• Non ci sono risultati.

IInnttrroodduuzziioonnee MMeellttiinngg ppoott ccuullttuurraallee ee ssoocciieettàà mmuullttiieettnniicchhee:: eessiissttee BBaabbeellee??

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "IInnttrroodduuzziioonnee MMeellttiinngg ppoott ccuullttuurraallee ee ssoocciieettàà mmuullttiieettnniicchhee:: eessiissttee BBaabbeellee??"

Copied!
26
0
0

Testo completo

(1)

I

I

n

n

t

t

r

r

o

o

d

d

u

u

z

z

i

i

o

o

n

n

e

e

M

M

e

e

l

l

t

t

i

i

n

n

g

g

p

p

o

o

t

t

c

c

u

u

l

l

t

t

u

u

r

r

a

a

l

l

e

e

e

e

s

s

o

o

c

c

i

i

e

e

t

t

à

à

m

m

u

u

l

l

t

t

i

i

e

e

t

t

n

n

i

i

c

c

h

h

e

e

:

:

e

e

s

s

i

i

s

s

t

t

e

e

B

B

a

a

b

b

e

e

l

l

e

e

?

?

(2)

Questo lavoro si sviluppa attorno al fondamentale contributo di un’insigne ricercatrice, attualmente professoressa di linguistica all’Australian National University: Anna Wierzbicka. I suoi studi e le sue indagini hanno toccato una varietà disciplinare esorbitante, senza contare i notevoli risultati ottenuti. La sua opera, tuttavia, ancora non ha ricevuto l’interesse che merita (in particolare nel nostro paese), visti i suoi successi e i suoi potenziali utilizzi a livello panoramico nella comunicazione interculturale, come in campo sociologico o antropologico.

Anna Wierzbicka è nata in Polonia nel 1938 ed è emigrata in Australia nel 1972, avendo sposato un australiano. L’impatto con una cultura diversa ha stimolato i suoi studi linguistici, già avviati grazie al notevole entusiasmo in lei suscitato dalla lettura che l’università di Varsavia le aveva fornito in merito al problema degli universali semantici, ad opera del noto linguista Andrzej Bogusławski. La studiosa ha attribuito così tanta importanza alla sua esperienza di immigrata, da ritenere l’impatto con la diversità culturale un elemento essenziale anche allo sviluppo di una metodologia: l’analisi empirica che si prospetta nei suoi studi abbraccia la differenza linguistica e culturale tramite le esperienze personali e quotidiane degli individui stessi. Lavorando in un paese profondamente distinto da quello originario, Wierzbicka è costretta a cambiare molto di se stessa, delle sue strategie comunicative e del suo modo di interagire sul piano sociale. A questo proposito, si è impegnata in un’ardua ricerca, basata sulla scoperta delle segrete relazioni che interessano linguaggio e cultura, e aperta al confronto con la diversità.

(3)

La ricercatrice, dovendo lavorare specificatamente con lingue provenienti da varie parti del mondo, si è subito circondata di un valido team per garantire un supporto empirico ai suoi studi. Uno dei collaboratori più importanti, che ha condotto alla massima realizzazione gli scopi prefissati, è Cliff Goddard, associato alla University of New England, sempre in Australia. Assieme a Goddard, Wierzbicka ha elaborato lo strumento che le conferirà tutto il suo successo: il

Natural Semantic Metalanguage. Le assunzioni di partenza, che hanno permesso la realizzazione di tale elemento, sono essenzialmente focalizzate sulla convinzione dell’esistenza di un ristretto numero di significati universalmente validi, detti

semantic primes (o primitivi semantici). Tale apparato di concetti si rivela incredibilmente utile all’analisi linguistica e culturale: per esplicitare parole e costruzioni grammaticalmente complesse, appartenenti a mondi culturali specifici; per articolare il significato di valori e ideali culturali alieni alla nostra prospettiva, e, infine, per risolvere ogni tipo di problema di traduzione o definizione. Le applicazioni di questa teoria sono indubbiamente ampie: dalla lessicografia all’insegnamento di una lingua straniera, dallo studio dell’acquisizione linguistica nei bambini alla comunicazione interculturale…

L’idea base che regola questo progetto è la possibilità di descrivere significati incomprensibili o molto complessi attraverso altri più semplici: si tratta quindi di operare un’analisi semantica attraverso parafrasi, ottenute proprio dall’apparato di concetti universalmente diffusi. Tale set di elementi, assieme a delle specifiche regole di combinazione, costituisce una sorta di mini-linguaggio, utile alla spiegazione di qualsiasi tipo di lingua, dotato, dunque, della medesima

(4)

capacità espressiva di questa. La lista di primitivi semantici è stata elaborata nel corso degli anni, a partire proprio dal 1972. Attualmente, si contano circa sessanta elementi, molti dei quali ancora sotto sperimentazione. La gestazione e l’identificazione di questa serie di concetti è ineludibilmente lunga e faticosa, poiché implica un lavoro preciso di confronto e comparazione fra lingue estremamente diverse, senza considerare che si fonda su un procedere per tentativi, quindi assolutamente ipotetico fino a prova contraria. Tenendo conto che questi primitivi devono spiegare qualsiasi significato, è sufficiente, quindi, rintracciare quei termini fondamentali alla definizione di tutti gli altri per riuscire nell’intento. A questo scopo, occorre un programma estensivo di ricerca, volto alla stesura della lista più semplice e versatile possibile. Il metalinguaggio risultante ha portato i ricercatori alla conclusione che, essendo stato elaborato dallo studio sincronico di lingue estremamente variegate, esso sia traducibile in qualsiasi idioma. Nel 1994 Wierzbicka e Goddard hanno stilato alcune importanti conclusioni relative alla manifestazione tangibile di questi concetti primari in ogni lingua del mondo. Ogni primitivo semantico ha, secondo questa ipotesi, uno o più corrispondenti lexical universals (universali lessicali) in ogni lingua, cosicché ci siano tante versioni isomorfe del metalinguaggio agganciate alle specifiche lessicalizzazioni del caso. Gli universali lessicali hanno rappresentato un duro ostacolo per i ricercatori impegnati in questo progetto, proprio perché non sempre un concetto è facilmente rintracciabile. Si sono, pertanto, studiati vari fenomeni particolari (polisema, allolexy, portmanteaus, resonance …) per giungere al ritrovamento di parole o morfemi che siano rappresentazione linguistica dei

