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CAPITOLO 3 : EUBIOSI/DISBIOSI, MALATTIE IN CUI E’ COINVOLTO IL MICROBIOTA E TERAPIA ANTIBIOTICA.

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CAPITOLO 3 :

EUBIOSI/DISBIOSI, MALATTIE IN CUI E’

COINVOLTO IL MICROBIOTA E

TERAPIA ANTIBIOTICA.

3.1 Salute dell’intestino, eubiosi e disbiosi.

Mantenere il nostro intestino in buona salute è fondamentale e per farlo è necessario che venga mantenuto (e che non sia perturbato) il giusto equilibrio (7) (FIG. 3.1). L'argomento in questione, però, è piuttosto complesso, perché ovviamente è collegato a tutto l'ambito digestivo a cominciare dalla scelta del cibo, a come aggreghiamo i vari alimenti nello stesso pasto, alla nostra masticazione, al nostro stato d'animo durante il pranzo, se il cibo è cotto o crudo, alla qualità del cibo medesimo, ovvero se ricco di enzimi o no, alla presenza di vitamine, oligoelementi, ecc. Conoscere tutte queste informazioni ci aiuta ad avere la giusta consapevolezza e coscienza di quei ritmi vitali in cui siamo inseriti che, se riconosciuti, ci aiutano ad avere una marcia in più nella nostra quotidianità.

Figura 3.1: La salute dell’intestino è indispensabile per il benessere della mente.

Tratto da: Superare l’Ansia curando l’intestino, http://www.greenme.it/spazi-verdi/calma-verde/2820-superare-l%E2%80%99ansia-curando-l%E2%80%99intestino

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La disbiosi (dismicrobismo) intestinale si verifica quando viene perturbato l’equilibrio del microbiota intestinale e come effetto finale si hanno disordini

metabolici, quali obesità, cancro al colon e malattie infiammatorie intestinali (IBD o MICI). In contrapposizione alla disbiosi, possiamo definire eubiosi, la presenza nell'intestino di una flora composta da microrganismi non patogeni per l'ospite (cioè per noi), occupanti le loro nicchie, in numero e proporzioni stabili secondo range di normalità. Nel momento in cui, quindi, tale equilibrio risulta alterato, abbiamo la "disbiosi", cioè un sovvertimento in numero, proporzioni e tipo di specie batteriche, quali ad esempio: Proteus Vulgaris, Proteus Mirabilis, Escherichia Coli,

Streptococcus Faecalis ed altri. A monte di tale disequilibrio vi è tutta una serie di

cause che favoriscono tale stato disbiotico, quali: assunzione di farmaci (antibiotici, corticosteroidi, estroprogestinici, uso indiscriminato di lassativi), alimentazione insufficiente dal punto di vista qualitativo, diete carenti di fibre, associazioni indebite di alimenti durante lo stesso pasto (carboidrati + proteine + frutta e, magari, dolci a fine pasto), scarsa masticazione del cibo, repentini cambiamenti della dieta, malattie organiche e funzionali del canale gastroenterico (infezioni intestinali e parassitosi), disturbi del metabolismo epatico e pancreatico (che concorrono ad alterare il pH intestinale), radioterapia, chemioterapia e radiazioni di varia natura, stress

emozionale, cause inquinanti quali ad es.: coloranti alimentari, conservanti, pesticidi, ormoni steroidei introdotti con gli alimenti, variazioni climatiche. La presenza di germi patogeni, il cui proliferare è stato appunto facilitato dalle situazioni

summenzionate, da un lato favorirà la formazione di sostanze endotossiche (ammonio, scatolo, indacano, putrescina, ammine, indolo, fenolo) con

compromissione del metabolismo (soprattutto epatico) e conseguente blocco

mesenchimale ed emuntoriale; dall'altro lato si assisterà al prodursi di "flogosi della mucosa intestinale", con aumento del riassorbimento di macro- e micro-molecole che potrà determinare il verificarsi di fenomeni allergici e/o di intolleranza alimentare ed insufficiente produzione di IgA (immunoglobuline di tipo A) da parte della parete intestinale.

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Si ritiene che la disbiosi intestinale sia la causa principale o favorente di:  disfunzioni di fegato, vie biliari e pancreas

 diarrea e stitichezza

 acne, eczemi, malattie allergiche, (asma, febbre da fieno, orticaria, etc.)  anemia

 reumatismi

 cefalee, facile irritabilità e stanchezza eccessiva  depressione

 ipovitaminosi

infezioni da funghi (in particolare candida)

 riduzione delle difese immunitarie e predisposizione ad infezioni ricorrenti Si possono inoltre determinare: disturbo della produzione di pigmenti biliari, tendenza alla ipoglicemia, iperlipidemia, tendenza emorragica (per carenza di

produzione di Vit. K nell'intestino), dermatite (per carenza di produzione di Vit. A). Viene a prodursi, in tal modo, un circolo vizioso nel quale disturbi

allergico-infiammatori e dismetabolismi si influenzano a vicenda, favorendo fenomeni ti tipo tossico.

Il riequilibrio della flora intestinale dovrà essere l'obiettivo primario da conseguire attraverso adeguate misure terapeutiche quali:

modifica della dieta

, dando la preferenza a cibi freschi ed eliminando zucchero, farine raffinate e carni suine;



normalizzazione del terreno intestinale

, attraverso adeguate misure terapeutiche suggerite di volta in volta dal medico (meglio se saranno utilizzati farmaci omeopatici, omotossicologici, spagirici, antroposofici, etc.);

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ripristinare una normale eubiosi, con l'ausilio di probiotici (batteri privi di potere patogeno che possono essere somministrati per via orale al fine di favorire l'equilibrio della flora intestinale, dare protezione contro malattie o migliorare lo stato

nutrizionale, es.: Lactobacilli, Bifidobatteri, Euterococchi, Streptococchi) e prebiotici (sostanze componenti di alimenti, non digeribili nel tratto intestinale superiore, in grado di stimolare i ceppi benefici già presenti, es. : Oligofruttosi derivati

dell'Inulina, Lattulosio e Lattitolo);



terapia epatoprotettiva

, in modo da sostenere la funzione del principale organo del metabolismo.

Nell'ambito del riequilibrio della flora intestinale, non a caso, la modificazione della dieta è stata inserita al primo posto delle misure da adottare: questo è molto

importante per sviluppare un rapporto più consapevole con il cibo, così come risulta altrettanto importante che le persone sviluppino un elemento di conoscenza e di coscienza nell'approccio al cibo e, quindi, che individuino la dieta più adatta a loro. Da sempre, la storia della medicina ha sottolineato l'importanza dell’alimentazione: dagli antichi maestri cinesi sino a Galeno, Paracelso, Hahnemann, tutti esortano alla "Dieta" intesa nel suo vero e profondo significato: DIAITA = igiene di vita (dal greco antico). L'indicazione di un modus vivendi più salutare, era sempre basata sulla scelta di un modus alimentare rispettoso dell'integrità olistica dell'uomo.

Ricollegandoci al tema della disbiosi intestinale, è del tutto evidente quanto sia importante rivalutare il ruolo terapeutico dell'alimentazione come apportatrice di sostanze energetiche e nutritive e, soprattutto, come fattore di correzione e

riequilibrio del terreno biologico: il cibo diviene, pertanto, "farmaco" insostituibile. Inoltre, nell’ambito della medicina "non convenzionale" (definita anche integrativa, complementare, olistica) si dispone di buone strategie terapeutiche per contrastare il fenomeno della disbiosi intestinale. La modificazione della dieta gioca in tale

situazione un ruolo primario a cui si potranno affiancare, di volta in volta, ulteriori approcci, sia di tipo farmacologico che di tipo igienico comportamentale, nonché

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l'assunzione di antiossidanti naturali di comprovata qualità, che intervengono direttamente sull'abbattimento dello stress ossidativo e di enzimi digestivi. Un importante aiuto può essere anche fornito dalla idrocolonterapia o lavaggio

intestinale: si tratta di un’infusione sicura e delicata di acqua a varia temperatura nel

colon, è un trattamento del tutto naturale in quanto non vengono utilizzate sostanze chimiche, né farmaci. Esso è in grado di rimuovere dalle pareti del colon, in modo efficace, il materiale fecale stagnante, evitando l'accumulo di tossine nel sistema portale e linfatico. Inoltre è favorita la rimozione di muco, gas, parassiti e detriti cellulari, facilitando l'azione peristaltica e migliorando la funzione di assorbimento. Questa procedura naturale di depurazione elimina in modo efficace i sintomi connessi direttamente ed indirettamente con le disfunzioni dell'intestino crasso.

3.2 Microbiota e malattie.

Il microbiota è correlato ad una serie di malattie, sia intestinali che extra-intestinali. Tra le principali malattie in cui il microbiota è coinvolto troviamo le MICI, diabete di tipo 2, ansia, aterosclerosi, sindrome metabolica, sclerosi multipla, artrite reumatoide, dermatite atopica, asma, celiachia, disturbi alimentari (obesità, anoressia). Il legame tra microbiota e tutte queste specifiche malattie ci fa capire l’importanza che questi microrganismi simbiotici hanno assunto nel corso del tempo, nonostante alcuni studi siano sempre in sospeso.

