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3. COMMENTO ALLA TRADUZIONE DI

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3. COMMENTO ALLA TRADUZIONE DI WIR WAREN WIMPO, MÖNCH

UND RÄUBER E HAUSFRIEDENSBRUCH

In questo capitolo tratto le difficoltà principali incontrate durante la traduzione dal tedesco all’italiano dei radiodrammi Wir waren Wimpo, Mönch und

Räuber e Hausfriedensbruch e argomenterò le soluzioni adottate. A ogni testo è

dedicato un paragrafo organizzato in sottoparagrafi dedicati alle singole problematiche incontrate durante il processo traduttivo.

I radiodrammi qui tradotti non presentano particolari difficoltà dal punto di vista della comprensione linguistica. In primo luogo perché, essendo stato scritti nel 1953 i primi due, nel 1969 il secondo, la lingua è molto vicina a quella contemporanea. Inoltre lo stile di Böll è puntuale e preciso, immediato e senza troppe artificiosità e si adegua perfettamente alle esigenze del radiodramma, in quanto l’ascoltatore deve avere a che fare con un testo chiaro e comprensibile. Le proposizioni sono per lo più brevi e le subordinate tendono a non accumularsi. Inoltre il registro, nonostante alcuni dialoghi riportati nei radiodrammi siano più “formali” di altri, si mantiene nel piano della colloquialità.

In realtà anche fuori dal radiodramma l’autore si cimenta spesso con forme narrative dialogate e il suo stile è sempre immediato, soprattutto nei racconti brevi, i quali non differiscono molto dai radiodrammi per stile e struttura interna. Nonostante questo la traduzione dei testi ha presentato comunque degli ostacoli dovuti alla grande differenza tra le lingue coinvolte.

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3.1. Wir waren Wimpo

3.1.1. Titolo

Ho deciso di tradurre Wir waren Wimpo, titolo del radiodramma in lingua originale, come Eravamo noi Wimpo. Arrivare a questa soluzione non è stato semplice, dato che la frase tedesca è caratterizzata da un’evidente allitterazione. L’espressione si riferisce al messaggio che gli Schreck lasciano agli Elbertz dopo essere fuggiti dalla loro casa. Successivamente la frase non compare più nel testo in modo puntuale ma viene ripresa con delle variazioni o accennata e poi interrotta, sempre però all’interno della stessa scena.

In italiano è piuttosto difficile ricreare questi effetti sonori conservando una traduzione accettabile dal punto di vista grammaticale e semantico. Un dato da tenere in considerazione è quello del diverso comportamento della lingua d’origine e d’arrivo riguardo al soggetto e alla sua manifestazione: in tedesco, infatti, il soggetto è obbligatorio e può comparire in prima posizione nel caso di proposizioni principali, in seconda, dopo la congiunzione, nel caso di proposizioni subordinate o in terza nel in cui la posizione iniziale sia occupata da un complemento; in italiano, invece, il soggetto, se rappresentato da pronome, tende a essere omesso, a meno che non sia enfatico o essenziale per la comprensione della frase. Nella fattispecie della proposizione considerata, il pronome soggetto di seconda persona plurale noi, se interposto tra i due termini allitteranti (eravamo

noi Wimpo), spezza l’effetto sonoro, mentre se si collocasse in posizione iniziale

la frase risulterebbe forzata. Omettendolo completamente però, la frase risulta incompleta una volta inserita nel radiodramma, nel quale compare come testo di un messaggio di scuse. Considerando il contesto, quindi, bisognerebbe tradurre il titolo in modo che si adatti alla situazione interna alla vicenda; per questo mi è sembrato rischioso omettere il soggetto in un biglietto di scuse firmato da gente sconosciuta. Dal punto di vista sonoro, però, noi non può essere in alcun modo associato foneticamente agli altri componenti della frase, come invece accade con il pronome tedesco corrispondente wir e ho quindi dovuto mettere in conto una

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riduzione dell’effetto fonetico che Böll aveva creato nel radiodramma in lingua tedesca.

Per quanto riguarda il resto dei termini che compone la frase, ossia waren e

Wimpo, è possibile avere un suono simile a quello tedesco utilizzando eravamo, in

perfetto accordo con il verbo utilizzato nella lingua di partenza: da questo procedimento deriva la frase eravamo Wimpo, nella quale si riconosce un’allitterazione meno forte ma evidente, anche se distribuita in modo differente (mentre in tedesco le sillabe coinvolte sono quelle iniziali di ogni parola, in italiano sono la terza in eravamo e la prima in Wimpo). Inoltre in questa frase compare la ripetizione del suono m, che arricchisce la resa fonetica laddove c’è una mancanza, quella appunto di un’allitterazione forte di w.

Conseguentemente alle riflessioni sul soggetto mi è sembrato opportuno aggiungere il pronome noi tra la voce verbale e il complemento predicativo del soggetto, ottenendo eravamo noi Wimpo, che tra tutte le soluzioni mi è sembrata la più fluente, usuale e colloquiale in italiano.

Come già detto, la frase che costituisce il titolo del radiodramma compare con delle variazioni e ritorna, anche se incompleta, all’interno del testo. La variazione più evidente è rappresentata dalla proposizione wir wollen wieder Wimpo

werden297. In questo caso siamo in presenza di due allitterazioni: la prima (wi –

wo – wie – Wi – we) coinvolge tutte le parole della proposizione e si colloca

all’inizio di esse; la seconda, invece, riguarda la terza e la quinta parola della frase e si colloca nelle sillabe finali (der – den).

D’altra parte, però, in questa seconda frase il problema del soggetto non si pone poiché in italiano la proposizione risulta grammaticalmente e semanticamente completa senza esso anche in relazione al contesto in cui appare. Una soluzione che ho considerato è la frase “vogliamo diventare di nuovo Wimpo”, soprattutto per le affinità sonore con la versione originale: anche in questo caso, infatti, sono presenti sia l’allitterazione vo – ve – vo – Wi, sia di – di,

297

H, BÖLL, Wir waren Wimpo in B. BALZER (a cura di), Heinrich Böll Werke, 1979 (?), pp. 115,116.