(5)

concetti primitivi umani e che ne spieghino le relazioni e gli sviluppi. Non amando la formalità assoluta, Wierzbicka ha preferito dare un volto “naturale” al suo metalinguaggio, immaginando di poter adottare la sua versione più confacente alle esigenze del caso, quindi perfettamente combaciante col linguaggio naturale prediletto dall’utente. In questo modo, il metalinguaggio assume una precisa interfaccia: quella di una lingua comune qualsiasi, in grado di renderlo estremamente facile da maneggiare per chiunque.

I primitivi semantici rappresentano, dunque, gli elementi della concettualizzazione linguistica, capaci di realizzare o costruire qualsiasi significato in qualsiasi mondo culturale e a proposito di qualsiasi cosa sia umana: emozioni, interiezioni, concetti, pensieri, atti linguistici…

Le pubblicazioni in merito, sia da parte di Wierzbicka che di Goddard, sono notevoli e spaziano in un variegato contesto disciplinare. Qui si è deciso di utilizzare solo le risorse più facilmente reperibili e più interessanti dal punto di visto filosofico e antropologico1.

1.

Linguaggio e pensiero: lo scarto tra relativismo e

universalismo

“Language is a tool for expressing meaning. We think, we feel, we perceive –and we want to express our thoughts, our feelings, our perceptions. Usually we want to express them because we want to share them with other people, but this is not always the case. We also need a language to record our thoughts and to

1 Per questo prospetto si consulti il sito ufficiale del Natural Semantic Metalanguage, una delle poche fonti

(6)

organise them. […] The common denominator of all these uses of language is not communication but meaning”2. Così la ricercatrice polacca Anna Wierzbicka

introduce il lettore al suo lavoro di analisi comparata dei linguaggi, volto alla scoperta della possibilità di indagare la diversità linguistica attraverso un potenziale spiraglio di uniformità. Se, difatti, si concepisce il linguaggio come veicolo di significati, immaginati come elementi indipendenti e possibilmente separabili dal contesto di fondo, dovrebbe essere lecito il loro estrapolarsi dallo scenario in cui sussistono per poi riproporsi e ripresentarsi, attraverso la varietà linguistica, in diverse prospettive. Tuttavia, è facile rendersi conto delle profonde difficoltà che si incontrano, a livello semantico, nel cimentarsi in una traduzione tra due linguaggi naturali distinti. “Thoughts cannot be transferred from one language to another because every thought depends on the language in which it has been formulated”3; dunque, ogni pensiero è intessuto di una propria trama di

significati, veicolati a loro volta da un linguaggio che risalta la specificità di questi. Il primo campo d’indagine qui proposto è proprio quello che riguarda il reciproco coinvolgimento di linguaggio e pensiero, che ha condotto allo sviluppo di due essenziali prospettive in contrapposizione: quella relativista e quella universalista. La prima si sviluppa principalmente attraverso l’opera di Franz Boas, uno dei pionieri dell’antropologia moderna, secondo cui, considerato il carattere universale della cultura e la specificità di ogni ambito culturale, ogni società è unica e diversa da tutte le altre, mentre i costumi hanno sempre una giustificazione nel loro contesto specifico. Il relativismo culturale, infatti, si

2Wierzbicka (1992a), Introduction, par. 1, p. 3.

(7)

costruisce sulla convinzione per cui ogni cultura ha una valenza non rapportabile alle altre, ed ha quindi valore di per sé. I vari gruppi etnici dispongono, secondo questa ottica, di diverse culture e tutte hanno valore in quanto tali. Il ruolo dell'antropologo viene, di conseguenza, ristretto all’analisi e alla conoscenza profonda di tali espressioni culturali nella loro specificità, mentre ogni valutazione ulteriore è messa al bando come espressione di etnocentrismo. Dal relativismo culturale si giunge fino a quello linguistico4, che postula l’esistenza di categorie

distinte in linguaggi diversi, tali da condurre i vari parlanti a costruirsi immagini della realtà e stili di vita completamente differenti.

Passando alla seconda ipotesi, quella universalista, si può dire che essa sviluppa l’idea che ogni linguaggio si evolve e si distingue a seconda dell’ambiente culturale in cui cresce l’individuo, partendo, però, da una matrice biologica universale comune a tutta la specie umana. Il linguaggio non ci fornisce quindi la possibilità di realizzazione di distinte categorizzazioni del mondo esteriore, ma degli schematismi universali con cui rapportarci ad esso5. Questa

scuola di pensiero si appoggia all’assunzione dell’esistenza di principi generali che limitano la variazione linguistica, dal momento che un numero considerevole di lingue vi si adatta. In questa ottica, non è importante che tutti i linguaggi si adeguino ad un certo universale linguistico affinché questo venga considerato tale, piuttosto, è fondamentale che nessuna lingua lo contraddica6.

4 Gli studiosi che hanno accuratamente contribuito allo sviluppo di questo tipo di visione sono: Wilhelm von

Humboldt, Edward Sapir e Benjamin Lee Whorf. Cfr. Capitolo I, par. 1, dove la questione verrà trattata più approfonditamente.

5 Idea fondamentalmente sviluppata da Noam Chomsky, che ha ampiamente contribuito allo sviluppo del

programma universalista con una notevole svolta all’interno della linguistica contemporanea. Wierzbicka (1992a), Introduction, par. 1, p. 3.

