una predisposizione razziale. In particolare le razze maggiormente a rischio risultano: lo Scottish terrier, il Bovaro delle Fiandre, il Bovaro Bernese e il Pointer tedesco (Teske et al., 2002). Per altri Autori, invece, questa patologia colpisce tutte le razze, sebbene sia più comune in quelle di media e grossa taglia.

2.2.2. Sintomatologia

La maggior parte dei cani affetti da iperplasia prostatica sono asintomatici, poiché la malattia si sviluppa progressivamente durante molti mesi; i sintomi non vengono quindi notati finché la ghiandola non è notevolmente ingrossata. Raramente però l’iperplasia prostatica benigna rappresenta una malattia invalidante, mentre di solito riduce la qualità della vita dell’animale colpito; ciò è dovuto al fatto che la prostata aumentata di volume determina la comparsa di una sintomatologia legata a fenomeni compressivi che si vengono ad instaurare sugli organi vicini, dovuti al riempimento e sovraffollamento della cintura pelvica che non può dilatarsi (Jones e Hunt, 1987). Per questi motivi, quando i soggetti vengono portati alla visita clinica si rende necessario giungere ad una diagnosi nel più breve tempo possibile, per poter intervenire tempestivamente, prima che il

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soggetto vada incontro a complicazioni dello stato di malattia e allo scadimento delle condizioni generali, in vista anche dell’età, per la maggior parte dei casi non più giovane.

Il primo disturbo funzionale deriva dalla compressione sul retto con conseguenti disturbi della defecazione; il secondo è dato dalla posizione ad anello della prostata attorno all'uretra, che fa sì che quando si verifica l’aumento volumetrico, l'uretra venga compressa su tutta la sua circonferenza; il normale deflusso urinario può così venire ostacolato. E’ possibile trovare sintomi come: costipazione, tenesmo ed alterazione caratteristica della forma delle feci (feci nastriformi); in alcuni casi la porzione solida delle feci viene ritenuta e solo quella liquida riesce a passare. Man mano che l'ingrossamento aumenta la prostata esercita una pressione sul grosso intestino, comportandosi quasi come una valvola e andando ad interferire con la progressione delle feci attraverso il colon distale ed il retto (la prostata intrapelvica che si ingrandisce comprime il colon contro il rachide lombare); il risultato è un incremento degli sforzi ed un eventuale tenesmo. Man mano che la prostata viene spinta dorsocaudalmente viene esercitata una tale pressione sul diaframma pelvico che può favorire lo sviluppo di un'ernia perineale. Se la prostata rimane in posizione addominale, raramente il suo ingrandimento causa problemi alla defecazione.

I sintomi urinari compaiono, invece, quando la prostata diventa più addominale, esercitando così una pressione sull'uretra, poiché sporge in avanti sul bordo pelvico. Eccezionalmente può insorgere una completa ostruzione uretrale con tutti i segni caratteristici (uremia) (disturbi uretrali ostruttivi sono invece di frequente riscontro nell’uomo);se la prostata ingrossata ha un effetto ostruttivo sul flusso urinario, deve essere attribuito, almeno nella maggioranza dei casi, al riempimento e sovraffollamento della cintura pelvica che non può dilatarsi (Jones e Hunt, 1987). Più comunemente c'è stranguria e disuria, sotto forma di aumentata frequenza e sforzo, con sovradistensione della vescica ed incontinenza. Infatti, se questi segni non sono scoperti dal proprietario, ne risulta un deficit cronico dello svuotamento della vescica, con probabile sviluppo di cistite a causa del ristagno dell'urina residua. È frequente rilevare, infatti, nell’IPB, segni istologici di lieve

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infiammazione interstiziale (Barsanti e Finco, 1995). Si può osservare anche scolo uretrale intermittente, emorragico o di colore variabile da limpido a giallo-chiaro, e ematuria discontinua o persistente.

L'iperplasia non è mai accompagnata da segni di patologia sistemica. I cani affetti sono in genere vivaci, attivi e afebbrili, anche se sono stati descritti casi in cui erano presenti anoressia, letargia e dolorabilità addominale caudale (Krawiec e Helfin, 1992). Con il progredire della malattia, può comparire anche una certa debolezza del treno posteriore.

2.2.3. Diagnosi

Il rilevamento fondamentale per la diagnosi di iperplasia prostatica benigna è l'aumento volumetrico della prostata che deve essere differenziato da quello che si riscontra in corso di prostatite o neoplasia prostatica.

La diagnosi presuntiva è formulata sia attraverso la valutazione di parametri soggettivi, come il segnalamento (cani maschi, interi, con oltre 5 anni di età), l’anamnesi e l’esame clinico, che oggettivi.