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nonostante siano distribuite diversamente nella proposizione. Se si tiene conto, però, che il testo nasce per essere ascoltato e che i dialoghi riprodotti in questo radiodramma sono piuttosto colloquiali e confidenziali, l’espressione risulterebbe un po’ forzata e sembrerebbe più che altro un calco dal tedesco. Inoltre il verbo

werden, associato solitamente all’idea veicolata dall’italiano diventare e della

metamorfosi, è usato in tedesco anche in casi in cui in italiano si protende per

essere. Probabilmente in questo caso l’autore ha utilizzato il verbo werden invece

di sein (che invece appare nel titolo) per creare l’allitterazione desiderata; l’idea di metamorfosi, che sicuramente è presente sia nella frase, sia nel testo, è mantenuta dall’avverbio wieder e in italiano dall’espressione di nuovo.

Considerati tutti questi elementi ho deciso di tradurre il titolo come Eravamo

noi Wimpo e la seconda frase citata con Vogliamo essere di nuovo Wimpo; questa

scelta implica sicuramente un indebolimento dal punto di vista fonetico ma il parallelismo non è del tutto eliminato. Inoltre la frase non è un ritornello, né occupa uno spazio centrale nel testo, quindi ho optato per preservare la fluidità tipica della dimensione colloquiale e l’“udibilità” e immediatezza che a mio avviso devono essere rispettate in un radiodramma.

3.1.2. Intertestualità: Und sagte kein einziges Wort e Unbrechenbare Gäste

Una seconda problematica traduttiva riguarda la presa di posizione relativa a passaggi del radiodramma che ricordano molto vividamente altri passi di testi di Böll. I casi di intertestualità che sono stata in grado di riconoscere in Wir waren

Wimpo sono due: il primo riguarda la descrizione che il narratore Hans Elbertz fa

di sua moglie Anita nelle primissime battute del radiodramma, le quali ricordano la descrizione che Fred Bogner, uno dei protagonisti e narratori del contemporaneo romanzo Und sagte kein einziges Wort, fa di sua madre. L’intertestualità è evidente sia dal punto di vista del contenuto della descrizione, sia dal punto di vista lessicale. Per illustrare le differenze tra i due brani sarà utile riportarli qui di seguito:

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Meine Mutter war eine gute Frau. Sie konnte niemanden von der Tür weisen, sie gab den Bettlern Brot, wenn wir welches hatten, lieβ sie wenigstens eine Tasse Kaffee trinken, und wenn wir nichts mehr im Hause hatten, gab sie ihnen frisches Wasser in einem sauberen Glas und den Trost ihrer Augen. Rings um unseren Klingelknopf hatten sich die Zinken der Bettler, die Zeichen der Landstreicher gesammelt, und wer hausieren kam, hatte die Chance, etwas abgekauft zu bekommen, wenn nur noch eine einzige Münze im Hause war, die zur Bezahlung eines Schnürsenkels reichte. Auch Vertretern gegenüber konnte sie nicht widerstehen, und sie unterschrieb Kaufverträge, Versicherungspolicen, Bestellzettel, und ich entsinne mich, wenn ich als kleiner Junge abends im Bett lag, hörte ich meinen Vater nach Hause kommen, und kaum war er im Eβzimmer, brach der Streit los, ein gespenstischer Streit, bei dem meine Mutter kaum ein Wort sprach298.

Meine Frau ist eine gute Frau. Sie weist niemanden von der Tür, gibt den Bettlern Brot, wenn wir welches haben, gibt ihnen Geld, wenn wir welches haben, läßt sie wenigstens eine Tasse Kaffee trinken; und wenn wir nichts mehr im Hause haben, gibt sie ihnen frisches Wasser in einem sauberen Glas und den Trost ihre lächelnden Augen. Schon lange ist dem Abendgebet unserer Kinder die Floskel angehängt: O Herr, schicke uns Bettler! So haben sich rings um unseren Klingelknopf die Zinken der Bettler, die Zeichen der Landstreicher gesammelt, und ich, ich habe nichts gegen diese Handlungsweise meiner Frau, wenn auch oft meine letzten Zigaretten verschwinden oder der letzte Schluck Schnaps, den ich mir aufbewahrte, um abends die Mühe des Tages hinunterzuspülen. Ich habe mich daran gewöhnt, daß keine Reserve bei uns standhält, sobald einer ihrer bedarf, und es ist keine Überraschung mehr für mich, abends Unbekannte am unseren Tisch zu sehen. Mancher, der keine Unterkunft hat, sagt das freundlich nach dem Abendessen und bleibt dann über Nacht. Platz ist nicht viel bei uns, aber guter, sehr guter Wille. Auch Tieren gewährt meine Frau Unterkunft, und ich erschrecke längst nicht mehr, wenn mich abends im Badezimmer dasfreundliche Knurren eines Hundes oder das dünne Piepsen eines Kükens überrascht. Nur bei größeren Tieren werde ich manchmal ein wenig ungeduldig – und wenn ich auch Überraschungen gewohnt bin, immer ergreift mich Unruhe, wenn ich den Schlüssel ins Schloß unserer Wohnung stecke, den ich weiß nie…

Dal punto di vista del contenuto queste due descrizioni si somigliano molto; dal punto di vista linguistico, tuttavia, i richiami e le ripetizioni puntuali si concentrano solo nelle prime quattro righe. In questi passaggi ho scelto di discostarmi dalla traduzione italiana (ho consultato quella di Alighiero Chiusano edita da Mondadori nel 1977)299, in quanto ho cercato di adattare il linguaggio alle

298

HEINRICH BÖLL, Und sagte kein einziges Wort, Kiepenheuer & Witsch, Köln – Berlin 1953, p. 11.

299

«Mia madre era una donna di cuore. Non riusciva a scacciare nessuno dalla sua porta; ai mendicanti dava un po’ di pane, se ne avevamo, danaro, se ne avevamo, offriva loro almeno una tazza di caffè, e se in casa non c’era proprio più niente dava loro un po’ d’acqua fresca e il conforto dei suoi occhi. Tutt’intorno al nostro campanello s’erano moltiplicate le tacche dei mendicanti, i segni dei vagabondi, e chi veniva a offrirci la sua merce aveva buone probabilità di rifilarci qualcosa, per poco che in casa ci fosse anche una sola moneta bastante a pagare un paio di legacci. Anche coi rappresentanti mia madre ignorava ogni prudenza, nemmeno ai volti di questi irrequieti esponenti del mondo d’oggi essa sapeva resistere, e firmava contratti di compera, polizze

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esigenze del radiodramma come l’immediatezza, la fluidità e la “colloquialità”. Nella traduzione ho valutato non solo questi aspetti formali, ma anche il contesto. Chiusano, per esempio ha tradotto l’aggettivo gut riferito alla madre di Fred con

di cuore, ma non credo che l’espressione sia completamente attribuibile ad Anita,

dato che il suo essere buona non è soltanto una questione di generosità, come si vedrà più avanti.