6 Pioniere di questi studi fu l’americano Joseph Greenberg, linguista e antropologo specializzato nello studio

(8)

Indubbiamente, entrambe queste teorie hanno degli aspetti incontestabili. Per quanto riguarda il relativismo, è innegabile la sua validità dal punto di vista della constatazione empirica dell’estrema varietà linguistica che interessa il nostro pianeta; d’altro canto però, come ogni diversità, sarà filosoficamente e scientificamente necessario un qualche “terreno franco” comune per far sì che essa sia intelligibile o anche soltanto visualizzabile. Wierzbicka riesce a fondere insieme queste due prospettive, rivedendo e approfondendo l’idea di reciproco coinvolgimento di linguaggio e pensiero. Tali elementi costituiscono i tasselli fondamentali su cui si è costruita la barriera che divide il relativismo dall’universalismo. Il primo immagina la prominenza assoluta del linguaggio su tutti gli aspetti della vita dell’uomo e sulla possibilità e organizzazione della stessa esperienza quotidiana, associando la creazione delle categorie mentali proprio all’origine delle esigenze linguistiche7. La panoramica universalista si sviluppa,

invece, teorizzando una diversa posizione del linguaggio e un diverso ruolo rispetto a quello che S. Agostino immaginava come l’unico vero verbum: il pensiero8.

Secondo la ricercatrice polacca non ha senso imporre la totale predominanza di una delle due facoltà mentali: è possibile giocare su due fronti contemporaneamente. A suo parere il pensiero imposta delle categorie assolute, innate e fondamentali sul linguaggio, che, a sua volta, si rende veicolo di tutto

geografica e genetica, individuando quelli che ritenne essere alcuni interessanti potenziali universali del linguaggio. Esattamente come Chomsky, Greenberg desiderava scoprire la struttura sottesa al linguaggio umano, con una particolare predilezione, però, per l’approccio empirico più che teorico. Wierzbicka, tuttavia, non si lascerà sfuggire una leggera linea critica nei confronti del suo lavoro, non condividendo il modo in cui esso si è accostato alla raccolta pratica dei dati. Cfr. Greenberg (1963), cit.

7 Cfr. Capitolo I, par. 1.

(9)

questo e ricettacolo di valori esteriori. La lingua è il crocevia di incontro di tutti gli aspetti che contribuiscono a plasmare la personalità e la specificità di un individuo. Il punto di partenza di questo processo è, però, impostato dalla mente, dotata di requisiti basilari e formalmente umani, che ci permettono di relazionarci universalmente con l’esterno e di distinguerci da ciò che si raffigura come “altro”. In questo connubio di prospettive divergenti si inserisce un importante collante, che ci permette di lavorare su due piani distinti: il Natural Semantic Metalanguage, ovvero la principale conquista di Anna Wierzbicka e del suo team. Sicuramente, tale prospettiva è ad alto rischio, difatti non sempre è facile comprendere fino a che punto l’autrice sia in disaccordo con le famose teorie di Sapir e Whorf, né è facile comprendere quanto voglia dissociarsi dalle altre teorie universaliste, talmente variegate nella loro forma, da rendere difficile una visione d’insieme.

2.

Un mosaico di culture a confronto: lo scarto fra il mondo cui

apparteniamo e quello da cui ci diversifichiamo

Al giorno d’oggi viviamo in un mondo dove apparentemente non esistono più confini insormontabili. Sembra che ogni barriera sia stata definitivamente abbattuta, dal momento che migliaia di persone attraversano frontiere, culture e linguaggi per vivere assieme in un mondo di molteplici varietà e prospettive: “every year million of people cross the borders, not only between countries, but also between languages, and when more and more people of many different cultural backgrounds have to live together in modern ethnic and multi-cultural societies, it is increasingly evident that research into defferences between cultural norms associated with different languages is essential for peaceful

(10)

co-existence, mutual tolerance, and understanding…”9. E’ proprio l’esperienza di

queste persone che suscita in Wierzbicka la convinzione, da un lato della forte e ampia voragine che si apre fra mondi culturali diversi e, dall’altro della necessità di sviluppare un ponte capace di colmare le distanze e di fornirci una misura neutra per dare vita ad una vera e propria comparazione di valori morali, norme sociali e aspetti tradizionali caratteristici. Il futuro dell’umanità, secondo questo progetto, poggia sulla speranza di una comunicazione talmente vigorosa da poter abbattere ogni ostacolo e talmente malleabile da poter adattarsi ad ogni contesto10.

I problemi relativi all’integrazione, alla condivisione dei valori, all’accettazione delle diversità, al riconoscimento sociale e all’incomprensione linguistica non sussisterebbero se non esistesse uno iato tanto ampio fra i diversi universi culturali. La diversità è stata eccessivamente celebrata come valore da proteggere, tanto che si è giunti a sviluppare un crescente sospetto sull’effettiva consistenza di questa, accorgendoci sempre più dell’incapacità di dare un volto concreto alla sua presenza11. In questo senso il lavoro di Wierzbicka appare

realmente motivato: sia per suscitare una crescente speranza di migliormento della comunicazione, sia per garantire la possibilità stessa di questa.

Come è possibile riuscire ad impostare un dialogo interculturale? Sicuramente è necessario rintracciare uno spazio comune d’interazione dove entrambi gli interlocutori possano operare un riconoscimento reciproco. Il

9 Wierzbicka (2003), introduction to the second edition, p. viii, cit.

10 Wierzbicka si confronta più volte con il lavoro in questo campo di Deborah Frances Tannen, professoressa

di linguistica alla Georgetown University, particolarmente famosa per i suoi studi di comunicazione interpersonale e interculturale. Cfr. Tannen (1986), cit, riportatato in: Wierzbicka (2003), Introduction to the

second edition, p. viii, cit.

11 Tema trattato dettagliatamente nel Capitolo II, par. 1.1. Cfr. Wierzbicka (2003), Introduction to the second

(11)

problema principale è allora riuscire a comprendere quanto noi stessi possiamo liberarci della cultura che ci ha creato, plasmato e identificato come ciò che siamo. “There were therefore limits to my “culturally constituted self””12, scrive

Wierzbicka, facendo riferimento al suo carattere “tipicamente polacco”. Evidentemente, come la ricercatrice stessa sperimenta13, ci sono cose di noi che

non possiamo cambiare in alcun modo, proprio perché la abbiamo costruite tanto saldamente: si tratta, per l’appunto, delle maschere identitarie che ci permettono di riconoscerci in un contesto specifico, che ci forniscono le coordinate per orientarci in un mondo enorme e che ci fanno assumere un ruolo esternamente visibile14.