3.2.1 Microbiota e MICI - Nell’ambito delle MICI consideriamo in particolare il Morbo di Crohn e la Colite ulcerosa. (8) Il primo rappresenta un’infiammazione transmurale che colpisce la parete intestinale (da mucosa a sierosa); come sintomi si hanno principalmente diarrea non ematica, crampi addominali, dolore al quadrante addominale inferiore destro, perdita di peso, ulcerazioni alla bocca; la seconda, d’altro canto, è un’infiammazione confinata alla mucosa che si estende fino a tutto il

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colon (ano), interessando la parte distale; i sintomi sono: sanguinamento rettale, diarrea, tenesmo, fistole ed ascessi, sintomi sistemici. Sono coinvolte nelle

MICI/alterazioni della barriera epiteliale diverse citochine pro-infiammatorie: nel morbo di Crohn si avverte un aumento di TNF e IFN-γ, mentre nella colite ulcerosa si ha un aumento di TNF e di IL-13.

Le principali cause di MICI sono:

Predisposizione genetica/fattori genetici Alterazione della barriera epiteliale Fattori ambientali

 MICROBIOTA INTESTINALE   Sistema immunitario

I batteri commensali modulano l’espressione di geni coinvolti in parecchie importanti funzioni intestinali ed extra-intestinali (ad es. il metabolismo xenobiotico, la

maturazione intestinale postnatale, l’assorbimento dei nutrienti, la fortificazione della barriera mucosale intestinale). I batteri intestinali producono acidi grassi a catena corta (SCFA), come butirrato, propionato ed acetato che hanno funzioni importanti nella fisiologia dell’ospite, in quanto il primo è fonte di energia per l’epitelio del colon e i secondi modulano il metabolismo del glucosio e del colesterolo. La

7-deidrossilasi batterica partecipa nel colon alla deconiugazione di sali biliari, e in parte partecipa al loro riassorbimento enteroepatico. I batteri del colon, inoltre, sintetizzano una serie di vitamine, tra cui la vitamina B1, B2, B12, PP, H, l’acido pantotenico e folico, partecipano all’assorbimento di calcio, magnesio e ferro. I batteri residenti, quindi, sono una linea fondamentale di resistenza alla colonizzazione da parte di microbi esogeni. Le MICI si manifestano principalmente nei paesi occidentali e più industrializzati proprio per il fatto che in Africa si ha una prevalenza di specie che degradano la cellulosa, mentre in Europa prevalgono le specie che degradano i

carboidrati; inoltre, studi hanno confrontato i bambini africani con quelli europei ed è stato visto che i primi presentano una maggior presenza di Bacteroides e una

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(implicate nella idrolisi della cellulosa e dello xilano), non presenti nei bambini europei; questi ultimi, presentano una minor presenza di SCFA rispetto ai bambini africani. Le concentrazioni batteriche sulla mucosa intestinale di soggetti sane sono basse (≈0,18 x 103 CFU/μl per gli anaerobi e 0,003 x 103 CFU/μl per gli aerobi). Le concentrazioni aumentano nei pazienti con MICI ed in particolare nei pazienti con morbo di Crohn (8,4 x 103 CFU/μl per gli anaerobi e 0,11 x 103 CFU/μl per gli aerobi), anche se la concentrazione media dei batteri aumenta con la severità della patologia. Nei soggetti sani prevalgono Bacteroides e Lachnospiraceae (un

sottogruppo dei Firmicutes comprendente Clostridi IV XIVA), mentre nei soggetti con MICI si osserva una deplezione di questi phylum e un incremento di Actinobatteri e

Proteobatteri.

Due sono le strategie farmacologiche che possono essere utilizzate: sviluppo di prebiotici/probiotici e d’altra parte il trapianto di feci.

Figura 3.2: Il trapianto di flora batterica ‘cura’ una grave malattia dell’intestino, come la colite ulcerosa.

Tratto da: http://www.ansa.it/saluteebenessere/notizie/rubriche/medicina/2016/05/23/trapianto-di-flora-batterica-cura-grave-malattia-intestino_6f0376a2-e08a-40c4-a2f5-d396b892cb95.html

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Ad oggi è possibile il trapianto di flora batterica (FIG. 3.2), ovvero la

somministrazione di un nuovo microbiota intestinale da donatori sani: è stato visto che potrebbe aiutare la cura della colite ulcerosa. (9) A dimostrazione di ciò,

Sudarshan Paramsothy della University of New South Wales, Australia, ha condotto uno studio clinico su 81 pazienti: tale studio è stato riportato nel corso del Digestive

disease week a San Diego. Il trapianto di flora batterica è una terapia in uso per

curare infezioni intestinali da Clostridium dificile, resistente agli antibiotici. La

tecnica consiste nell'introdurre nell'intestino del paziente una nuova flora intestinale e il microbiota usato per la terapia viene isolato da campioni di feci di donatori sani. Scienziati di tutto il mondo stanno tentando di estendere l'uso del trapianto di flora ad altre patologie intestinali come appunto la colite ulcerosa. Degli 81 pazienti totali esaminati sono stati sottoposti a trapianto di flora 41 di loro, impiantando la nuova flora batterica per via endoscopica; gli altri 40 pazienti hanno ricevuto una terapia placebo. I pazienti trattati con il trapianto di flora hanno riportato una riduzione significativa o l'eliminazione completa dei sintomi intestinali e la parete del loro intestino - osservata in endoscopia - presentava meno lesioni. I risultati sono

promettenti poiché molti pazienti con colite ulcerosa non traggono alcun giovamento dalle terapie farmacologiche attualmente disponibili.

3.2.2 Microbiota e Diabete - Il nostro corpo è abitato fisiologicamente da un enorme numero di batteri che, per oltre il 70%, vivono nell’intestino raggiungendo nel colon la massima concentrazione e generando una biomassa di oltre 1,5 kg. (10) Essendo il microbiota il complesso sistema della microflora intestinale che stabilisce una

relazione simbiotica con l’ospite, crea un ecosistema stabile nella sua composizione e funzione, malgrado le condizioni dinamiche imposte dalla dieta, dalla possibile

occorrenza di infezioni con relativo uso di antibiotici e dalle reazioni del sistema immunitario. Il genoma collettivo del microbiota (metagenoma) contiene un numero di geni (oltre 3.3 milioni) almeno 150 volte superiore all’intero patrimonio genico umano, geni indispensabili per la sopravvivenza delle varie specie batteriche, ma

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anche per la fisiologia umana perché responsabili di un ampio numero di reazioni enzimatiche con produzione di metaboliti e di segnali molecolari capaci di

influenzare la nostra salute. I microbi intestinali sono in prevalenza anaerobi: se ne conoscono oltre 50 phyla, ma due sono dominanti coprendo il 90% della popolazione batterica, i gram-positivi Firmicutes e i gram-negativi Bacteroidetes. Altri phyla sono rappresentati da Actinobatteri, Fusobatteri e Verrucomicrobia. Esiste una grande variabilità interindividuale dettata da fattori genetici e ambientali. Le differenze di composizione del microbiota fra soggetti egualmente sani sono giustificate in buona misura da diverse abitudini alimentari. La dieta ha infatti un ruolo fondamentale nella selezione di specie microbiche specifiche per i vari substrati alimentari. Una dieta ricca di carne evoca i geni della degradazione proteica, mentre una dieta erbivora produce i geni necessari per digerire le fibre vegetali. Quel che è certo è che il microbiota dei soggetti sani si differenzia da quello che si ritrova nel corso di specifiche malattie. Disbiosi specifiche sono state identificate nei soggetti affetti da colon irritabile, malattie infiammatorie dell’intestino (morbo di Crohn) e carcinoma del colon, ma anche da obesità e diabete di tipo 2 e di tipo 1. La relazione esistente tra flora intestinale e immunità rende possibile un coinvolgimento della composizione del microbiota nella genesi del processo autoimmunitario che conduce al diabete di tipo 1. Manipolazioni della dieta possono modificare la composizione della flora intestinale e l’incidenza di diabete nei topi NOD (topi diabetici non obesi). In effetti, i topi NOD che sviluppano il diabete hanno una maggiore concentrazione di

Bacteroidetes e il trattamento antibiotico riduce l’incidenza di diabete, nei topi NOD,

dal 75 al 20%. Tutta una serie di processi è disregolata in animali germ-free che, di fatto, rappresentano un ottimo modello per meglio comprendere il ruolo della flora batterica intestinale nel controllo delle più svariate funzioni organiche. A livello intestinale, si osserva una riduzione dello spessore e della rete capillare dei villi, una riduzione della superficie di assorbimento e dell’attività peristaltica. In realtà, in condizioni fisiologiche, la maturazione del microbiota accompagna la maturazione del tratto gastroenterico.