Una caratteristica che mi ha colpito della traduzione italiana che ho consultato è la resa in «dava loro un po’ d’acqua fresca»300 di «[sie] gab […] ihnen frisches Wasser in einem sauberen Glas», espressione praticamente uguale, se si esclude il tempo del predicato, alla frase che troviamo in Wir waren Wimpo: «[sie] gibt […] ihnen frisches Wasser in einem sauberen Glas». Nella traduzione di Chiusano il complemento in einem sauberen Glas non viene specificato, mentre io ho deciso di mantenerlo cambiando lievemente la resa in italiano: invece di in un bicchiere

pulito ho deciso di tradurre «e un bicchiere pulito», soprattutto per mantenere una

certa fluidità nel discorso.

Il confronto con la traduzione di Chiusano, però, è stato utile nel caso del termine Zinken. Nei dizionari monolingue cartaceo e on line che ho consultato, infatti, appaiono, per Zinke i significati di dente, punta e incastro a coda di

rondine e per Zinken il significato di nasone.301 All’inizio ho tradotto il termine con nasone, immaginandomi che fosse un modo ironico che l’autore avesse utilizzato per suggerire l’immagine delle impronte lasciate da mendicanti e venditori lasciate sul campanello degli Elbertz, ma mi sono insospettita sia per la debolezza della mia congettura, sia per la traduzione italiana, che riporta, invece, il termine tacche, che comunque risulta, a mio parere, ambiguo. A seguito di

d’assicurazione, note di ordine, e ricordo che quando da bambino, la sera, ero già a letto, sentivo mio padre che tornava a casa, ed era appena entrato in sala da pranzo, che già scoppiava la lite, una lite spettrale in cui mia madre non diceva quasi una parola», H. BÖLL, E non disse nemmeno una parola (trad. di Alighiero Chiusano), Oscar Mondadori, Milano 1977, p. 21.

300

H. BÖLL, E non disse nemmeno una parola (trad. di Alighiero Chiusano), Oscar Mondadori, Milano 1977, p. 21.

301

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queste riflessioni ho deciso di tradurre il termine, che dovrebbe indicare una sorta di codice tra mendicanti inciso sulle porte delle case, con l’italiano incisioni.

Il secondo caso di intertestualità è più generale poiché tutto il radiodramma ispirerà evidentemente Unberechenbare Gäste, un racconto breve che Böll scrive nel 1954 e che dà anche il titolo a una raccolta pubblicata due anni dopo (cfr.§2.1.2.). Anche questo testo è stato tradotto in italiano, con il titolo Gli ospiti

sconcertanti; io ho consultato la versione italiana di Lea Ritter Santini inserita

nella raccolta Racconti umoristici e satirici302. La vicenda narrata in

Unberechenbare Gäste è piuttosto simile a quella che viene presentata in Wir waren Wimpo, anche se ci sono delle differenze sostanziali.

In breve, il narratore Walter racconta le stranezze di sua moglie, la quale dà asilo a molti animali e persone, stipula assicurazioni inutili e compra cianfrusaglie dai venditori ambulanti e dai rappresentanti, che il marito ha cominciato a vendere a basso costo sollevando sensibilmente la situazione economica familiare, piuttosto grave (come se continuasse l’impresa iniziata da Hans alla fine di Wir

waren Wimpo). Un giorno il proprietario di un circo affida loro un elefante,

Wollo, e successivamente un leone, a cui un figlio della coppia attribuisce il nome Bombilus. Quando il proprietario del circo torna a prendere gli animali, Walter è dispiaciuto non tanto per l’elefante, quanto per il leone, al quale si era affezionato.

La differenza formale principale tra i due testi è il genere letterario a cui questi appartengono: mentre Wir waren Wimpo è un radiodramma,

Unberechenbare Gäste è un testo destinato alla lettura in cui la struttura

dominante è quella narrativa, alla quale si accompagnano, tuttavia, numerose parti dialogate. Il racconto ha delle citazioni puntuali da Wir waren Wimpo, che in questo caso funge da ipotesto e in generale ricorrono molti dei termini che abbiamo già trovato nel radiodramma. Esempio è una delle frasi iniziali del

302

HEINRICH BÖLL, Racconti umoristici e satirici (trad. di Lea Ritter Santini e Marianello Marianelli), Bompiani, Milano 1964. La raccolta non corrisponde a una selezione tedesca, ma contiene vari racconti tratti da altre raccolte: Erzählungen, Hörspiele, Aufsätze, Doktor Murkes gesammeltes Schweigen und Satiren e Die schwarzen Schafe. Il racconto gli Ospiti sconcertanti si trova tra le pp. 43-50.

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racconto, che è quasi una ripresa letterale di una delle prime battute del radiodramma e che a sua volta è stata sicuramente influenzata o ha influenzato il passo di Und sagte kein einziges Wort a cui si è accennato precedentemente: «Denn meine Frau ist eine gute Frau, sie weist niemanden von der Tür, weder Mensch noch Tier, und schon lange ist dem Abendgebet unserer Kinder die Floskel angehängt: Herr, schicke uns Bettler und Tiere»303, tradotta da Lea Ritter Santini come: «Perché mia moglie è una donna buona e gentile, non manda nessuno fuori di casa, né uomini né bestie e già da molto tempo alla preghiera serale dei nostri bambini è aggiunta la postilla: “Signore, mandaci mendicanti e animali!”»304

.

È stato interessante confrontare le traduzioni italiane del romanzo e del racconto con la mia traduzione del radiodramma. Riguardo alla frase precedente, ad esempio, ho notato, che Lea itter Santini ha scelto di tradurre l’espressione

jemanden von der Tür weisen con «mandare qualcuno fuori di casa», mentre

Alighiero Chiusano ha utilizzato il verbo scacciare. Io, invece, ho optato per la soluzione buttare fuori di casa. Dando per scontato che Ritter Santini fosse a conoscenza della somiglianza linguistica tra le due opere, sembra che nella traduzione di Unberechenbare Gäste si sia discostata dalla traduzione italiana di

Und sagte kein einziges Wort, almeno di quella di Chiusano. Un’altra

osservazione interessante è che la itter Santini ha tradotto l’aggettivo gut, che Walter riferisce a sua moglie con buona e gentile, mentre Chiusano utilizza l’espressione di cuore. Io ho proteso per una traduzione più letterale, traducendo

buona, come accennato prima, anche per implicazioni di contenuto.

