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CAPITOLO I. LA FASE KANTIANA DEL PENSIERO DI K.L.REINHOLD

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CAPITOLO I.

LA FASE KANTIANA DEL PENSIERO DI K.L.REINHOLD

PARTE I. INTRODUZIONE

Con il precedente sguardo d’insieme sull’immediata accoglienza della Critica si sono volute tracciare (senza la minima pretesa di esaustività) alcune coordinate generali in qualche modo utili all’individuazione della cornice teorica che fa da sfondo, anzitutto, agli studi kantiani del giovane Reinhold. È anzitutto opportuno richiamare la notoria (e persino proverbiale15) varietà di posizioni prese da questo autore al fine di precisare i limiti cronologici della fase della sua produzione su cui il presente lavoro si concentra. Dopo aver fatto propri alcuni fondamentali punti programmatici dell’Aufklärung ed essersi imbattuto quasi fortuitamente in Kant tramite le Idee di J.G.Herder (ciò viene esaminato nel primo paragrafo del capitolo, nella misura in cui contribuisce a rendere comprensibili alcune peculiarità dell’approccio reinholdiano a Kant), egli inaugura con le Lettere sulla filosofia kantiana il periodo più proficuo e significativo della sua carriera filosofica (e di fatto praticamente l’unico ad essere tuttora oggetto di interesse), inizialmente assorbendo e poi rielaborando in modo originale la dottrina della prima Critica per risolvere i persistenti dualismi tra ragion pratica e teoretica, sensibilità e intelletto, avvertiti come ostacolo all’unità e compiutezza del sistema. Con l’edificazione di una scienza dei fondamenti o Elementarphilosophie egli propone la sua soluzione all’esigenza – espressa da Schelling in una lettera a Hegel del gennaio 1795 – di trovare le premesse per i risultati che Kant ha esposto nella Critica. Incalzato dagli attacchi di Schulze e persuaso dalle risposte fichteane, Reinhold abbandona il proprio sistema all’inizio del 1797 e diviene ardente studioso e difensore della Wissenschaftslehre. Due anni dopo, in séguito al riaffiorare di interessi morali e religiosi, assume una posizione che integra spunti ricavati da Fichte e Jacobi, fino al completo cambiamento di fronte determinato dalla “conversione” al realismo logico di Bardili (1799). Dal 1804, infine, si dedica

15 «Yes, there are moments, particularly in the afternoon, when I go all syncretist, à la Reinhold. What

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prevalentemente a ricerche linguistiche ed etimologiche. Lungi dal considerare – al modo di Fichte, Schelling e Hegel – queste forti oscillazioni teoriche un segno di scarsa serietà o persino di «imbecillità filosofica» (l’espressione è del secondo dei tre), vi ravviso piuttosto l’inquieta evoluzione di un ingegno certamente privo di profonde capacità speculative, ma teso senza pregiudizi alla ricerca della verità e disposto come pochi altri a lasciarsi stimolare da un assiduo studio delle opere filosofiche di ogni tempo. Resta peraltro vero, come già detto, che di tutto questo percorso soltanto le fasi iniziali conservano una rilevanza storica e teorica primaria. Nel presente lavoro prenderemo in esame soprattutto il periodo compreso tra il 1786 e il 1794, focalizzando l’attenzione sul Saggio per una nuova teoria della facoltà umana di rappresentazione (1789) e sugli scritti giovanili che lo hanno in qualche modo anticipato. È in effetti nel tentativo di ristrutturare l’intera Critica sulla base di un unico principio (il Satz des Bewußtseins) e a partire dal solo concetto di rappresentazione che può essere visto il principale motivo di originalità dell’interpretazione reinholdiana di Kant, nonché lo spunto più importante per il successivo sistema fichteano.

PARTE II. PRIMA DELLA VORSTELLUNGSTHEORIE

§1. FORMAZIONE GIOVANILE E SCOPERTA DEL CRITICISMO

1.1. PRIMI CONTATTI CON KANT

La pubblicazione tra l’aprile del 1784 e l’inizio del 1785 delle prime due parti del capolavoro di Herder, le Idee per la filosofia della storia dell’umanità, innesca una vivace polemica riguardo alla liceità dell’utilizzo di modelli organicisti nell’interpretazione della storia; è proprio nel contesto di questo dibattito che Reinhold, già fervente sostenitore della Aufklärung viennese e collaboratore del poeta Ch.M.Wieland nella redazione del Teutscher Merkur a Weimar, ha modo di confrontarsi per la prima volta con il filosofo di Königsberg.16 Salutate con entusiasmo da Goethe e Hamann, le Idee espongono attraverso

16 Premetto qui per ragioni di completezza alcune annotazioni relative alla prima formazione del nostro

autore. Nato a Vienna nel 1758 da modesta famiglia, Reinhold, al termine degli studi ginnasiali (1765-72), entra nel collegio dei gesuiti di Sant’Anna, abbandonandolo un anno dopo a causa della soppressione

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immaginose intuizioni e ardite analogie ricavate dalle scienze naturali e dall’anatomia comparata una storia complessiva del mondo e dell’uomo; lo stesso Reinhold, fiero avversario nei Pensieri sull’illuminismo dell’astrattezza dei concetti universali e dell’incapacità della logica scolastica di far presa sulla realtà concreta, consacra la sua prima pubblicazione sul Merkur (giugno 1784) all’esaltazione dell’ingegno herderiano, apprezzando in particolare l’idea della sostanziale unità e continuità tra la storia naturale e

dell’ordine decretata dal papa Clemente XIV. Completata la sua formazione presso i padri barnabiti (1774-80), è ordinato sacerdote e rimane per due anni nel seminario medesimo in qualità di insegnante di logica, metafisica, matematica, fisica ed etica. L’apertura culturale e l’elevato livello di questi ambienti, nonché l’intima amicizia con J.N.Denis, letterato e politico di grande rilievo nella Vienna dell’epoca, gli consentono di acquisire una buona dimestichezza col pensiero anglosassone contemporaneo e di entrare in contatto con alcuni importanti esponenti dell’illuminismo austriaco sia in ambito letterario (K.Mastalier, J.von Sonnenfels) che scientifico (M.Hell, I.von Born). In questi anni Reinhold collabora a numerose riviste (Wiener Realzeitung, Freimaurerjournal, Magazin für Wissenschaften und Litteratur) e aderisce alla loggia Zur wahren Eintracht, fondata da Born (non a caso ispiratore del personaggio di Sarastro nel Flauto magico mozartiano, Singspiel notoriamente denso di motivi massonici), e all’Illuminatenbund di A.Weishaupt. Probabilmente a causa della tensione tra la propria condizione di ecclesiastico e l’accorata adesione a valori laici e razionalistici, nel 1783 fugge clandestinamente a Lipsia, dove soggiorna per breve tempo come studente di giurisprudenza e assiste senza entusiasmo ad alcune lezioni di Platner e Feder. Senza mai interrompere i contatti con gli amici di Vienna, si trasferisce nell’aprile dell’anno seguente a Weimar dove, convertitosi al protestantesimo, stringe amicizia col già citato Wieland, curando con impegno per quattro anni a partire dal giugno del 1784 la rubrica delle recensioni [Anzeiger] del Teutscher Merkur, la rivista fondata dal poeta insieme a Jacobi nel 1773. Sono soprattutto i numerosi articoli che Reinhold stesso vi pubblica durante i tre anni del suo soggiorno a Weimar – primi fra tutti i Briefe del 1786 – a risollevare le sorti dell’ormai languente giornale, che diviene ben presto il più importante strumento di divulgazione e difesa del pensiero kantiano insieme alla Berlinische Monatsschrift e alla Allgemeine Literatur Zeitung (d’ora in avanti ALZ), fondata espressamente a questo scopo da Ch.G.Schütz nel 1785.