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Il microbiota ha un ruolo importante nel metabolismo degli acidi biliari e del colesterolo, come dei farmaci. Fa parte della flora batterica anche l’Oxalobacter

formigenes, che degrada gli ossalati della dieta così riducendo l’escrezione di ossalato

e contribuendo alla prevenzione della calcolosi renale.

Il microbiota è coinvolto nella regolazione della omeostasi energetica (equilibrio energetico). Topi privi di flora batterica (germ-free) perché allevati in ambiente sterile, hanno una riduzione del 40% della massa grassa rispetto a topi allevati in modo convenzionale, pur essendo questi ultimi sottoposti a una dieta con contenuto calorico inferiore del 29%. Gli animali germ-free necessitano di una introduzione calorica più alta per mantenere lo stesso peso, sia per l’impossibilità di estrarre calorie da alimenti indigeribili (fibre vegetali) sia per una riduzione della capacità di assorbimento intestinale e mostrano un metabolismo abnorme del colesterolo e degli acidi biliari. Studi recenti suggeriscono che i batteri intestinali giocano un ruolo fondamentale nella genesi dell’obesità, del diabete e delle malattie cardiovascolari. Dati raccolti nella sperimentazione animale come negli studi nell’uomo indicano l’esistenza di una associazione fra l’obesità e il diabete di tipo 2, entrambi

caratterizzati da una profonda disbiosi intestinale. I primi studi di associazione sul metagenoma umano hanno infatti dimostrato una correlazione assai significativa di specifici ceppi batterici intestinali con il diabete di tipo 2. In particolare, si è

dimostrato, nei diabetici di tipo 2, un aumento della concentrazione di Bacteroidetes e una riduzione dei batteri produttori di butirrato quali Roseburia intestinalis e

Faecalibacterium prausnitzii (accreditato di un effetto anti-infiammatorio) e ancora

un aumento dell’espressione di geni coinvolti nello stress ossidativo ed una riduzione di quelli coinvolti nella sintesi di vitamine come la riboflavina. Da notare che il

Faecalibacterium prausnitzii è il batterio che presenta la più alta concentrazione

nell’intestino dei soggetti sani, rappresentando più del 5% di tutta la popolazione batterica.

Altri studi segnalano una riduzione dei Firmicutes e dei Bifidobacteria rispettivamente del 4% e del 14% nei pazienti obesi e del 13% e del 28% nei

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diabetici. È stata anche osservata una correlazione significativa fra la riduzione di concentrazione di queste specie batteriche e alcuni parametri metabolici come l’emoglobina glicata, la glicemia a digiuno, la circonferenza alla vita, il peso corporeo e il BMI (indice di massa corporea).

Il microbiota intestinale, oltre che nelle MICI, è quindi coinvolto nella patogenesi e nella fisiopatologia del diabete di tipo 2: tra i vari fattori che contribuiscono alla genesi del diabete di tipo 2 quali l’età, la storia familiare, la sedentarietà e la dieta, dobbiamo oggi includere anche un possibile ruolo di specifiche anomalie di

composizione del microbiota intestinale. Le cause principali del diabete di tipo 2 sono: scarsa attività fisica 

 predisposizione genetica  programmazione fetale  obesità

La prima evidenza è stata osservata nel 2004 grazie a studi su topi germ-free, che hanno permesso di capire che il microbiota fosse correlato ad alterazioni nel metabolismo del glucosio. (11) La flora batterica contribuisce alla maturazione anatomica e funzionale della mucosa intestinale e alla regolazione dei processi

metabolici connessi con l’alimentazione. Vi sono perciò i presupposti per ritenere che una deviazione dalla norma della sua composizione possa contribuire, ove associata a una specifica suscettibilità genetica, all’origine del diabete di tipo 2, attraverso

l’induzione di una infiammazione di basso grado, che notoriamente caratterizza l’obesità addominale, la resistenza insulinica e il diabete di tipo 2. Una molecola-chiave coinvolta nella genesi dell’infiammazione e delle malattie metaboliche è il liposaccaride (LPS) derivato dalla flora batterica intestinale. Il liposaccaride è infatti una potente molecola pro-infiammatoria presente nella parete dei batteri

gram-negativi e liberata nell’intestino con la loro morte. L’LPS si lega a TLR4 (Toll-like receptor-4) che attiva vie di segnalazione pro-infiammatorie, per cui come

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all’insulina.

Queste osservazioni sul nesso tra diabete e microbiota intestinale sono di grande interesse, perché aprono la strada a nuove ipotesi di intervento per combattere una patologia che rappresenta oggi a livello mondiale una delle maggiori minacce per la salute pubblica. Sia sul piano della prevenzione sia su quello della terapia, la

conoscenza delle alterazioni riscontrate nel microbiota intestinale apre la strada a nuove possibilità di intervento fondate su opportune modificazioni della dieta e sull’uso di prebiotici e probiotici. Sono inoltre in corso numerose ricerche

sperimentali che utilizzano il trapianto fecale da soggetti sani, sia nell’animale sia nell’uomo, con lo scopo di migliorare nei riceventi l’equilibrio metabolico. In uno studio recente, l’infusione, in soggetti affetti da sindrome metabolica, del microbiota intestinale da un donatore magro sano ne ha migliorato la sensibilità all’insulina. Si confida che dalla caratterizzazione delle innumerevoli specie batteriche che

compongono il microbiota intestinale possano quindi derivare, nel prossimo futuro, utili indicazioni per migliorare il nostro approccio terapeutico all’obesità e al diabete mellito.

3.2.3 Microbiota e Asma - L'asma può avere una relazione sorprendente con la composizione delle specie di batteri che abitano nelle gallerie di ventilazione bronchiali: quattro tipi di batteri eventualmente presenti nel microbiota intestinale garantirebbero protezione nei confronti dell'asma. (12) A rivelarlo è uno studio

apparso su Science Translational Medicine e firmato da scienziati della University of British Columbia, in Canada. La ricerca coordinata da Brett Finlay, docente di

Microbiologia presso l'ateneo nordamericano, ha preso in esame i campioni fecali di 319 bambini, scoprendo che il deficit di quattro batteri intestinali prima dei tre mesi di vita li espone maggiormente al rischio di asma. I batteri in questione sono:

Faecalibacterium, Lachnospira, Veillonella e Rothia. «La maggior parte dei neonati

acquisisce questi quattro ceppi in modo naturale, e ancora non è chiaro perché alcuni non lo fanno», scrivono i ricercatori, che evidenziano le differenze minime nel

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contenuto del microbiota infantile dopo il compimento del primo anno di età, «Cosa che indica come i primi tre mesi di vita siano fondamentali per lo sviluppo del

sistema immunitario», afferma Finlay. L'analisi ha messo a confronto le osservazioni sui neonati con studi a livello murino, riuscendo a scoprire che i sintomi dell'asma si manifestavano in maniera grave nei topi che alla nascita avevano ricevuto l'iniezione dei quattro ceppi batterici. «Questi risultati indicano che la composizione del

microbiota intestinale gioca un ruolo chiave nella prevenzione dell'asma nelle fasi iniziali della vita, ossia al momento della formazione del sistema immunitario», riprende Finlay. Maria Gloria Dominguez-Bello commenta in un editoriale di accompagnamento alla ricerca: «Dallo studio emerge che la composizione del microbiota dei neonati è un fattore predittivo del rischio di asma, e che tale rischio potrebbe essere ridotto o annullato reintegrando i ceppi batterici mancanti. La scoperta potrebbe offrire un nuovo modo per prevenire una malattia respiratoria potenzialmente fatale per molti bambini».

3.2.4 Microbiota e Aterosclerosi - E se l’aterosclerosi venisse (anche) “dalla pancia”? (13) Gli ultimi studi mettono sotto ‘accusa’ un microbiota intestinale e aprono, quindi, un nuovo fronte di responsabilità dei miliardi di ospiti che popolano il nostro intestino. Un microbiota particolare, selezionato da una dieta ricca di uova e carne, potrebbe provocare un eccesso di attivazione piastrinica e dunque favorire le trombosi. L’osservazione sperimentale è per ora fatta sui topi, ma in natura è

possibile rintracciare questo fenotipo anche nei soggetti obesi e con insulino-resistenza. A guidare la triste classifica della mortalità sono in tutto il mondo le malattie cardiovascolari aterotrombotiche e i vari meccanismi che innescano il

problema, poiché convergono tutti inevitabilmente nell’attivazione dell’aggregazione piastrinica e nella generazione di un trombo all’interno di un’arteria.

Un articolo appena pubblicato sul New England Journal of Medicine, attira l’attenzione su un altro fronte di innesco, per molti aspetti inedito e ancora appannaggio della ricerca di base, più che della clinica.