Quello che occorre, dunque, è un mezzo che avvicini e che distanzi al contempo, perché possa, così, garantirci una prospettiva totale e generica, cioè quel piano comune neutro di assunzione di tutti gli oggetti di studio, che apre la strada alla loro classificazione e catalogazione, così come Foucault lo intendeva15.

Potremmo considerare tale strumento come degli occhiali che fungano sia da binocolo per scrutare in lontananza, che da lente d’ingrandimento per scandagliare in profondità ciò che ci sta vicino16. Un elemento del genere si

incarna perfettamente nel Natural Semantic Metalanguage e nella sua doppia realtà di oggetto intrinseco ed estrinseco al linguaggio naturale. Esso ci conferisce, infatti, l’ampiezza di sguardo tipica di un elemento che sovrasta la specificità e,

12 Ivi, p. xii.

13 Wierzbicka è polacca, ma è emigrata in Australia nel 1972. Gli aspetti salienti di questa sue esperienza

verranno illustrati nel paragrafo successivo.

14 Cfr. Capitolo V, par. 4.

15 Cfr. Foucault (2004), prefazione, cit.

(12)

allo stesso tempo, si introduce nei meandri della nostra lingua, permettendoci di assumere conclusioni e instaurare discussioni con assoluta facilità e attendibilità17.

3.

Cultura e comunicazione: lo scarto fra il linguaggio e lo

scenario sottostante

Wierzbicka scrive a proposito del linguaggio: “…is a mirror as well as a vehicle of both history and national character”18. Ogni movimento della cultura

sottostante, dunque, si propaga all’interno della lingua, come se questa fosse la voce attraverso cui si esplica il carattere della nazione. Anche Edward Sapir sviluppa una concezione simile del linguaggio, inteso come l’elemento catalizzatore di tutte le evoluzioni sullo scenario soggiacente che, a suo parere, si è evoluto proprio dalla lingua stessa19. Nell’ottica del linguista le connessioni

profonde fra questi due elementi non sono un banale arrangiamento di una struttura sull’altra per permettere la decifrazione e la registrazione dei fenomeni del mondo esterno, ma, piuttosto, un’influenza profonda di reciproca compenetrazione. Egli nota non solo la trasfigurazione delle parole in simboli culturali specifici, ma che anche il mutare delle categorie grammaticali, nel tentativo di ritrarre il pensiero sottostante e l’attività della cultura da cui esso deriva20.

La diversità, come anche Wierzbicka sottolinea, non è un qualcosa che si riflette esclusivamente nel lessico, ma permea lo scheletro della struttura

17 Cfr. Wierzbicka (2003), Introduction to the second edition, cit.

18 Cfr. Wierzbicka (1992a), poscritto, cit. Questo tema vene affrontato in modo più dettagliato nel Capitolo I,

par. 1, sebbene richiederebbe ancora ulteriori approfondimenti, non sviluppabili in questa circostanza.

19 Sapir (1973), parte I, cap. 1, p. 7, cit.

(13)

linguistica, fino a giungere ai processi comunicativi stessi. Il modo di comportarsi, di rivolgersi all’altro, di riportare delle informazioni, di esprimere delle emozioni, di mostrarsi cortesi o di lanciare dei messaggi varia incredibilmente al mutare dei confini culturali. I motivi sottostanti a questo cangiante caleidoscopio di possibilità riposano essenzialmente sulla diversità di valori, precetti, credenze, abitudini ed eventi che hanno scritto la storia di una nazione21. Tutto si cristallizza nella

memoria popolare e, quindi, nella cultura soggiacente, trovando piena conferma ed espressione nell’articolazione linguistica. Dato questo processo di progressiva incorporazione di elementi subordinati, residui fondamentali per rintracciare lo spirito culturale che caratterizza ogni paese, sarà possibile rinvenire nel linguaggio gli aspetti chiave per comprendere la diversità22. Wierzbicka arriva perfino ad

immaginare la possibilità di un’ingente svolta nello studio delle distinzioni interculturali, impostando l’analisi esclusivamente su elementi capaci di attirare e raccogliere tutto il movimento psicologico sottostante: partendo da delle semplici parole per giungere alla trattazione della derivazione dei termini o degli atti linguistici23. L’indagine culturale non può, dunque, non legarsi alla semantica

linguistica, essenzialmente perché, come anche Sapir sosteneva, il linguaggio è la guida principale su cui possiamo rintracciare ogni tipo di mutazione o evoluzione nel panorama sociale in cui essa opera24: esso è la mappa fondamentale su cui si

registrano gli aspetti dell’umanità intera.

Wierzbicka, però, si spinge ben al di là di tutte queste considerazioni, immaginando che, esattamente come l’uso di diverse parole possa lasciare

21 Tutto questo fa capo alla famosa teoria dei Cultural Scripts, presentata nel Capitolo V.

22 Argomento trattato nel Capitolo IV, par. 2, cit.

23 Intento per lo più sviluppato in Wierzbicka (1997a), cit.

(14)

intendere un diverso modo di pensare, analogamente, anche una mentalità particolare possa prendere piede proprio dall’utilizzo di un linguaggio specifico. I termini peculiari di una cultura sicuramente sono strumenti concettuali capaci di riflettere vari aspetti di questa, il punto è che anche la società è contagiata dalla lingua di fondo, esattamente come la prospettiva di ciascuno sarà perennemente plagiata dalla lingua d’origine. Non esiste una prova scientifica di questo gioco di reciproca influenza, ma è possibile avanzare delle forti supposizioni sulla base di varie ricerche empiriche di cui la ricercatrice polacca si è fatta carico. Il modo migliore per focalizzare questo tipo di congettura è proprio quello di incentrarsi sui casi limite, ovvero quelli di persone intrappolate fra due culture e due lingue distinte: questa è l’unica maniera per evitare di cadere in visioni whorfianamente troppo pittoresche, riguardanti il processo di influenza della nostra vita innescato dal linguaggio25. Certo non sono meno fantasiose le stesse ipotesi di Wierzbicka,

che condisce con un entusiasmo forse troppo nutrito questa idea di reciproco influsso di pensiero e linguaggio, prima ancora di avere delle prove assolutamente convincenti in mano.