Un termine che compare in queste righe di Unberechenbare Gäste e la cui traduzione mi ha causato delle difficoltà è Floskel, parola che indica un’espressione a cui non viene dato particolare significato. Nella versione italiana

303

H. BÖLL, Unberechenbare Gäste in Erzählungen, Hörspiele, Aufsätze, Kiepenheuer & Witsch, Köln – Berlin 1964, p. 99.

304

H. BÖLL, Gli ospiti sconcertanti (trad. di Lea Ritter Santini), in Racconti umoristici e satirici, Bompiani, Milano 1964, p. 43.

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il termine tedesco viene tradotto con postilla305, che non ho ritenuto adeguato, in quanto poco usato e dal sapore giuridico. Ho preferito, invece, utilizzare il termine

frasetta, che lascia intendere che la frase pronunciata dai bambini alla fine della

preghiera serale è una chiusura formale sulla quale non si riflette, svalutandone il significato.

3.1.3. Nomi

Un'altra questione che ho dovuto affrontare nella traduzione di questo e degli altri radiodrammi è quella dei nomi, che ho deciso di non tradurre. Come già spiegato (cfr.§2.1.4.) per Böll i nomi e i cognomi dei personaggi sono fondamentali. In questo testo il caso più significativo è quello dei signori Schreck, termine che in italiano sarebbe da tradurre con “spavento”. Altre declinazioni di questo vocabolo compaiono numerose volte nel testo, come Schrecknisse, schrecklich,

Erschreckende, che richiamano la tematica veicolata dal nome Schreck, cioè la

paura e il disorientamento del tedesco medio del secondo Dopoguerra. Decidendo di non tradurre il cognome ho sicuramente indebolito questo collegamento; d’altra parte risulterebbe piuttosto strano avere a che fare con due coppie di personaggi che vivono nella stessa città ma che hanno cognomi che segnalano origini completamente diverse, dato che una traduzione significativa del cognome Elbertz non è possibile. La questione è complicata dal fatto che nel radiodramma c’è effettivamente un nome che richiama l’italiano, ossia quello del direttore di circo, il Signore Campi, del quale compare anche il nome di battesimo: Frederico. Una traduzione italiana del cognome Schreck creerebbe una falsa affinità di provenienza tra i coniugi Schreck e il signor Campi, data dall’origine comune che i due nomi sembrerebbero avere.

Il fatto che il cognome Campi venga associato al sostantivo italiano Signore e non all’equivalente tedesco Herr o al corretto italiano signor, crea una sorta di aura comica attorno al personaggio che non sarebbe mantenuta se nella versione

305

H. BÖLL, Gli ospiti sconcertanti (trad. di Lea Ritter Santini), in Racconti umoristici e satirici, Bompiani, Milano 1964, p. 43.

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italiana si conservasse l’espressione Signore Campi; in questo caso l’espressione sembrerebbe un errore in confronto ai titoli signore (all’occorrenza signor) e

signora che ho attribuito ai personaggi, dato che non ho mantenuto i termini

tedeschi Herr e Frau. Considerati tutti questi elementi ho deciso di trasformare

Signore Campi in Signor Campi. Tuttavia il carattere comico del personaggio

potrebbe essere salvaguardato grazio al nome Frederico, il quale sembra congiungere il tedesco Friedrich e l’italiano Federico; così facendo, rimane l’idea che il nome sia pronunciato in maniera sbagliata, conservando un minimo di ridicolizzazione del personaggio.

Anche il cognome Hasengrün potrebbe essere tradotto, in quanto nome composto dal sostantivo Hasen (coniglio) e dall’aggettivo grün (verde), che potrebbero richiamare la professione del personaggio, zoologo e direttore dello zoo della città e la dimensione primordiale dell’animale, cioè quello della libertà, simboleggiata dal colore verde dei prati e delle foreste. Ho scelto di non tradurlo, coerentemente con le scelte traduttive segnalate precedentemente.

3.1.4. Termini specifici

Alcuni termini nel testo sono stati particolarmente difficili da tradurre. Uno di questi è senza dubbio Überschwemmung, che compare nel radiodramma in relazione alla decisione di Hans Elbertz di rappresentare un’agenzia assicurativa nella stipula di assicurazioni contro danni causati da quelle che nel testo sono chiamate, appunto, Überschwemmungen. Nel testo sembra che ci sia un’ambivalenza del termine, che a volte designa inondazioni e altre alluvioni. Effettivamente entrambi i significati possono essere attribuiti al termine tedesco e per questo motivo ho deciso di adottare una doppia traduzione a seconda dei casi. Inoltre non esiste una denominazione di assicurazione che designi sia i danni causati dalle alluvioni, sia quelli causati dalle inondazioni, il che ha rafforzato la mia convinzione della necessità di tradurre in modo diverso il termine a seconda del contesto.

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Un caso interessante è un’espressione che sembra giuridica, cioè «Begünstigung bei der Unterschlagung von Konkursmasse»306, che più che essere un’espressione realmente esistente sembra essere l’accumulo di diverse espressioni tratte dall’ambito legale. Per la traduzione ho seguito esattamente lo stesso procedimento che ha seguito l’autore e ho semplicemente trasposto i termini dal tedesco all’italiano creando un’espressione lunga e comica che non esista nel gergo giuridico, ossia favoreggiamento di appropriazione indebita di

massa fallimentare.

3.1.5. Registro colloquiale

I dialoghi di Wir waren Wimpo sono caratterizzati da un registro colloquiale, non gergale, né basso. Nonostante non tutti i personaggi siano parenti o amici, le battute sono piuttosto informali e il rapporto sembra quasi confidenziale, anche quando i personaggi coinvolti si danno del lei, come succede tra i coniugi Schreck e i coniugi Elbertz. All’inizio i loro dialoghi sono segnati da imbarazzo e senso di colpa, le reticenze sono maggiori e c’è una sorta di prudenza linguistica che però non comporta alcun cambiamento del registro.