La palpazione rettale rivela un aumento di volume simmetrico della ghiandola che presenta consistenza da solida a morbida e spugnosa, superficie liscia e non si riscontra dolore, più frequente sintomo di altre patologie prostatiche. La prostata risulta dura e liscia mentre in corso di ipertrofia prostatica cistica si ha ingrossamento asimmetrico e ghiandola fluttuante.

Quanto detto fino ad ora, si può apprezzare quando l'organo è ancora localizzato nella sua normale posizione; quando invece l'organo ipertrofico, trascinato dalla vescica, si è spostato notevolmente nel cavo addominale, solo la palpazione addominale posteriore può localizzare la ghiandola, verificandone l’effettivo aumento di volume. E’ sempre utile in questi casi l'esame combinato: palpazione addominale ed esplorazione digito-rettale.

Gli esami ematologici risultano normali a meno che non vi siano state delle complicazioni infettive; le urine invece, possono essere normali o contenere sangue, macroscopico o microscopico.

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Per quanto riguarda l’esame del fluido prostatico, anche in questo caso, i campioni possono essere normali o emorragici. Le cellule epiteliali prostatiche, se presenti, sono normali (Thrall et al., 1985).

Radiograficamente è possibile rilevare la prostata iperplastica che viene considerata tale quando il diametro, visualizzato in proiezione latero-laterale, risulta più grande del 70% della distanza tra il sacro e il promontorio pubico (Feeney et al., 1987) (Figura 2.2.3.).

Figura 2.2.3. Radiogramma in proiezione latero-laterale del quadrante addominale posteriore del

cane. La linea nera rappresenta la distanza tra il sacrale ed il promontorio del pube. Il diametro cranio-caudale della prostata è misurato parallelamente a questa linea (Johnston et al., 2000).

Nei radiogrammi in bianco e soprattutto in proiezione latero-laterale, la prostata ingrossata appare come una massa rotonda o ovalare, di maggiore densità, opacità omogenea, a contorni netti e regolari, a volte irregolari, localizzata cranialmente al pube a livello del margine pelvico o in cavità addominale ma raramente è visibile come una entità distinta.Normalmente viene visualizzato il collo della vescica e si nota una dislocazione dorsale del colon e craniale della vescica (Figura 2.2.4.). Per ottenere un profilo dettagliato della prostata e dell'uretra si deve usare la cistouretrografia retrograda, che delinea chiaramente vescica, uretra e prostata (Figura 2.2.5.).

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Figura 2.2.4. Radiogramma in proiezione latero-laterale del quadrante addominale posteriore del

cane. Le frecce indicano la prostata, che ingrossata spinge cranialmente la vescica (Kealy, 1987).

Figura 2.2.5. Radiogramma in proiezione latero-laterale del quadrante addominale posteriore del

cane previa cistouretrografia gassosa. Si noti il notevole aumento di grandezza della prostata che sposta in senso craniale l’ombra della vescica e ne deforma il profilo caudale (Trenti, 1978).

Di frequente, a causa dell'iperplasia benigna, l'uretra appare ristretta (importante per differenziare l’IPB dall'ascesso prostatico con iperplasia, in cui si ha una marcata dilatazione dell'uretra prostatica). Il reflusso del mezzo di contrasto nel parenchima prostatico è minimo in una prostata sana mentre tende ad aumentare in corso di patologia ed in particolare in caso di IPB il reflusso supera le dimensioni del diametro massimo dell’uretra (Johnston, 2001).

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L’esame ecografico mostra un aumento di volume simmetrico simmetrico, superficie liscia e parenchima omogeneo; l'ecogenicità generale della ghiandola varia da normale ad aumentata (Figura 2.2.6). In stadio avanzato il profilo dell’organo può essere alterato, il parenchima diviene disomogeneo e accade spesso di riscontrare la presenza di aree cistiche visibili come piccole aree anecogene o ipoecogene, ben definite e a margini lisci.

Figura 2.2.6. Iperplasia prostatica benigna

La differenza tra prostata normale e prostata iperplastica non è sempre netta e la valutazione ecografia dipende in parte da un giudizio soggettivo. È caratteristico, come detto in precedenza, l’aumento di volume dell’organo, che può essere quantificato ecograficamente, in centimetri cubi, misurando la lunghezza, la larghezza e l’altezza della prostata, corrispondenti ai diametri cranio-caudale (L), traverso (W) e dorso-ventrale (D), secondo la formula: [(L*W*D)/2.6]+1.8 (Johnston et al., 2002).

La diagnosi definitiva può essere formulata soltanto ricorrendo alla biopsia, ma raramente questa è necessaria poiché in genere si può emmettere un sospetto, come già ricordato in precedenza, basandosi su anamnesi, reperti clinici e risultati degli esami di laboratorio.

