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1 – La nuova centralità delle Human Resources. Dal taylorismo alla Knowledge Economy

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1 – La nuova centralità delle Human Resources. Dal

taylorismo alla Knowledge Economy

1.1

Risorse umane ed evoluzione dello scenario competitivo

1.1.1 L’ambiente in mutazione

Osservando le dinamiche dell’ultimo secolo è possibile identificare una trasformazione nell’ambiente economico che è giunto ad abbandonare la classica stabilità della prima

metà del novecento per andare incontro ad una serie di cambiamenti continui.1

Dal punto di vista delle tendenze lavorative, a partire dalla seconda metà degli anni novanta il concetto di “lavoro”, così come fino ad allora concepito, sarebbe stato messo in discussione. A produrre questo effetto hanno certamente contribuito le nuove tendenze demografiche, tecnologiche, il fenomeno della globalizzazione ed il rispetto delle minoranze.

Dal punto di vista demografico, il problema più influente è rappresentato dalla “crescita zero”.

I figli dei baby boomers, nati negli anni ‘50 e che hanno contribuito all’aumento della forza lavoro, hanno adesso bisogno di meccanismi pensionistici adeguati. Secondo dati ISTAT, a dicembre 2010 gli occupati risultavano 22.924.000 mila, mentre, i pensionati 13.846.138. La conoscenza di tali dinamiche consente alle aziende di predisporre un adeguato piano di reclutamento congiuntamente ad una pianificazione dilazionata delle uscite che permetta un iniziale affiancamento dei neo-assunti.

Da un punto di vista tecnico, l’introduzione della tecnologia ha cambiato i ruoli dei lavoratori, senza, al contrario di quel che si pensava, eliminarli.

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La rivoluzione nelle comunicazioni ha ridefinito la natura del lavoro; ad oggi la comunicazione è costante ed istantanea. A rafforzare tale cambiamento ha contribuito lo sfoltimento degli organici, che ha reso l’interrelazione tra le figure aziendali più efficace grazie ad una struttura appiattita. Si eliminano così vincoli di spazio e tempo ed il lavoro decentrato diventa un vantaggio strategico. Inoltre, l’economia digitale e l’enfasi sui knowledge workers hanno influenzato il livello di formazione che, rispetto ai secoli precedenti, si è innalzato, anche a causa della necessità di personale qualificato. Il problema della tecnologia si dunque è trasformato da “paura della perdita del posto di lavoro” alla necessità di assumere e/o formare Risorse Umane professionali2.

L’innovazione ha cambiato la composizione della risorsa lavoro in termini quantitativi e qualitativi secondo un trend che inverte il rapporto tra le aree impiegatizie e quelle operaie, come all’interno della stessa area impiegatizia tra risorse manageriali e quelle di più basso profilo professionale. I processi di ristrutturazione tecno-organizzativa stanno creando nuovi rapporti di potere contrattuale e gerarchie, nonché status retribuitivi tra diversi gruppi di dipendenti. Emergono nuove fasce professionali in relazione a nuove mansioni che trasformano i contenuti di lavoro sovrapponendo all’esecuzione materiale, tangibile e misurabile, il “saper fare” e l’abilità del problem solving3.

Il successo sarà ottenuto se l’azienda, nel suo complesso, riuscirà ad adattarsi sviluppando una mentalità strategica atta a sfruttare certe sinergie esistenti ed una consapevolezza organizzativa che ne permetta l’individuazione. Da ciò discende anche la necessità di maturare e motivare competenze interne. L’operaio, ad esempio, può offrire prestazioni maggiori rispetto a quelle di carattere materiale, un fattore di successo sta nel combinare gli aspetti umani con quelli tecnici. È necessaria una sinergia a livello organizzativo, in questo ambito sono da prendere in considerazione due elementi: sviluppo tecnologico e componente umana nei suoi aspetti motivazionali. Da un lato l’evoluzione incide sul contenuto delle mansioni superando il concetto di “mestiere” , dunque è essenziale una riqualificazione di tutti i soggetti

2

Thomas J. Peters, Robert H. Waterman, "Alla ricerca dell'eccellenza". Sperling & Kupfer, Milano, 1984

3

F. Testa, "La gestione delle ris umane nelle strat globali dell’impresa" in “Industria e sindacato” n. 45-6, 1988, p. 19-20

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aziendali.” In azienda si assiste ad un aumento dei dipendenti culturalmente più evoluti ed istruiti che attribuiscono maggiore rilevanza alla job satisfaction piuttosto che alla retribuzione4. Anche lo stile di direzione, forme di controllo ed i sistemi incentivanti dovranno dunque cambiare.

Lo scenario in continua trasformazione richiede continue innovazioni con l’elaborazione di nuovi modelli di gestione delle risorse in modo da mantenere la competitività sul mercato, i modelli tradizionali sono ormai superati. Per questo la gestione delle Risorse Umane assume una rilevanza strategica, soprattutto per quanto riguarda le risorse “pregiate”, ovvero manageriali. Tuttavia non vanno trascurati gli

altri lavoratori a professionalità meno elevata.

Si può notare come la gestione del fattore umano sia un fattore strategico che comporta la ricerca di forme di organizzazione del lavoro più evolute5.

Lo sviluppo della tecnologia ci permette di prendere in considerazione il fenomeno della globalizzazione. Sempre più ricavi iniziano, infatti, a provenire dall’estero abbattendo così i confini geografici. In questo contesto il fattore umano diventa sempre più rilevante, in quanto deve aprirsi a colleghi internazionali, imparare nuovi costumi ed interagire con persone con storie diverse. Tale condizione non si verifica solo dal lato della clientela, ma anche la forza lavoro stessa sta diventando sempre più internazionale: oltre all’accoglimento di personale straniero in loco, il telelavoro si sta affermando come nuovo modello per il XXI secolo. Alla luce di questa nuova tendenza, le grandi aziende hanno subito iniziato a fornire un’educazione multiculturale a dirigenti e lavoratori appartenenti a team internazionali. Nel 1965, negli Stati Uniti, solo il 4% dei ruoli aziendali era legato al commercio estero, nel 2010 questo dato è salito a circa il 50%. Tutto ciò ha comportato, con riguardo ai paesi più tecnologici, un afflusso di lavoratori specializzati. L’immigrazione, causata dalla globalizzazione, ha comportato dei cambiamenti, non solo a livello di mix di manodopera, ma anche a livello di studi su prodotti e servizi. Ecco che l’elemento umano diventa cruciale con il suo expertise e le sue capacità di apprendimento nello studio delle differenze culturali. Allo stesso tempo, anche le imprese devono studiare i

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G. Padroni, “Struttura organizzativa e condizioni di economicità”. Giuffre, 1979, Milano

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propri collaboratori per definire modelli di incentivazione che possano influenzare positivamente la motivazione e performance di persone diverse. La diversità si afferma quindi come un altro fattore vitale da gestire nell’epoca della globalizzazione. Esso rappresenta indubbiamente un valore per l’impresa che si pone l’obiettivo di reperire talenti in grado di fronteggiare le esigenze dell’economia globale. In un tale contesto le Risorse Umane rivelano la loro centralità e rilievo all’interno di un complesso organizzativo multinazionale6.

Tuttavia, non è solo il lavoro a cambiare, ma anche le attitudini dei lavoratori. Molto di questo cambiamento è dovuto alle nuove tecnologie ed alla sempre maggiore connettività.

Uno studio internazionale di Dell and Intel mostra sette tendenze7.