Un esempio è l’espressione i wo307

pronunciata da Hans Elbertz. In un primo

momento ho creduto fosse una frase dialettale o appartenente a una variante precisa della lingua tedesca, come quella austriaca, in cui la forma i equivale al pronome soggetto ich. Questo vale anche per la varietà sudtirolese, nella quale i

woess significa “lo so”. All’inizio ho quindi ipotizzato che wo fosse proprio

un’abbreviazione di woess. In realtà, poi, ho trovato una corrispondenza di i wo, accompagnata per lo più dal punto esclamativo, nel tedesco gergale col significato di keinswegs308. Ho optato per la seconda ipotesi soprattutto per motivi di ambientazione: ammettere una forma austriaca o sudtirolese significherebbe dare informazioni non certe sulla provenienza di Hans o confondere il lettore riguardo

306 H. BÖLL, Wir waren Wimpo in B. BALZER (a cura di), Heinrich Böll Werke, 1979 (?), p. 114. 307 Ibidem, p. 109.

308

«[…]: i wo! Bedeutung umgangssprachlich für keineswegs», definizione di i wo in Duden on line.

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allo Stato in cui la famiglia vive. Inoltre ho soltanto ipotizzato che wo potesse essere l’abbreviazione del verbo woess, ma non ne ho trovato attestazioni. Per quanto riguarda il punto di vista semantico entrambi i significati sarebbero compatibili con le frasi precedenti e successive, nonostante non appaia il punto esclamativo. L’ipotesi del tedesco gergale è tuttavia più in linea con il comportamento generale della coppia: Anita chiede spesso al marito se è arrabbiato e spesso lui risponde di no; lei allora lo accusa di essere troppo duro ed è piuttosto plausibile, visto il suo comportamento all’interno del testo, che lui risponda di no, anche piuttosto “vivacemente”.

Un altro punto del testo in cui emerge la dimensione colloquiale è quello in cui Hasengrün parla al telefono con Elbertz e lo rassicura del fatto che non sarà scrupoloso nell’ispezionare Wimpo, un esemplare di elefante tanto prestigioso che per giunta è stato donato allo zoo. Per esprimere questo concetto Hasengrün rielabora il proverbio popolare che corrisponde all’italiano “A caval donato non si guarda in bocca”. In tedesco il proverbio è «einem geschenkten Gaul schaut man nicht ins Maul» ma in Wir waren Wimpo compare nella froma: «einem geschenkten Elefanten werde ich natürlich nicht so genau ins Maul sehen…»309. Le differenze con la forma popolare sono innanzitutto la “personalizzazione”: mentre il proverbio vede l’utilizzo del soggetto impersonale man, Hasengrün costruisce una frase personale con il pronome soggetto ich e l’ausiliare werden concordato con il soggetto. Per quanto riguarda il predicato sehen, esso ricorre anche nell’espressione proverbiale come alternativa a schauen. Hasengrün, infine, aggiunge le espressioni avverbiali natürlich e so genau; quest’ultima forma una specie di rima imperfetta interna sostitutiva di quella esistente tra Gaul e Maul nel proverbio originale. Il problema di questa sorta di rima interna in italiano non c’è, dato che nemmeno il proverbio popolare la prevede. Poiché la frase inserita nel radiodramma non è identica al proverbio, ho deciso di modificare anche la versione italiana. Ho lasciato invariato il predicato guardare, coniugandolo al

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futuro semplice della prima persona singolare e ho tradotto so genau con l’espressione così attentamente, ottenendo come risultato: «a elefante donato non guarderò certo così attentamente in bocca».

3.1.6. Sintassi

Dal punto di vista sintattico il radiodramma non presenta particolari difficoltà o ambiguità poiché le frasi sono tendenzialmente piuttosto brevi e immediate. L’unica problematica che potrebbe sorgere è quella relativa alle reticenze e interruzioni di frase, che ricorrono molto spesso nel testo. La relativa difficoltà è data dal fatto che la struttura sintattica della lingua tedesca, piuttosto diversa da quella italiana, richiede una traduzione non fedelissima, che, ad esempio, sostituisca il soggetto quando la frase non è caratterizzata da inversione. Come già detto, infatti, spesso il soggetto in italiano è omesso, soprattutto in prima posizione, mentre in tedesco è obbligatorio. La maggior parte delle frasi reticenti in questo radiodramma vede una ripetizione proprio del soggetto. Un esempio è la frase «Ja – ich – ich räume das Badezimmer. Nimm doch ein Butterbrot»310. La resa in italiano con il soggetto in posizione iniziale risulterebbe pesante e forzata, quindi nella maggior parte dei casi come questi ho deciso di non tradurre il pronome soggetto ma di ripetere un altro elemento della frase, il più delle volte il predicato come anche nel caso della frase «Gut – ich – ich muβ mit dir sprechen»311, per la traduzione della quale ho ripetuto la voce verbale dovere, con il risultato: «Bene – devo – devo parlarti».

Per quanto riguarda la punteggiatura ho deciso di mantenere i segni di interpunzione utilizzati dall’autore, in quanto ho potuto osservare che il trattino significa una pausa più breve rispetto a quella segnalata dai puntini, che segnalano più una reticenza o un’interruzione di frase. A volte è stato necessario aggiungere dei punti di domanda in frasi in cui l’autore mette altri segni di punteggiatura,

310 H. BÖLL, Wir waren Wimpo in B. BALZER (a cura di), Heinrich Böll Werke, 1979 (?), p. 101. 311 Ibidem, p. 118.

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come nella frase: «Wer hätte denken können, daß er kein richtiger Elefant war»312, alla fine della quale in lingua originale compare un punto. In italiano una frase del genere non potrebbe mai essere pronunciata se non con intonazione interrogativa, perciò in casi come questi ho deciso di cambiare la punteggiatura. Naturalmente sono intervenuta anche relativamente alle virgole obbligate in tedesco che in italiano sono superflue o errori, come nel caso delle virgole che precedono delle proposizioni subordinate.

In frasi in cui la posizione dei componenti è insolita per motivi enfatici ho dovuto utilizzare modi alternativi, come nel caso di: «Schrecklich siehst du aus!»313, frase esclamativa che vede in posizione iniziale l’aggettivo schrecklich, enfatizzando l’informazione veicolata dal termine e relegando il pronome personale soggetto du in terza posizione. In questo caso, dato che non si tratta di frasi poetiche, l’italiano non offre molte possibilità di “scomposizione” della frase, quindi ho optato per una proposizione classica, che ho introdotto con la particella ma, ottenendo: «Ma hai un aspetto spaventoso!».