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2.2.4. Terapia

È opinione comune che il trattamento è necessario solo se compaiono i segni clinici e deve mirare a ridurre le dimensioni della ghiandola eliminando gli effetti alteranti dell'ipertrofia.

Nella pratica clinica il 90% delle affezioni della ghiandola prostatica nei piccoli animali vengono trattate con terapia conservativa raggiungendo buoni risultati (Bojrab, 1981); questi obiettivi si realizzano al meglio con la castrazione, che determina la riduzione di volume della prostata del 70% entro 9 settimane dall’intervento (Huggins e Clark, 1940; Huggins, 1947; Schlotthauer, 1932). La prostata inizia ad involvere entro alcuni giorni e, dopo 3 settimane, la diminuzione delle dimensioni diventa percepibile alla palpazione (la riduzione è pari circa al 50%) (Barsanti, 1997; Barsanti e Finco, 1995).

Quando la castrazione non è possibile, ad esempio nei maschi destinati alla riproduzione o nei cani anziani dove esistono rischi di complicazioni chirurgiche, si ricorre al trattamento medico, che però non è efficace quanto la castrazione, in quanto la remissione della malattia è solo temporanea e, una volta interrotto il trattamento, si possono verificare recidive.

2.2.4.1. Terapia farmacologica

Per molti anni è stata impiegata una terapia a base di estrogeni, che somministrati a basso dosaggio e per periodi di tempo limitati determinano atrofia prostatica. Questo effetto è dovuto alla soppressione che inducono sulla secrezione di gonadotropine pituitarie e di conseguenza sulla produzione e rilascio di androgeni. L'effetto può venire a mancare sulle cisti intraparenchimatose (Huggins e Clark, 1940).

É stata consigliata la somministrazione di dietilstilbestrolo (DES) per os alla dose di 0.2-1 mg al giorno per 5 giorni, oppure ad intervalli di pochi giorni (Johnston, 1985).

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Tuttavia da molti Autori è sconsigliato l’uso di estrogeni nel trattamento dell’IPB in quanto, basse dosi ripetute o iperdosaggi inducono metaplasia squamosa della ghiandola, che a sua volta può causare ingrossamento prostatico con stasi secretoria ed aggravamento dei segni clinici. Tali alterazioni possono determinare un ulteriore ingrossamento prostatico e una predisposizione alla formazione di cisti, alle infezioni batteriche e agli di ascessi. Gli estrogeni possono, anche, deprimere la spermatogenesi attraverso l'inibizione delle gonadotropine ipotalamiche e ipofisarie (Nelson e Couto, 2002). Inoltre, l’assunzione prolungata di questi farmaci può provocare grave depressione midollare con conseguente anemia, trombocitopenia e leucopenia, oppure può indurre reazioni di idiosincrasia alle dosi indicate (Nelson e Couto, 2002). Un effetto predominante del trattamento con estrogeni è la ginecomastia.

I progestinici sono dotati di notevole attività antiandrogena poiché inducono un effetto di feedback negativo sulla ghiandola pituitaria e quindi inibiscono la secrezione ipofisaria di gonodotropina e svolgono un effetto diretto sulla prostata (Gabello e Corrada, 2002); ad elevati dosaggi, inibiscono la spermatogenesi e la motilità degli spermatozoi, incrementano i difetti morfologici degli stessi e deprimono le concentrazioni sieriche di testosterone (sebbene non sembra che influenzino le concentrazioni sieriche di LH).

È stato riscontrato che il Medrossiprogesterone acetato (MPA), alla dose di 3-4 mg/kg/SC (dose minima 50 mg) determina riduzione delle dimensioni prostatiche in 4-6 settimane nel 53% dei cani trattati e la risoluzione dei sintomi nell’84%. Questi ultimi sono stati valutati per 27 settimane, durante le quali la qualità del seme non è rimasta influenzata. Le concentrazioni sieriche di testosterone sono diminuite dopo la quinta settimana, ma questo non ha apparentemente inciso nè sulla qualità del seme nè sulla libido (Bamberg-Thalén e Linde-Forsberg, 1993). Tuttavia, i segni clinici della malattia sono riapparsi dopo 10-24 mesi dal trattamento. L'utilizzo ripetuto o a lungo termine di MPA per il trattamento di IPB non è stato valutato. Oltre alla probabilità di effetti collaterali della terapia a lungo termine di progestinici sulla riproduzione, bisogna considerare anche gli effetti dei progestinici sulla funzione surrenale, sulla secrezione di ormone della crescita,

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sull'omeostasi dell'insulina e del glucosio. Infatti, gli effetti collaterali potenziali dei progestinici comprendono aumento dell'appetito, aumento del peso, neoplasie e displasie delle mammelle, diabete mellito e ipotiroidismo.