1) Crowdsourcing: modello di business che affida lo svolgimento di un progetto o di un’idea ad un numero indefinito di persone facenti parte di comunità pre-esistenti. Spesso si fa riferimento a freelances o lavoratori occasionali. Si sta dunque sviluppando un sistema di lavoro “just in time”. Le nuove forme di lavoro a termine ne sono una dimostrazione;

2) La produttività viene misurata in outputs, non ore;

3) Cambiamenti nell’adozione di dispositivi: l’ambiente di lavoro futuro dovrà tenere conto della compatibilità tra i diversi dispositivi e sarà possibile effettuare la scelta da una rosa sempre più vasta che possa soddisfare le preferenze dell’utente;

4) Interazione e conflitto intergenerazionale: ci potrà essere un conflitto tra i lavoratori più giovani, esperti di tecnologia e la generazione più anziana. Ma si instaurerà un ambiente favorevole alla trasmissione della conoscenza;

5) Valori Vs Regole: la disponibilità di tecnologia pervasiva renderà più facile per le compagnie monitorare ciò che i dipendenti stanno facendo. Tuttavia questo strumento deve essere usato con attenzione per costruire un rapporto basato sulla fiducia;

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Thomas J. Peters, Robert H. Waterman, "Alla ricerca dell'eccellenza". Sperling & Kupfer, Milano, 1984

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6) Evoluzione del ruolo dell’IT manager: stiamo assistendo ad un cambiamento nelle aspirazione dei lavoratori, possiamo notare una maggiore attenzione al benessere e l’autorealizzazione. Sono necessari maggiori incentivi per mantenere l’ambiente di lavoro salutare e in grado di garantire prospettive di accrescimento personale. Il ruolo del manager IT si allineerà sempre più con quello del manager HR poiché il primo gioca un ruolo cruciale nella selezione e ritenzione dello staff, nella cura dell’ambiente di lavoro e nello sviluppo professionale;

7) Innovazione guidata dai dipendenti: i dipendenti sono a conoscenza del portfolio di dispositivi a loro disposizione e, perciò, si è verificata una crescente domanda per una scelta in prima persona. Essi si aspettano di scegliere qualsiasi software preferiscano utilizzare, senza che la scelta sia imposta del dipartimento di IT.

Questa serie di trasformazioni, nel corso dell’ultimo ventennio ha, sul piano generale, spinto le aziende ad abbandonare il classico modello basato su elementi tangibili e misurabili, tipico delle imprese posizionate in contesti regolari e prevedibili, per lasciare spazio ad una organizzazione flessibile circondata da un ambiente instabile ed in continua mutazione. Allo stesso modo, la logica del Kaizen, ovvero del miglioramento continuo ottenuto per piccoli passi, è stata sostituita dal breakthrough, termine con cui si intendono innovazioni di ampia portata in grado di sconvolgere il sistema competitivo di riferimento. Le aziende, compresa l’esigenza del cambiamento, hanno a loro volta mutato forma, superando le logiche gerarchico-funzionali, per dar luce ad un modello nuovo che sopravviva all’interno della

knowledge economy8.

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1.1.2 La knowledge economy:

“The only real security that a man will have in this world is a reserve of knowledge, experience, and ability.” Henry Ford

Per knowledge economy si intende la crescente importanza attribuita agli intangible assets all’interno del sistema economico. In questo contesto, il capitale umano ed intellettuale ha assunto nuovi significati: i dati si trasformano in informazioni che, a loro volta, si trasformano in conoscenze grazie alle persone preposte all’interpretazione dei flussi informativi. 9

Secondo Charles M. Savage, la nuova era “knowledge-focus” rappresenterebbe la terza ondata dello sviluppo economico umano, dopo la proprietà della terra (era contadina) e quella del capitale (era industriale). 10

La società della conoscenza ha dato luogo ad un cambiamento della struttura sociale e del sistema di produzione. In questo nuovo tipo di società moderna (o post-materialista) non è più sufficiente ingegnarsi per sopravvivere, ma bisogna sviluppare il pensiero creativo ideando servizi e beni innovativi11. Come si può facilmente dedurre, la tecnologia, di per sé, non ha valore; decidere se e come innovare è compito dei Knowledge workers. Il fenomeno più rilevante è infatti la crescita dei cosiddetti lavoratori della conoscenza (knowledge workers). Essi vengono anche denominati, in virtù della loro importanza, golden collar workers ed il loro contributo non è standardizzato, bensì personalizzato12.

9

Howard C. Weizmann, Jane K. Weizmann, "Gestione delle risorse umane e valore dell’impresa : un nuovo modello per migliorare performance e fedeltà dei collaboratori". Franco Angeli, Milano, 2001

10

Savage, Charles. "Fifth Generation Management, Second Edition: Dynamic Teaming, Virtual Enterprising and Knowledge Networking". Butterworth-Heinemann publishers, Oxford, 1996

11

R. L. Florida, "The Rise Of The Creative Class: And How It's Transforming Work, Leisure, Community And Everyday Life". Basic Books, New York, 2002

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Howard C. Weizmann, Jane K. Weizmann, "Gestione delle risorse umane e valore dell’impresa : un nuovo modello per migliorare performance e fedeltà dei collaboratori". Franco Angeli, Milano, 2001

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Si tratta di figure molto diverse ma hanno tratti comuni: natura mentale del lavoro, varietà conoscenze, complessa interazione tra persone e computer, comunicazione anche planetaria con tecnologie, cooperazione, e comunità.

Questa peculiare macrocategoria può essere divisa in talenti e cervelli. I talenti raramente hanno una professione predefinita, ma piuttosto un eccellente curriculum vitae, un alto potenziale ed un workplace within, ossia, un posto di lavoro verso il quale sono predisposti, ma che ancora non conoscono. Questi rappresentano gli alti potenziali, le promesse ed i dream team (squadra ideale).

I cervelli, al contrario, sono dotati di un notevole e ben consolidato background teorico e tecnico e sono rappresentati da: giovani scienziati, professionisti, artisti, manager,

imprenditori e knowledge owner; sono la cosiddetta “classe creativa”.13

Per classe creativa, termine coniato da Florida, si intende la nuova classe sociale che fa della creatività il fulcro delle diverse professioni esercitate. Tali professioni si differenziano dalle altre a causa di tre fattori denominati “le tre T”: tecnologia, talento e tolleranza. Per tecnologia si intende l’indice di innovazione, misurato dal numero di brevetti registrati, per talento si fa riferimento alla dimensione della classe creativa, considerando il numero dei laureati, scienziati e ricercatori in un dato luogo, ed, infine, per tolleranza si considera la tolleranza nei confronti delle diversità14. Talenti e cervelli insieme rappresentano le elite del lavoro citati da Rifkin, ossia, soggetti con elevato potenziale che gestiscono la nuova economia delle alte tecnologie informatiche. Essi hanno in comune la circostanza di lavorare sull’immateriale, trasformando input di conoscenza in output di conoscenza (scoperte, decisioni, servizi, soluzioni), usando il patrimonio di conoscenze proprio e delle organizzazioni in cui operano. Il loro compito, con l’ausilio delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, è di “produrre conoscenza per mezzo di conoscenza”.

Scienziati, liberi professionisti, figure destinate a governance istituzionali, imprenditori e top managers, all'interno della categoria dei lavoratori della conoscenza, rappresentano una fascia ristretta. La quota più consistente riguarda le figure

13

Convegno “Knowledge Working Lavoro, lavoratori, società della conoscenza”. Milano, 23 settembre 2008

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R. L. Florida, "The Rise Of The Creative Class: And How It's Transforming Work, Leisure, Community And Everyday Life". Basic Books, New York, 2002

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manageriali intermedie (dirigenti, quadri), professionals, esperti di marketing, tecnici superiori di progettazione, di prodotto e di assistenza. Da una ricerca della fondazione IRSO risulta che proprio queste figure rappresentano la quota principale dell'aumento dell'occupazione, compensando la diminuzione degli operai sostituiti dalle macchine. Ne risulta un'ulteriore mutazione della struttura della società.

I knowledge workers, per la maggior parte, non sono precari, ma lavorano a tempo pieno ed il tasso di crescita delle donne è uguale a quello degli uomini (tale asserzione non vale tuttavia per la categoria dei managers). La loro collocazione è prevalente nel settore dell'istruzione, turismo, pubblica amministrazione e difesa15.

Questi lavoratori hanno particolari esigenze tra cui: un ambiente ricco di stimoli, il successo, strumenti tecnologici che facilitino l'interazione tra gruppi, formazione e addestramento permanenti, sistema di performance management che favorisca il mentoring ed il coaching, sistema premiante, orari flessibili ed autonomia16.