Sicuramente, però, l’elaborazione di un vocabolario non è l’unico fattore rilevante per visualizzare e riconoscere la diversità, sebbene possa essere indicativo per comprendere quelli che sono i concetti selezionati ed etichettati con termini distinti, secondo le esigenze. In questo contesto, si comprende che il linguaggio non appare semplicemente come un mezzo per comunicare, ma si configura come il principale canale d’interazione umana: in esso convogliano pensieri, intenzioni, emozioni, valori, credenze, speranze e così via…

(15)

L’indagine finora condotta risultava profondamente avariata e distorta dall’uso di termini tecnici specifici o di metodi classificatori assolutamente etnocentrici26. La grande innovazione di Wierzbicka è senza dubbio l’introduzione

di una teoria volta proprio all’individuazione dei processi comunicativi e interazionali specifici di ciascuna cultura, per riportarne una descrizione attendibile, affidabile e totalmente depurata da punti di vista propri di un mondo culturale piuttosto che di un altro: in questo senso il suo progetto è innegabilmente intrigante, sebbene sia discutibile la sua fattibilità. La teoria, redatta dalla studiosa polacca, viene definita in base agli elementi che intende rintracciare e trattare: i cosiddetti “Cultural Scripts”27. Il rischio di distorsione

etnocentrica è quasi del tutto debellato o assolutamente ridotto al minimo. Questo tipo di studio mira a visualizzare le routines conversazionali e le modalità tipiche d’interazione che ogni individuo è costretto ad imparare per conformarsi all’ambiente sociale esterno. Chiaramente, esiste un certo margine di diversità anche all’interno di uno stesso contesto culturale, che l’autrice non manca di evidenziare, considerando, comunque, che le tipiche forme di interazione linguistica vengono avvertite come familiari da tutti membri di una stessa comunità. Wierzbicka, facendo riferimento alla sua esperienza di immigrata, specifica le strategie comunicative che ha dovuto imparare, quelle che si è dovuta imporre per essere compresa e quelle che non ha mai voluto adottare28.

I vantaggi che derivano da questo progetto sono inestimabili, non solo dal punto di vista comunicativo, dato che si riscontrano risultati importanti anche in

26 Cfr. Wierzbicka (2003), cap. XI, conclusion, cit.

27 Cfr. Capitolo V, par. 3.3

(16)

campo antropologico e personale. L’arricchimento che si può trarre dal confronto con la diversità è fondamentale: dallo sviluppo di un pensiero critico rispetto anche a ciò che si è sempre accettato passivamente, all’apertura mentale a nuovi confini, a nuovi valori e alla comprensione di diverse possibilità di vita e diversi cammini da intraprendere. Quali sono, però, i mezzi giusti, con cui trattare la diversità?

La descrizione delle tecniche conversazionali e comunicative può avvenire esclusivamente se si riesce ad ancorarci ad un cultura estranea, per entrare dentro le sue attitudini e le sue usanze, dando, al contempo, uno sguardo d’insieme allo scenario soggiacente. E’ indubbiamente un compito affascinante quanto ostico, ma è anche l’unica opportunità che si profila per riuscire a stilare quelle che devono essere le regole del dialogo interculturale, valide per tutti gli esseri umani a confronto. Il Natural Semantic Metalanguage in questa teoria ci viene nuovamente proposto come “terreno franco” per il confronto con l’altro e come linguaggio neutro da utilizzare per carpire le differenze. Il reciproco coinvolgimento di lingua e cultura si svolge internamente ed esteriormente, difatti: da un lato abbiamo un sistema esterno di valori retrostante che imprime le sue forme a livello linguistico, dall’altro un apparato di strutture sintattiche e semantiche che esercita il suo influsso dall’interno verso l’esterno. Ancora una volta è necessario cimentarsi con un’indagine che si sviluppa su due piani dissociati, che diviene fondamentale per la comprensione di tutta la “cultura verbale” e le pratiche d’interazione sociale che ne derivano. Il metalinguaggio ideato da Wierzbicka ci permette di raggiungere al contempo questi due livelli distinti, colmando ogni distanza riuscendo a

(17)

raggiungere ogni diversità, senza compiere alcuna opera di livellamento o di distorsione su di essa. Resta, tuttavia, un unico dubbio in proposito, meglio affrontato successivamente: quello che il Natural Semantic Metalanguage riesce ad esplicare, sembra necessitare fortemente di una guida esterna, capace di manovrare e dirigere le sue potenzialità, per potersi aprire un percorso attendibile. Esso pare, dunque, configurarsi come un’ottima chive di decifrazione di qualsivoglia significato, che deve però essere manovrata con cognizione sapendo già quello che è il risultato da ottenere29.

4.

Il dialogo come mezzo di realizzazione di un’identità etnica e

personale: lo scarto fra “io” e “altro”

“Every human being, and every human group is a blend of the universal and the particular”30: la necessità di fare i conti con la diversità appare

insormontabile e ineludibile. La nostra stessa identità è un qualcosa che si costruisce esclusivamente in presenza di un’alterità da cui differenziarsi e con cui confrontarsi in un reciproco coinvolgimento senza soluzione di continuità.