Il Megestrolo acetato, antiandrogeno steroideo, alla dose di 0.5 mg/kg per os 1 volta al giorno per 4-8 settimane induce la risoluzione dei segni clinici di IPB senza compromettere la fertilità nei cani. Agisce a più livelli, infatti riduce la concentrazione sierica di testosterone, inibisce per competizione il legame del DHT ai recettori intracellulari, riduce la concentrazione di DHT inibendo la 5α-reduttasi e riduce il numero dei recettori androgenici della prostata (Geller et al., 1976).

La principale applicazione di questo farmaco è costituita dai casi in cui il proprietario desideri mantenere un breve periodo di attività riproduttiva prima della castrazione; è da notare però, che gli effetti dell'uso prolungato non sono stati studiati (Olson et al., 1987).

Sono disponibili altri progestinici-antiandrogeni steroidei e non steroidei. Ai primi appartiene il Ciproterone acetato (CPA), ormone steroideo di sintesi, i cui effetti sono stati paragonati a quelli della castrazione chirurgica e dell’ipofisectomia (Geller et al., 1975). Infatti, in corso di trattamento con CPA varia il rapporto tra la componente epiteliale e quella fibro-muscolare, con prevalenza degli elementi fibrosi, dato che l’attivazione fibro-muscolare estrogeno-dipendente non è abolita ma soltanto ridotta come aviene in caso di castrazione. Esplica la sua azione riducendo la sintesi degli androgeni a livello testicolare, inibisce la secrezione di gonadotropine e blocca l’attività androgena a livello cellulare.

Dal punto di vista clinico è possibile constatare una significativa riduzione del volume prostatico e quindi, la scomparsa dei sintomi ad esso correlati.

Bridge e Scott riportano che il volume del fluido prostatico si riduce fino a zero (Neri et al., 1968) e si ha una inibizione della spermatogenesi e diminuzione della libido. Pertanto, il Ciproterone acetato può essere considerato una valida alternativa alla terapia con estrogeni. Gli effetti secondari sono molto lievi, si rileva bassa tossicità epatica, alterazioni cardiovascolari solo nel 9.6% dei pazienti trattati.

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La posologia consigliata per questo farmaco va da 1.25 a 2.5 mg/Kg/die per os per 15 giorni (Gabello e Corrada, 2002).

Altri progestinici-antiandrogeni steroidei sono il Clormadinone acetato somministrato alla dose di 2 mg/Kg/die per os per 3-4 settimane e il Delmadinone acetato, 1-2mg/Kg/die SC una volta al mese (Gabello e Corrada, 2002)

Tra i farmaci antiandrogeni non steroidei, invece, abbiamo il Flutamide che inibisce i processi di captazione e/o di legame nucleare degli androgeni unendosi ai recettori specifici per questi ormoni. Il dosaggio segnalato è di 5mg/Kg/die per os (Gabello e Corrada, 2002). Questo composto determina una significativa riduzione del volume della prostata e una diminuzione nella secrezione di CPSE; non è stata dimostrata alterazione della libido e della produzione di sperma (Johnston, 2001).

Il farmaco antifungino Ketaconazolo ha proprietà antiandrogenica e può essere più sicuro, ma bisogna somministrarlo per tutta la vita; inoltre induce essenzialmente una castrazione chimica (McConnell, 1990), quindi nel cane non ha vantaggi rispetto alla castrazione chirurgica.

Gli analoghi dell’ LH-RH (luteinizing hormone releasing hormone) inibiscono la liberazione delle gonadotropine ipofisarie, provocando una diminuzione del tasso di testosterone circolante e quindi di conseguenza si riscontra una riduzione dell’epitelio ghiandolare del 40% e una riduzione del 20% delle cellule stromali. La riduzione stromale è in rapporto ad una diminuzione degli estrogeni dovuta alla limitazione dell’attività delle aromatasi per mancanza di testosterone (Martini et al., 1993). Questa terapia è controindicata per un trattamento continuo a causa della ginecomastia, perdita di libido, dell’impotenza (Tenaglia et al., 1993) e riduzione della fertilità, che può provocare.

Altra classe di farmaci che possono essere utilizzati per il controllo dell’iperplasia prostatica benigna è rappresentata dagli analoghi del GnRH. Queste molecole causano una “castrazione farmacologica”, associata alla riduzione della produzione degli ormoni steroidei e alla diminuzione del peso degli organi sessuali accessori.

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L’utilizzo di questi farmaci si basa sul principio secondo il quale gli analoghi del GnRH agiscono bloccando la produzione testicolare di testosterone a seguito dell’instaurazione di un feed-back negativo sul rilascio di gonadotropine ipofisarie. In particolare, si ha, come effetto della continua stimolazione operata dal GnRH, una desensibilizzazione dei recettori dell’ LH-RH, che porta ad una diminuzione del tasso di testosterone circolante e quindi alla mancanza del substrato per la produzione del DHT, per conversione del testosterone ad opera delle reduttasi, e dell’estradiolo, per conversione ad opera delle armatasi, con effetto finale una riduzione del volume e peso prostatico del 50-60%. Le analisi morfologiche mostrano, inoltre, che questa riduzione del peso della ghiandola è legato ad una predominante involuzione dell’epitelio ghiandolare, evidente dalla comparazione tra la componente epiteliale e stremale, prima e dopo il trattamento (Matzkin e Braf, 1991).