Negli Stati Uniti il valore dello stock di capitale intangibile ha cominciato a superare quello del tangibile a partire dagli anni 60, mentre gli investimenti in ricerca e sviluppo, nei paesi dell’Ocse, sono stati incrementati a partire dal 198017

. Per quanto riguarda il versante europeo, la fondazione IRSO ha svolto, a distanza di 8 anni, una ricerca sul numero dei lavoratori della conoscenza in vari paesi: Italia, Germania, Gran Bretagna. Nel 1997 i lavoratori della conoscenza (scienziati managers professionals e technicians) in Italia rappresentavano il 33,9% dei lavoratori, nel 2005 sono saliti al 41,5%. In Germania si è passati, rispettivamente per i due periodi indicati, dal 43,6% al 48,2% . I dati più rilevanti appaiono però quelli della Gran Bretagna, in cui nel 1997 i knowledge workers si attestavano al 38,6%, mentre, nel 2005 risultano incrementati fino al 52,2%.

Queste figure, emergono da una massa crescente ed operano dentro forme di organizzazione del lavoro nuove, innovative, efficaci e creative. Proprio da queste

15

Convegno “Knowledge Working Lavoro, lavoratori, società della conoscenza”. Milano, 23 settembre 2008

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Howard C. Weizmann, Jane K. Weizmann, "Gestione delle risorse umane e valore dell’impresa : un nuovo modello per migliorare performance e fedeltà dei collaboratori". Franco Angeli, Milano, 2001

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David, P. A. and Foray, D. , “An introduction to the economy of the knowledge society” in International Social Science Journal, volume 54, marzo 2002

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masse, le società occidentali devono sviluppare i loro punti d'eccellenza. Affinché ciò accada occorre una nuova organizzazione del lavoro.

Le nuove forme di organizzazione del lavoro si descrivono in termini molto diversi dal metodo taylorfordista; la stessa distribuzione della conoscenza nei distretti è una forma di organizzazione, come il network cosmopolita ed interdisciplinare realizzato dalla ST Microelectronics. Altri modelli sono rappresentati dalla "rete scuola", reti di imprese e di persone, network professionali e dall'idea di carriera senza confini proposte dal Gruppo Loccioni. Nonostante il progresso realizzato da alcune istituzioni ed imprese, la grande massa rimane ancorata a forme organizzative tradizionali. Siamo però giunti a rifiutare l'idea di "professione tradizionale", chiusa, limitata, corporativa e siamo, al contrario, approdati a forme di lavoro in continua evoluzione. Un esempio può essere rappresentato dalla figura del capo intermedio che tende adesso a diventare un knowledge owner o knowledge integrator. Allo stesso modo, a figure intermedie, come l'esperto di tecnologia, viene richiesto di integrare i vari talenti e le varie conoscenze; esso dovrà infatti intrattenere rapporti con esperti di altre discipline e riuscire a raggiungere un unico linguaggio comprensibile per comunicare efficacemente.

Un altro fenomeno a cui ci troviamo di fronte in questo vasto panorama sono le professioni emergenti solo nominalmente: professioni importanti ma di cui non sappiamo ben descrivere il contenuto, come l'esperto dello sviluppo territoriale o il Manager of innovation. Infine, esistono professioni in bilico tra professionalizzazione e degrado, come il noto caso dei call-centers, in cui spaziamo tra lavoratori precari e sottopagati e soggetti in grado di intrattenere con successo relazioni di valore18.

Anche l’innovazione gioca un ruolo fondamentale. Tuttavia, questo fenomeno non si riferisce esclusivamente al settore dell’hi-tech, ma, più in generale, ad ogni attività della società, sebbene non si possa trascurare che sviluppo degli strumenti ad alta tecnologia funga da propellente per la Knowledge economy. In particolar modo l’IT è in grado di influenzare i processi di creazione della conoscenza attraverso la

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trasmissione di testi ed altri elementi digitali e la possibilità di interagire con sistemi di

“remote experimentation”19

.

1.1.3 Knowledge society:

L’economia della conoscenza e, di conseguenza, il continuo apprendimento, rappresentano la controparte economica e sociale della Knowledge Society, intesa come “una nuova posizione strategica concentrata sullo sfruttamento delle tecnologie emergenti”. In base a varie altre definizioni essa potrebbe essere identificata come una “società organizzata intorno alla produzione della conoscenza in cui l’evoluzione tecnologica ha un ruolo rilevante ed il successo è garantito dalla capacità degli individui di accumulare e trasformare l’informazione in modo da produrre beni e servizi di alto livello”.20

Tuttavia, questo cambiamento non è avvenuto in modo improvviso. I meccanismi costitutivi della società erano in precedenza definiti con il dualismo “proprietà-lavoro”, all’interno delle cui categorie i soggetti erano costretti a riconoscersi. Ad oggi, tale paradigma non è cambiato, ma si è aggiunta un’altra variabile: la scienza. Essa penetra ogni aspetto della vita sociale attraverso una: scientizzazione (diffusione della conoscenza scientifica), professionalizzazione (sostituzione delle vecchie forme di conoscenza) e con la sua nuova visione come “mezzo di produzione”, dando così luogo ad un nuovo principio di stratificazione sociale; gli “intellettuali” sono infatti riconosciuti dalla sociologia come “nuova classe”21

.

Per comprendere il percorso evolutivo seguito dalla società è utile analizzare il lavoro di Daniel Bell, poiché la Knowledge society è spesso identificata come successore della società post-industriale belliana.

19

David, P. A. and Foray, D. , An introduction to the economy of the knowledge society. International Social Science Journal, volume 54, marzo 2002

20

Barry Smith, Karl Bereiter, "Liberal education in a knowledge society". Carus Publishing Company, Peterborough (USA), 2002

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Nel suo libro “The coming of Post-industrial society” Bell, agli inizi del 1950, individua un macro cambiamento nelle strutture sociali (economia, tecnologia, impiego) causato dalla centralità del sapere teorico come fonte di innovazione e nuova forma di potere. Tale nuova struttura, nel 1959, assume la denominazione di “Società post-industriale” atta a significare il tramonto dei modelli marxisti e socialisti fino ad allora vigenti. Particolarmente significativi, per delineare questo nuovo archetipo sociale, sono quattro elementi di cambiamento alla base del lavoro di Bell: la cessazione del capitalismo familiare come “figura guida” e la sua sostituzione da parte di un elité di intellettuali, lo sviluppo del settore terziario, la tecnologia come fattore trainante per l’innovazione e la centralità della conoscenza teorica. Si assiste dunque al tramonto delle attività manifatturiere ed all’ascesa del terzo settore, unitamente a strutture, quali centri di ricerca ed università, preposti a codificare la conoscenza. Le stesse tendenze sono seguite dall’occupazione che si fonda sempre più su un personale “scientifico” da impiegare in ruoli professionali.

All’interno della società post-indutstriale esisterebbero tre settori: il settore terziario basato sulla logistica e sulle utilities, un quarto settore costituito dalla finanza e scambi di capitale ed un quinto settore che coinvolgerebbe la salute, pubblica amministrazione, educazione e ricerca. L’ultimo settore ne rappresenta il fulcro, essendo quello in cui sono posizionati i maggiori generatori di conoscenza (professionals, tecnici, scienziati). Ecco che la scienza, come strumento di produzione di conoscenza, arriva ad occupare un ruolo centrale nella società.

Le tesi di Bell sono sostenute da alcune ricerche sul settore dell’occupazione: dal 1900 al 1980, negli Stati Uniti, i cosiddetti “colletti bianchi” sono cresciuti dal 17% al 50%, mentre i colletti blu sono passati dal 40% al 32% dal 1940 al 1980. Il dato più significativo è forse il decremento del settore primario, i cui lavoratori sono diminuiti dal 37% al 2% dal 1900 al 1980.