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patologie sistemiche (fenotipi cardiometabolici dell’aterosclerosi, obesità e diabete di tipo 2). È stato scoperto, facendo vari studi (dipartimento di medicina interna

dell’Università di Innsbruck in Austria) che sostanze nutritive come la

fosfatidilcolina, la colina, la carnitina, vengono processate dal microbiota intestinale per produrre trimetilamina (TMA) che, assorbita dall’intestino, viene convertita nel fegato in TMA-N-ossido (TMAO) dalle monossigenasi contenti flavina (FMO). Questi TMAO hanno un effetto favorente l’aterosclerosi, promuovendo l’accumulo di macrofagi carichi di colesterolo e la formazione delle foamcell, che entrambi danno un contributo importante allo sviluppo delle placche vulnerabili.

Nell’uomo, il consumo di cibi quali carne e uova è stato associato ad un aumento dei livelli di TMAO, a loro volta correlati con un aumentato rischio di eventi

cardiovascolari maggiori nei pazienti coronaropatici. La somministrazione di

antibiotici riduce in maniera importante le concentrazioni plasmatiche di TMAO, che poi risalgono alla sospensione dei farmaci. Anche questo dimostra l’importanza del microbiota nella produzione dei TMAO.

Un recente lavoro di Zhu pubblicato su Cell ha evidenziato che i livelli plasmatici di TMAO nell’uomo correlano con il rischio di trombosi. A livelli fisiologici, in

presenza di shear stress, i TMAO aumentano l’attivazione piastrinica. Esponendo inoltre le piastrine a livelli crescenti di TMAO, si assiste al rilascio di calcio dai depositi intracellulari, fenomeno questo che facilita l’attivazione piastrinica da parte di una serie di agonisti. Somministrando ai topi un eccesso di colina con la dieta, i TMAO prodotti dal microbiota aumentano la responsività delle piastrine,

promuovendo un fenotipo di tipo pro-trombotico. Un fenomeno che può essere prevenuto somministrando prima antibiotici e che non si osserva somministrando la colina a topi germ-free. Zhu e colleghi hanno individuato 9 specie batteriche

associate ai livelli plasmatici di TMAO e 15 specie correlate in maniera significativa al rischio di trombosi nei topi. Gli stessi autori hanno dimostrato che il trapianto fecale effettuato nei topi germ-free, ‘contagia’ a questi animali un aumentato rischio di trombosi che, almeno nei topi, è dunque un tratto trasmissibile.

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Non è però ancora mai stato individuato un recettore per i TMAO.

Tilg ritiene dunque che questi studi, oltre ad aver rivelato un inedito rapporto tra dieta, microbiota, attivazione piastrinica e rischio di trombosi, apriranno la strada ad un filone di ricerca del tutto nuovo e a possibili nuovi trattamenti per la prevenzione delle patologie aterosclerotiche. È infatti già noto che il 3,3-dimetil-1-butanolo inibisce la formazione dei TMA da parte del microbiota, riducendo così i livelli plasmatici di TMAO e proteggendo dall’aterosclerosi facilitata dalla colina dietetica. Altri autori hanno evidenziato che i livelli di FMO3 (Flavina-mono-ossigenasi-3) risultano elevati nei soggetti obesi con insulino-resistenza e nei topi maschi obesi con insulino-resistenza. Il knockdown di FMO3 nei topi previene iperglicemia,

iperlipidemia e aterosclerosi.

FMO3 sembra dunque essere l’interruttore centrale del metabolismo epatico di colesterolo e potrebbe rappresentare un futuro target per interventi farmacologici. Prima di elaborare approcci terapeutici anti-TMAO tuttavia - ammonisce l’autore – è necessario stabilire se oltre a dieta e microbiota ci siano altri fattori in grado di

influenzare questo sistema. Inoltre la colina è un nutriente critico per molte funzioni cellulari, dunque è necessario appurare, attraverso studi clinici, che una sua riduzione nella dieta non provochi danni.

3.2.5 Microbiota e SNC (IBS, Ansia, Depressione e Autismo) – Negli ultimi anni sono stati fatti alcuni studi grazie ai quali è stato scoperto che il microbiota, oltre che alla periferia, si estende anche a livello del sistema nervoso centrale e quindi, in qualche modo, influenza le funzioni del SNC: un’alterazione nella composizione della flora intestinale nel corso della vita ha un ruolo fondamentale nella

fisiopatologia di una serie di disturbi mentali. (14) Il microbiota intestinale influenza il SNC attraverso varie vie di segnalazione dell’asse microbiota-intestino-cervello: -attraverso la regolazione dell’attività immunitaria e la produzione di citochine infiammatorie che possono influire direttamente sul cervello poiché stimolano l’asse HPA (ipotalamo-ipofisi-surrene) per la produzione di CRH (ormone rilasciante

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corticotropina), ACTH (ormone adrenocorticotropo) e cortisolo (ormone dello stress);

-attraverso la mediazione del metabolismo del triptofano che può alterare la

produzione a valle di acido quinolinico (o QUIN) che porta potentemente all’agonia i recettori NMDA, i quali si trovano nella via principale neuronale del cervello, il sistema glutamatergico. Nello scenario estremo dell’AIDS, il chinolinico va così in alto che si produce una tossicità massiccia del glutammato che porta a morte dei neuroni) e chinurenico (KYNA, prodotto del metabolismo triptofano, il quale è sintetizzato e rilasciato nel cervello attraverso gli astrociti. Il KNYA agisce come antagonista sia dei recettori nicotinici (nAChRs) che di quelli glutammati, i quali giocano entrambi un ruolo centrale nel determinare la plasticità neurale così e nel regolare le attività di apprendimento e di memorizzazione.) e serotonina (una triptammina, neurotrasmettitore monoamminico sintetizzato nei neuroni

serotoninergici nel sistema nervoso centrale, nonché nelle cellule enterocromaffini nell'apparato gastrointestinale, principalmente coinvolta nella regolazione del tono dell'umore);

-attraverso la produzione di SCFA;

-attraverso la produzione di neurotrasmettitori (GABA, dopamina, noradrenalina, adrenalina).

Le vie di segnalazione afferenti del nervo vago sono cruciali nel mediare gli effetti del microbiota sulle funzioni cerebrali e sul comportamento; il microbiota influenza lo sviluppo del cervello dei mammiferi e la funzione che colpisce numerosi processi psicologici (umore, emozione, interazione sociale e funzione cognitiva). Sono stati effettuati, ad ora, studi su roditori per comprendere le interazioni microbiota-cervello: dati emergenti suggeriscono che il microbiota può regolare alcuni aspetti delle

funzioni emozionali e neuropsicologiche.

La sindrome del colon irritabile (IBS) è una patologia correlata allo stress, quindi è un disordine dell’asse cervello-intestino, in cui i sintomi gastrointestinali sono accompagnati ad anomalie funzionali e strutturali del cervello e a disfunzione

(17)

dell’asse HPA. Risulta, quindi, alterata la diversità, stabilità e attività metabolica del microbioma: diminuiscono i Bacteroidetes e aumentano i Firmicutes. È ancora da stabilire il legame tra le alterazioni del microbiota e IBS (co-morbidità psichiatrica, disfunzione asse HPA, perdita di cognizione); è più chiaro, invece, che un’alterata composizione del microbiota può provocare sintomi extra-intestinali (SNC) nel disordine.

Il microbiota risulta, inoltre, coinvolto in depressione e ansia: lo stress porta ad una disfunzione dell’asse HPA, ad un aumento dei livelli del cortisolo, ad un aumento del fluido cerebrospinale di CRF (fattore rilasciante corticotropina) e ad un aumento del livello di citochine pro-infiammatorie nel plasma ( depressione). Il microbiota può regolare l’asse HPA e l’attività immunitaria e risulta coinvolto in altri processi

correlati a depressione/ansia come il metabolismo del triptofano: il trattamento con

Bifidobacterium breve 1205 determina nei topi un calo del comportamento simile

all’ansia; è stato anche visto che il fenotipo comportamentale può essere trasferito da un ceppo ad un altro tramite il trapianto fecale di microbiota. Ceppi probiotici (B.

infantis, L. Rhamnosus e cocktail di Lactobacillus Helveticus e Bifidobacterium longum) hanno proprietà antidepressive. Una combinazione di probiotici (L.

Helveticus e B. Longum) diminuisce la produzione di cortisolo urinario in 24 ore; 4

settimane di trattamento con un prebiotico diminuisce la risposta al cortisolo nei volontari sani.

L’autismo (ASD) rappresenta un disordine dello sviluppo neurologico (deficit di interazioni sociali, comunicazione e sviluppo del linguaggio). Studi su animali germ-free suggeriscono la presenza/assenza del microbiota durante lo sviluppo

neurologico: questo può modulare l’espressione dei comportamenti sociali. Le infezioni in gravidanza possono aumentare il rischio di ASD: l’attivazione

immunitaria materna (MIA) in modelli di topo produce deficit comportamentali e disturbi gastrointestinali (aumento della permeabilità intestinale e microbiota alterato). Il Bacteroides fragilis ripara la barriera intestinale e normalizza i deficit nella comunicazione e nei comportamenti simili all’ansia. Il microbiota influenza lo

(18)

sviluppo neurologico e ha un ruolo nella fisiopatologia dell’ASD: bambini autistici trattati con vancomicina possono avere un miglioramento dei sintomi; oggi, nuovi approcci sono ricercati per un miglioramento ulteriore, in quanto con la vancomicina non cessa il disturbo, né è possibile un trattamento prolungato.