Possiamo complessivamente collocare i primi lavori reinholdiani apparsi sul Merkur – che per l’ampiezza dei temi trattati e la ricchezza degli spunti poi ripresi nelle opere maggiori meritano di essere rapidamente passati in rassegna – all’interno dell’ampia discussione sulla natura dell’Illuminismo che coinvolge nel 1784 anche Kant e Mendelssohn. I due brevi saggi di quell’anno, Le scienze prima e dopo la loro secolarizzazione: un ritratto storico e Pensieri sull’illuminismo, pervasi entrambi da un’appassionata verve anticlericale, presentano rispettivamente una schematica storia dello sviluppo della ragione umana e una definizione dell’illuminismo. Nel primo testo Reinhold afferma per la prima volta la superiorità del cristianesimo riformato rispetto al cattolicesimo: favorendo l’esame critico e razionale dei dogmi e della Scrittura, Lutero ha dato avvio ad una lenta e profonda rinascita delle scienze e dei costumi che si è conclusa appunto con l’Aufklärung. L’illuminismo si configura per il giovane Reinhold come l’estesa e sistematica applicazione di principi teorici razionali ai concreti problemi della vita; «l’educazione di un popolo a ragionare» può essere d’altronde realizzata solo per mezzo di istituzioni e leggi già conformi a ragione, dunque presuppone un popolo di elevato livello culturale e civile. Il generale clima di diffidenza e timore per eventuali occulte penetrazioni di idee cattoliche in Germania, fondate soprattutto sull’emotività e l’immaginazione popolare, sta alla base degli Sfoghi di due filantropi in lettere confidenziali sulla confessione di fede di Lavater (1785), il cui principale interesse ai fini della presente trattazione consiste nel problema dell’oscillazione tra Aberglaube e Unglaube, nella quale sostanzialmente si compendia la profonda crisi spirituale che poco dopo spinge Reinhold ad abbracciare la filosofia kantiana. L’ultimo breve saggio del periodo weimariano di Reinhold, Schizzo di una teogonia della fede cieca – dapprima pubblicato nel numero del giugno 1786 del Merkur, poi incluso nella dodicesima Lettera sulla filosofia kantiana (vol. I, edizione 1790) – raccoglie e riassume le riflessioni fin qui svolte in un abbozzo di filosofia della storia finalizzato a mostrare la genesi della «fede cieca» all’interno di un lungo processo di innalzamento dell’uomo alla scienza e all’autonomia morale a partire da uno «stato edenico» di immediata armonia con Dio e col mondo, attraverso una fase intermedia in cui la ragione, non ancora pienamente sviluppata, trova come unica via alla propria affermazione il soffocamento degli istinti naturali; tale conflitto viene esacerbato dal sorgere di una casta di sacerdoti e monarchi che trasformano l’immagine di Dio nella figura di un despota ed additano nella sistematica mortificazione del piacere la suprema fonte della virtù.

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quella umana, pur avanzando nella conclusione qualche riserva riguardo al medesimo punto che costituirà di lì a poco il bersaglio delle critiche kantiane, ovvero la scarsa chiarezza del basilare concetto di organische o unsichtbare Kraft. Nel recensire l’opera di Herder (ALZ, gennaio 1785) Kant riprende i pensieri da lui formulati poco tempo prima nella Idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico, dove

la storia non viene concepita come la formazione graduale di una natura in sé armonica fino al suo prodotto più alto, bello e amato – l’uomo – bensì come la via della liberazione dell’uomo dalla sua natura antisociale e animale; una via che procede anzitutto secondo il «piano segreto della natura» servendosi dell’«antagonismo» nella società, e che trova il suo obiettivo nell’istituzione di una «costituzione civile perfetta» che deve essere favorita dallo Stato.17

In base a questa concezione la filosofia della storia, lungi dall’essere parte o sbocco della filosofia della natura, è piuttosto «filosofia morale applicata»; come tale si fonda sulla ragion pratica e viene diretta dall’idea di una moralische Welt quale suo filo conduttore e fine ultimo. Criticando più specificamente la nozione di forza invisibile, costruita in base all’analogia con le forze naturali e risultante dalla sintesi di spunti spinoziani e leibniziani (rispettivamente la concezione della natura come unica sostanza e l’idea della monade come forza spirituale di matrice divina), Kant rileva che tale nozione [1] è priva di valore conoscitivo in quanto non riscontrabile in alcuna esperienza e [2] non è un’idea regolativa perché, pur prestandosi a fungere da principio unificante per una molteplicità di fenomeni secondo la «legge dell’omogeneità», non può, nell’uso che ne fa Herder, spiegare la notevole varietà dei fenomeni stessi in base al requisito della «specificazione»18 (in altre parole, Herder si concentra esclusivamente sulla riduzione di ogni fenomeno naturale e spirituale alla forza senza tener conto di differenze sostanziali interne al suo concetto, come ad esempio la distinzione tra forze meccaniche e organiche). Ciò che in sostanza Kant rimprovera a Herder è un uso spregiudicato di concetti non scientifici, raziocinanti o arbitrariamente derivati per analogia dall’esperienza, tramite i quali la filosofia viene trascinata «sul facile terreno della Dichtungskraft» e trasformata «in una specie di confusa

17 M. BONDELI, Von Herder zu Kant, zwischen Kant und Herder, mit Herder gegen Kant – Karl Leonhard

Reinhold, in Herder und die Philosophie des deutschen Idealismus, (Fichte-Studien Supplementa, n.8), Amsterdam, Rodopi 1997, p.210. Cf. I.KANT, Anthropology, History and Education, ed. by G.Zöller & R.Louden, Cambridge University Press 2007, pp.110-113 e 116-118.

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metafisica quanto mai dogmatica»19 (lo stesso Kant affronterà con ben altra precisione nella seconda parte della terza Critica il problema dei limiti e del senso dell’applicabilità di nozioni teleologiche allo studio della natura).

È verosimile che Reinhold, nel replicare all’anonima recensione kantiana con un’altrettanto anonima Lettera del pastore di ** all’e[ditore] del T[eutscher] M[erkur] su una recensione delle «Idee per la filosofia della storia dell’umanità» di Herder, apparsa nel numero del febbraio 1785 della rivista di Wieland e fortemente appoggiata da Herder, sappia di trovarsi di fronte allo stesso Kant. La strategia messa in atto da Reinhold in questa “lettera” consiste nel tentare di rovesciare sull’avversario l’accusa di dogmatismo e astrattezza speculativa, difendendo la tesi herderiana secondo cui la filosofia della storia deve essenzialmente basarsi sui fatti rifiutando l’apriorità di dimostrazioni e concetti metafisici, peraltro legittimamente utilizzabili in altri campi. Kant viene quindi ritratto come un metafisico scolastico di stampo tradizionale, pago unicamente di deduzioni sillogistiche e nozioni che, ricavate anticamente dall’esperienza tramite astrazione, hanno ormai perso ogni traccia della loro origine e con ciò ogni contenuto (l’«illusione metafisica» qui descritta consiste appunto nel presumere di raggiungere verità tanto più profonde quanto più ci si allontana dall’esperienza contingente). Per Reinhold la contraddizione tra conoscenza storico-empirica e concettualità astratta deve d’altra parte essere risolta all’interno di una scienza superiore fondata su entrambe; Herder, in forza del suo procedimento analogico e intuitivo, ha a suo parere per lo meno fornito nuovi materiali in vista dell’edificazione di tale disciplina, la cui forma rimane peraltro del tutto problematica.

Nella risposta, pubblicata sull’ALZ nel marzo 1785 (Annotazioni del recensore delle «Idee […]» di Herder su una lettera apparsa nel numero di febbraio del Teutscher Merkur diretta contro questa recensione), Kant, che grazie a Schütz è fin dall’inizio al corrente della reale identità del sedicente Pfarrer, si limita a mostrare che la divergenza tra la propria posizione e quella dell’avversario è in realtà solo apparente;

nella sua conoscenza (finora carente) della filosofia kantiana, Reinhold non si è accorto che l’apriorismo di questa filosofia è stato sviluppato in una direzione

19 A.PUPI, La formazione della filosofia di K.L.Reinhold (1784-1794), Società editrice Vita e Pensiero,

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criticista, molto ben conciliabile con la sua propensione ad una conoscenza riferita all’esperienza e all’azione e con l’esigenza di concetti concreti.20

Kant è ben disposto a riconoscere che né la metafisica né l’osservazione della natura forniscono alla storia dell’umanità un fondamento adeguato, che è invece da ricercare nell’ambito delle azioni degli uomini. Se la ragione «si ritrae tremando» di fronte alla nozione di forza occulta, ciò è dovuto unicamente all’horror vacui che essa avverte ogni qualvolta si trovi sprovvista di intuizioni sensibili alle quali possa ancorare il pensiero. Ciò che sancisce la definitiva conversione di Reinhold alla filosofia kantiana è la recensione di Schütz, apparsa sull’ALZ nell’estate 1785, dei Chiarimenti sulla «Critica della ragion pura» del sig. prof. Kant del matematico J.Schultz, dove è posta in particolare evidenza la tesi secondo cui i principî fondamentali della religione (esistenza di Dio, immortalità dell’anima, libertà dell’uomo), indimostrabili per via teoretica, sono suscettibili di una giustificazione morale. Nel saggio del marzo 1789 Sulle sorti della filosofia kantiana fino ad oggi, integrato dopo pochi mesi nel Versuch a titolo di prefazione, Reinhold descrive, nell’ambito di un accorato Überblick autobiografico, la profonda impressione e la speranza – suscitata in lui da quella tesi – in un definitivo superamento della crisi spirituale degli anni giovanili:

Presentii, cercai e trovai [nello studio della Critica della ragion pura] la medicina, considerata ormai quasi impossibile, per essere alleviato dalla infelice alternativa tra superstizione ed incredulità. Io ho conosciuto entrambi questi malanni in grado eccezionale per personale esperienza e credo che del secondo, da cui mi ha guarito la Critica, io abbia sofferto tanto dolorosamente quanto del primo, che ho succhiato col latte materno, e che si era manifestato in una cattolica serra di allevamento della Schwärmerey, in cui ero stato trapiantato a quattordici anni. La mia gioia per la radicale guarigione e il desiderio di contribuire per quel che potevo alla diffusione di un rimedio da me trovato così sicuro e tuttavia ancora tanto ignorato hanno occasionato le Lettere sulla filosofia kantiana […].21

20 M.BONDELI, cit., p.218.

21 L’estratto si trova in A.PUPI, cit., pp.62-63. Si confronti anche V.VERRA, Reinhold e le Lettere sulla

filosofia kantiana, Filosofia, 2 (1951), p.331; K.L.REINHOLD, Versuch einer neuen Theorie des menschlichen Vorstellungsvermögens, Praga e Jena 1789 (d’ora in poi indicato semplicemente con Versuch), Vorwort, p.51 sgg., in particolare: «La metafisica era così divenuta l’occupazione principale della mia vita solitaria, libera da preoccupazioni e da compiti. Soltanto alla fine di un periodo durato molti anni, durante il quale avevo accettato e abbandonato uno dopo l’altro tutti e quattro i sistemi principali, mi ero trovato d’accordo con me stesso unicamente sul fatto che la metafisica poteva sì presentarmi qualcosa di più

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Nello stesso testo troviamo una testimonianza delle grandi difficoltà inizialmente incontrate da Reinhold nel confrontarsi con un’opera radicalmente nuova per terminologia e contenuti, nonché del suo modo di procedere tramite ripetute letture, raccolta di estratti e compilazione di centoni via via più sistematici e completi; la comprensione finale della Critica si accompagna alla dissoluzione di ogni dubbio filosofico ed esistenziale. Nell’importante lettera a Kant del 12 ottobre 1787 Reinhold, definendo con gratitudine il destinatario «salvatore del suo spirito» («der größte und beste Wohltäter, der je ein Mensch dem andern war und sein kann»), presenta le sue scuse per la recensione alle Idee del 1785 e dichiara di essere l’autore delle Lettere sulla filosofia kantiana, uscite in prima edizione sul Merkur tra l’agosto del 1786 e il settembre del 1787 e destinate a contribuire in misura determinante (ben più degli stessi Prolegomeni, pubblicati da Kant nel 1783 al fine di rendere “popolare” la propria dottrina ovvero soddisfare, tramite un’esposizione analitica, la duplice esigenza di chiarezza logica ed estetica22) alla divulgazione del pensiero critico.

1.2. FRA ILLUMINISMO E CRITICISMO: LE LETTERE SULLA FILOSOFIA KANTIANA23

Il merito essenziale di Reinhold in quest’opera consiste nell’aver esaminato alcune delle principali acquisizioni della filosofia kantiana collocandosi dal punto di vista del «pubblico medio», ossia distaccandosi dallo stile accademico caratteristico delle prime discussioni sorte intorno ad essa e rilevando l’immediato riscontro di quella dottrina sul piano della vita quotidiana e dei valori – anzitutto morali e religiosi – che la sorreggono. Può apparire curioso, qualora si prescinda dall’importanza del fatto religioso in Reinhold

di un piano per accordarmi ora con la mia testa, ora con il mio cuore, ma non poteva presentarmene nessuno che fosse in grado di soddisfare allo stesso tempo le serie richieste di entrambi. Il penoso stato d’animo, che in me era una conseguenza del tutto naturale di questa convinzione, e il desiderio di liberarmene a qualunque costo, furono i primi e più forti moventi del fervore e dello sforzo con cui mi diedi allo studio della Critica della ragion pura, dopo che avevo creduto di scorgere in essa, tra le altre cose, anche il tentativo di rendere indipendenti da ogni metafisica i fondamenti conoscitivi delle verità fondamentali della religione e della morale.» (tr. it. F.Fabbianelli, con qualche modifica).

22 Cf. KRV, A XVIII; Critica del Giudizio, §49; Logiche Dohna-Wundlacken e Jäsche, in Lectures on Logic,

cit., pp.443-446 e 547-549.

23 In questo paragrafo analizzeremo la versione originaria di quest’opera, apparsa sul Merkur tra l’agosto

1786 e il settembre 1787 e ristampata abusivamente a Mannheim. La successiva edizione in due volumi (1790 e 1792), «ampliata e migliorata», non è altrettanto confacente alla struttura di questo capitolo poiché risale ad un’epoca in cui Reinhold, già autore del Versuch e dei Beyträge I, comincia ad allontanarsi da Kant; gli elogi del maestro sono assai più freddi rispetto alla prima edizione e lasciano spazio ad un resoconto della Vorstellungstheorie, di cui ci occuperemo nei paragrafi 3 e 4.

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e dalle esperienze illuministiche della sua giovinezza, che egli individui la scoperta fondamentale di Kant nel primato della ragion pratica e nella fondazione morale della fede (nonché, secondariamente, nelle forme a priori della sensibilità, come vedremo a proposito delle lettere VII e VIII), dato che nella prima Critica, l’unica disponibile al tempo della stesura dei Briefe, il tema è trattato soltanto in poche – ancorché memorabili – pagine.24 Tale posizione si spiega tuttavia chiaramente sulla base delle motivazioni

addotte nella prima lettera a giustificazione del Bedürfnis einer Kritik der Vernunft. Rivolgendosi ad un ignoto interlocutore,25 Reinhold descrive la confusione che regna attualmente in materia di rapporti tra religione e ragione. Da quando quest’ultima ha imposto contro le pretese dispotiche di monarchi e Pfafferei ortodossa il proprio diritto alla determinazione della condotta morale e degli articoli di fede, si è fatto indiscriminatamente ricorso alla sua autorità per difendere e confutare opinioni contraddittorie, col risultato di gettarla nel più misero discredito e farla apparire incapace di fondare posizioni irrefutabili. I deisti antepongono le dimostrazioni dell’esistenza di Dio alla rivelazione, gli ateisti pretendono al contrario di provare la sua inesistenza, gli scettici negano valore a qualsiasi dimostrazione e i sovrannaturalisti arguiscono dalle dispute tra i precedenti che l’unica soluzione è una fede irrazionale. Questo «sconvolgimento di tutti i nostri precedenti edifici dottrinali» è tuttavia per Reinhold segnale dell’imminenza di una radicale e benefica rivoluzione; si tratta in altri termini di una crisi di crescita nel passaggio della ragione alla maggiore età rappresentata dal criticismo. L’irriducibile conflitto tra i diversi sistemi e la conseguente generale sfiducia nei confronti della metafisica mostrano in effetti l’urgenza di una precisa determinazione (da presupporre a qualsiasi indagine in questo campo) delle capacità conoscitive della ragione come tale. In questo senso Reinhold addita nella Critica kantiana «un’opera, che sono intimamente convinto venga mirabilmente incontro alle più urgenti necessità filosofiche del nostro tempo e assicuri da tanti punti di vista un migliore futuro ai nostri posteri». Scopo delle Lettere è dunque «porre in rilievo i principali risultati» di tale lavoro «e indicare in questi la soluzione di tanti gravi dissensi, sopravvissuti fino ad oggi in seguito al generale fraintendimento della ragione».26

24 KRV, B 660, 668, 823-847, 856-859. Cf. anche D.BREAZEALE, Between Kant and Fichte: Karl Leonhard

Reinhold’s “Elementary philosophy”, in The review of metaphysics, 35 (1981/82), p. 787.

25 Non è da escludere che sullo sfondo delle Lettere, come era accaduto per gli Sfoghi di due filantropi,

stiano reali discussioni con Wieland.