Questa così chiamata “rivoluzione scientifica” permetterebbe lo sviluppo del potenziale dei singoli individui che compongono la società garantendo loro una “liberà individualità”. Si giungerebbe in tal modo ad una “individualizzazione” della massa che minimizzerebbe la dipendenza dalla collettività, vista adesso non più come “unicum”, ma come unione di più soggetti tra loro riconoscibili. Questa condizione,

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secondo Bell, ha successivamente condotto ad una ricerca di gratificazione psicologica nello svolgimento del proprio lavoro.22

In questo contesto, la sofisticata competitività rende necessario puntare su una strategia che coinvolga le risorse umane, oltre a prodotti ed impianti. A queste verrà richiesto di mantenere le proprie competenze e conoscenze al passo con l'evoluzione tecnologica, se possibile, anticipandola.23 La figura umana in azienda sarà inoltre importante per la trasmissione di un flusso di informazioni ricco ed adeguato, che contribuirà a sua volta ad alimentare il capitale relazionale, inteso come“stock di fiducia, fedeltà e lealtà accumulato dall'impresa”24

.

1.2) Risorse Umane e vantaggio competitivo

“The only vital value an enterprise has is the experience, skills, innovativeness and insights of its people” Leif Edvinsson first Chief Knowledge Officer by Skandia AFS

Già nel 1996 L. Thurow aveva individuato la tendenza finora esposta, da lui stesso definita come “placche economiche”, riferendosi ai processi strutturali che, attraverso movimenti impercettibili, modificano il mondo dell’economia. Una delle cinque placche di Thurow è proprio costituita dal successo delle imprese ad alto contenuto di capitale intellettuale.

Un elemento che può garantire la sopravvivenza in questa nuova era è il vantaggio competitivo, idea che ha iniziato ad attrarre l’attenzione degli studiosi quando ci si accorse che alcune imprese riuscivano ad acquisire significative posizioni in specifici segmenti di mercato25.

22

D. Bell, "The coming of Post-industrial society". Basic Books, New York, 1976

23

F. Corno, "L'eccellenza nella gestione delle risorse umane". Cedam, Padova, 1988

24

G. Vecchiato, "Relazioni pubbliche: l'etica e le nuove aree professionali", p. 63. Franco Angeli, Milano, 2006

25

Eugenio Caruso, "Come vincere le sfide della concorrenza. Le fonti del vantaggio competitivo". Tecniche Nuove, Milano, 2003

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Proprio tali differenze di performance, tra varie aziende, hanno spinto diversi studiosi ad indagare sui motivi del differenziale. Inizialmente si pensò che le differenti prestazioni fossero dovute alla presenza di condizioni di successo relative allo specifico raggruppamento. Tuttavia, la permanenza di tale differenziale, anche all’interno di imprese operanti nello stesso settore, portò a considerare come causa la capacità delle imprese di erigere barriere alla mobilità tra diversi raggruppamenti26. Tali barriere erano spiegabili dal possesso di asset intagibili, come l’immagine aziendale, il sapere tecnologico, la cultura d’impresa e le conoscenze accumulate, nonché dalle competenze del management (Itami 2006). A differenza degli asset tangibili, il loro valore è soggetto ad espansione cumulativa, dunque, la fonte del vantaggio competitivo venne individuata nella capacità di acquisire, sviluppare e combinare la conoscenza prodotta dalle persone.27 La suddetta concezione di v.c. è diversa rispetto a quella di origine classica, più simile alla nozione di vantaggio comparato, che individuava la condizione di successo nella specializzazione del lavoro.28

Ecco che si manifesta la crucialità della risorsa umana in impresa. Questo approccio innovativo, per cui il differenziale di performance viene spiegato attraverso il possesso di risorse interne, è definito Resource Based View; esso si contrappone al più noto schema porteriano in base al quale tale differenziale sarebbe generato dal posizionamento dell’azienda all’interno del settore.

1.2.1 La Resource Based View

Il contributo della Resource Based View risale agli anni 60 con il contributo di Penrose, ma le sue basi possono già essere riscontrate nel concetto di rendita schumpeteriana. Si esamina il concetto di risorse in termini di sviluppo, soprattutto per ciò che attiene alla diversificazione, che si oppone alla teoria porteriana della leadership di costo29. In questo concetto l’impresa è vista come “un portafoglio di

26

I. Dagnino, "Strategia aziendale e vantaggio competitivo". Tools, Milano, 2008

27

L.L. Bryan, C.I. Joyce, "Mobilizing Minds". McGraw Hill, USA, 2007

28

Eugenio Caruso, "Come vincere le sfide della concorrenza. Le fonti del vantaggio competitivo". Tecniche Nuove, Milano, 2003

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risorse e competenze sviluppate per il migliore svolgimento della funzione di produzione”.30

La rilevanza delle risorse e delle competenze distintive era già stato ripreso anche da altri studiosi come Andrews, Hofer e Schendel e Ansoff, in particolare il primo aveva individuato l’importanza della coerenza tra risorse e ambiente di riferimento. In breve, le competenze distintive delle aziende fungono da base per il vantaggio competitivo se coerenti con le opportunità offerte dall’ambiente. Nel 1984 si inizia a parlare di RBV come corrente autonoma a causa di numerosi studi sull’eterogeneità delle performance aziendali. Si costruisce una teoria basata sull’utilizzo delle risorse interne. Si osservò, infine, che alcune risorse sono direttamente connesse alla capacità per l’impresa di creare profitti superiori alla media. Anche Rumelt giunse alla conclusione che l’isolamento di risorse potesse concorrere alla realizzazione di una migliore performance. Il concetto di rendita viene quindi associato alle risorse e competenze presenti in azienda.

Secondo Barney è possibile individuare un mercato sul quale reperire fattori strategici. Successivamente, Dierickx e Cool asserirono che tali risorse non sono reperibili su un

mercato, ma sviluppabili e accumulabili in azienda31. Il vantaggio competitivo deriva

dunque dalla capacità di accumulare risorse critiche non negoziabili che non siano né sostituibili né facilmente imitabili.

L’impresa è quindi un insieme di core competencies configurabili come punto centrale della formulazione della strategia, in quanto esse costituiscono la base del vantaggio competitivo e tracciano i vincoli all’implementazione della visione32. (grant 1991). Si è così compresa l’importanza di puntare sui fattori critici di successo interni, partendo da questi per sviluppare una strategia coerente. Questa visione si presenta innovativa rispetto all’eccessiva concentrazione su fattori critici di successo esterni, tipica dell’approccio porteriano, che, nell’attuale periodo, avrebbe unicamente condotto ad un maggior rischio dovuto alla turbolenza ambientale a cui corrisponderebbe una strategia instabile.33

30

I. Dagnino, "Strategia aziendale e vantaggio competitivo", p. 201. Tools, Milano, 2008

31

asset I. Dierickx, K. Cool, “Asset stock accumulation and sustainability of competitive advantage”, in “Management Science”, 1989, n. 35

32

I. Dagnino, "Strategia aziendale e vantaggio competitivo". Tools, Milano, 2008

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1.2.2 L’importanza del capitale umano nel vantaggio competitivo:

Nel mercato odierno, caratterizzato da ipercompetitività, l'organizzazione del talento appare essere l'elemento più importante per un vantaggio competitivo sostenibile. Le aziende leader di talenti possono far sì che le strategie messe in atto rispondano ai trend che garantiscono il successo aziendale34.

Come si nota dalle teorie finora esposte, il vantaggio competitivo è riconducibile all’unicità aziendale. L’unicità dell’azienda è a sua volta rappresentata dall’acquisizione, sviluppo e valorizzazione delle risorse interne, differenziate rispetto a quelle accessibili ai concorrenti, e trasformate in capacità distintive35.