3.2. Mönch und Räuber

3.2.1. Denominazione di alcuni prsonaggi

Come per Wir waren Wimpo, anche il titolo del radiodramma Mönch und Räuber presenta delle difficoltà, in particolare relativamente alla traduzione del sostantivo

Räuber. Il sostantivo ha a che fare con il verbo rauben, che oltre che rubare (che

corrisponde più propriamente al tedesco stehlen) significa rapinare. Da qui sono nate le mie perplessità riguardo alla traduzione del termine: all’inizio ho optato per la traduzione ladro, seppur termine generico. In realtà questa si è rivelata la soluzione più adeguata rispetto agli altri possibili sostituti che ho considerato, cioè

brigante e borseggiatore. Il primo termine compare nell’elenco relativo alla

trasposizione televisiva italiana di Mönch und Räuber, Viaggio a Beguna (cfr.§2.1.2.) ma l’ho scartato poich connotato storicamente, non connesso

312 H. BÖLL, Wir waren Wimpo in B. BALZER (a cura di), Heinrich Böll Werke, 1979 (?), p. 113. 313

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soltanto all’attività del furto e di solito indicante un membro di un gruppo che agisce a mano armata314. In realtà la parola brigante si adatta bene alla traduzione di Räuberbande315, termine composto che compare nel radiodramma in relazione a una banda di cui Mulz faceva parte, i cui membri volevano violentare una donna, atto a cui Mulz stesso si era ribellato, difendendo la vittima e facendola scappare. Solo in questo caso ho adottato la definizione di brigante, traducendo il termine con banda di briganti.

Il termine borseggiatore, invece, per il quale avevo deciso in un secondo momento, risulta troppo specifico: da questa denominazione sembrerebbe che Bunz e Mulz si dedichino soltanto allo scippo, mentre in realtà si dice nel testo che rubano anche al mercato e Bunz sottrae soldi anche dalla cassetta delle offerte della chiesa di Suntor. Die Räuber è poi un’opera famosissima di Schiller, il cui titolo è stato tradotto in italiano I masnadieri. Il vocabolo non descrive esattamente i personaggi di Mulz e Bunz, poiché anche in questo caso si delineano dei delinquenti che spesso fanno uso di armi e si macchiano di omicidio316. Essendo un termine poco immediato e che rimanda inevitabilmente a un classico della letteratura tedesca ho deciso di evitare questo vocabolo. Il termine ladro mi è sembrato, in conclusione, il più adatto poiché non è né troppo specifico, né estremamente generico, né connotato storicamente o letterariamente.

Un altro termine che mi ha creato difficoltà è stato Zimmerwirtin. Nei dati relativi alla prima trasmissione del radiodramma (cfr.§2.1.2.) questo personaggio compare nell’elenco semplicemente come Wirtin. Nella denominazione relativa a questo personaggio proposta in Viaggio a Beguna viene utilizzato il termine

ostessa. Nonostante il termine osteria ricordi un luogo dove bere e mangiare e

314

«a. In origine, soldato avventuriero a piedi, che faceva parte di piccole compagnie mercenarie […]. // b. Quindi, per i danni che spesso cagionavano quei soldati, chi attenta a mano armata alle proprietà altrui e alle persone, per lo più in compagnia d’altri, riuniti in banda sotto l’autorità d’un capobrigante […]», definizione di brigante del Vocabolario Treccani on line.

315

H. BÖLL, Mönch und Räuber in B. BALZER (a cura di), Heinrich Böll Werke, 1979 (?), p. 147.

316

«1. ant. Uomo d’arme che faceva parte di una masnada. // 2. letter. Ladrone, assassino di strada

[...] Nell’uso com., genericam., persona disonesta e prepotente […]», definizione di masnadiere del Vocabolario Treccani on line.

(16)

spesso riposare, non ero soddisfatta della resa “sonora” del termine, che, però, a ben vedere non viene mai pronunciato dai personaggi. All’inizio ho proteso per

albergatrice, termine solo in apparenza moderno: in realtà esso deriva da albergo,

prestito germanico attestato a partire dal XIII secolo317. In questo caso ci si atterrebbe al termine tedesco: la donna a cui viene attribuita questa denominazione affitta delle camere. Alla fine, tuttavia, ho deciso di tradurre il termine con

locandiera, sinonimo di ostessa ma più orecchiabile, il quale deriva da locanda,

una sorta di albergo di basse pretese in cui è anche possibile consumare pasti, bere e passare del tempo in compagnia. Ho considerato il fatto che il vocabolo può richiamare l’opera del 1753 di Carlo Goldoni, La locandiera, appunto, ma non sembra un collegamento scontato e il termine si presta bene a risolvere le problematiche accennate sopra.

3.2.2. Canzoni

Mönch und Räuber è, tra i tre qui analizzati, il radiodramma che ha la dimensione

musicale più spiccata: all’interno del testo, infatti, sono contenuti dei canti, precisamente quattro. Il primo ricorre nella prima scena e viene cantato da Mulz adolescente all’amico Eugen:

Wir haben das Korn für die Reichen gedroschen, ihre Schläuche mit Wein gefüllt,

sie hatten Schuhen, wir trugen Galoschen, unseren Durst hat keiner gestillt…318

Questa strofa ritorna anche in una delle ultime scene in cui Milutin, adulto, intrattiene i clienti della locanda di Beguna dove lavora.

Come per la traduzione degli altri passaggi simili, ho cercato di ricreare l’effetto ritmico, di mantenere il più possibile la lunghezza dei versi e di rispettare la rima, che spesso caratterizza i testi di canzoni popolari. La strofa citata è

317

ALBERTO NOCENTINI, L’ ti ologico: Vocabolario della lingua italiana con CD-Rom e on line, Le Monnier, Milano 2010, p. 23.

318

H. BÖLL, Mönch und Räuber in B. BALZER (a cura di), Heinrich Böll Werke, 1979 (?), p. 127.

(17)

composta da quattro versi; il primo e il secondo verso sono collegati dalla rima alternata gedroschen – Galoschen. Per mantenere la rima in italiano ho dovuto cambiare la posizione del verbo corrispondente a gedroschen, anticipandolo rispetto al complemento oggetto Korn. Tenendo conto che è una canzone popolare, che i termini in rima non sembrano essere in opposizione o costituire un parallelismo e che nella traduzione di testi poetici si può osare di più anche rispetto a strutture sintattiche e lessico, ho tradotto Korn con il termine cereali, iperonimo del vocabolo grano, e Galoschen con stivali generalizzando leggermente il termine galosce. Per quanto riguarda il collegamento tra secondo e quarto verso, siamo in presenza di una rima imperfetta tra i participi gefüllt e

gestillt. In italiano ho optato per creare una rima perfetta e ho utilizzato i participi riempito e lenito.