3.2.6 Effetti tossici del microbiota: infiammazione della pelle - La psoriasi è

una malattia infiammatoria cronica della pelle in cui le cellule TH17 giocano un ruolo cruciale. Poiché la flora indigena intestinale influenza lo sviluppo e la reattività di cellule immunitarie, è stato analizzato il legame tra flora batterica, cellule T e la formazione di lesioni psoriasiche nel modello murino indotte da Imiquimod (IMQ), un farmaco conosciuto in fase sperimentale con la sigla R-837 che agisce come un immunomodulatore, cioè come un modificatore della risposta immunitaria. Per esplorare il ruolo del microbiota, è stata indotta l'infiammazione della pelle in topi germ-free (GF), in topi ATB (antibiotico ad ampio spettro) -trattati o convenzionali (CV) BALB / c e C57BL / 6. (15) È stato scoperto che entrambi i topi allevati in condizioni GF per diverse generazioni e topi CV trattati con ATB erano più resistenti all'infiammazione della pelle indotta da Imiquimod rispetto ai topi CV. Il trattamento ATB ha drammaticamente cambiato la diversità dei batteri intestinali, che è rimasta stabile dopo la successiva applicazione con Imiquimod; il trattamento ATB ha determinato un notevole aumento di Lactobacillales e una diminuzione significativa di Coriobacteriales e Clostridiales. Inoltre, rispetto ai topi CV, Imiquimod ha indotto un minor grado di attivazione TH17 locale e sistemica sia nei topi GF che

ATB-trattati. Questi risultati suggeriscono che il microbiota intestinale controlla l’infiammazione della pelle indotta da Imiquimod, modificando la risposta delle cellule T.

Il microbiota intestinale spinge l'infiammazione cutanea inducendo la risposta delle cellule T. Esso ha un forte impatto sullo sviluppo delle cellule T e sia la psoriasi che

(19)

il suo modello murino risultano in un significativo accumulo locale di cellule TH17 e γδTCR+. Pertanto, è stato valutato come il microbiota influenza la frequenza di cellule T γδTCR+ e le cellule T

H17, sia a livello locale (nei linfonodi drenanti) che sistemico (nella milza). È stato trovato che, in generale, i topi con microbiota ridotto o assente hanno frequenze significativamente più basse di queste cellule T sia a livello locale che sistemico, anche se questo effetto è leggermente meno pronunciato nei topi ATB-trattati rispetto ai topi GF (FIG. 3.3).

Continue interazioni tra microbiota e sistema immunitario sono importanti per la creazione e il mantenimento dell'omeostasi ospite. Così, un cambiamento nella

composizione del microbiota potrebbe portare ad un cambiamento nella reattività del sistema immunitario e, infine, alle malattie infiammatorie.

È stato analizzato il ruolo del microbiota nelle prime fasi di formazione della placca psoriasica utilizzando un modello murino di infiammazione della pelle psoriasi-IMQ-indotta. È stato scoperto che i topi GF hanno significativamente una infiammazione della pelle più lieve rispetto ai topi CV. A differenza degli animali ATB-trattati, i topi GF non hanno avuto alcun contatto con batteri vivi, perché sono stati allevati in

condizioni prive di germi per diverse generazioni. Questo è importante, perché l'esposizione prenatale ai microbi modifica in modo permanente la reattività del sistema immunitario. Anche se i topi sviluppano un’infiammazione della pelle che ricorda da vicino le placche tipo psoriasi negli esseri umani, diversi ceppi di topo possono presentare caratteristiche specifiche della malattia. Pertanto, sono stati

effettuati degli esperimenti utilizzando due diversi ceppi di topi, ciascuno con distinte reattività del sistema immunitario. Tuttavia, le modifiche sul microbiota hanno avuto un impatto simile sulla gravità della malattia in entrambi i ceppi di topi. Questo suggerisce che il microbiota influenza dei meccanismi di infiammazione della pelle che non sono legati alle differenze genetiche tra questi due ceppi.

Vi sono prove emergenti a sostegno dell'esistenza di assi di comunicazione tra organi, come asse intestino-pelle. Ad esempio, la dermatite atopica o rosacea sono entrambe

(20)

associate a cambiamenti marcati a livello della barriera intestinale e del microbiota intestinale, il che suggerisce che non solo il microbiota della pelle influenza la patogenesi della malattia. Il microbiota intestinale alterato (disbiosi) è una

caratteristica di malattie gastrointestinali croniche, come le malattie infiammatorie intestinali o la celiachia, che sono spesso associate all'infiammazione della pelle. È interessante notare che, la disbiosi intestinale simile a questa nella malattia

infiammatoria intestinale è stata trovata nei pazienti con artrite psoriasica. Inoltre, la disbiosi intestinale è una caratteristica comune anche nei pazienti con rosacea, e il trattamento con antibiotici non assorbiti per via orale migliora notevolmente

l'infiammazione della pelle. Dal momento che gli animali GF non hanno il microbiota sia sulla pelle che nell'intestino per tutta la loro vita, è stato analizzato l'asse

microbiota-intestino-pelle, cambiando l'ecologia dell'intestino microbico nei topi CV poco prima dell'induzione di psoriasi utilizzando ATB orale ad ampio spettro. È stato scoperto che, allo stesso modo come nei topi GF, gli animali ATB-trattati hanno significativamente un’infiammazione della pelle più lieve dei topi CV. Questi risultati sono in accordo con uno studio recentemente pubblicato utilizzando una miscela antibiotica ancora meno complessa di vancomicina e polimixina B. Pertanto, questo effetto protettivo non è limitato alla completa assenza del microbiota durante il periodo postnatale precoce e la gravità dell’infiammazione della pelle potrebbe essere modificata bersagliando il microbiota intestinale negli animali adulti. È interessante notare che, anche se il regime antibiotico usato in questi esperimenti è stato molto duro, non era in grado di uccidere tutti i batteri intestinali e le specie resistenti hanno riempito rapidamente la nicchia lasciata libera. Questo ecosistema di nuova costituzione è stato, tuttavia, nettamente diverso. È stato trovato che il

trattamento ATB ha portato ad un aumento di Firmicutes causato principalmente da un aumento massiccio del Lactobacilalles, anche se altri membri di questa phylum, come Clostridialles e Erysipelotrichales, sono diminuiti. Il ruolo protettivo

potenziale dei lattobacilli nelle malattie della pelle è supportato dal fatto che i lattobacilli intestinali nei bambini con dermatite atopica diminuiscono e per il fatto

(21)

che la loro somministrazione orale porta a notevoli benefici. Questo effetto di immuno-modulazione dei lattobacilli dell’intestino può essere mediata attraverso la loro capacità di sopprimere l'asse IL-23 / TH17, che è intimamente legato alla

patogenesi della psoriasi. L'aumento di questi lattobacilli antinfiammatori può quindi spingere questo delicato equilibrio indietro verso un fenotipo antinfiammatorio. Per analizzare l'impatto della flora intestinale sull'asse IL-23 / TH17, sono stati misurati i linfociti TH17 e γδTCR nei linfonodi drenanti e nella milza dei GF, degli ATB-trattati e dei topi CV. È stato scoperto che i topi GF, e, in misura minore, anche topi ATB-trattati, avevano un numero inferiore di entrambe le cellule γδTCR + e cellule TH17 rispetto ai topi CV. Questi dati suggeriscono che l'assenza di microbiota o il cambio a causa del trattamento ATB, diminuisce la risposta pro-infiammatoria delle cellule T e diminuisce così la gravità dell’infiammazione cutanea IMQ-indotta. Questo è

ulteriormente supportato da altri studi che descrivono la capacità dei batteri commensali di modulare lo sviluppo delle cellule T. L'importanza di questo collegamento con la psoriasi è ancora poco conosciuta, ma è stato recentemente suggerito un legame molecolare tra lo sviluppo di TH17 microbo-dipendente e la psoriasi. Nel loro insieme, i risultati trovati suggeriscono che le interazioni dell’ospite con microbi vivi, forse dagli ordini Clostridiales e Erysipelotrichales, sono coinvolti nella patogenesi della infiammazione della pelle IMQ-indotta influenzando la

reattività delle cellule TH17. L'effetto positivo della modulazione del microbiota intestinale da parte degli antibiotici sulla gravità dell’infiammazione della pelle suggerisce il coinvolgimento dell'asse intestino-pelle e può rappresentare le basi per nuovi approcci nella gestione del paziente psoriasico.

(22)

Figura 3.3: L’assenza del microbiota o il trattamento ATB diminuisce la percentuale di cellule T γδ e cellule TH17 nella milza o nei linfonodi ascellari di topi IMQ-trattati.