Tra i composti di questa classe si ricorda il Deslorelin®.

Infine abbiamo gli inibitori delle 5α-reduttasi che diminuiscono il tasso sierico di DHT senza modificare significativamente il tasso di testosterone. Agiscono ad uno stadio successivo a quello della sintesi degli ormoni steroidei bloccando gli enzimi responsabili della conversione del testosterone in DHT, e non sono quindi associati ad una modificazione significativa delle funzioni sessuali. Grazie al meccanismo selettivo queste sostanze presentano elevata tolleranza e innocuità. Il Finasteride (Proscar®) è uno steroide sintetico che inibisce la 5α-reduttasi di tipo ІІ, interrompendo di conseguenza, la conversione di testosterone in diidrotestosterone (Cohnen et al., 1995).

La dose idonea di finasteride per il trattamento dell'IPB negli uomini è di 5mg/die. Nei Beagle con oltre 5 anni d'età e IPB, cui sono stati somministrati 1 mg/kg/die per os di tale molecola, per 16-21 settimane, si è riscontrata una riduzione di 50-70% delle dimensioni della prostata e della produzione di fluido prostatico (Laroque et al., 1995; Cohen et al., 1995; Iguer-Quada e Verstegen, 1997). Il farmaco somministrato a questo dosaggio ha indotto un abbassamento dei livelli sierici di DHT senza effetti collaterali sulla struttura istologica del testicolo o sulla

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qualità del seme. Si è verificata una diminuzione della terza frazione dell’eiaculato, mentre la fertilità è risultata conservata (Gabello e Corrada, 2002). La dose di finasteride per i cani è comunque più elevata della dose raccomandata per gli uomini. Studi dose-risposta hanno riscontrato che una dose quotidiana di 0.1 mg/kg induce un significativo calo delle concentrazioni sieriche di diidrotestosterone e non causa alcun cambiamento nei livelli sierici di testosterone (Kamolpatana, Johnston, 1996). Poiché l’azione del farmaco è piuttosto lenta, sono necessari da 2 a 3 mesi affinché si verifichi una diminuzione significativa nelle dimensioni prostatiche. All’inizio del trattamento, è possibile associare il finasteride a una dose di progestinico long-acting (Gabello e Corrada, 2002). Sebbene le modifiche indotte dal finasteride siano risultate reversibili dopo alcuni mesi dal termine della terapia, le ghiandole prostatiche non sono ritornate alle dimensioni precedenti al trattamento (Johnston et al., 2001). Il farmaco potrebbe rivelarsi efficace per il trattamento dell'IPB nei maschi destinati alla riproduzione in cui la castrazione non è fattibile. Nonostante non abbia effetti sulla libido, è però presente nello sperma degli animali trattati e non è stato stabilito se costituisca un pericolo per la salute dei feti canini.

Figura 2.2.7. Farmaci antipertrofizzanti ad azione ormonale che agiscono a vari livelli dell’asse

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2.3. Metaplasia squamosa

2.3.1. Eziopatogenesi

Queta patologia insorge in seguito ad iperestrogenismo endogeno od esogeno. La causa endogena principale è rappresentata dal tumore funzionale testicolare delle cellule del Sertoli (Sertolioma), che secerne estrogeni (Merk et al., 1986; Leeds e Leav, 1969; Lipowitz et al., 1973; Thanikachalam et al., 1986), mentre per quanto concerne quella esogena è rappresentata da una eccesiva somministrazione per os di estrogeni. La somministrazione a breve termine di estrogeni determina, invece, la sola metaplasia squamosa a livello della uretra prostatica e dei dotti; ciò è in accordo con la localizzazione dei recettori per gli estrogeni. Quelli a livello dei dotti sono sempre presenti mentre quelli a livello dell’epitelio ghiandolare richiedono l’induzione che si ha in seguito all’esposizione ad elevati livelli di estrogeni o all’aumentato rapporto estrogeni/androgeni all’interno della prostata (Barsanti, 1999).

L’azione degli estrogeni consiste nell’indurre metaplasia squamosa dell’epitelio prostatico colonnare, con conseguente ostruzione dei dotti prostatici, e stasi secretoria. Questi eventi predispongono alla formazione di cisti, infezione e formazione di ascessi.