26 K.L.REINHOLD, Lettere sulla filosofia kantiana, a c. di P. Grillenzoni, Milano 2005 (d’ora in avanti BKP),

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All’inizio della seconda lettera (Il risultato della filosofia kantiana sulla questione dell’esistenza di Dio) viene distinto in generale il piano delle credenze spontanee da quello del sapere dimostrativo. Nel caso specifico, ciò significa che la mancanza di prove cogenti circa l’esistenza di Dio non autorizza ad ignorare che tutti i popoli nel corso della storia hanno manifestato una qualche forma di fede nell’Essere supremo; è perciò necessario mettere in luce le ragioni inconfutabili e le «universali evidenze, esistite ed operanti più o meno sempre» a livello inconscio, su cui questo «interesse generale dell’umanità» si fonda. Il progresso storico della cultura razionale ha reso sensibile il bisogno di reperire per tale convinzione motivi più solidi del mero sentimento e ha condotto alla questione del ruolo della ragione nella religione, formulabile nel modo seguente: [1] «la ragione ha in sé prove apodittiche dell’esistenza di Dio, atte a rendere superflua la fede?» e [2] «è possibile una credenza nell’esistenza di Dio, che non abbisogni di alcuna garanzia razionale?». La Critica risponde negativamente ad entrambe le questioni, dichiarando [1] la costitutiva incapacità della ragione teoretica di produrre un argomento decisivo e [2] la necessità di fondare la fede sulla ragion pura pratica. In effetti, com’è noto, nella seconda sezione del Canone della ragion pura Kant dimostra che se la pura legge morale deve valere come massima ovvero vincolare effettivamente la condotta dell’uomo, l’ideale del sommo bene (consistente nella perfetta corrispondenza tra la qualità morale del comportamento e la felicità che ne consegue) deve essere posto come raggiungibile. Poiché d’altronde nella vita quotidiana è del tutto contingente che le azioni vengano remunerate in base al loro reale valore (che rimane per di più fondamentalmente indeterminabile), bisogna postulare l’esistenza di un mondo morale o regnum gratiæ puramente intelligibile in cui tale corrispondenza sia realizzata. Poiché l’unica dimensione in cui tale mondo può essere collocato è quella ultraterrena, si rende altrettanto necessaria l’affermazione dei due articoli essenziali di ogni fede: l’immortalità dell’anima e l’esistenza di un supremo governatore e custode dell’ordine morale oltremondano. Con questa tesi Kant destituisce di fondamento qualsiasi forma di ateismo e rettifica le posizioni di deisti e credenti: i primi esigono a buon diritto una giustificazione razionale della fede ma sbagliano nell’intendere tale giustificazione nei termini di una dimostrazione metafisica; i secondi, pur mettendo correttamente in rilievo la fede, escludono a torto dal suo ambito qualsiasi contributo razionale. Se la Critica fosse stata compresa fin dall’inizio – argomenta ulteriormente Reinhold – si sarebbe spento sul nascere il drammatico Spinozismusstreit tra Mendelssohn e Jacobi, sostenitori

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rispettivamente del «deismo dimostrativo» e del «salto mortale» nella fede come unica via di salvezza di fronte all’inevitabile sbocco di ogni metafisica nel «più coerente di tutti i sistemi», lo spinozismo, in cui libertà umana ed esistenza di Dio sono negate in nome del rigoroso determinismo che scaturisce dall’applicazione del principio di ragion sufficiente a tutto ciò che esiste.27

Nella fondamentale terza lettera (Il risultato della critica della ragione sul legame necessario tra morale e religione) Reinhold mostra l’intimo accordo tra cristianesimo e criticismo. Scopo di entrambi è a suo avviso l’unificazione di religione e morale; d’altra parte, mentre Cristo, annunciatore del «Vangelo del puro cuore», ha dovuto dedurre la seconda dalla prima, data la decisa prevalenza nella cultura ebraica della sensibilità religiosa rispetto alla disposizione morale, il nuovo «Vangelo della pura ragione» procede per la via inversa, «proponendo l’unico fondamento conoscitivo che conduce dalla morale alla religione lungo la via della ragione: l’unica via che innalza l’esistenza di Dio al di sopra della portata di tutte le obiezioni» e che «giustifica e tutela ogni tradizione religiosa» dando al tempo stesso «coerenza a tutte le nozioni metafisiche con pari interesse per la mente e per il cuore». Lungi dunque dallo «stritolare ogni cosa», la Critica kantiana depura da ogni infondato argomento dogmatico e dall’irrazionalità della fede cieca l’autentico nucleo del cristianesimo, che solo si è mantenuto identico in ogni tempo: «lo spontaneo convincimento di un giudice ultraterreno in grado di discernere la moralità delle azioni umane, o di un Essere sommo dotato di potere, sapienza e volontà capace di determinare la sorte degli uomini in funzione del loro effettivo comportamento del momento».28 Alla luce del risultato raggiunto, Reinhold traccia un abbozzo di storia della religione ripartito in tre epoche sulla base del particolare fondamento conoscitivo su cui di volta in volta si è fatto leva per determinare l’esistenza e la natura della divinità: alla religione storica o iperfisica, basata su miracoli e racconti mitologici, ha fatto séguito una fede filosofica o metafisica caratterizzata dalla sopravvalutazione del ruolo della ragione e dalla presunzione di poter direttamente inferire l’effettiva esistenza di Dio dalla correttezza logica del suo concetto; la religione morale, inaugurata infine da Kant, è l’unica capace di soddisfare al contempo le esigenze del sentimento e della ragione evitando le rispettive degenerazioni nel fanatismo e nell’astrattezza speculativa irrilevante a fini pratici. Tale conciliazione è dovuta alla peculiare natura delle idee morali: a differenza di quelle teoretiche, esse risultano paragonabili per universalità ed evidenza ai

27 BKP, p.61; F.C.BEISER, cit., pp.83-91. 28 BKP, p.80.

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concetti matematici poiché «trovano il proprio contenuto in un’esperienza effettiva (ossia nelle azioni morali degli uomini)», e se da un lato devono «risolversi nella natura della ragione come tale, dall’altro possono rendersi sensibili nella loro influenza sul cuore e manifestarsi in autentiche intuizioni».29

Nella quarta lettera la filosofia cartesiana viene indicata come culmine della religione metafisica, ovvero come ultimo approdo dei vari tentativi di tradurre in concetti il «sentimento del bisogno della ragione di ammettere premi e castighi futuri», interpretato nella precedente fase storica come il risultato di una rivelazione soprannaturale. L’opposizione tra cartesianesimo e spinozismo è utilizzata da Reinhold per mostrare la paradossale vicinanza tra deismo e ateismo, nonché le unilateralità – smascherate e superate dalla Critica – di entrambe le posizioni: sforzandosi di ricavare l’esistenza di Dio dalla pura ragione mediante il tradizionale argomento ontologico, Descartes ha violato il fondamentale precetto critico in base al quale non si può avere conoscenza di ciò che non è oggetto di intuizione sensibile (pura o empirica); Spinoza d’altro canto, conscio appunto del fatto «che non è possibile pensare il concetto di realtà esistente senza intuizione», ha finito per identificare Dio col mondo, senza notare che la non-intuibilità «nulla prova contro la possibilità dell’oggetto in se stesso». Il Vernunftglaube inaugurato da Kant riunisce i due fondamenti (metafisico e iperfisico, corrispondenti rispettivamente ai primi due punti della definizione seguente) della conoscenza di Dio subordinandoli all’esigenza morale. Questa fede si compone di tre elementi: «1) il concetto necessario della ragione, ossia l’ideale metafisico della divinità; 2) l’incomprensibilità dell’esistenza divina; 3) il comandamento della ragion pratica, che rende necessaria la fede nella ragione». È implicito in questa concezione che l’auspicata realizzazione completa della fede razionale comporta l’eliminazione dei due fondamenti inadeguati e delle loro conseguenze (rispettivamente Un- e Aberglaube).