Esempio a: strategia di gating.

Esempio b: topi GF rispetto a topi CV.

Esempio c: topi ATB-trattati rispetto a topi di controllo.

(23)

3.2.7 Microbiota, Dermatite atopica e Psoriasi - La psoriasi e la dermatite atopica sono malattie infiammatorie croniche cutanee che impattano in maniera negativa sul vissuto quotidiano e sulla qualità di vita dei pazienti affetti. (16) Negli ultimi anni diverse evidenze scientifiche hanno sottolineato il ruolo fondamentale dei batteri presenti a livello cutaneo nel peggioramento della sintomatologia di queste due patologie.

Un recente studio ha valutato la composizione del microbiota cutaneo in soggetti affetti da dermatite atopica e psoriasi accuratamente selezionati. In particolare, sono stati scelti 3 cugini di primo grado: uno era affetto da dermatite atopica moderata, uno da psoriasi e il terzo rappresentava il controllo sano. Sono stati prelevati dei campioni di cute lesionale e di cute sana (per i soggetti con dermatite atopica e psoriasi) da un’area di 2 cm2 a livello retro auricolare mediante curettage. Anche nel soggetto sano (controllo) sono stati prelevati due campioni cutanei dalla stessa zona cutanea con curettage. È stato estratto il DNA ed effettuato un sequenziamento completo e, inoltre, è stata effettuata una coltura per Staphylococcus aureus. Il

paziente con psoriasi mostrava una riduzione della quota dei Firmicutes e un aumento dei Proteobacteria. In aggiunta, nel soggetto psoriasico è stato osservato un aumento di Streptococcaceae, Rhodobacteraceae, Campylobacteraceae e Moraxellaceae rispetto al soggetto con dermatite atopica e al controllo. Infine, il soggetto con dermatite atopica ha mostrato una maggiore quota di S. aureus rispetto al soggetto con psoriasi e al controllo. La composizione del microbiota dei campioni di cute non lesionale appartenenti al soggetto con dermatite atopica e a quello con psoriasi erano invece molto simili alla composizione batterica del campione prelevato dal soggetto di controllo.

3.2.8 Microbiota e Sclerosi multipla - Molti studi indicano che la SM, una malattia infiammatoria demielinizzante del sistema nervoso centrale, è causata da linfociti T autoreattivi specifici del cervello. Normalmente i linfociti T sono cellule del sistema immunitario che solo dopo essere state attivate assumono le proprietà che consentono

(24)

loro di superare la barriera emato-encefalica vascolare e di invadere la sostanza bianca del cervello. (17) Nonostante l'attivazione sia stata tradizionalmente associata ad infezioni microbiche, di recente, gli studi su modelli animali hanno rivelato che il microbiota intestinale cioè l'insieme di microrganismi simbiotici, prevalentemente batteri, che si trovano nell’apparato digerente dell'uomo, ha un ruolo critico in questo processo: prove dirette che identificano il microbiota intestinale come un induttore di autoimmunità nel cervello sono arrivate dal modello murino di SMRR. Il professor Wekerle del Max Planck Institute of Neurobiology, in Germania, grazie ad un nuovo modello murino di encefalite autoimmune sperimentale (EAE), ha studiato l’azione del microbiota sulla SM. I risultati hanno mostrato che il microbiota era in grado di indurre e controllare la malattia. Il microbiota intestinale era in grado, in condizioni particolari, di attivare le cellule T cervello-autoreattive. Questo implica che le malattie autoimmuni cerebrali, come la SM, sono sotto il controllo di processi di attivazione che si svolgono lontano dal cervello, nell'intestino. Questi risultati potrebbero aprire la strada a nuove strategie di trattamento della SM e di altre

malattie autoimmuni umane non invasive mirate al microbiota intestinale, e rivalutare gli approcci dietetici.

3.2.9 Microbiota e Artrite reumatoide (AR) - I batteri intestinali potrebbero, inoltre, essere coinvolti nello sviluppo dell’artrite reumatoide, una patologia

autoimmune che interessa i tessuti articolari, colpisce per la maggior parte le donne ed è caratterizzata da dolore e rigidità articolare. A fare questa scoperta è stato un gruppo di studiosi della New York University che hanno utilizzato innovative strumentazioni che consentono di eseguire analisi del DNA su campioni di feci di pazienti colpiti dall’AR e soggetti in buona salute. Grazie a queste analisi è stato possibile osservare che le concentrazioni di uno specifico batterio nell’intestino, chiamato Prevotella copri, sono più elevate nei pazienti con AR rispetto agli altri. (18)

(25)

riduce la concentrazione di “batteri buoni” nell’ambiente intestinale. Come illustrato dal responsabile dell’indagine, Dan Littman, questa ricerca non è altro che

un’ulteriore conferma di quanto sia importante mantenere l’equilibrio del microbiota intestinale per garantire benessere e salute.

Altri studi hanno messo in evidenza che un'alterazione della flora intestinale può favorire lo sviluppo di patologie autoimmuni sistemiche, anche se, specifica lo scienziato, questa scoperta non dimostra un diretto collegamento tra il P. copri e lo sviluppo dell’artrite reumatoide: suggerisce solo un nuovo aspetto da approfondire con ulteriori studi.

Per adesso queste teorie trovano conferma in alcuni esperimenti condotti sui roditori che hanno mostrato come l’eccessiva presenza di P. copri sia collegata ad un

peggioramento dell'infiammazione al colon.

3.2.10 Microbiota e Malattie cardiache - Un altro fattore di rischio cardiovascolare si va ad aggiungere ad una serie già numerosa. (19)

Figura 3.4: Il microbiota intestinale è coinvolto nello sviluppo di malattie cardiovascolari.

Tratto da: www.sisa.it

Si tratta della TMAO (trimetilamina N-ossidata), un prodotto dell'ossidazione epatica della trimetilamina, derivata dal metabolismo ad opera dei batteri intestinali della colina, che nell'uomo viene assunta prevalentemente come lecitina alimentare. La

(26)

TMAO favorisce l'accumulo di colesterolo nei macrofagi e, in accordo, è stata riscontrata una relazione positiva tra alti livelli di TMAO ed incidenza di eventi cardiovascolari maggiori (FIG. 3.4). Antibiotici a largo spettro somministrati per via orale riducono la produzione di TMAO e la sospensione della terapia antibiotica è seguita da una pronta ripresa della produzione di TMAO, dimostrando così la diretta dipendenza del livello di TMAO e flora batterica intestinale. Secondo gli autori, la TMAO è un fattore di rischio indipendente per l'aterosclerosi; la terapia antibiotica potrebbe rappresentare una nuova strategia per ridurre il rischio cardiovascolare? Potrebbe, sì.

3.2.11 Microbiota e Intolleranze alimentari - La ricerca suggerisce che la manipolazione dietetica e altri cambiamenti dello stile di vita possono ridurre l’infiammazione e i fattori di rischio per le malattie. (20) Il nostro corpo tende a sovra-produrre sostanze chimiche infiammatorie a causa di stili di vita inadeguata e a cattiva alimentazione. Quelle che un tempo venivano classificate come intolleranze alimentari oggi si chiamano più scientificamente “food inflammation”. Si instaura spesso un circolo vizioso tra l’infiammazione da cibo e depositi adiposi, in quanto l’infiammazione favorisce l’obesità e nello stesso tempo le cellule adipose producono sostanze chimiche infiammatorie aumentando i fattori di rischio e accelerando i

processi di invecchiamento; da ciò segue che l’infiammazione eccessiva rende difficile la perdita di peso.

L’apparato digerente rappresenta la superficie del corpo più estesa in relazione al mondo esterno: esso contiene una quantità elevatissima di tessuto linfatico che deve provvedere alla difesa del nostro organismo. Dalle ricerche, emerge anche una correlazione tra l’enterotipo di appartenenza e alcune funzioni dell’individuo, come la produzione di alcune vitamine o la predisposizione all’obesità. In quest’ottica rientrano anche le malattie auto-immuni, a monte delle quali c’è un’alterazione del microbiota, che può produrre sostanze antigeniche in grado di determinare risposte

(27)

immunitarie che reagiscono contro antigeni appartenenti al nostro organismo. È questo un aspetto di recente messo in evidenza dalla ricerca che mette in relazione le allergie alimentare con l’equilibrio dell’ecosistema microbico dell’intestino e i

meccanismi di difesa dell’ospite. Secondo autori Giapponesi, infatti, nell’evitare le eccessive reazioni infiammatorie nell’intestino assumono un ruolo le componenti microbiche che regolano direttamente le funzioni dei mastociti attraverso i recettori Toll-like: recettori che riconoscono profili molecolari (PRR, Pattern Recognition Receptors), in grado di riconoscere determinate strutture tipiche di patogeni e microbi ed implicati nella difesa dell’organismo, nel particolare, dell’immunità innata. Questo può spiegare il motivo con il quale le manifestazioni di food inflammation o di

allergia alimentare siano in funzione di un non corretto mantenimento della flora simbiontica intestinale.

