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INTRODUZIONE Il 2011 ha rappresentato per l’Italia un anno di rottura rispetto ai due anni precedenti, rispetto ai quali la politica dei respingimenti

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INTRODUZIONE

Il 2011 ha rappresentato per l’Italia un anno di rottura rispetto ai due

anni precedenti, rispetto ai quali la politica dei respingimenti1 aveva

determinato una diminuzione delle domande di asilo presentate. La primavera araba in Tunisia e poi i bombardamenti Nato in Libia hanno portato all’arrivo in Italia di 62.500 persone e alla presentazione di 34.115 domande di protezione internazionale nel corso di tutto il 2011. Il drammatico incremento dei conflitti e delle situazioni di violenza generalizzata hanno portato, negli anni successivi, ad un continuo aumento delle persone giunte in Italia e in generale in Europa e del numero delle istanze di protezione presentate. Inoltre le guerre civili e i conflitti che coinvolgono alcuni paesi dell’Africa Centrale, quali Sudan, Mali, Eritrea, Somalia, Nigeria, Niger, Gambia e Senegal hanno contribuito a peggiorare questa situazione a livello numerico, con sempre più persone che intraprendono lunghi viaggi verso la Libia per poter poi raggiungere l’Europa.

L’accordo tra Turchia ed Unione Europea, stipulato il 18 marzo 20162

, ha quasi azzerato il flusso di migranti che approdava sulle isole greche dalle coste turche. Stiamo parlando, nel 90% dei casi, di persone

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I respingimenti in mare iniziarono a essere eseguiti dopo la firma del Trattato di amicizia tra Italia e Libia (4 febbraio 2009). Per uno di questi respingimenti, l’Italia è stata condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (sentenza del 23 febbraio 2012, caso Hirsi Jamaa and others vs. Italia, ricorso n. 27765/09) che ha ritenuto sussistente la violazione dell’art. 3 (divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti) e dell’art. 13 (diritto a un ricorso effettivo) della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dell’art. 4 del Protocollo n. 4 (divieto di espulsioni collettive).

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In modo estremamente sintetico tale accordo ha previsto che tutti i nuovi migranti irregolari che attraversano il mare dalla Turchia alle isole greche saranno riportati in Turchi nel pieno rispetto delle norme internazionali e dell’Unione Europea; che per ogni siriano respinto in Turchia dalle isole greche, un altro siriano sarà ricollocato dalla Turchia all’Unione Europea tenendo conto dei criteri di vulnerabilità delle Nazioni Unite; che la Turchia prenderà ogni misura necessaria per prevenire l’apertura di nuove rotte via mare o terra per l’immigrazione illegale dalla Turchia verso l’Unione Europea. Cfr. http://www.meltingpot.org/L-accordo-finale-tra-EU-e-Turchia-un-analisi-legale.html#.WNpoodSLTDc

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provenienti dal teatro di guerra della Siria, oppure dall’Afghanistan e dall’Iraq, funestato da decenni di guerre e terrorismi.

Secondo i dati dell’UNHCR3, tra il 1 gennaio e il 31 dicembre 2016

sono sbarcate in Europa 361.678 persone, di cui 181.405 in Italia e 173.447 in Grecia. Si tratta di un dato inferiore del 64% rispetto a quello del 2015, quando erano arrivate un milione di persone. C’è da dire però che il 2015 è stato un anno record; i migranti arrivati nel 2016 hanno eguagliato in numero quelli arrivati tra il 2011 e il 2014 compresi. Nel 2016 sono arrivate in Italia, comunque, il 18% in più di persone rispetto al 2015 (in tutto ne arrivarono infatti 153 mila).

I Paesi di provenienza più rappresentati su scala europea sono stati Siria (23%), Afghanistan (12%) e Nigeria (10%). Il numero di siriani e afghani è tuttavia di recente crollato, dal momento che i migranti provenienti da questi due Paesi arrivavano quasi esclusivamente in Grecia, dove ora non riesce ad arrivare quasi più nessuno.

In Italia sbarcano soprattutto persone provenienti da Paesi africani. Le provenienze più rappresentate nei circa 181 mila migranti arrivati nel 2016 sono: Nigeria (21%), Eritrea (12%), Guinea, Gambia e Costa d’Avorio (7%), Senegal (6%), Sudan e Mali (5%) e sono stati soprattutto uomini (il 71%), con una considerevole fetta di minori non accompagnati, in continua crescita (il 16% degli arrivi). La gran parte degli sbarchi avviene in Sicilia (il 68%) ma ci sono arrivi via mare anche in Calabria (17%), Puglia (7%), Sardegna (5%) e Campania (3%).