Le lettere V e VI costituiscono un unico blocco, essendo entrambe dedicate alla discussione del risultato della critica della ragione sulla vita futura, ovvero al dogma dell’immortalità dell’anima, inscindibile dalla credenza nell’esistenza di Dio essendo come questa un postulato morale. Anche qui la giustificazione storica, che fa riferimento alla rivelazione, viene separata (concettualmente e cronologicamente) da quella metafisica, basata unicamente sull’idea di anima. La prima, legata com’è alle rappresentazioni del cielo e dell’inferno (tra l’altro già stigmatizzate da Kant nella

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Religione nei limiti della semplice ragione, cap.II, sez.I), misconosce del tutto il carattere autonomo della moralità, subordinandola alle speranze e ai timori suscitati da quelle rappresentazioni. «La legge morale deve essere osservata perché pendono su di essa premi e punizioni nel futuro»: elevando un interesse egoistico a norma di condotta, questa asserzione (in cui trova espressione la «morale sovrannaturale» ovvero l’insieme dei comandamenti che l’uomo considera imposti da Dio) può generare al massimo un’«obbedienza da schiavi» che possiede soltanto «l’aspetto esteriore» dell’autentica morale naturale, rispetto alla quale le ricompense ultraterrene sono conseguenza anziché movente.

Altrettanto inefficace è la giustificazione metafisica. Il concetto di anima nasce dalla necessità di separare l’Io puro dal molteplice delle rappresentazioni del senso esterno ed interno. In quanto distinto dai corpi (e in particolare dal corpo del soggetto stesso), esso viene connotato come semplice; giacché poi riceve le rappresentazioni senza essere a sua volta rappresentazione, viene pensato come sostanza. Poiché queste due determinazioni sono con tutta evidenza puramente negative, il concetto di anima non potrà che designare un mero Etwas, un =X non ulteriormente specificabile. A questa conclusione si approda anche col seguente ragionamento. Si è stabilito che i concetti possono ricevere contenuto e realtà solo dalla percezione; d’altra parte, nel caso presente si fa espressamente astrazione dal sensibile poiché si vuole cogliere il soggetto assoluto che si trova al di là di ogni rappresentazione; il concetto cercato, pertanto, risulterà del tutto vuoto.30 Tutto il fondamento metafisico dell’immortalità dell’anima si regge sul paralogismo consistente nella sussunzione di tale concetto vuoto e negativo sotto la categoria intellettuale dell’esistenza, applicabile legittimamente soltanto agli oggetti dell’intuizione. D’altronde, anche l’ipotetico filosofo che concede tale fondamento non ottiene alcun guadagno in termini pratici:

Dal momento che la sopravvivenza alla morte metafisicamente dimostrata riguarda solo ciò che del suo proprio io egli non conosce, mentre esclude esplicitamente dalla vita futura quanto egli ha conosciuto nel corso della sua vita o, comunque, al

30 Reinhold non mette in dubbio che l’anima sia pensabile come spirito, né che Cartesio, così facendo, ne

abbia presentato l’idea nella forma più perfetta; semplicemente, osserva che neanche attraverso questo procedimento si può evitare che essa rimanga «un mero concetto dell’intelletto», ovvero che sia «pensabile solo dall’intelligenza e mai possa essere intuita dalla sensibilità» (BKP, p.118).

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riguardo lascia tutto incerto, al pensatore coerente la propria vita futura nel mondo invisibile non potrà risultare che indifferente.31

La sola alternativa a tale esito consiste per il metafisico nel dare un contenuto al concetto di anima utilizzando l’immaginazione, ma ciò significa ricadere in fantasticherie misticheggianti e pre-razionali altrettanto inefficaci dal punto di vista morale.

Nelle ultime due lettere della prima edizione Reinhold presenta un rapido Schizzo di una storia del concetto psicologico-razionale delle sostanze semplici pensanti, addentrarsi nel quale sarebbe fuori luogo. Basti qui notare come nella scoperta kantiana della sensibilità pura venga indicato lo Hauptschlüssel per conciliare ed unificare alcune tra le principali teorie psicologiche formulate dai greci. Si comincia col raggruppare i più importanti indirizzi filosofici classici in materialisti e spiritualisti, a seconda del ruolo assegnato da ciascuno al senso esterno. Più precisamente, stoici ed epicurei vengono denominati materialisti perché hanno considerato il senso esterno indispensabile alla conoscenza, ravvisando di conseguenza negli organi corporei una parte integrante della facoltà conoscitiva; platonici ed aristotelici vengono annoverati tra gli spiritualisti poiché hanno a tal punto distinto pensiero e sensazione, intelletto e sensibilità, da farne due anime diverse e ritenere la pura intelligenza fonte autosufficiente di conoscenze superiori. Riguardo in particolare alla psicologia aristotelica, Reinhold apprezza l’idea di un νοËς παθητικÚς che funge da mediatore tra Organisation corporea ed intelletto sensu stricto (agente); questa nozione, a suo parere, rivela che Aristotele ha per lo meno avvertito e tentato di risolvere l’inconveniente caratteristico delle teorie «spiritualiste», lo Abstand che separa mente e sensibilità. Ciononostante, l’«intelletto passivo» rimane per Reinhold, all’interno della dottrina aristotelica,

un mero effetto del collegamento dell’intelletto con l’organismo, una capacità contingente dell’intelletto vero e proprio, che anche senza di questa dispone di una recettività e spontaneità sua propria e quindi ha già in sé tutto l’occorrente per essere facoltà conoscitiva completa non solo in fatto di giudicare, ma quanto anche a rappresentazioni, giacché è affatto indipendente dalla sensibilità, dopo che questa gli

31 BKP, p.122.

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ha fornito la materia, e di conseguenza è al di fuori del destino degli strumenti sensibili, esente cioè dalla morte.32

L’accusa che Reinhold muove complessivamente alle posizioni materialistiche e spiritualistiche è il mancato riconoscimento, rispettivamente, della differenza e della connessione tra intelletto e sensibilità, nonché la confusione del primo col senso interno e della seconda con gli organi corporei (un’imprecisione dagli effetti particolarmente gravi nel caso dell’intelletto, poiché induce ad assegnare a questa facoltà, oltre al pensiero, la capacità di intuire la realtà in sé, sia quest’ultima l’insieme degli oggetti naturali o un regno di forme universali trascendenti o immanenti33). A mettere ordine in tale confusione interviene Kant, in particolare con la scoperta di un fondamento stabile e universale della sensibilità grazie al quale la radicale svalutazione platonica della conoscenza ricavata dai sensi si rivela inconsistente, come pure i secolari dubbi scettici mirati ad inficiare l’attendibilità di tale conoscenza. Il nuovo fondamento è rappresentato, come accennato sopra, dalle immutabili e necessarie strutture a priori che sorreggono e rendono possibile ogni esperienza, definibili come la mera «capacità dell’anima di essere modificata», la «recettività dell’anima, che deve antecedere ogni impressione mediata dagli organi, in quanto è il presupposto di ogni impressione di tale specie», e che va pertanto tenuta ben distinta dall’«attività organica» e dall’«attività sensoriale». L’intuizione empirica o rappresentazione immediata si compone dunque necessariamente di sensazione (da cui riceve la materia o contenuto) e sensibilità pura, sorgente della forma che conferisce ordine e unità al molteplice dato. L’intelletto, infine, considerato in senso lato come facoltà di pensare – cioè produrre rappresentazioni mediate (concetti) per mezzo di Prädicate e note caratteristiche [Merkmale] che mettono in connessione diverse intuizioni – costituisce in quanto tale il lato propriamente spontaneo del conoscere.34

32 BKP, p.157 (con leggere modifiche). Bisogna d’altronde notare che il più grave difetto (soprattutto per le

fatali implicazioni morali) dei sistemi materialistici è per Reinhold proprio l’affermazione, necessariamente risultante dalle loro premesse, della mortalità dell’anima (BKP, p.140).

33 Si tratta rispettivamente delle posizioni di Epicuro, Platone e Aristotele, secondo l’interpretazione

reinholdiana.

34 Alla luce di quanto detto non è sbagliato collocare nella spontaneità del soggetto – eventualmente intesa

in senso più ampio – anche le forme pure della sensibilità. A ciò non potrebbe essere obiettato che queste forme necessitano, a differenza dell’intelletto, di un materiale sensibile dato, poiché neppure l’attività intellettuale può prescindere da certe condizioni, cioè da quelle che rendono possibile l’intuizione. Del resto, lo stesso Reinhold sosterrà esplicitamente questa posizione nel Saggio sulla facoltà rappresentativa allorché, distinguendo nelle rappresentazioni in generale la materia dalla forma, individuerà come loro sorgenti rispettivamente l’oggetto e il soggetto.