3.2.12 Microbiota e Celiachia.

Figura 3.5: L’importanza del microbiota nell’insorgenza e nella cura della celiachia.

Tratto da: Dr. Shar Institute

(28)

umano, viene digerito solo in parte, i peptidi del glutine penetrano nella mucosa dell’intestino tenue. Inoltre vi sono indizi sempre più numerosi a riprova di quanto una mutata permeabilità intestinale causata da una perdita di coesione tra le giunzioni occludenti rappresenti un importante fattore nell’insorgenza della celiachia. (21) Penetrando più facilmente nella lamina propria, gli oligopeptidi possono scatenare i processi infiammatori tipici della celiachia. Sino a oggi non è stato appurato se la lesione della barriera intestinale sia la causa primaria o una conseguenza della celiachia. È stato però dimostrato che nei malati di celiachia la gliadina stimola in massima parte il rilascio di lattobacilli e bifidobatteri nei soggetti malati. Resta dubbio comunque se il microbiota alterato nei pazienti affetti da celiachia sia causa oppure conseguenza della malattia. L’analisi di alcuni campioni bioptici del duodeno di bambini celiaci non sottoposti a cure, ha riscontrato la presenza di un maggior numero di ceppi batterici gram-negativi rispetto ai soggetti sani dei gruppi di

controllo; ciò porterebbe a supporre che l’alterazione del microbiota sia piuttosto una conseguenza della malattia e che sia dovuta alla zonulina, una proteina che aumenta la permeabilità dell’intestino, favorendo l’assorbimento delle macromolecole

attraverso le giunzioni occludenti: molti indizi portano a supporre che le alterazioni del microbiota intestinale possano portare a un aumento nella permeabilità

dell’intestino, e a una possibile insorgenza della celiachia e di patologie allergiche. Ad oggi, il numero degli studi dedicati al ruolo del microbiota nella patofisiologia della celiachia è piuttosto limitato. Si ipotizza che, in pazienti che abbiano una

predisposizione genetica, i batteri gram-negativi siano coinvolti nell’insorgere di una intolleranza al glutine. Studi comparativi tra bambini affetti da celiachia e gruppi di controllo composti da soggetti sani sono riusciti a dimostrare per la prima volta una carenza di lattobacilli e bifidobatteri nei soggetti malati.

Al momento l’unica terapia per i pazienti affetti da celiachia consiste

nell’applicazione di una rigorosa dieta priva di glutine (GFD), volta a impedire l’assunzione di minime tracce di glutine. Nella lunga durata, risulta difficile

(29)

conseguire questo obiettivo senza un’adeguata consulenza nutrizionistica: nonostante i disturbi e il rischio di complicazioni e conseguenze nel lungo termine (es.: cancro, celiachia refrattaria), il 30-50% dei malati non riesce ad attenersi a un rigido

protocollo alimentare gluten-free. Alla luce dei dati esistenti sulle alterazioni del microbiota intestinale in pazienti affetti da celiachia, i seguenti studi dimostrano che l’integrazione di probiotici può rappresentare un valido e promettente supporto alla terapia per la celiachia:

- Nel 2006 De Angelis et al. hanno esaminato il preparato VSL#3, integratore alimentare probiotico contenente 8 diversi ceppi batterici (perlopiù bifidobatteri e lattobacilli). I ricercatori sono riusciti a dimostrare che la combinazione di questi ceppi probiotici, a confronto di ceppi isolati e di altri prodotti in commercio già oggetto di studio, è maggiormente in grado di favorire la scissione dei peptidi: con l’aiuto di questo preparato i peptidi della gliadina sono più facilmente digeribili. - Il gruppo di lavoro di De Palma (2010), mediante l’impiego di alcuni bifidobatteri, è riuscito a inibire in vitro la secrezione di interleuchina 12 e interferone-gamma

(citochine responsabili del processo infiammatorio) nelle cellule mononucleate del sangue periferico (PBMC*) esposte all’influsso del glutine. Questa scoperta

suggerisce un effetto antiinfiammatorio dei bifidobatteri in corso di studio.

- Lindfors et al. (2008) hanno dimostrato che il ceppo batterico B. lactis è grado di inibire l’effetto tossico della gliadina del glutine su colture di cellule epiteliali in somministrazioni di 106 e 107 CFU**/ml. Lo stesso effetto non si è verificato nel caso di una minore concentrazione di unità formanti colonie per millilitro (105 CFU/ml). 1

- D`Arienzo et al. (2011) hanno arricchito un prodotto caseario con il ceppo L. casei ATCC 9595 contribuendo a rafforzare la barriera intestinale e impedendo

l’assorbimento della gliadina nella lamina propria.

1* PBMC: engl. Peripheral Blood Mononuclear Cell

(30)

3.2.13 Microbiota e Anoressia.

Figura 3.6: Intestino e anoressia, depressione e ansia sono collegati.

Tratto da: http://www.huffingtonpost.it/2016/02/08/intestino-anoressia-ricerca-usa_n_9189512.html

Dall’intestino al cervello si dice che ci sia un “asse” di collegamento diretto. Ora, quanti soffrono di anoressia risultano avere un microbiota meno diversificato e meno abbondante delle altre persone. E per microbiota si intende l’insieme dei

microrganismi (un trilione), batteri e microbi, che popolano il tratto gastro-intestinale e che influiscono sulla salute digestiva e sul sistema immunitario. Ricercatori della University of South Carolina hanno fatto la scoperta - pubblicata su Psychosomatic

Medicine - sul diverso contenuto intestinale in chi soffre di anoressia nervosa e hanno

osservato che tale sbilanciamento è associato con alcuni sintomi psicologici che spesso accompagnano il disturbo alimentare, come ansia e depressione. (22) Precedenti studi, scrivono gli studiosi nel loro testo pubblicato su Psychosomatic

Medicine, hanno legato i batteri intestinali con la regolazione del peso e il

comportamento. Noi non siamo in grado di dire – osservano – che lo squilibrio nei batteri intestinali causi i sintomi dell’anoressia, ma può essere che la radicale limitazione del cibo che è al centro dell’anoressia possa cambiare la composizione del microbiota (FIG. 3.6) E questi cambiamenti potrebbero contribuire all’ansia, alla depressione e all’ulteriore perdita di peso degli anoressici. Si creerebbe così un circolo vizioso.

(31)

«Vogliamo scoprire se alterando il loro microbiota - continuano - possiamo aiutarli nella stabilizzazione del peso e dell’umore».

Uno studio-pilota su 16 donne anoressiche ha dimostrato, con l’analisi di campioni fecali presi al momento del ricovero in ospedale e quando le pazienti avevano

ritrovato un peso nella norma, che tra i due tempi era significativamente cambiata la composizione dei batteri. Nel momento della malattia si erano trovati meno tipi diversi di microrganismi e al momento dell’uscita dall’ospedale un’accresciuta diversità, tuttavia ancora ben inferiore rispetto a quella constata nelle 12 donne sane del gruppo di controllo. Contemporaneamente anche il tono dell’umore delle pazienti era migliorato. Aggiungono i ricercatori della North Carolina che in esperimenti sugli animali si è visto che cambiando dall’esterno il loro microbiota appariva cambiato anche il loro comportamento, specie in relazione ad ansia e stress. Se la stessa cosa sia possibile negli umani resta una domanda più che aperta, ma il gruppo di scienziati di questo studio ha ricevuto un grosso finanziamento per continuare l’indagine.

«Fin qui siamo alla constatazione che anoressia e scarsa biodiversità intestinale sono associati, non si può ancora parlare di causa- effetto», osserva la professoressa

Enrica Capelli, ricercatrice di Biologia all’Università di Pavia. «Si sa che una grandissima abbondanza e biodiversità del microbiota è un segno di buona salute generale. Questo sì». Indagare gli organismi che abitano la nostra pancia è un filone molto attivo nella ricerca. «Per la celiachia e la diverticolite si è visto che sono presenti batteri un po’ variati e un equilibrio alterato. Per la celiachia allora si

ipotizza che manchino delle comunità batteriche capaci di digerire il glutine».

E il famoso “asse cervello-intestino”? «L’intestino produce dei mediatori chimici che

hanno i recettori sul sistema nervoso, quindi vengono recepiti dal cervello. La serotonina, per esempio, è un neurotrasmettitore coinvolto con la depressione ed è prodotto anche dall’intestino».

(32)

3.2.14 Microbiota e Obesità - L’obesità è una patologia cronica, multifattoriale, correlata a diverse patologie, cardiovascolari, metaboliche, respiratorie,

osteoarticolari. (23) Nella patogenesi dell’obesità interagiscono in maniera molto articolata e complessa diversi fattori: comportamentali, psicologici, ambientali, metabolici, neuro-immuno-endocrini.

Figura 3.7: Escherichia Coli.