E’ proprio il contatto con la disuguaglianza e l’avvertimento dello stridore di qualcosa che si conforma come assolutamente discordante che ci permette di realizzare ciò che siamo. Wierzbicka parla della sua progressiva acquisizione di coscienza del suo originario modello culturale grazie all’esperienza della diversità e della naturale incomprensione che avvertiva attorno a sé in un mondo che rispondeva a precetti e norme diverse31. Vivere a metà fra due culture non solo

29 Argomento affrontato nel Capitolo IV, par. 1.1.

30Wierzbicka (2002c), par. 1, p. 1169, cit.

(18)

contribuisce a produrre un inevitabile squarcio interiore, che costringe la personalità ad una rapida mutazione, ma le fa comprendere anche quanto della sua stessa configurazione sia figlia della cultura di appartenenza. In questo senso, è fondamentale fare riferimento alle esigenze identificatorie da parte di qualsiasi individuo proprio al fine di ottenere un riconoscimento e una forte aura protettiva dalla nicchia di appartenenza, rappresentata dalla comunità di cui fa parte. Conformarsi è una delle più importanti pratiche umane per l’acquisizione di un volto, un ruolo, un ideale in cui credere. Flavia Monceri32, a tale proposito, ha

trattato dettagliatamente questa sorta di costrizione a costanti pressioni identificatorie, cui ciascun uomo è sottoposto. Basta pensare, infatti, alla forte necessità di possedere dei documenti che ci inquadrino come cittadini di un certo paese, membri di certi gruppi, esecutori di ruoli specifici, appartenenti a classi note, dotati di precise generalità e così via… Del resto, è l’individuo stesso a reclamare queste cosiddette “pratiche identificatorie”, intese come risposte alle esigenze d’integrazione, al bisogno d’interazione con l’esterno e al desiderio di sentirsi parte di qualcosa per ottenere, dunque, un conseguente riconoscimento della propria esistenza33.

Sicuramente tali pratiche identificatorie trattate da Monceri contribuiscono ad una sorta di livellamento di prospettive e alla standardizzazione di orientamento; resta, però, il fatto che tali aspetti sono necessari alla costituzione di un’identità. Sarebbe opportuno, allora, riuscire a rintracciare un punto di equilibrio fra l'individualità del “sé” e la richiesta di normalizzazione da parte del

32 Professoressa di filosofia politica e filosofia delle scienze sociali, particolarmente interessata alle teorie e alle

pratiche dello sviluppo della comunicazione interculturale.

(19)

contesto sociale, per evitare,se possibile, il massimo sacrificio della peculiarità di ciascun individuo nel suo andarsi ad equiparare alla “normalità” richiesta.34. Uno

degli elementi salienti, infatti, è il forte attaccamento psicologico e affettivo alla maschera identificatoria costituita dai connotati plasmati dalla cultura originaria, che spinge l’individuo a non volerla del tutto compromettere, come se fosse ormai vera e propria parte integrante di ciò che lui è35. Wierzbicka si rende conto che il

suo diretto confronto con una società sensibilmente diversa le stava costando buona parte della personalità che si era creata. Questo processo in parte ha delle note positive, in quanto esplica l’importanza di sapersi adattare alle nuove circostanze comunicative, per poter interagire socialmente e divenire parte di un mondo diverso. L’autrice parla di veri e propri benefici, come l’arricchimento personale e un maggior coinvolgimento a livello di relazioni interpersonali, risultanti dal suo progressivo conformarsi alle peculiarità, ai valori e ai precetti del nuovo contesto in cui viveva36. Non esiste alcun tipo di massima conversazionale37

o di Principle of Politness38 che aiuti questo processo d’integrazione. Tali strumenti,

difatti, non sono altro che gli effetti risultanti dallo spietato etnocentrismo, che fino ad ora ha contagiato, secondo il parere di Wierzbicka, la linguistica moderna39.

34 Cfr. Monceri (2004), (2006), L’identità come pratica dell’identificazione, cit. All’interno di quest’ultimo articolo si

chiarisce anche come sia la società stessa a stabilire quali strumenti debbano usarsi per dividere le persone in categorie, dunque come questa fornisca dei criteri identificatori che poi concorrono a costruire i diversi tipi di identità che si rinvengono al suo interno. Identità e identificazione sono, quindi, due cose distinte.

35 Cfr. quanto Wierzbicka dice a proposito di se stessa e del suo essere polacco in Wierzbicka (2003),

introduction to the second edition, cit.

36 Cfr. ivi.

37 Elaborate da Paul Grice, intese come modello base di qualsiasi tipo di conversazione, cosa che la ricercatrice

pone in discussione all’interno di tutta la sua opera. Una spiegazione dettagliata sarà disponibile nel Capitolo II, par. 1.

38 Principio che nasce proprio ad opera di Geoffrey Leech con l’idea di colmare lo scarto che si era aperto

all’interno del modello griceano con l’avanzamento dell’indagine empirica inter-culturale. Tuttavia, ricalca anch’esso una certa nota di etnocentrismo. Cfr. Capitolo V, par. 1.2.

(20)

Del resto, nonostante questi innumerevoli e notevoli ostacoli da scavalcare, il raggiungimento della consapevolezza della diversità è un aspetto che non possiamo trascurare. L’approccio della riercatrice polacca può configurarsi sicuramente come un ottimo contributo anche soltanto alla congiunzione del problema dell’identità agli aspetti linguistici che hanno caratterizzato il dibattito recente. Tuttavia, è necessario comunque sottolineare che la questione antropologica della comprensione e valutazione dell’alterità registra le stesse problematiche registrate sopra: è possibile entrare in un mondo distante nel momento in cui ci viene aperto un ingresso, quindi nel momento in cui l’altro ha desiderio di volgersi verso di noi.