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Il principale motivo di interesse di queste ultime due lettere sta nel fatto che Reinhold, oltre ad anticipare nella parte conclusiva numerosi aspetti che riprenderà in maggiore dettaglio nell’ambito della Elementarphilosophie, mette in atto attraverso il confronto (quanto storicamente attendibile, qui non è in questione) tra le diverse psicologie greche, e poi tra queste e la filosofia kantiana, il medesimo procedimento che abbiamo incontrato nelle lettere precedenti e che si ripresenterà in diversi ambiti, sempre con lo scopo di mostrare in concreto l’efficacia del criticismo come strumento per discernere e raccogliere insieme ciò che vi è di corretto e moralmente valido nelle opinioni di volta in volta incontrate.35 Questo approccio pratico al pensiero kantiano,36 certamente inconsueto agli occhi dello studioso contemporaneo, questa ricercata, insistita esportazione ed applicazione dei suoi risultati ai settori più diversi del vivere sociale e individuale, basata su una generale concezione utilitaristica ed applicativa della filosofia di chiara impronta illuministica (e su una conoscenza della stessa Critica tutto sommato non ancora matura) ha contribuito, pur con i suoi limiti, in misura assai maggiore rispetto ai dotti e vivaci dibattiti accademici a divulgare, nella misura del possibile, concetti tanto nuovi quanto decisivi per la successiva evoluzione della cultura filosofica.

§2. IL PERIODO DI JENA

2.1. DAI RISULTATI DELLA CRITICA ALLA SUA RIFONDAZIONE: GLI SCRITTI ESTETICI

Oltre a rendere, come si è detto, la filosofia kantiana e le prime discussioni sorte intorno ad essa accessibili a un pubblico ben più vasto della cerchia accademica, oltre ad alimentare l’attesa di un’imminente rivoluzione culturale capace di scalzare dalle fondamenta la vecchia metafisica di scuola e le tradizionali credenze morali e religiose, preparando l’avvento di una nuova società interamente rischiarata e governata dalla ragione, il grande successo editoriale delle Lettere fa di Reinhold il principale interprete della Critica agli occhi dell’opinione pubblica e gli procura nel marzo del 1787 – grazie

35 Questo metodo sarà seguito ad esempio nel primo saggio dei Beyträge I riguardo alla definizione del

concetto di filosofia (cf. Beyträge zur Berichtigung bisheriger Missverständnisse der Philosophen, Erster Band das Fundament der Elementarphilosophie betreffend, hg. von J.M.Mauke, Jena 1790, pp.61-85) e in Über das Fundament des philosophischen Wissens (d’ora in avanti Fundamentschrift) riguardo appunto al fondamento della filosofia, individuato da Kant nella «possibilità dell’esperienza determinata nell’animo prima di ogni esperienza» (Fundamentschrift, hg. von J.M.Mauke, Jena 1791, pp.56-61).

36 Cf. A.VON SCHÖNBORN, Karl Leonhard Reinhold:”…Endeavouring to keep up the pace mit unserem

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anche all’appoggio di Herder – la nomina a professore straordinario di filosofia kantiana all’università di Jena per volere del duca Carlo Augusto di Sassonia-Weimar-Eisenach (la cattedra stessa è istituita per l’occasione). Al cambiamento di residenza corrisponde una significativa svolta nel percorso intellettuale del nostro autore: lasciatosi alle spalle il relativo isolamento in cui aveva vissuto a Weimar in quanto membro della limitata entourage del Wieland e bersaglio di una malcelata ostilità da parte di Goethe, egli inaugura adesso il periodo più proficuo e creativo della sua carriera, ponendo al contempo le premesse per la gloriosa ascesa in seguito alla quale Jena diverrà nell’arco di pochi anni la culla dell’idealismo classico.37

Nel nuovo ambiente Reinhold ha modo di intrattenere rapporti con intellettuali di primo piano: fa conoscere Kant a Schiller e frequenta il prestigioso circolo di Ch.G.Schütz, a cui prendono parte tra gli altri W.von Humboldt, G.H.Hufeland e persino Goethe. Proprio in queste esperienze è da rintracciare la causa dell’orientamento prevalentemente estetico assunto dal pensiero reinholdiano tra il 1787 e il 1788. Non si tratta, come vedremo subito, di una mera digressione rispetto a suoi precedenti interessi o alle incombenze accademiche legate all’interpretazione e divulgazione del criticismo; è piuttosto una fase intermedia in cui si addensano spunti e problemi di grande rilievo sia in senso – per così dire – retrospettivo che prospettivo: alla ripresa di temi che avevano occupato una posizione centrale nella giovanile produzione illuministica, come ad esempio la diffusa svalutazione del cristianesimo a favore dei culti pagani dell’età classica, nonché l’attesa di una nuova epoca di riconciliazione all’insegna della ragione, si affianca l’anticipazione di motivi che si riveleranno cruciali nel progetto della Elementarphilosophie, quali il deciso approccio fenomenistico e la concezione del compiacimento estetico come funzione della facoltà appetitiva [Begehrungsvermögen], parte integrante – insieme alla facoltà conoscitiva [Erkenntnissvermögen] – dell’onnicomprensiva facoltà della rappresentazione [Vorstellungsvermögen]. A smentita del giudizio complessivo di Fichte, secondo il quale, «benché il progetto di una nuova filosofia del principio e dell’unità sia da apprezzare,

37 Dopo il trasferimento di Reinhold all’università di Kiel (1794), a Jena insegnano Fichte (1794-1799),

Schelling (1798-1803), Hegel (1801-1806) e F. Schlegel. Sempre a Jena ha il suo centro, come è noto, il breve e incisivo movimento della Frühromantik (1796-1801) che raccoglie intorno ai fratelli Schlegel poeti e letterati del calibro di Novalis, L.Tieck, W.H.Wackenroder e, in minor misura, F.Schleiermacher, nonché gli stessi filosofi Fichte e Schelling. D.HENRICH (Between Kant and Hegel – Lectures on German Idealism,

Harvard University Press, Cambridge [Massachussets] & London 2003, pp.121-123) fa notare come anche la collocazione geografica della città, al centro della Germania (in opposizione all’isolata e difficilmente raggiungibile Königsberg, da cui Kant non si è mai allontanato), abbia contribuito in misura non trascurabile a tale rigoglio culturale. Per un ulteriore ragguaglio sulla situazione generale dell’università di Jena in quegli anni si veda ID., Konstellationen – Probleme und Debatten am Ursprung der idealistischen Philosophie, Klett-Cotta, Stuttgart 1991, pp.229-235.

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Reinhold fa filosofia in modo certamente troppo ortodosso, formale, senza cogliere la mobilità e la libertà del pensiero», e in opposizione alle analoghe critiche mosse da Hegel e Schelling, le riflessioni di questo periodo relative al Geschmack rispondono anzitutto all’intima esigenza di «rendere sensibile» e «mitologica» la ragione ed opporsi, attraverso l’educazione simultanea della mente e del cuore, all’arida deriva intellettualistica di certe tendenze unilaterali dell’illuminismo; in secondo luogo (e in parziale contraddizione con questa esigenza) si manifesta a poco a poco il bisogno di conferire una forma scientifica alle ricerche estetiche, sorto dall’auspicio di un superamento critico – in grado di apportare concreti benefici alla società – dei dissensi filosofici anche in tale ambito, secondo il medesimo procedimento già seguito nelle Lettere a proposito della religione e utilizzato più tardi nel primo libro del Versuch.

Accanto al diritto naturale in giurisprudenza, alla religione razionale in teologia e alla critica kantiana della ragione nella psicologia razionale, Reinhold considera la dottrina del gusto in campo estetico come uno di quei settori scientifici che grazie all’elaborazione ed esposizione dei loro contenuti secondo regole e principî universali hanno contribuito ad una svolta positiva nello sviluppo culturale della Germania del XVIII secolo.38

Da qui alla sussunzione dell’estetica sotto il supremo principio di ogni scienza esposto poco più tardi nella Elementarphilosophie, la distanza è breve. Un ultimo significativo aspetto da menzionare prima di una rapida analisi dei testi in questione è rappresentato dalla tendenza reinholdiana – ancora evidente nel Versuch e nei Beyträge – alla fusione di elementi kantiani e pre-critici. Ciò appare ad esempio, da un lato, nella chiara volontà (di matrice baumgarteniana) di integrare l’analisi logica dei concetti con l’esame dei contributi ad essi forniti dalla sensibilità (facultas inferior), al fine di realizzare l’ideale di una «completa determinazione del concetto» che affianchi chiarezza (estensionale) e distinzione (intensionale); dall’altro, nella sorprendente anticipazione del tema (centrale nella terza Critica kantiana, edita per la prima volta solo nel 1790, e nelle Lettere schilleriane sull’educazione estetica) della funzione peculiare assegnata alla facoltà di

38 M.BONDELI, Geschmack und Vergnügen in Reinholds Aufklärungskonzept und philosophischem

Programm während der Phase der Elementarphilosophie, in F.Strack (Hg.), Evolution des Geistes: Jena um 1800. Natur und Kunst, Philosophie und Wissenschaft im Spannungsfeld der Geschichte, Stuttgart, Klett-Cotta 1994, pp.357-358.