Una risorsa interna di spiccata importanza è rappresentata dal fattore umano. Difatti, un'indagine compiuta nel 2000, condotta dalla Watson Wyatt Wordlwide su un campione di 550 aziende, ha dimostrato che solo il 14% delle aziende vedono la propria H.R. strategy come vantaggio competitivo, ma queste imprese hanno un ritorno quasi doppio rispetto alle altre36. Più in particolare è stato osservato che un alto impegno organizzativo, nel periodo 96-98, ha garantito un ritorno per gli azionisti pari

al 112%, mentre un basso impegno ha portato ad un ritorno solamente pari al 76%.37

“Gli stessi autori Peters e Waterman in “Alla ricerca dell’eccellenza”, affermano: “se abbiamo trovato un denominatore comune nelle aziende di successo è stato il rispetto per l’individuo”, con ciò si intende la volontà di affidargli obiettivi chiari, ragionevoli

ed autonomia nello svolgimento del proprio lavoro.38

Le aziende che sanno come sfruttare il capitale umano, infatti: comunicano efficacemente con il personale, promuovono la comunicazione dal basso verso l’alto, incoraggiano l’innovazione, favoriscono il lavoro in team, coinvolgono e responsabilizzano i collaboratori.

La Watson Wyatt Worldwide ha formulato lo Human Capital Index per misurare la gestione delle risorse umane. Attraverso l’applicazione di questo strumento in 405

34

M. Haid, "Why you need a Talent strategy" in Talent Management (www.talentmgt.com), 13/04/2012

35

M. Giannecchini, G. Costa, "Risorse umane: persone, relazioni e valore", McGraw-Hill, Milano, 2009

36

WorkUSA 2000 - Employee Commitment and the Bottom Line. Research Report, Gennaio 2000 (www.watsonwyatt.com/research/)

37

Howard C. Weizmann, Jane K. Weizmann, "Gestione delle risorse umane e valore dell’impresa : un nuovo modello per migliorare performance e fedeltà dei collaboratori". Franco Angeli, Milano, 2001

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aziende i ricercatori hanno identificato una connessione tra varie pratiche di gestione del personale ed il successo finanziario. Queste pratiche consistevano particolarmente in: reclutamento del personale, ambiente di lavoro flessibile, meccanismi di incentivazione chiari e responsabilizzazione, comunicazioni ed uso prudente delle risorse.

I risultati di questa ricerca indicano che un clima di lavoro positivo (ambiente psicologico) incide sull’assenteismo e sulla produttività. Nello specifico, cinque fattori attinenti al clima appaiono connessi al tasso di presenza annuale: rispetto, significatività delle mansioni, supporto dei gruppi di lavoro, performance management ed opportunità di carriera. Nel riconoscere questo legame Norton e Kaplan hanno messo a punto il metodo della Balanced Scorecard: un sistema di misurazione integrato della performance aziendale che si compone di quattro prospettive: performance finanziaria, clienti, processi interni ed, in particolare, apprendimento e crescita. L’ultima dimensione deriva da tre fonti: i collaboratori, i sistemi e l’allineamento organizzativo.

La soddisfazione professionale, produttività e fedeltà dei collaboratori sono parametri critici per l’apprendimento organizzativo. I lavoratori soddisfatti costituiscono il key factor per il successo. In ambiente lavorativo la soddisfazione si raggiunge fornendo informazioni riguardanti il lavoro, riconoscendolo e ricompensandolo.

Nel complesso possiamo affermare che la base del successo aziendale parte da un forte commitment verso l’azienda. Affinché ciò accada sarà necessario fare leva su tre

elementi: motivazione, empowerment e comunicazione.39

Ma perché le HR sono così importanti?

La risorsa umana, con il suo potenziale, arricchisce il portafoglio di risorse intangibili, e, contribuendo, grazie alla diffusione della conoscenza, alla creazione di know-how, rappresenta la base delle competenze di cui l’azienda è in possesso. Tali competenze risiedono in un insieme di componenti umane, tecnologiche, organizzative e si

39

Howard C. Weizmann, Jane K. Weizmann, "Gestione delle risorse umane e valore dell’impresa : un nuovo modello per migliorare performance e fedeltà dei collaboratori". Franco Angeli, Milano, 2001

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esplicano in saperi, conoscenze e capacità operative formate attraverso processi di apprendimento.

La stessa capacità di trasferimento della conoscenza all’interno dell’organizzazione è considerata una competenza aziendale e la sua efficacia dipende dai talenti presenti in azienda.40 A questo proposito è importante distinguere la nozione di conoscenza da quella di informazione: mentre la conoscenza attribuisce all’individuo la capacità di agire (dunque riguarda la capacità cognitiva), al contrario, l’informazione è un insieme passivo di conoscenza strutturata che, attraverso l’uso attivo della conoscenza, può essere interpretata ed utilizzata. Un’altra differenza sta nella riproduzione: nel caso dell’informazione la copiatura risulta semplice e completa, nel caso della conoscenza essa mostra diverse complicanze dovute alla parte tacita intrinseca nelle capacità cognitive.41

L’importanza del capitale umano può essere individuata anche in un altro aspetto: mentre i prodotti o servizi di un'organizzazione, come il suo modello di business o marketing, possono essere replicati facilmente da qualsiasi competitor, i talenti, al contrario, non possono essere imitati, il che li qualifica come elemento distintivo. 42 Occorre però sottolineare come le singole risorse, per creare valore, debbano essere sistematicamente inserite ed integrate in uno specifico contesto aziendale; il pieno valore sta nell’interazione sistemica che si sviluppa tra di esse. Infatti, solo l’insieme di risorse combinate e rese complementari si trasforma in competenze distintive, risultando, di conseguenza, difficilmente trasferibile al di fuori del contesto.

Esse, in particolar modo, corrispondono al profilo di competenze distintive elaborato da Barney, per cui sono risorse o competenze distintive quelle risorse che:

- generano valore (sia in termini di produttività che per il cliente); - sono rare;

- non sono perfettamente imitabili; - sono organizzate.43

40

M. Giannecchini, G. Costa, "Risorse umane: persone, relazioni e valore", McGraw-Hill, Milano, 2009

41

M. Polanyi, "The tacit dimension". University of Chicago Press, Londra, 1966

42

M. Haid, "Why you need a Talent strategy" in Talent Management (www.talentmgt.com), 13/04/2012

43

Jay B. Barney, Delwyn N. Clark, "Resource-Based Theory: Creating and Sustaining Competitive Advantage" Oxford University Press, 05/07/2007

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Per poter garantire un vantaggio competitivo duraturo la risorsa deve, oltre ai succitati requisiti, essere anche insostituibile e caratterizzata da ambiguità causale, ovvero, il contributo in termini di valore apportato non deve essere chiaramente distinguibile. La sostenibilità di tale vantaggio si dimostra, inoltre, più elevata nel caso le core competencies siano distribuite tra più soggetti.44

Quando tali hanno un’elevata capacità di generare valore ed un basso grado di imitabilità si configurano come “distintive”, categoria a cui la risorsa umana, se correttamente sviluppata ed integrata, appartiene.45

In particolare, il fattore umano è portatore di una risorsa fondamentale allo sviluppo aziendale: il capitale intellettuale. Tale concetto si è sviluppato all’interno della Knowledge economy ed indica il valore delle attività educative, creative e di invenzione poste in essere dall’uomo contrapponendosi al capitale finanziario o strutturale. Il patrimonio intellettuale è costituito da vari elementi, tra cui la proprietà intellettuale, brevetti, marchi, licenze, aspetti commerciali come il brand, canali distributivi, posizionamento territoriale, fedeltà clientela, cultura aziendale e uso dei sistemi informativi. Un elemento fondamentale all’interno del capitale intellettuale è costituito dal capitale umano.

Per capitale umano si intende la capacità dell’organizzazione di innovare attraverso le persone. Le attività dequalificate e spersonalizzate che non consentono di utilizzare le capacità individuali rimangono al di fuori di questa definizione. Esso è a sua volta costituito da skills, competenze e conoscenze.46

La risorsa umana si dimostra di peculiare rilevanza anche in ambito di growth enabling skills, le quali rappresentano le competenze in grado di generare sviluppo all’interno dell’impresa, come l’individuazione delle persone giuste da inserire al vertice47.