Nei due paragrafi precedenti si sono evidenziate le necessità sociali e linguistiche che spingono verso lo sviluppo della comunicazione interculturale. A questo punto, è opportuno indagare sulla natura delle esigenze psicologiche e antropologiche che premono per un abbattimento delle barriere in virtù dello sviluppo di una comunicazione che “attraversa” letteralmente tutta la varietà delle diversità, e che sia desiderosa di superare tutti gli scarti fin qui evidenziati. Tutte le necessità che portano l’uomo al confronto con l’alterità poggiano essenzialmente sul riconoscimento del ruolo formativo che essa ha per la costituzione di una forma identitaria. L’umanità ha costantemente bisogno di colmare con ingredienti esterni il senso di vuoto che avverte interiormente, tanto che arriva ad inglobare parte dell’ambiente circostante per riconoscerlo come parte di sé e per sentirsi essa stessa parte di qualcosa40. Questo processo è stato visualizzato da molti studiosi

come una sorta di paradossale aporia, in quanto l’identità appare così realizzabile

(21)

solo attraverso l’incorporazione della diversità. Il rapporto con l’altro è inevitabilmente fondamentale alla realizzazione di qualsiasi tipo di personalità. Dunque, alla base sussiste sempre un inevitabile rapporto con l’esteriorità, con l’altro, con ciò che è alieno. L’importanza di sentirsi riconosciuti e il desiderio di relazionarsi con “il diverso” vanno di pari passo: l’alterità è una componente fondamentale da considerare, che ci permette di tracciare i confini attorno alla nostra realtà per poi divenirne consapevoli41.

Come si può rendere possibile il confronto con “l’altro”? Remotti parla proprio di una sorta di cannibalismo da parte dell’ego, che ingloba e rende proprio tutto ciò che appartiene all’esterno, cioè che si configura come alter ego42. In realtà,

in un contesto linguistico è più fruttuoso immaginare la sussistenza di un raffronto dialogico. Il dialogo, per sua stessa costituzione, si realizza nella vicinanza e nella distinzione fra i due interlocutori: occorre un equilibrio perfetto. Senza il fondo comune, neutro e indipendente in cui poter assumere una prospettiva molteplice e variegata di punti di vista non esisterebbe confronto. Quello che serve è un ponte che congiunga le distanze che necessitano di restare tali: il Natural Semantic Metalanguage. La discrasia stavolta si schiude proprio fra la prospettiva dell’“io” e quella dell’“altro”, inteso come diversità sia sul piano individuale che collettivo. Tale metalinguaggio permette, da un lato la traduzione del “sé”, scevra da ogni tipo di distorsione, dall’altro la comprensione della diversità43: ci autorizza, dunque, ad operare su due piani ancora una volta

profondamente distinti. La conquista più importante di questo strumento è

41 Cfr. ivi. 42 Cfr. ivi.

(22)

proprio la capacità di avvicinare senza annullare la distanza sottostante, sebbene empiricamente vadano ancora valutate in modo netto e diretto le potenzialità effettive di questo modo di operare.

5.

Focalizzare la questione

Nei precedenti paragrafi si è avuto modo di considerare diversi campi strettamente adiacenti a quello del linguaggio: lo sviluppo del pensiero, l’evoluzione culturale, la dimensione interattiva, quella comunicativa e quella personale di creazione di un’identità individuale o etnica. La nostra lingua prende parte a tutte queste attività, giocando un ruolo assolutamente essenziale: essa non è solo un semplice strumento per la comunicazione, ma molto di più44. E’ proprio

in questo senso che Wierzbicka imposta la sua ricerca trattando il significato come aspetto cruciale del linguaggio45, capace di divenire, dunque, il denominatore

comune di tutte queste funzioni qui elencate. L’obiettivo che è necessario prefiggerci per lo sviluppo della comunicazione inter-culturale e per la comprensione della diversità è quello di catturare i significati sottostanti a parole, concetti, ideali, valori, tradizioni, precetti, usanze, strutture sintattiche, derivazioni, emozioni, norme e così via… La studiosa polacca immagina la struttura semantica come una sorta di galassia o di atomo, difficile da penetrare e ricolma di spazi vuoti nascosti, dove si annidano, in modo sfocato, le componenti minime46. Lo scopo della ricerca inter-culturale è proprio quello di riuscire a

scovare gli elementi base, incapsulati nel significato dei concetti quotidianamente

44 Cfr. Wierzbicka (2006)., cap. 2, par. 2.1, cit.

45 Cfr. Wierzbicka (1992a), introduction, cit.

(23)

utilizzati e presenti nella vita di un certo universo culturale. Esplorare i significati vuol dire anche cimentarsi con la ricerca dei principi inconsci che ne determinano i confini, e un tale compito comporta il necessario scontro con l’incertezza e i dubbi che fioriscono sulla struttura semantica così immaginata. Tuttavia, “if we don’t tackle this complexity we shall also fail to achieve some of our basic professional tasks […] We shall also throw away our chance of exploring and contemplating the dazzling beauty of the universe of meaning”47. I compiti cui Wierzbicka fa

riferimento sono estremamente variegati ed importanti, e vanno dalla precisa compilazione lessicografica allo sviluppo dell’interazione con culture diverse, tramite la compilazione di affidabili modelli conversazionali tipici del caso. Per penetrare tale ricchezza indeterminata, propria della struttura semantica, occorre una metodologia sicura e capace di agire su piani diversi e, probabilmente, sarà sempre opportuno anche un certo grado di coinvolgimento personale.

In tutti campi su cui opera il linguaggio, si osserva la curiosa presenza di costanti divari. Tali scarti non sono altro che ciò che Wierzbicka definisce come “gli spazi vuoti nascosti dove si annidano le componenti atomiche”48. La soluzione

comincia allora a prospettarsi in maniera più ovvia: occorre attraversare tali spazi, gestirli e scrutarli per sapere come si costituiscono e per divenire consapevoli della loro funzione. L’aspetto principale su cui è bene incentrarsi è che non è possibile colmare il vuoto che si crea in ogni circostanza fra culture distinte, fra la dimensione interna e retrostante al linguaggio, fra la propria lingua e il proprio pensiero… La distanza che sottolinea la distinzione non può e non deve essere