2.3.2. Sintomatologia

Si manifestano sintomi identici a quelli che si riscontrano in corso di IPB o di cisti prostatiche, infatti le dimensioni della prostata variano: inizialmente gli estrogeni determinano atrofia prostatica per inibizione alla produzione di testosterone ma la prolungata esposizione causa ipertrofia prostatica da lieve a moderata. Inoltre anche lo svilppo secondario di cisti o ascessi può determinare un aumento di volume della ghiandola (O’ shea, 1963).

In particolar modo, dal punto di vista sintomatologico, si ha la comparsa di tutte quelle manifestazioni correlate ad un iperestrogenismo: alopecia,

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iperpigmentazione, prepuzio pendulo, ginecomastia, anemia non rigenerativa, trombocitopenia, granulocitosi seguita da granulocitopenia.

Per quanto riguarda i testicoli, essi risultano anormali alla palpazione oppure uno o entrambi ritenuti. In caso di iperstrogenismo endogeno, se la neoplasia è monolaterale, l’altro testicolo è atrofico mentre se siamo di fronte ad un iperstrogenismo esogeno, entrambi i testicoli possono risultare atrofici.

2.3.3. Diagnosi

Viene emessa attraverso la valutazione dell’anamnesi associata ai risultati dell’esame clinico e ai reperti che si ottengono attraverso gli esami ausiliari. La palpazione rettale evidenzia una prostata moderatamente ingrossata.

All’esame emocromocimetrico si riscontrano, come menzionato in precedenza, i segni dell’iperestrogenismo: anemia non rigenerativa, trombocitopenia e granulocitosi seguita da granulocitopenia.

All’esame del liquido prostatico si osserva un aumento del numero di cellule epiteliali squamose.

L’esame radiografico mette in evidenza prostatomegalia mentre l’esame ecografico permette di mettere in evidenza difetti di riempimento della prostata, talvolta rilevabili attraverso l’uretrografia retrograda, riferibili a cisti o ascessi associati a metaplasia (Jacobs et al., 1988).

La diagnosi definitiva viene emessa attraverso la biopsia prostatica che mostra la sostituzione dell’epitelio colonnare con epitelio squamoso (O’shea, 1963; Thrall et al., 1985) presente anche a livello dell’uretra prostatica e dell’utero mascolino (O’shea, 1963).

2.3.4. Terapia

La metaplasia squamosa viene considerata una patologia reversibile (Huggis e Clark, 1940) visto che una volta eliminata la fonte di produzione di estrogeni, la prostata torna normale (Johnston et al., 2001).

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Infatti il trattamento consiste nella castrazione in caso di iperestrogenismo endogeno o nella sospensione della terapia estrogenica in caso di iperestrogenismo esogeno.

2.4. Ascesso prostatico

2.4.1. Eziopatogenesi

Gli ascessi prostatici sono accumuli localizzati, piccoli o grandi (questi ultimi derivati spesso dalla fusione di ascessi più piccoli), diffusi o focali, di materiale purulento e settico all’interno del parenchima ghiandolare che si originano nel corso di gravi forme di prostatite batterica cronica. Infatti, i batteri che più frequentemente sono stati isolati, sono aerobi simili a quelli che causano la prostatite batterica (E.coli nel 79% dei casi) (Mullen HS et al., 1990). Tuttavia, nel 19% dei casi non è stato isolato questo tipo di batteri e ciò può essere messo in relazione con precedenti terapie antibiotiche, infezioni da anaerobi o da micoplasmi.

2.4.2. Sintomatologia

I sintomi che si riscontrano possono essere correlati all'infezione o all'ingrossamento della prostata. In seguito all'infezione si può riscontrare uno scolo uretrale intermittente o costante, emorragico o purulento mentre l'ingrossamento ghiandolare comporta l’insorgenza di segni clinici quali tenesmo per compressione sul retto o colon e disuria per compressione sull'uretra. Inoltre, il soggetto può presentare disturbi sistemici quali letargia, depressione, febbre, dolore ed eventuale vomito, dovuti a endotossiemia o peritonite che spesso si verificano in caso di rottura di un ascesso sulla superficie esterna della prostata. In questo caso, si instaura, frequentemente, uno shock endotossico con segni di tachicardia, mucose pallide o congeste, riempimento capillare rallentato e polso debole; può essere presente anche l'ittero dovuto ad un'epatopatia reattiva.

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2.4.3. Diagnosi

La diagnosi presunta si basa sull'anamnesi, visita clinica, palpazione rettale, ematologia, analisi delle urine, nonché sulla citologia e sulla coltura del liquido prostatico, esame radiografico e ecografico; tuttavia anche in questo caso, la conferma della diagnosi è fornita dalla biopsia.