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giudizio, ossia la mediazione e il «[superamento della rottura] tra ragione teoretica e pratica, natura e libertà».39

Reinhold inaugura la sua attività accademica nel settembre 1787 con la prolusione L’influenza del gusto sulla cultura delle scienze e dei costumi che si apre con uno schizzo di storia dei rapporti tra cultura e sensibilità estetica incentrato sulla solita opposizione tra classicità ed età cristiana. Significativo è il fatto che i numerosi studi di età illuministica dedicati all’individuazione delle facoltà e delle dinamiche soggettive che entrano in gioco nel compiacimento per la bellezza vengono qui indicati come immediato antecedente della «psicologia trascendentale» e della teoria della facoltà di rappresentazione in generale. Nella seconda parte dello scritto, basata sull’essenziale contributo del gusto all’equilibrata integrazione di sensibilità e ragione, il bello e il sublime vengono differenziati in quanto «intuizioni immediate di un’armonia» tra l’immaginazione da un lato e, rispettivamente, l’intelletto e la ragion pratica dall’altro.

Il saggio Sulla natura del piacere (Teutscher Merkur, ottobre-novmbre 1788 e gennaio 1789) mostra, anche a motivo della vicinanza cronologica, chiare analogie col Versuch. Concepito originariamente in due parti dedicate alla precisa determinazione del concetto di Vergnügen secondo l’impiego che ne fanno rispettivamente i filosofi precritici e Kant, si limita in realtà ad un abbozzo della prima parte (questo giustifica il cambiamento del titolo nella ristampa del 1796 all’interno delle Vermischte Schriften: Sulle concezioni del piacere fino ad ora). In primo luogo, una definizione del piacere universalmente accettata è presentata come premessa necessaria per la soluzione delle attuali dispute in campo psicologico, estetico e morale (un’analoga convinzione, in riferimento al concetto di rappresentazione, starà poi alla base dell’Elementarphilosophie). Dopo aver riferito le cinque posizioni principali sull’argomento,40 Reinhold dichiara la necessità di

un’impostazione rigorosamente fenomenistica della ricerca: la realtà in sé non è qui in

39 M.BONDELI, Geschmack und Vergnügen […], cit., p.366. Cf. inoltre Kant, Critica del Giudizio,

Introduzione, §§II e III. Sottolineo poi, riguardo all’Educazione estetica, che la ben nota distinzione – esposta nella lettera XII e ripresa da Reinhold nel Versuch, p.561 sgg. – tra Formtrieb e Stofftrieb, che Schiller tenta di superare attraverso l’originale aggiunta di un impulso superiore derivato da entrambi, lo Spieltrieb, costituisce una chiara evidenza della decisiva influenza reinholdiana su questo testo.

40 Vale a dire: Soggettivismo immediato (Du Bos, Pouilly) che non va oltre il piano della rappresentazione;

oggettivismo immediato (Wolff, Mendelssohn) che «rende il fenomeno del piacere del tutto dipendente dall’oggetto»; unificazione dei due con accentuazione unilaterale della soggettività (Sulzer), che intende il godimento estetico come un’attività dell’animo suscitata da oggetti dotati di «unità strutturale tra molteplicità ed unità», ovvero semplicemente belli, concentrandosi però esclusivamente sul primo aspetto; unificazione dei primi due con accentuazione unilaterale dell’oggettività (Helvétius), che parte dallo stesso presupposto ma finisce per appiattire l’intera facoltà di rappresentazione sui sensi; e infine la posizione che integra i contributi di tutte le precedenti, attribuita da Reinhold a Kant, Platner e a se stesso senza precise distinzioni (cf. M.BONDELI, Geschmack und Vergnügen […], cit., pp.361-366).

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esame perché il piacere estetico, in quanto sentimento, si situa all’interno della coscienza ed è basato su rappresentazioni soggettive. Vengono infine tracciate le linee fondamentali della teoria delle facoltà: l’Erkenntnissvermögen è la componente per mezzo della quale la coscienza, entrando in rapporto con gli oggetti in se stessi (l’esistenza dei quali Reinhold non metterà mai in dubbio), produce rappresentazioni che possono poi stimolare, in qualità di oggetti dell’appetito, il Begehrungsvermögen. Componenti delle rappresentazioni sono poi una molteplicità sensibile data e un ordine in essa attivamente prodotto dall’intelletto; il desiderio, a seconda che venga suscitato dall’uno o dall’altro elemento, è rispettivamente istinto egoistico o impulso spirituale (da quest’ultimo hanno origine bellezza e moralità). In generale si può definire il Vergnügen come la percezione dell’adeguatezza di una rappresentazione alla soddisfazione di uno stimolo [Trieb] sorto in precedenza.41

Come detto, il quadro trascendentale delle facoltà umane qui rapidamente tratteggiato verrà riesposto in dettaglio nel Saggio dove il concetto di rappresentazione sarà assunto come motivo centrale e unificante dell’intera analisi. Prima però di addentrarsi nell’esame ravvicinato di questo testo che, insieme ai Contrubiti alla rettifica dei fraintendimenti che si sono verificati tra i filosofi sino a questo momento (1790 e 1794), rappresenta senza dubbio il culmine della produzione criticista reinholdiana, è opportuno, per completezza, soffermarsi sul contesto problematico e polemico all’interno del quale esso è maturato, menzionando in particolare un importante articolo che ne ha preceduto (e, nelle intenzioni di Reinhold, preparato) la pubblicazione. A tal fine si rende necessaria una breve digressione preliminare.

2.2. LA DISPUTA TRA KANT ED EBERHARD

Nella contrversia tra sostenitori e avversari del kantismo alla fine del Settecento assume un rilievo particolare – sia per l’asperità della polemica, sia per l’effettiva consistenza teorica dei temi in questione – la querelle che oppone dal 1788 al 1792 due tra le più note riviste filosofiche dell’epoca, la ALZ e il Philosophisches Magazin. Non essendo qui possibile scendere nei dettagli di questa violenta schermaglia filosofica (peraltro

41 Cf. A.PUPI, cit., pp.118-122.

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meritevole di studi approfonditi), ci limiteremo ad alcuni cenni finalizzati unicamente a rendere comprensibile la posizione assunta in essa dal nostro autore.42

Il Magazin era stato fondato a Halle da J.A.Eberhard43 allo scopo di far luce, tramite una puntuale ed imparziale comparazione della Critica con la metafisica leibnizio-wolffiana, sugli effettivi risultati del pensiero kantiano e permettere al publico dei lettori delle opere filosofiche (non più limitato ai soli specialisti, grazie all’azione benefica dell’Aufklärung) di «riprendersi dallo stordimento» provocato «dalla sottigliezza dell’analisi e dalla novità della terminologia».44 In realtà, grazie alle decise prese di posizione di Eberhard e dei suoi collaboratori (principalmente J.G.Maaß e J.E.Schwab), quel progetto si era rapidamente trasformato in un’aspra requisitoria antikantiana, sistematicamente volta a refutare le tesi esposte nella Critica o a ricondurle a posizioni tradizionali, negandone l’originalità. Presentiamo qui schematicamente i punti principali di questo attacco, concentrandoci in particolare sull’ultimo, la distinzione dei giudizi in analitici e sintetici.

1) Contro la limitazione kantiana della conoscenza agli oggetti suscettibili di intuizione sensibile, Eberhard argomenta che la stessa naturalezza – ammessa anche da Kant – dell’impulso razionale all’indagine speculativa autorizza a tener per vere le conclusioni a cui tale indagine approda: considerare la ragione, che di per sé è l’«unica base per distinguere tra illusione e verità», come a sua volta fonte di un’illusione peculiare,45

42 Per un ragguaglio più preciso rimando a H.E.ALLISON, The Kant-Eberhard controversy. An english

translation together with supplementary materials and a historical-analytic introduction of I.Kant’s “On a discovery According to which any new critique of pure reason has been made superfluous by an earlier one, John Hopkins University Press, Baltimore and London, 1973; I.KANT, Contro Eberhard – la polemica sulla

critica della ragion pura, a c. di C.La Rocca, Giardini, Pisa 1994 (si vedano in particolare le rispettive introduzioni).