1.2.3 Strategia e Risorse Umane:

44

M. Giannecchini, G. Costa, "Risorse umane: persone, relazioni e valore", McGraw-Hill, Milano, 2009

45

I. Dagnino, "Strategia aziendale e vantaggio competitivo". Tools, Milano, 2008

46

M. Giannecchini, G. Costa, "Risorse umane: persone, relazioni e valore", McGraw-Hill, Milano, 2009

47

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Nella RBV la gestione delle risorse umane si dimostra dunque critica nello sviluppo della strategia, delineando un contesto adeguato per un nuovo approccio tra le due variabili.

Nel corso del tempo si è visto come struttura, strategia e gestione delle risorse umane si influenzino reciprocamente, abbandonando la concezione di unilateralità per cui le H.R. risultavano l’ultimo anello della catena, definito in base alle caratteristiche di strategia e struttura48. Nel nuovo paradigma le relazioni tra le varie componenti del sistema sono di tipo bidirezionale, di natura deterministica e non finalistica49.

E’ dunque necessaria una coerenza tra gestione strategica e risorse umane50. Affinché

la coerenza tra gestione del personale e strategia possa essere realizzata si può ricorrere a due approcci distinti: l’approccio strumentale e quello costitutivo51

.

In base all’approccio strumentale si interviene sulla risorsa umana modificandola coerentemente alle esigenze aziendali, mentre l’approccio costitutivo considera la capacità delle risorse di creare attivamente un vantaggio competitivo. La risorsa umana è “soggetto portatore di valore originario e autonomo capace di sviluppare e

rigenerare competenze. Le persone sono dunque portatrici di un’autonoma progettualità e di una capacità di innovazione, sviluppo e gestione del proprio valore”52. Questo secondo approccio si avvicina maggiormente alla visione Resource Based.

le risorse umane possono alimentare il successo aziendale anche attraverso le strategie emergenti e sostenendo la competitività. le strategie emergenti sono quelle che si sviluppano alle radici dell'organizzazione e possono essere intese come ciò che esse effettivamente fanno rispetto a ciò che intendono fare. la strategia è dunque un modello in un flusso di decisioni e di azioni ed il ruolo strategico delle risorse umane sta nel fatto che per la maggior parte le strategie emergenti vengono identificate da

48

P. Cerase, "Analisi delle competenze nel lavoro amministrativo". Franco Angeli, Milano, 2002

49

Charles J. Fombrun, Noel M. Tichy, Mary A. Devanna, "Strategic Human Resource Management". John Wiley & Sons, USA, 1984

50

P. Cerase, "Analisi delle competenze nel lavoro amministrativo". Franco Angeli, Milano, 2002

51

G. Costa, A. Camuffo, "Strategia d'impresa e gestione delle risorse umane". Cedam, Padova, 1990

52

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coloro che si trovano ad i piu' bassi livelli della gerarchia. In particolar modo, sono proprio gli operai ad individuare nuove idee o generarle in prima persona.

Lo stesso amministratore delegato di Interface, Ray Anderson, durante il documentario “The Corporation”, ammette che proprio i suoi dipendenti all’interno del reparto di ricerca proposero di riunire una task force delle sedi in tutto il mondo per valutare la situazione verso l’ambiente e formulare una risposta verso i clienti.

Questo fattore alimenta la rilevanza della comunicazione in tutta l'organizzazione poiché essa permette che tali strategie raggiungano il vertice.

l'altra via con cui le risorse umane sostengono e alimentano la strategia è accrescendo la competitività aziendale. La learning organization permette alle persone di espandere le loro capacità raggiungendo i risultati auspicati. Il continuo stato di apprendimento attribuisce flessibilità all'organizzazione, tale flessibilità permette alla strategia emergente di scaturire dal mercato ed ai lavoratori in possesso di maggiori capacità, di adattarsi. Ecco che si nota l'importanza delle risorse umane, non solo nella

costituzione, ma anche nel mantenimento del vantaggio competitivo.53

1.2.4 La nuova azienda ed il Talent Management

"I believe the real difference between success and failure in a corporation can be very often traced to the question of how well the organization brings out the great energies and talents of its people." Thomas J. Watson, Jr.- Presidente IBM

In base all’esposto, possiamo denotare come, nel corso del tempo, si sia passati da un modello command & control ad uno basato sui team e sulla condivisione delle conoscenze.

La tecnologia ha reso possibile, per le aziende, trasmettere la conoscenza ed abbattere i confini geografici. I nuovi sistemi tecnologici rovesciano la struttura verticale caratterizzata da una marcata gerarchia e dalla mancanza di adeguata comunicazione. Ad oggi il manager, al contrario, deve rivestire il ruolo del coach in modo da sviluppare le capacità del team. L'era dell'informazione e della conoscenza presuppone

53

Raymond A. Noe, John R. Hellenbeck, Barry Gerhart, Patrick M.Wright, "Human resource Management 5th edition", Apogeo, Trento, 2006

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varie caratteristiche, la nuova azienda è infatti maggiormente "appiattita", ovvero il manager ha un ruolo di coaching anziché meramente esecutivo. E' inoltre "virtuale": le comunicazioni abbattono i confini tradizionali, i knowledge workers possono operare anche a distanza in base alle loro esigenze. Tra le sue caratteristiche possiamo includere la mutazione delle strutture, divenute sempre più flessibili, ed il lavoro 24 ore su 24 accessibile grazie al ricorso ad un expertise specialistico esterno garantito dall'interconnessione.

Inoltre, una caratteristica che si è arrivati ad incrementare grazie al fattore umano è la flessibilità vista come l’adattamento a trasformazioni di ogni genere. La flessibilità, che ha lo scopo di ridurre la rigidità aziendale, si riflette su vari aspetti di cui, ai fini di questa analisi, se ne possono citare tre principali: la forma dell’organizzazione, la manodopera e la polivalenza. Per quanto riguarda la forma dell’organizzazione dovrà diminuire la burocrazia, incrementare la tendenza alla formazione permanente e diminuire l’irrigidimento degli “status” prefissati. Per quanto riguarda il secondo elemento si assiste allo svilupparsi di contratti di nuova generazione quali il part time, il lavoro a domicilio, contratti a termine e, più in generale, flessibilità negli orari. Sul lato della polivalenza, sempre nella stessa direzione dei cambiamenti precedentemente elencati, la rigidezza delle posizioni dovrà far spazio ad una maggiore versatilità.54 Tutto ciò delinea una società globale che può facilmente operare in ogni area geografica senza particolari vincoli per mezzo di strumenti tecnologici. La tecnologia, unita alla centralità del fattore umano, ha sconvolto le regole della competizione: un sistema di business intelligence che permetta di identificare i gap e le opportunità legati al capitale umano è sempre più indispensabile, come è indispensabile mettere in relazione valori ed atteggiamenti, anche grazie ad i propri collaboratori che si presentano come fattori critici e fondamentali per lo sviluppo di nuove idee e per l'espletazione del servizio al cliente.55

In un simile contesto le risorse umane dimostrano la propria centralità in azienda; trovare i soggetti giusti è divenuto essenziale e l’abbattimento delle barriere

54

Thomas J. Peters, Robert H. Waterman, "Alla ricerca dell'eccellenza". Sperling & Kupfer, Milano, 1984

55

Howard C. Weizmann, Jane K. Weizmann, "Gestione delle risorse umane e valore dell’impresa : un nuovo modello per migliorare performance e fedeltà dei collaboratori". Franco Angeli, Milano, 2001

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geografiche consente una selezione a livello mondiale. Tuttavia, L'eterogeneità di culture e generazioni nell'ambiente lavorativo ha avuto come risultato un cambiamento nelle motivazioni e preferenze individuali. Tutto ciò ha creato una dinamica lavorativa molto più difficile da gestire. Qui entra in gioco il Talent Management assieme ad un’adeguata gestione strategia del personale. Essa, benché fosse una funzione utilizzata in precedenza solo dalle grandi aziende, si è resa necessaria in modo diffuso nel panorama aziendale a causa dell’elevato costo del fattore umano, la precoce obsolescenza, e l’esigenza per l’azienda di tenersi al passo con i cambiamenti del mercato. Non meno determinanti sono le esigenze di motivare il personale e migliorare i rapporti aziendali.