Molto spesso dall’anamnesi si evince che il paziente, cane maschio intero, è affetto da prostatite o infezioni delle vie urinarie ricorrenti non sensibili al trattamento specifico e manifesta un quadro sintomatologico caratterizzato da abbattimento, letargia, dolore, difficoltà a defecare o ad urinare, ematuria e vomito.

Alla palpazione rettale la prostata può essere ingrossata, a seconda delle dimensioni e della localizzazione delle cavità ascessuali (Mullen et al., 1990). E’ spesso asimmetrica, di varia consistenza con aree più solide interposte ad aree più molli e, a volte, anche zone fluttuanti.

La palpazione spesso è dolorosa ed il dolore è quasi sempre associato a peritonite localizzata piuttosto che all'ascesso stesso; tuttavia, l'assenza del dolore non esclude la presenza di un ascesso.

Dall’esame emocromocitometrico e dal profilo biochimico si nota, spesso, leucocitosi neutrofila con eventuale deviazione a sinistra della formula anche se occasionalmente, il conteggio leucocitario può essere normale; inoltre, aumento dell'attività della fosfatasi alcalina sierica e della alanino amino-transferasi, aumento della bilirubina sierica, ipoalbulinemia e ipoglicemia per epatopatia secondaria (Hardie et al., 1984); aumento della concentrazione di creatinina, iperglobulinemia e ipokaliemia.

L’esame delle urine mostra spesso, la presenza di una è un'infezione delle vie urinarie con ematuria, piuria e batteriuria (Barsanti e Finco, 1986).

Il liquido prostatico, raccolto mediante massaggio prostatico o durante l'eiaculazione, è in genere purulento e settico e, in alcuni casi, emorragico (Barsanti e Finco, 1986).

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Come detto prima, gli ascessi prostatici possono essere dovuti ad organismi aerobi o anaerobi e la coltura quantitativa dell'urina e del liquido prostatico deve essere caratterizzata da un numero consistente degli stessi organismi.

L’esame radiologico può evidenziare l'ingrossamento della prostata, asimmetrico o irregolare, ed eventualmente quello dei linfonodi sottolombari. È possibile che il contrasto radiografico dell'addome sia di scarso aiuto.

Nel caso in cui l'ascesso comunichi con l'uretra, l'uretrografia retrograda può evidenziare un reflusso del mezzo di contrasto all'interno della prostata. Con l'uretrocistografia gassosa retrograda, si può osservare assimmetria periuretrale e stenosi dell'uretra prostatica.

Attraverso l’esame ecografico si può evidenziare una prostata con profilo irregolare e forma asimmetrica, di grado variabile in funzione delle dimensioni dell’ascesso/i e della localizzazione rispetto alla capsula. Il parenchima della ghiandola è caratterizzato dalla presenza di cavità intraparenchimatose, singole o multiple, a contenuto liquido iperecogeno a causa dell’essudato purulento, con parete esogena spessa e setti intracavitari (Johnston et al., 1989) (Figura 2.2.8).

Figura 2.2.8. Ascesso prostatico.

La conferma della diagnosi si ottiene attraverso la biopsia effettuata tramite aspirazione o laparotomia esplorativa, poiché l'attuale trattamento d'elezione consiste nel drenaggio chirurgico. Durante l'intervento, il contenuto ascessuale

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deve essere raccolto per effettuare la coltura dei microrganismi aerobi ed anaerobi, mentre deve essere sezionata una parte di tessuto per l'esame microscopico e per la coltura batterica.

2.4.4 Terapia

Molto spesso, il trattamento conservativo dell’ascesso prostatico è frustrante e per effettuare la cura possono essere richieste misure più aggressive. La sola terapia antibiotica non è sufficiente per la risoluzione di questa affezione, poiché i farmaci diffondono molto poco attraverso la capsula ascessuale (Johnston et al., 2001). Sia dal punto di vista medico che chirurgico, gli ascessi prostatici e le cisti vengono trattati allo stesso modo.

Il drenaggio chirurgico costituisce uno degli attuali trattamenti d'elezione.

Sono possibili diversi metodi, quali drenaggio con tubo o Penrose, marsupializzazione e omentalizzazione.

Il drenaggio di Penrose è una tecnica ormai superata in quanto associata a complicanze a breve e a lungo termine che includono: incontinenza urinaria, recidive, edema di scroto, prepuzio e degli arti posteriori, ipoproteinemia e anemia (Mullen et al., 1990), fistole uretrali, infezioni urinarie e ipoglicemia (larari e Dupuis, 1995). Inoltre, Mullen et al. riportano che 23 cani su 92 trattati con questa tecnica, sono deceduti durante l’intervento o nell’immediato post-operatorio per sepsi e shock.

Per quanto riguarda la marsupializzazione, oggi sostituita dall’ intervento di omentalizzazione (Zambelli, 2007), le complicazioni più frequentemente riscontrate sono state l’insufficiente drenaggio e la comparsa di recidive (Harari e Dupuis, 1995).