47 Ivi, p. 233.

(24)

eliminata. I limiti sono la caratteristica principale del nostro modo di percepire il mondo, che ci permettono di classificare, catalogare e diversificare. Il concetto stesso di identità è un tracciare confini per accogliere qualcosa ed eliminare qualcos’altro. Se non esistessero cornici, poco si potrebbe scorgere della prospettiva che abbiamo di fronte. Dunque, è proprio su questi scarti che si costruisce la possibilità di un dialogo e di una rappresentazione. Uno spazio vuoto, però, diviene usufruibile solo se si hanno i mezzi per riuscire a guardarvi attraverso, a sormontarlo in qualche modo, senza tentare di colmarlo. La risposta di Wierzbicka a questo problema è il Natural Semantic Metalanguage. Per riuscire nel suo intento deve esso stesso ricalcare le forme del divario che si viene a creare, generalmente riconducibile ad un problema di veduta interna ed esterna. In primo luogo, il contrasto fra linguaggio e pensiero si riduce ad uno scontro fra un elemento assolutamente interiore ed uno che ci permette la relazione con l’esteriorità; analogamente, quello sussistente fra due culture distinte poggia proprio su un voler attingere a qualcosa di esterno senza voler perdere ciò che avvertiamo come essenza di tutto ciò che siamo. Proseguendo l’analisi, si nota che il divario fra linguaggio e cultura si esplica anch’esso come scarto fra una prospettiva interiore delle strutture profonde del primo e una sovrastante, che si impone dall’esterno; esattamente come accade nel processo formativo di un’identità, che si crea sul gap sussistente fra un “io” interno e un “altro” appartenente al mondo confinante. Questo lavoro mira proprio a dare una configurazione del genere a tutti questi grandi problemi che hanno segnato lo sviluppo filosofico, linguistico, antropologico e sociale della modernità.

(25)

Tutto si gioca, quindi, sull’evidenziare questo fondamentale contrasto di prospettive, su cui il Natural Semantic Metalanguage è in grado di lavorare, poiché lo incarna esso stesso, inglobando due classi di oggetti ben distinti: i primitivi semantici e gli universali lessicali. Non è difficile immaginare il perché dell’esistenza di una tale tipologia di iato. Il linguaggio stesso si costruisce, difatti, proprio su un incessante rimando a diversi punti di vista: quello interno della parole e quello esterno dell’oggetto del riferimento. La necessità di una determinazione proveniente da qualcosa di esterno, che sia, dunque, “altro”, rappresenta un paradosso affascinante49, capace evidentemente di delinearsi anche

a livello antropologico, sociale, etnico e comunicativo.

Avendo chiarito l’oggetto principale su cui ci si propone di lavorare in questa circostanza, ovvero lo stacco sussistente fra due visioni prospettiche diverse, è possibile porsi gli interrogativi fondamentali che innescano il processo di ricerca. In primo luogo, sicuramente Wierzbicka si propone di indagare sull’estensione delle differenze culturali e linguistiche50. Qui si sviluppa una

ricerca parallela, fondata sia sul linguaggio e sulla ricerca dei potenziali primitivi semantici universali51, che sulla pragmatica inter-culturale. Constatando che le

società sono sempre più multietniche, sorge spontaneo chiedersi: fino a che punto l’altro è diverso? Allacciate a questa questione vi sono tutte le indagini relative alla possibilità di traduzione universale e di assunzione di un punto di vista

49 Cfr. Fabris (2006), Identità e alterità. Una prospettiva filosofica, cit.

50 Aspetto trattato nei Capitoli I e II.

(26)

culturalmente dissociato da quello originario per una sorta di “immedesimazione” nella diversità52.

Da queste indagini emerge anche il problema dell’interazione sociale e della comunicazione: quanto è necessario interagire con la diversità? Si comprende meglio la nostra prospettiva se ci si arricchisce di quella altrui? Tali quesiti lasciano scorgere l’importante aspetto del dialogo e della necessità del superamento delle barriere dell’incomprensione53. Sicuramente, il raggiungimento

di un equilibrio stabile fra ciò che si può acquisire e mutare e ciò che invece è parte costitutiva della essenza primaria di un’identità etnica sarà fondamentale alla sua stessa creazione. Infine, la ricerca si pone degli interrogativi generali sul senso di tutto il suo procedere, legati anche alle conclusioni tratte: pensiamo tutti allo stesso modo sotto la coltre delle diversità? Esistono dei concetti umani in quanto tali e, quindi, uguali per tutti? È possibile una semantica dell’interazione umana? Quanto serve l’alterità e la diversità alla creazione di un “sé”? E’ possibile che ogni significato associato a qualsiasi elemento (emozione, personalità, parola, concetto, pensiero,…) possa spiegarsi tramite il suo essere profondamente costruito dal genere “umano”?

52 Aspetti trattati nel Capitolo II.

Riferimenti

Documenti correlati

Inoltre, il minore straniero è spesso soggetto a forme di autosvalutazione rispetto al proprio aspetto, al colore della pelle, ai capelli: alcuni bambini si raffigurano allora

2 Revisione censimento procedimenti amministrativi Peso: 12,5 previsto dal: 01/06/2013 al: 30/06/2013 30,00 giugno luglio agosto settembre ottobre novembre dicembre gennaio

4 Aggiornamento su utilizzo OpenOffice su utilizzo modelli: Peso: 12,5 previsto dal: 01/06/2013 al: 30/06/2013 30,00 giugno luglio agosto settembre ottobre novembre dicembre

Obiettivo di mantenimento Settore Urbanistica e controllo edilizio: Servizio Edilizia Privata - Esercizio finanziario 2014/2016. Responsabile:

Since 1949 and the Reparations Case the international community has taken steps towards a point where international organisations are recognised as subjects of international law

nome, con l’introduzione di nuove regole e procedimenti. In particolare, vengono rafforzati i poteri del curatore, come la sua maggiore legittimazione nello svolgimento

La ricchezza culturale della Sicilia è ad ogni passo: palazzi, chiese , templi, ville non sono che l’espressione più immediata di una bellezza e varietà culturale che è

La competenza 35 culturale nel luogo di lavoro può essere descritta come un set congruente dei comportamenti della forza lavoro, delle pratiche gestionali e