Per Strategic Human Resource Management si intende l’utilizzo di un approccio strategico alla gestione delle risorse umane56. Non c’è ancora univocità sulla sua definizione ma un’unità di pensiero può essere raggiunta sulle sue funzioni, ovvero, il design e l’implementazione di un set di politiche e pratiche interne che contribuiscono al perseguimento di obiettivi aziendali (Schuler & MacMillan 1984, Baird & Meshoulam 1988, Jackson & Schuler 1995). Può inoltre essere descritta come una combinazione tra la strategia aziendale e la gestione delle risorse umane che include una serie di attività riguardanti il personale. Tale connubio faciliterebbe l’ottenimento di un vantaggio competitivo attraverso l’indirizzamento delle risorse umane verso obiettivi aziendali. In breve lo Shrm sviluppa la capacità aziendale di reagire agli stimoli dell’ambiente esterno attraverso un migliore impiego delle risorse umane. Un pool di capital umano dotato di elevate skills coerenti con la corporate strategy è un catalizzatore per l’ottenimento dei risultati. 57

In breve, non solo l’organizzazione e la strategia devono essere correlati al tipo di ambiente in cui l’azienda è inserita, è bensì necessario che ad ogni tipo di combinazione strategia-organizzazione-ambiente, corrisponda una particolare politica di gestione delle risorse umane.58

Al centro di queste forze dinamiche sta la necessità di responsabilizzare le persone

56

G. Cocozza, "Direzione Risorse Umane. Politiche e strmenti per l'organizzazione e la gestione delle relazioni di lavoro". Franco Angeli, Milano, 2006

57

Wei, L. (2006). “Strategic Human Resource Management: Determinants of Fit, Research and Practice in Human Resource Management”, 14(2), 49-60.

58

G. Cocozza, "Direzione Risorse Umane. Politiche e strmenti per l'organizzazione e la gestione delle relazioni di lavoro". Franco Angeli, Milano, 2006

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giuste, nei posti giusti e nel giusto modo. Ciò richiede, oltre a tecniche di empowerment, una devozione all'investimento in Talent Management ed un allineamento con la strategia aziendale.

Una strategia dei talenti dovrebbe innanzitutto avere una vision chiara, dopodiché si rende necessario organizzare delle strutture che permettano il libero fluire della conoscenza, innovazione e creatività di ogni dipendente. Un fattore chiave, di cui si parlerà in seguito, è tuttavia rappresentato dal capire cosa il lavoratore si aspetta dall'ambiente di lavoro.

Un piano integrato di talent management dovrebbe contenere particolari elementi: stimare la necessità di talenti (talent assessment) è sicuramente un primo elemento da prendere in considerazione. La capacità di comprendere in anticipo le necessità in scenari futuri, sottostà alla abilità dei leaders di perseguire con successo la vision e gli obiettivi dell'organizzazione, creando maggior valore per gli stakeholders. Questa stima può inoltre essere di ausilio ad una gap analysis tra ciò di cui l'azienda necessità e ciò che essa realmente possiede, garantendo un'indicazione su come attrarre e sviluppare i talenti allineandoli con la strategia aziendale.

Stimare i talenti (talent assessment) costituisce un secondo elemento ed include varie componenti, tra cui il Competency model, ossia una stima delle conoscenze, abilità, esperienze e motivazioni che la forza lavoro di un'azienda deve sviluppare per raggiungere gli obiettivi e garantire l'innovazione. Un modello delle competenze ben realizzato indica inoltre accurati criteri per ottimizzare il processo di performance management, incentivazione e succession management.

Nell'ambito del TM vengono svolti alcuni assessment di squadra, organizzativi o individuali che contribuiscono a garantire la comprensione di come la produttività venga raggiunta attraverso particolari fattori quali: comunicazione, doti di leadership, tassi di retention e clima aziendale. Un altro fattore cruciale all'interno di un piano integrato di TM è lo sviluppo dei leaders. Essi devono essere continuamente identificati, sviluppati e trattenuti come parte integrante di una continua strategia di talent management. in questo ambito il coaching è essenziale, il miglior tipo di coaching integra i bisogni del leader con quelli dell'organizzazione per ottenere i livelli

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di performance desiderati.59

Assieme alla stima dei talenti è inoltre necessario coinvolgere i collaboratori, affinché ciò accada , oltre ai piani per il reperimento di adeguate professionalità è necessario formarle, attraverso la sviluppo delle professionalità già esistenti (anche a livello di interrelazione tra funzioni diverse) e predisporre piani di incentivazione e promozione per riconoscere il merito.60

Un ulteriore elemento nella creazione di un piano di TM è l'allineamento delle strategie con la gestione della forza lavoro. Avere una strategia è solo metà del successo. L'azienda deve attentamente valutare le cause degli insuccessi ed identificare scostamenti tra le capacità necessarie e quelle possedute. E' inoltre necessario che la strategia sia comunicata e compresa a tutti i livelli, ad ognuno dei quali viene assegnato un leader.

Dal punto di vista della gestione del personale le strategie ad esso relative devono essere connesse ad obiettivi più ampi di carattere aziendale. Devono in particolare essere individuate le priorità ed analizzate le discrepanze con i benchmark di mercato da colmare grazie al coinvolgimento del personale.

A lato di tutto è importate non trascurare un'adeguata gestione del cambiamento che possa sollecitare i feedback da parte dei lavoratori da esso interessati.

Infine, l'ultimo elemento necessario all'implementazione di un piano di TM sta nella comunicazione, la strategia deve essere articolata ad ogni livello. sarà dunque necessario creare un Communications plan. I leaders ed i managers devono essere istruiti all'invio di messaggi chiari che siano in grado di collegare ogni lavoratore alla strategia. La comunicazione gioca un ruolo fondamentale nel trattenimento dei talenti, ma devono essere utilizzati anche altri metodi che consentano al lavoratore di sentirsi parte dell'organizzazione e condividere i suoi obiettivi. Uno strumento utile a tal fine è costituito dai piani di reimpiego. Il commitment del personale, in un ambiente competitivo, costituisce l'ago della bilancia che distingue un'azienda di successo da

59

M. Haid, "Why you need a Talent strategy" in Talent Management (www.talentmgt.com), 13/04/2012

60

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una destinata ad uscire dal mercato.61

Ecco che si inizia a concretare l’importanza del commitment, e dunque, indirettamente, della retention, come chiave del successo competitivo.

Ma quale percorso hanno intrapreso le risorse umane per transitare da mero fattore produttivo a fattore critico di successo?

1.2.5 Evoluzione delle Human Resources nell’organizzazione del lavoro

“In the past the man has been first; in the future the system must be first... The first object of any good system must be that of developing first class men” Frederick W. Taylor

L’importanza attribuita alle Human Resources a cui siamo arrivati nell’attuale contesto, ha avuto un percorso lento e graduale. Di seguito si riporta un breve excursus concernente il ruolo della figura umana in azienda.

La rivoluzione industriale, verificatasi in Inghilterra nella seconda metà del 700, apre le porte allo sviluppo dell’industrializzazione. La prima forma di impresa assume le caratteristiche di una produzione di massa. In questo tipo di organizzazione l’uomo viene messo al centro del processo assieme alla disponibilità di macchinari, risorse naturali e capitali. Il sentiero di crescita dell’industria inizia a prendere forma scindendo la proprietà dei mezzi di produzione dalla proprietà dell’impresa ed accentrando la forza lavoro in un unico luogo: la fabbrica. Il mercato del lavoro, al tempo, era particolarmente mobile. La manodopera, dopo aver abbandonato le campagne a seguito di una domanda di lavoro da parte delle industrie, tendeva spesso a non rimanere per un lungo periodo di tempo nella stessa fabbrica, ma era costantemente alla ricerca di una posizione più remunerativa. Notiamo a questo punto della storia come il maggior incentivo alla prestazione lavorativa fosse la semplice remunerazione; il lavoro rappresentava esclusivamente un mezzo per garantire la sussistenza della propria famiglia. Parallelamente, dal punto di vista dell’azienda, l’uomo rappresentava un mero strumento, sebbene egli fosse uno degli elementi essenziali della produzione; il valore della risorsa umana era equiparato a quello di un

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macchinario. Dal punto di vista organizzativo la quasi totalità dei lavoratori aveva mansioni pratiche, non c’erano ruoli ben delineati, tranne la figura del caporeparto che si occupava dell’assunzione e del coordinamento. In questo contesto si sviluppa l’impresa Tayloristica.