43 Nonostante oggi sia ricordato pressoché esclusivamente per lo Streit con Kant e venga perciò

normalmente additato come rigido difensore del dogmatismo leibniziano, Eberhard fu in realtà tutt’altro che un pedissequo tradizionalista.

Portati a termine gli studi di teologia, filologia e filosofia all’università di Halle, si trasferì a Berlino dove conobbe Mendelssohn e Lessing e pubblicò la sua prima e più importante opera, la Nuova apologia di Socrate, o Ricerche sulla dottrina della beatitudine dei pagani (1772), in cui sosteneva fermamente, in linea con la coeva corrente neologica, la possibilità di salvezza per i pagani e si opponeva alla concezione leibniziana (poi difesa contro di lui da Lessing) della durata eterna delle pene infernali. Nella Teoria generale del pensiero e della sensazione (1776), premiata dall’Accademia delle scienze di Berlino, esponeva alla luce delle più recenti scoperte nella teoria della percezione la propria dottrina psicologica, basata sulla riconduzione di pensiero e sensazione ad una fonte comune, la rappresentazione, ed avversava l’innatismo teorizzato da Leibniz nei Nuovi saggi sull’intelletto umano. Ottenuta nel 1778 la cattedra di filosofia all’università di Halle, redasse in quegli anni una grande quantità di manuali e saggi di notevole successo, curando in particolare gli aspetti formali e stilistici in ossequio all’ideale tipicamente “popularphilosophisch” di una perfetta fusione tra piacevolezza letteraria e profondità di contenuti.

44 J.A.EBERHARD, Notizia sullo scopo e sull’impostazione di questa rivista filosofica, in I.KANT, Contro

Eberhard, cit., pp.167-170.

45 Si tratta della ben nota «parvenza trascendentale» che Kant pone alla base dell’intera Dialettica della

ragion pura (KRV, B 349-366). Si veda H.E.ALLISON, cit., p.18. Questa obiezione precorre ciò che dirà Maimon alla fine della sua Logica, quando accuserà Kant di rendere la ragione paradossalmente irrazionale.

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significa cadere inevitabilmente nello scetticismo. Per contro, i principî razionali di non contraddizione e di ragion sufficiente hanno validità oggettiva a priori, poiché il primo è condizione della pensabilità di qualsiasi cosa e il secondo è direttamente dimostrabile a partire da quello, secondo un procedimento già illustrato da Wolff e Baumgarten. Non è difficile prevedere la risposta kantiana a questo primo punto:46 Eberhard, come già

Leibniz, confonde la logica generale, concernente le sole leggi e condizioni formali del pensiero, con la logica trascendentale che prende in considerazione il contenuto reale dei concetti, ovvero la loro effettiva connessione con gli oggetti intuiti. I due principî menzionati non svolgono nella logica trascendentale alcuna funzione costitutiva: la non-contraddittorietà è una semplice condizione necessaria della pensabilità dei concetti, mentre l’ambiguità della proposizione “ogni cosa ha una causa” nasconde una fallacia. Se inteso sul piano logico, infatti, il principio equivale al giudizio: “ogni asserzione deve essere inferita da una proposizione precedente”; poiché nel termine “asserzione” (in quanto distinto da “assunzione” o “postulato”) è implicito un riferimento alla deducibilità, ci troviamo di fronte ad un giudizio analitico. Se inteso invece come principio trascendentale o metafisico, esso si traduce nell’Antitesi della terza antinomia della ragione («non c’è libertà alcuna, ma tutto nel mondo accade esclusivamente in base a leggi di natura») ed è perciò valido solo in quanto regola mediante cui la ragione prescrive all’intelletto di applicare la categoria di causa ai fenomeni di volta in volta indagati; se d’altra parte si pretende, come Leibniz ed Eberhard, di estenderlo ulteriormente alla realtà in sé, non si può che giungere, contro le intenzioni di questi stessi autori, a negare la libertà e l’esistenza di Dio in quanto incondizionato.

2) Eberhard cerca poi di mostrare concretamente come l’intelletto sia in grado di elevarsi alla conoscenza dell’autentica essenza delle cose a partire dal sensibile. A tal fine stabilisce un’azzardata corrispondenza tra la distinzione kantiana di intuizione e concetto e quella leibniziana di conoscenza intuitiva e simbolica,47 dando luogo ad una confusione

46 Cf. I.KANT, Su una scoperta secondo la quale ogni nuova critica della ragione sarebbe resa superflua da

una più antica, in Contro Eberhard, cit., pp.67-74; KRV, Anfibolia dei concetti della riflessione, B 316-346.

47 Che tali nozioni siano del tutto eterogenee risulta dal breve cenno seguente. Nel fondamentale saggio del

1684 Meditationes de cognitione, veritate et ideis Leibniz, riprendendo l’ormai classica distinzione cartesiana tra intuitus e deductio (cf. R.DESCARTES, Regulae ad directionem ingenii, nn. III e XII)

nell’ambito di una disamina sui diversi gradi di chiarezza e distinzione delle idee, definisce adeguata la conoscenza di una nozione le cui note costitutive vengono pensate («intuite») contemporaneamente dall’intelletto nella loro totalità, in opposizione alla conoscenza simbolica basata sull’uso di segni che denotano una data porzione dell’intensione di un concetto che per complessità e ricchezza di tratti caratteristici non può essere colto interamente con un solo atto di pensiero (cf. W.G.LEIBNIZ, Scritti di logica, Zanichelli, Bologna 1968, pp.227-229). Com’è evidente, la sola caratterizzazione dell’intuizione come operazione intellettuale è sufficiente ad escludere qualsiasi analogia con Kant.

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terminologica che culmina nell’arbitraria identificazione (né leibniziana né kantiana) tra intuizione sensibile e immagine mentale. Mentre la conoscenza sensibile-intuitiva ha per oggetto individui determinati, l’intelletto, astraendo da tali contenuti, afferra generi e specie intesi come «allgemeine Dinge» ovvero entità universali realmente sussistenti alla base del mondo fenomenico. Come ulteriore prova dell’indipendenza della conoscenza intellettuale dall’immaginazione e dalla sensibilità, Eberhard riporta l’esempio (già Cartesiano48) del chiliagono, figura non ricostruibile in un’esatta immagine mentale (in altri termini, per Eberhard: non intuibile), ma di cui l’intelletto è capace di comprendere e dimostrare svariate proprietà. Questa obiezione è strettamente legata alla successiva, nella formulazione ed articolazione della quale Eberhard riprende argomenti già proposti da Maaß, J.A.Pistorius e – per gli aspetti strettamente matematici della questione – A.G.Kästner.

3) La concezione kantiana di spazio e tempo come forme a priori dell’intuizione (ed essi stessi intuizioni pure) è ritenuta errata e soggetta ad un’inevitabile deriva idealistica che conduce alla riduzione degli oggetti conoscibili a vacue apparenze. Presupponendo la menzionata fallace identificazione tra intuizione ed immagine, nonché l’ulteriore equazione tra a priori e innato, Eberhard ha gioco facile nel mostrare come spazio e tempo si riducano ad assurde qualitates occultae, rese oltretutto intimamente contraddittorie dall’impossibilità per la mente umana di raffigurarsi in atto qualcosa di infinito.

La scorrettezza della concezione kantiana si manifesta con particolare evidenza, secondo Eberhard, in ambito matematico. Punti di partenza e principî delle dimostrazioni geometriche sono le definizioni: ancor prima dei teoremi, gli assiomi – suddivisi in «primari» e «derivati» a seconda che la loro natura di proposizioni analitiche sia immediatamente evidente o sia resa difficilmente riconoscibile dalla presenza di elementi intuitivi o sensibili connessi ai concetti – possono essere ricondotti a quelle tramite i principî di identità e non contraddizione, mentre l’intuizione, lungi dal fondare (come in Kant) la necessità della scienza, è abbassata a mero supporto immaginativo di rapporti concettuali. Anche l’aritmetica è considerata analitica: la famosa proposizione «7+5=12» viene dimostrata per ricorsione (cf. infra, nota 195) e l’apporto dell’intuizione in generale è ridotto all’uso di segni [Zeichen] riferiti a concetti.

48 R.DESCARTES, Meditationes de prima philosophia, pp. 88-89 (in Œuvres de Descartes, a c. di Ch.Adam,

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