Come accennato in precedenza, l’intervento di omentalizzazione ha preso largo campo in quanto si è dimostrata la tecnica chirurgica di miglior successo (White e Williams, 1995). Da uno studio condotto su 20 cani, infatti, 19 hanno mostrato la completa risoluzione di questa patologia dopo il trattamento; la mortalità è stata dello 0% (White e Williams, 1995).

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Altra terapia prevista è l’alcoolizzazione eco-guidata, utilizzata anche per il trattamento delle cisti prostatiche e paraprostatiche, che permette il drenaggio e successivo trattamento della cavità. È stata proposta come tecnica non invasiva e relativamente indolore e come tale può essere eseguita anche in assenza di anestesia. L’alcolizzazione consente di evitare interventi chirurgici diretti sulla prostata e/o di orchiectomia in soggetti anziani o di posticipare, se necessario, tali trattamenti in soggetti riproduttori (Zambelli, 2007).

Rawlings et al. (1997) hanno affermato che anche la prostatectomia parziale associata alla castrazione e ad una appropriata terapia antibiotica può essere utilizzata per il trattamento di ascessi e cisti prostatiche. Alcuni Autori (Buracco, 2007) però, considerano la prostatectomia parziale intervento ormai non più consono, come la prostatectomia totale, dato l’elevato tasso di incontinenza urinaria che ne può seguire (Zambelli, 2007).

Non più effettuato è anche l’intervento di resezione locale (Buracco, 2007).

La castrazione o somministrazione di Finasteride o Ciproterone acetato, al fine di determinare l’involuzione della prostata e quindi la risoluzione dell’ascesso, è consigliata come terapia aggiuntiva all' antibioticoterapia ed all'intervento chirurgico (Johnston et al., 2001).

A prescindere dalla procedura chirurgica impiegata, in tutti i cani con ascessi prostatici è necessario somministrare antibiotici, riservando la via endovenosa a quelli affetti da una malattia sistemica. Sulla base della penetrazione prostatica, i farmaci d'elezione sono il cloramfenicolo, il trimethoprim-sulfamidici (utilizzati sia contro i batteri Gram-positivi che Gram-negativi), l'enrofloxacina e marbofloxacina (per i neativi) ed eritromicina e clindamicina (per i Gram-positivi) (Barsanti, 1997); la scelta viene quindi modificata in base ai risultati delle colture e dell'antibiogramma.

La percentuale di sopravvivenza dopo 1 anno è del 50% (Mullen et al., 1990). Questi dati evidenziano l'importanza del trattamento aggressivo della prostatite cronica per cercare di evitare la progressione ad ascesso.

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2.5. Cisti Prostatiche

Le cisti sono in generale poco frequenti (5% delle patologie della prostata) (Vannozzi, 2003) e riguardano principalmente soggetti anziani, interi e di grossa taglia (Closa et al.,1995; Stowater e Lamb, 1989). Sono definite come lesioni cavitarie con parete propria, contenenti liquido trasparente o torbido situate all'interno (da ritenzione) o all'esterno (paraprostatiche) del parenchima prostatico (White et al., 1987).

L’eziologia è variabile e permette di distinguere (Vannozzi, 2003): • cisti da ritenzione o vere

ematocisti, costituiscono i postumi dell’ematoma prostatico cisti paraprostatiche

Nonostante l’eziopatogenesi differisca, i segni clinici ed il trattamento di queste sono identici, fatta eccezione per l’asportazione chirurgica che viene effettuata solo per le cisti paraprostatiche.

2.5.1. Eziopatogenesi

a. Cisti prostatiche da ritenzione

Sono ampie cavità colme di liquido localizzate nel parenchima prostatico le cui dimensioni aumentano progressivamente fino a protudere dalle pareti della ghiandola nei tessuti circostanti.

Originano da una ostruzione dei canali escretori che determina dilatazione degli acini prostatici; l’ostruzione può essere secondaria a calcoli, iperplasia prostatica, metaplasia squamosa, prostatite (Vannozzi, 2003) o a neoplasia (Johnston et al., 2001).

Istologicamente le cisti prostatiche parenchimali sono delimitate da un epitelio compatto di transizione, cuboide o squamoso; contengo materiale secretorio e detriti cellulari, e la parete, che può mostrare metaplasia ossea, è formata da collagene denso.

Figura

Tabella 2.1.1. Rilievi alla DRE in corso di patologia prostatica
Figura 2.1.2. Massaggio prostatico (Osborne e Finco, 1999).
Figura 2.1.3. Agoaspirazione con accesso transrettale (Osborne e Finco, 1999).
Figura 2.1.4. Radiogramma laterale di un cane con ingrossamanto prostatico. Un’area triangolare
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