Il taylorismo può essere descritto come un sistema di management ideato da F. Taylor e presentato nella sua monografia del 1911: The Principles of Scientific Management. Tale teoria si fonda sulla centralizzazione del lavoratore all’interno dei processi aziendali, con il solo scopo di incrementarne la produttività. Sebbene l’elemento umano non fosse ancora adeguatamente valorizzato e, anzi, fosse guardato con diffidenza, il taylorismo rappresenta pur sempre una fase dell’evoluzione che porterà alla centralità della persona, vista come insieme di competenze e fonte di vantaggio competitivo. Infatti, in precedenza, la sua importanza non era superiore a quella dei macchinari presenti in fabbrica.62 Infatti, Taylor afferma per primo la necessità di un dialogo con i propri dipendenti. La comunicazione a cui fa riferimento esula dal contesto lavorativo, ci si riferisce infatti ad un dialogo amichevole in cui i soggetti si sentono incoraggiati a parlare con i propri superiori come se essi fossero dei loro pari.63 Tuttavia, le relazioni umane occupano un posto di secondo piano nel sistema motivazionale tayloristico. Una prima attenzione verso le risorse umane in azienda può essere riscontrata proprio negli studi psicologici svolti in Europa durante questo periodo. Inizialmente, gli studi furono svolti presso alcune fabbriche di armi ed ebbero come tema centrale la fatica, lo stato fisico dei lavoratori e la durata del lavoro, di conseguenza, l’attenzione fu rivolta anche alle ripercussioni psicologiche provocate da mansioni monotone64.

L’organizzazione scientifica del lavoro (OSL) prevista da Taylor prevedeva un aumento della produttività grazie ad un particolare processo. Dopo aver analizzato le caratteristiche della mansione da svolgere, veniva creato un prototipo di lavoratore da formare ed introdurre in azienda. La prima fase veniva svolta attraverso la selezione di un gruppo sperimentale di lavoratori, dopodiché si procedeva all’osservazione dei loro

62

E. F. Procacci, "Evoluzione organizzativa e sviluppo del settore risorse umane". Armando s.r.l, Roma, 2010

63

F.W. Taylor, "L'organizzazione scientifica del lavoro" in "Principi di organizzazione scientifica del lavoro", F. Angeli, Milano, 1975

64

P. Argentero, "Manuale di Psicologia del Lavoro e del-le Organizzazioni. Vol. I: Psicologia del Lavoro". Raffaello Cortina, Milano, 2008

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movimenti durante lo svolgimento della mansione tenendo in considerazione i tempi. Data la conformazione fisica dell’operaio, gli strumenti venivano standardizzati per poi definire un tempo ideale di lavorazione, in modo da eliminare i tempi morti. Difatti, i lavoratori venivano considerati inclini alla pigrizia: eliminare i movimenti lenti e superflui era un obiettivo necessario. La mentalità che considera l’operaio come negligente fa riferimento alla teoria X di Douglas McGregor, considerato uno dei fondatori della sucola delle risorse umane. In base a questa teoria, sviluppata nel 1957 e riveduta nel ‘60, l'uomo si presenta naturalmente come indolente, senza ambizione, avverso alle responsabilità ed indifferente ai bisogni dell'organizzazione. Le caratteristiche elencate farebbero propendere i managers per uno stile direttivo di tipo

command and control65. Venivano così calcolati ferrei tempi standard sui quale basare

la remunerazione, che poteva essere diminuita o maggiorata a seconda del raggiungimento o meno del task. Questo modello viene definito task management. Taylor vedeva nell’OSL un modo per mantenere standard di produzione duraturi grazie ad una ripartizione scientifica dei carichi di lavoro: ogni attività veniva suddivisa e ridotta alle sue componenti minime affidate a singoli lavoratori che le svolgevano in base al ritmo di lavoro scientificamente determinato. alla definizione dei compiti si affianca una chiara individuazione dei livelli di autorità per soddisfare le esigenze di razionalità e stabilità poste dalla maggiore complessità dei processi produttivi.66 Qualsiasi inessenziale dispendio di energia era così scongiurato ed il lavoratore poteva distribuire in modo più equilibrato le proprie energie nel corso della giornata. Il compito di controllare e definire le modalità ed i tempi standard era affidato ad un comitato di esperti, mentre all’imprenditore rimaneva un potere di indirizzo complessivo. Un classico elemento di questa forma di organizzazione è il controllo centralizzato; si ha quindi un controllo piramidale dall’alto verso il basso. Attraverso l’organizzazione scientifica, Taylor era convinto di poter ridurre i fenomeni di contrasto con i lavoratori grazie ad un sistema di remunerazione premiante basato su tempi minimi realizzabili che tenevano anche conto delle necessità fisiologiche dell’operaio e di eventuali problemi di produzione (blocchi, imprevisti ecc…). Il

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K. Miller, "Organizational Communication, Approaches and Processes", Wadsworth, Boston, 2009

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modello descritto è dunque quello di un lavoro standardizzato fondato sull’efficienza complessiva. Tale teoria investiva tutto il management dell’azienda. 67

l’unico elemento motivante in questo tipo di organizzazione è rappresentato dall’incentivo economico. L’azienda, conscia di questo fatto, implementava sistemi retributivi basati sul cottimo. In questo modo venivano privilegiati gli operai capaci di adattarsi a ritmi serrati, mentre quelli con maggiori potenzialità non avevano possibilità di emergere. Dal punto di vista economico gli interessi aziendali erano armonizzati con quelli degli operai, ma ciò contribuì ad alimentare una struttura rigida non più adatta all’ambiente che si sarebbe configurato in seguito.68

L’applicazione del taylorismo è rappresentata dal fordismo, la cui nascita può essere identificata con la prima catena di montaggio del 1913. Esso applicava le rigide tempistiche e metodi del taylorismo ad un sistema che aveva il suo fulcro nell’utilizzo di nuove tecnologie. I compiti, in passato complessi, ora, grazie alla meccanica, erano più semplici ed automatici, gli operai non dovevano quindi necessariamente essere soggetti specializzati. A fianco di questi si ponevano gli organi direttivi dell’azienda con funzioni di controllo qualità, gestione finanziaria e marketing. Il metodo tayloristico si pone in forte contrasto con la nascente attenzione verso la persona dimostrata dalla psicologia contemporanea, ciò provocò una serie di critiche tra cui la più evidente fu proprio l’assenza di umanità e la spersonalizzazione dell’operaio. Furono proprio i consistenti scioperi negli Stati Uniti a mettere in crisi questo modello organizzativo. Nacquero inoltre problemi legati alla poliedricità del comportamento umano che, pertanto, non poteva essere previsto né schematizzato. Tuttavia, il taylorismo può essere ritenuto valido per aver posto l’accento sulla figura del lavoratore, ispirando così i vari studi psicologici succitati.

Anche nel fordismo l’uomo non era considerato per la sua creatività.69

L’ultimo secolo è stato caratterizzato da un sentimento di alienazione della forza lavoro dovuta al ruolo meramente operativo attribuito ad essa. Da ciò sono derivati i vari scioperi, conflittualità, assenteismo e sabotaggi. Solo nei casi in cui i managers hanno coinvolto i lavoratori, come nella General Electric, si è giunti al successo.

67

E. F. Procacci, "Evoluzione organizzativa e sviluppo del settore risorse umane". Armando s.r.l, Roma, 2010

68

M. Giannini, "Le risorse umane come fattore strategico ed organizzativo". Giappichelli, Torino, 1990

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