Il risultato della mia traduzione è il seguente:

Abbiamo raccolto per i ricchi i cereali, con vino abbiamo i loro otri riempito loro avevano scarpe, noi portavamo stivali, nessuno la nostra sete ha lenito…

Le altre canzoni che compaiono nel testo si trovano in una delle scene conclusive e sono riportate una dietro l’altra: è ancora Milutin che le interpreta e intrattiene i clienti della locanda di Beguna in cui ormai lavora come musicista e cantante. È proprio in questa scena che ritornano i versi citati sopra. Nella scena in questione si alternano due canti malinconici; uno è quello appena visto, mentre l’altro è il seguente:

Ich bin ein Gruse, bin ein Räuber, trinke mehr, als mir bekommt. Nichts hab’ ich gelernt

als geigenspielen, beutelschneiden, Kühe auf der Weide schlachten, und manchmal rupfe ich in den Weizen, kaue ihn, wenn der Magen knurrt,

(18)

verzeih mir, heilige Marie319.

Questo è il primo canto che appare in una delle scene finali a cui, dopo le lamentele della locandiera e dei clienti, seguirà una canzone che susciterà l’entusiasmo e le risate del pubblico, nonostante il contenuto non sia particolarmente allegro.

Anche questa canzone, come la prima e quelle che seguiranno, sembra non essere realmente esistente o almeno non ne esistono attestazioni scritte. Il linguaggio delle strofe non è particolarmente forbito, trattandosi di musica popolare, ma nemmeno particolarmente basso: le manifestazioni gergali e dialettali sono ridotte al minimo, come ad esempio, nella prima strofa di seguito, l’elisione della vocale finale in habe (hab’) o la mancanza, più volte, del pronome soggetto ich, che rimane sottinteso.

I versi sono caratterizzati da un forte ritmo, ma a differenza delle altre canzoni, in questa non ci sono rime. Il ritmo è dato da altri fenomeni come le virgole che segnano delle pause e scandiscono i versi, la ripetizione nello stesso verso dello stesso suono vocalico (nel quarto verso, ad esempio, c’è una forte presenza di suoni vocalici che riconducono ad a e ei). Data la differenza tra la punteggiatura e i suoni vocalici tedeschi e quelli italiani ho optato per una traduzione solidale dal punto di vista del contenuto, ottenendo come risultato:

Sono gruso, sono un ladro, bevo tutto il mio guadagno. Ho imparato solo

asuonare e rubare,

e macellare mucche nei campi, a volte raccolgo il frumento,

lo mastico quando lo stomaco brontola, perdonami, vergine Maria.

319

H. BÖLL, Mönch und Räuber in B. BALZER (a cura di), Heinrich Böll Werke, 1979 (?), p. 144.

(19)

Diverso è il caso della canzone “divertente” che Milutin canta subito dopo. Il testo è diviso in due parti:

Als Jochen Brütt von Nachtschicht kam, zwei Stunden vor der Zeit,

lag seine Frau im Bett – im Bett – doch lag sie nicht allein,

sie lag mit Jochens Bruder da, sie war’n genau zu zwei’n. So geht es, wenn die Frauen ihr Herz zu weit auftun, sie sollten sanft und friedlich bei einem Mann nur ruhn.

Er schlug sie nicht, er schrie auch nicht,

sprach leise nur: <<stehe auf>>, nahm still sein Messer aus dem Gurt und stach sie einfach tot.

So geht es, wenn die Frauen ihr Herz zu weit auftun, sie sollte sanft und friedlich bei einem Mann nur ruhn320.

Le strofe relative alla storia di Jochen Brütt sono in terza persona e pur non essendo comiche per il contenuto provocano il riso dei clienti della locanda di Beguna; probabilmente il successo tra il pubblico è dovuto alla musicalità e al ritmo, dato non solo dalla rima, ma anche dagli accenti. Non essendo stato possibile arrivare ad un documento audio relativo al radiodramma, non ho potuto constatare il tipo di musica e di intonazione ma dalle parole della locandiera, che incita Milutin a smettere di cantare versi malinconici come i primi, si suppone che sia una musica piuttosto allegra. Inoltre il ritmo è più incalzante e le rime, nella prima parte, sono più ricorrenti (la seconda parte presenta solo una rima). Nella traduzione della prima delle due strofe ho cercato, con i mezzi della lingua italiana, di rispettare le rime perfette e quelle non perfette: ad esempio, così come

Zeit e allein del secondo e quarto verso non rimano perfettamente ma sono affini

320

H. BÖLL, Mönch und Räuber in B. BALZER (a cura di), Heinrich Böll Werke, 1979 (?), p. 144.

(20)

per assonanza, ho cercato di ricreare una rima non perfetta ma un suono affine, manipolando i versi in modo che finissero con le parole ora e sola. Queste parole si somigliano molto, creano assonanza e una rima non peretta, anche se con suoni diversi rispetto all’originale. Allo stesso modo ho cercato di collegare tramite rima perfetta il quinto e sesto verso, che nell’originale presentano la rima auftun –

ruhn, attraverso i termini sola e lenzuola. Alla luce di questi elementi il risultato

finale è stato:

Quando Jochen Brütt tornò dal turno di notte, anticipando la solita ora,

sua moglie giaceva nel letto – nel letto – ma non giaceva sola,

con lei giaceva il fratello di Jochen, erano insieme tra le lenzuola. Così va se le donne

apron troppo il loro cuore,

accanto a un sol uomo dovrebbero stare, in dolce e pacifico torpore.

Egli non colpì, e nemmeno urlò,

solo disse piano: <<alzati>>, calmo prese un coltello dalla cinta e la uccise.

Così va se le donne apron troppo il loro cuore,

accanto a un sol uomo dovrebbero stare, in dolce e pacifico torpore.

La lunghezza dei versi non corrisponde nelle due lingue, anche se ho cercato di mantenere il rapporto tra versi brevi e versi più lunghi. La questione del ritmo e della lunghezza dei versi è poi complicata dal fatto che mentre in tedesco i versi si misurano contando gli accenti, l’italiano prevede una misurazione in base al numero delle sillabe.