Tratto da: Wikimedia Commons.org

Negli ultimi anni si sta assistendo ad un incremento di studi e pubblicazioni in merito al ruolo del microbiota intestinale nella patogenesi dell’obesità.

Evidenze sperimentali e cliniche stanno facendo luce in maniera sorprendente sulla complessa entità del microbiota intestinale e sulle sue molteplici funzioni (FIG. 3.7). E’ stato osservato che i microrganismi che colonizzano il tratto gastroenterico non sono solo ospiti quasi inerti ma sono attivi protagonisti di vivaci interazioni tra il tratto gastroenterico e il sistema neuro-immuno-endocrino.

Sappiamo che la flora batterica intestinale comprende 1014 batteri a cui vanno

aggiunti miceti e virus. Il genoma complessivo della sola flora batterica intestinale è quindi esponenzialmente più ricco di geni del genoma umano. Solo l’1% dei nostri geni viene trasmesso dai genitori, il restante 99% viene acquisito dal microbioma presente nell’ambiente circostante in particolare al momento della nascita, durante il transito attraverso il canale del parto e successivamente con l’allattamento.

(33)

L’argomento del microbioma è così rilevante che negli USA il NHS sta realizzando lo Human Microbiome Project, un progetto con un budget complessivo di 115 milioni di dollari, che ha il fine di identificare e caratterizzare i microrganismi ed il loro rapporto con lo stato di salute e di malattia dell’uomo

(https://commonfund.nih.gov/hmp/index).

Occorre considerare quindi la sostanziale importanza della compresenza nel nostro organismo del microbiota e valutare la dinamicità plastica del microbioma, in grado di trasformare la propria espressione genica in relazione a fattori ambientali quali il tipo di dieta e impattare sullo stato di salute. È stato osservato che individui di una stessa famiglia presentano un core simile di classi e specie di batteri intestinali che può modificarsi in base alle interazioni con l’ospite e con l’ambiente. Nell’individuo normopeso si riconoscono tre phyla batterici principali: Firmicutes, Actinobacteria e

Bacteroidetes.

Diversi studi hanno dimostrato una relazione tra microbiota intestinale e obesità. Anche se non in maniera univoca, studi effettuati sia nel topo che nell’uomo hanno evidenziato una modificazione nella composizione del microbiota intestinale nei soggetti obesi con un incremento dei Firmicutes e una riduzione dei Bacteroidetes. Il microbiota può incidere sull’equilibrio nutrizionale e metabolico dell’organismo modulando la capacità di estrarre energia dagli alimenti della dieta e interagendo con il metabolismo glico-lipidico. I metaboliti rilasciati dalla fermentazione di

polisaccaridi complessi della dieta possono aumentare l’assorbimento di glucosio, stimolare la lipogenesi, modificare la composizione in acidi grassi del tessuto adiposo e del fegato, alterare la permeabilità della barriera mucosa intestinale, alterare la risposta immunitaria, contribuire ad uno stato di infiammazione cronica sistemica e allo stato di insulino-resistenza correlato all’obesità.

Solo attraverso la completa tipizzazione delle specie batteriche che colonizzano il tratto gastro-enterico e la conoscenza delle loro funzioni fisiopatologiche sarà

(34)

possibile definire più accuratamente un aspetto patogenetico significativo dell’obesità e della sindrome metabolica e approntare rimedi terapeutici mirati.

3.2.15 Microbiota e Ritmo circadiano.

Figura 3.8: L’alterazione dei ritmi circadiani causa malattie infiammatorie.

Tratto da: http://www.lastampa.it/2014/05/23/scienza/benessere/lalterazione-dei-ritmi-circadiani-causa-malattie-infiammatorie-LLl7nbQUDNVfMHJaNB5SPN/pagina.html

L'alterazione dell'orologio biologico interno e dei ritmi circadiani pare possa influire sul microbiota intestinale e il rischio di infiammazione cronica (FIG. 3.8). Di tutto possiamo dire in questo periodo storico, tranne che riusciamo a condurre una vita regolata. (24) C’è sicuramente un’alta percentuale di persone che, per motivi

lavorativi o familiari, non riesce a seguire uno stile di vita salutare e più consono al proprio essere.

Le conseguenze di tutto ciò probabilmente si faranno sentire con il tempo. Turbare i ritmi circadiani – a detta di alcuni scienziati Statunitensi – potrebbe difatti influire negativamente sulla flora intestinale. A maggior ragione se tutto ciò si combina con un’alimentazione ad alto contenuto di grassi e zuccheri che potrebbero dar luogo a condizioni particolarmente nocive come la malattia infiammatoria intestinale. A suggerirlo sono alcuni ricercatori del Rush University Medical Center che hanno recentemente pubblicato i risultati del loro studio nella rivista PLoS ONE.

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modelli di sonno – spiega Robin M. Voigt, professore presso il Rush Medical College e autore principale dello studio – Il sonno è una conseguenza di ritmi circadiani». Se è pur vero che l’alterazione di tali ritmi sembra essere un fenomeno assai diffuso, è anche vero che nei soggetti predisposti può contribuire a un maggior rischio di sviluppare malattie infiammatorie, malattie che potrebbero essere prevenute regolando i cicli di sonno/veglia e i pasti. D’altro canto, i prebiotici e i probiotici possono normalizzare gli effetti causati dall’alterazione dei ritmi circadiani e pertanto ridurre l’infiammazione. «È un qualcosa che deve essere affrontato. Non certo un qualcosa di cui le persone devono essere molto preoccupate, ma comunque

consapevoli.» – precisa Voigt – «Se si hanno alcuni di questi fattori di rischio come una dieta ad alto contenuto di grassi e ricca di zuccheri, bisogna prendere

precauzioni, controllare la propria dieta, assumere probiotici e prebiotici, monitorare la propria salute ed essere vigili.» Secondo alcuni ipotesi, le persone con stili di vita a rischio o predisposizioni genetiche verso certe patologie sviluppano la malattia solo se interviene un fattore secondario, che sia in grado di farla uscire allo scoperto. «Crediamo che l’alterazione del ritmo circadiano cronica promuova/aggravi malattie infiammatorie mediate, almeno in parte, dalle variazioni del microbiota intestinale». E’ bene ricordare che l’infiammazione cronica non è uno scherzo perché può essere il precursore di malattie cardiovascolari e cancro, aumentando non di poco il rischio di mortalità. Per valutare l’impatto di questa condizione, durante lo studio sono stati esaminati alcuni topi maschi a cui era stato invertito il ciclo di esposizione alla luce e al buio su base settimanale: un metodo noto per interrompere i normali ritmi

circadiani del corpo. Ad alcuni topi è stata fornita una dieta standard; ad altri una con alto contenuto di grassi e zuccheri: la prima cosa che si è potuta notare è che i topi con i ritmi interrotti seguivano una dieta differente da quella del gruppo di controllo – solo se consumavano più grassi e zuccheri; anche quelli che seguivano solo una dieta eccessivamente grassa e zuccherina – quindi senza interruzione dei cicli naturali – avevano alterazioni del microbiota intestinale. Tuttavia, quelli che seguivano lo stesso tipo di alimentazione, associata alla modificazione dei ritmi circadiani,

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avevano concentrazioni più elevate di batteri noti per promuovere l’infiammazione. I topi che si nutrivano con cibo standard, invece, non hanno evidenziato cambiamenti significativi nel microbiota intestinale.

Tutto ciò conferma l’ipotesi espressa da alcuni studi più vecchi che suggerivano come l’interruzione dei ritmi circadiani producesse effetti avversi all’intero

organismo. Alcuni tipi di mestieri influenzano in maniera regolare il normale ritmo circadiano – come per esempio quelli di medici, infermieri e forze dell’ordine. «Altre persone sono sotto l’influenza del “jet lag sociale”, un modello di stile di vita che li porta a mantenere un programma normale nei giorni feriali, ma poi rimangono alzati fino a tardi e dormono (fino a tardi) durante il fine settimana», sottolinea il ricercatore. «Più avanti vorremmo valutare funzionalmente come l’alterazione del ritmo circadiano può influenzare malattie tra cui il cancro del colon, che può essere in parte la conseguenza dell’alterazione del microbiota intestinale», conclude Voigt. Lo studio è stato in parte finanziato dal National Institute on Alcohol Abuse and

Alcoholism.

3.3 Microbiota e terapia antibiotica: cosa porta ad azzerare la flora batterica intestinale durante la somministrazione di antibiotici?

Durante la stagione invernale aumentano le infezioni delle vie respiratorie e di conseguenza si intensifica l'uso degli antibiotici.

Inoltre, alcune volte, tali farmaci vengono usati in modo improprio, ovvero anche quando l'agente infettivo che causa l'infezione è un virus e non un batterio.

In ogni caso, il picco di consumo di antibiotici si raggiunge proprio nella stagione fredda. I vari tipi di antibiotici, in caso di infezioni batteriche, agiscono sui diversi agenti patogeni che causano la malattia, contrastandone l'azione negativa.

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