Secondo l’agenzia europea Frontex, il numero di migranti arrivati in Europa attraverso la rotta centro mediterranea, che riguarda soprattutto

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l'Italia, è cresciuto di circa il 20% nel 2016. Il dato riflette una pressione migratoria crescente dall'Africa, in particolare quella occidentale. Dal 2010, gli arrivi dall’Africa occidentale all’Italia sono aumentati di dieci volte; mentre in Grecia sono crollati del 79%, a causa dell'accordo con la Turchia. Anche per la rotta balcanica, si è passati dai 764.000 arrivi del 2015 a 123.000, in seguito all'inasprimento dei controlli di frontiera.

L’Italia ha sempre agito con un approccio emergenziale ad un fenomeno strutturale, quale quello delle migrazioni forzate. Questo rappresenta però una costante difficilmente sostenibile in un contesto globale che vede un sensibile aumento del flusso di persone in fuga dai propri Paesi d'origine a causa della crescente instabilità geopolitica a livello globale. La necessità di una disciplina organica che regoli in modo compiuto il sistema, sul piano dell'accesso alla procedura di richiesta di protezione internazionale, dell'accoglienza, nonché nella predisposizione di un catalogo dei diritti dei titolari di protezione internazionale, emerge in modo inequivocabile sul finire degli anni '90 del secolo scorso. Sarà a partire da questi anni che prenderanno avvio i primi parziali interventi legislativi in materia, cui seguiranno, a

pioggia, disposizioni normative prive di sistematicità che

contribuiscono a delineare il vigente sistema pluralistico in materia di asilo. Vero è che l’evoluzione della complessità migratoria, dettata da cause certamente molto dinamiche per la natura stessa dei flussi migratori che rispondono ad esigenze sempre diverse e mutevoli, è certamente più rapida degli strumenti normativi che la devono regolamentare.

La normativa nazionale ha seguito gli indirizzi dell’Unione Europea e le esigenze dettate dagli arrivi. Seppur in ritardo, l’Italia ha infatti recepito le Direttive 2013/32/UE e 2013/33/UE con il Decreto

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legislativo 142/2015. Tale decreto ha cercato di disciplinare in modo più organico il sistema di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale. Nonostante tale tentativo, nel presente elaborato, potremo constatare come ancora rimangono delle zone oscure e quanto tale decreto rischi nella pratica di non riuscire ad essere attuato adeguatamente; basti pensare alla carenza di posti disponibili nei centri del Sistema di protezione dei richiedenti asilo e rifugiati (circa 27.000) di fronte al costante aumento dei richiedenti protezione internazionale. Ad oggi, infatti, circa 150.000 migranti sono accolti nei centri di accoglienza straordinari. Da non sottovalutare, infatti, come lo straordinario incremento dei richiedenti asilo ha, fra l’altro, creato problemi gestionali (a partire, per fare un solo e limitato esempio, dai problemi delle lingue parlate e della loro interpretazione) che hanno comportato la moltiplicazione delle tipologie e del numero dei centri di accoglienza e la parallela moltiplicazione delle Commissioni territoriali, organo deputato al riconoscimento della protezione internazionale.

Inoltre il post-accoglienza costituisce uno dei nodi più complessi del sistema asilo in Italia. Infatti il percorso di integrazione dei beneficiari di protezione internazionale continua ad essere seriamente limitato e rappresenta una delle aree più problematiche del sistema, cui devono sommarsi le difficoltà dovute alle contingenze economiche che il Paese sta attraversando, incidenti in misura maggiore o minore a seconda della collocazione geografica del progetto. Come poc’anzi accennato, i numeri parlano chiaro: solo un’estrema minoranza dei richiedenti e beneficiari protezione internazionale riescono ad essere accolti nel circuito SPRAR. Tale c.d. seconda accoglienza è però un passaggio fondamentale, sia perché è così sancito dal decreto legislativo n. 142/2015 (i richiedenti asilo dovrebbero infatti essere accolti nei c.d. centri di prima accoglienza per il tempo “strettamente necessario al

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trasferimento”), sia perché è nelle strutture SPRAR che i migranti dovrebbero essere avviati all’inserimento lavorativo e concentrarsi nell’apprendimento della lingua, elementi basilari per poter ambire a un inserimento socio-economico sul territorio. Purtroppo nella prassi è possibile constatare come sia difficile inserire i richiedenti e beneficiari protezione internazionale nel mercato del lavoro, e ancora più difficile è per loro raggiungere posizioni lavorative abbastanza strutturate. Tale condizione di precarietà determina spesso proroghe nell'accoglienza, che nella pratica si verificano frequentemente, provocando uno stallo nel meccanismo di turn over che invece dovrebbe realizzarsi, soprattutto di fronte ad una carenza così ampia di posti disponibili.

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