3.2.3. Toponimi

Come spiegato nel capitolo precedente, in Mönch und Räuber ricorrono molti toponimi (cfr.§2.2.4.). Trattandosi però di nomi non attualmente esistenti,

(21)

nonostante abbia formulato ipotesi sulla loro effettiva localizzazione, ho deciso di non tradurli. Tre toponimi che ricorrono nel testo, però, hanno attirato in modo particolare la mia attenzione in relazione alla trasposizione in italiano. Il primo di questi è Baitha: come già detto (cfr.§2.2.4.) esso è ambiguo, in quanto in alcuni passi del testo si intende che sia una regione montana, caratterizzata da povertà e clima rigido, mentre in altri passaggi sembra si tratti di una costruzione o di un rifugio321. Inoltre il termine è preceduto sempre dall’articolo, ma in tedesco questo fenomeno si può osservare anche in altri toponimi, come Schweiz, sempre preceduto dall’articolo die. In secondo luogo il termine non sembra essere attestato come sostantivo comune, quindi ho deciso di ricalcare quanto avviene in tedesco e lasciare Baitha maiuscolo e preceduto dall’articolo.

Il secondo nome geografico che ha attirato la mia attenzione è St. Helena, nome totalmente secondario ma sulla cui traduzione ho riflettuto parecchio. Il nome appare una sola volta nel testo ma a differenza del resto dei toponimi sono stata tentata di tradurlo in S. Elena. Il motivo principale per tradurre questo nome geografico è il fatto che esso è completamente diverso, anche in lingua originale, dagli altri: si pensi a Beguna, Tugra, Suntor e agli altri nomi “orientaleggianti” che vengono menzionati nel testo. Questo ha senz’altro un sapore più occidentale, quindi tradurlo potrebbe essere una soluzione sensata. In ultimo la resa fonetica tedesca è quasi simile a quella italiana. Inoltre i nomi di alcuni personaggi del testo richiamano nomi di santi (come St. Helena, appunto) e non sono orientali, a differenza di Bunz e Mulz, ad esempio (cfr. 3.2.6.), quindi ho dovuto essere coerente con le scelte relative alla traduzione di questi nomi, che vedremo.

Il terzo e ultimo toponimo che mi ha creato difficoltà è stato Grusien con i relativi Gruse e grusisch. Il primo è molto simile al vocabolo moderno Grusinien, che indica un adattamento di Грузия (Gruzjia), nome russo attribuito alla Georgia322, la quale è stata una repubblica sovietica fino al 1991. Da questo

321

«[E]s gab Jahre, in denen ich noch zu Beginn des Winters oben in der Baitha hockte», H. BÖLL, Mönch und Räuber in B. BALZER (a cura di), Heinrich Böll Werke, 1979 (?), p. 126.

322

(22)

toponimo deriva l’aggettivo грузинский (gruzinskji), in tedesco grusisch. Una volta compreso il referente di questi termini, però, ho cercato di capire se in italiano ci fossero vocaboli corrispondenti: l’aggettivo georgiano, infatti, è stato attestato a partire dal XIV secolo323, un’epoca piuttosto remota ma forse non abbastanza per l’ambientazione della vicenda narrata in Mönch und Räuber. Usare i vocaboli Georgia e georgiano, quindi, potrebbe risultare anacronistico o potrebbe dare una datazione più precisa della vicenda che non c’è nel testo originale. Inoltre l’autore potrebbe aver scelto questo termine anche per non facilitare troppo il pubblico nell’individuazione della località in cui si svolge la vicenda.

Ho quindi deciso di utilizzare il termine italiano corrispondente a Grusien, ovvero Grusia (o Grusinia) e il relativo aggettivo gruso, che più che la Georgia configura la Georgia Orientale, ovvero la parte persiana dello stato della Georgia324.

3.2.4. Nomi dei personaggi

In questo testo, come accennato, ricorrono nomi di origine diversa. Più precisamente possiamo riconoscere due gruppi: il primo è quello di nomi orientaleggianti (esistenti o anche non attestati) composto dai nomi Bunz, Milutin e Mulz. Il secondo è quello di nomi tedeschi, composto da Makarius (in realtà una “tedeschizzazione” del latino Macarius), Simon, Paul, Leo, Hubert, Raimund,

Agnes e Eugen. Tutti i nomi appartenenti a questo secondo gruppo sono anche

nomi di santi (Leo è anche una possibile traduzione del nome ebraico Giuda)325, mentre dell’altro gruppo si può dire lo stesso solo di Milutin, l’unico del quale ho potuto trovare un’attestazione, sebbene non sicura (cfr.§2.2.6.). Tra i nomi

323

«[A]gg. e s. m. [sec. XIV] ~ della Georgia, stato caucasico e fino al 1991 repubblica sovietica. // DERIVAZIONE DA TOPONIMI ED ETNICI: Georgia e georgiano sono un adattamento occidentale dei nomi indigeni, che in russo suonano Gruzija e gruzinskji», definizione di georgiano in A. NOCENTINI, L’ ti ologico, 2010.

324

ADRIANO BALBI, Compendio di geografia universale conforme alle ultime politiche transazioni e più recenti scoperte, (IV edizione), Glauco Masi, Livorno 1824, p. 262.

325

(23)

“orientaleggianti” Agnes ed Eugen ricorrono più volte nel testo e sono quelli che richiamano i santi più vividamente, non solo in relazione all’etimologia del nome, ma anche considerate le loro funzioni nel testo. Eugen, infatti, è definito da tutti un santo e Agnes si pente dei suoi peccati e della sua vita di meretrice, si priva dei suoi averi e trascorre il resto dei suoi anni in preghiera. Il collegamento tra il nome Agnes e santa Agnese è innegabile, così come tra Eugen e Eugenio, nome di santo ma anche di numerosi papi (cfr.§2.2.6), ma per un lettore italiano il richiamo potrebbe non essere immediato; per questo motivo ero indecisa sulla traduzione dei nomi.

Se avessi tradotto, però, Agnes e Eugen come Agnese e Eugenio avrei dovuto provvedere anche alla traduzione degli altri nomi tedeschi e questo avrebbe dato la sensazione in un ipotetico ascoltatore un’ambientazione quasi italianeggiante. Inoltre il collegamento tra Eugen e Eugenio è presente, oltre che per la grafia (che un ascoltatore non potrebbe visionare), nella variante latina Eugenius che gli viene attribuita nel testo, anche se solo una volta. Il richiamo a Sant’Agnese è forse più debole ma sicuramente non impossibile da istituire.

Ho quindi deciso di non tradurre i nomi per i motivi elencati e conformemente alle tendenze traduttive moderne.

3.2.5. Raumlos

Il termine raumlos ricorre nella prima didascalia del testo, precedente alla prima battuta di Eugen, e in generale in tutte le didascalie che precedono le battute narrative proferite dal personaggio, che funge, in quei passaggi, da narratore. Il vocabolo, qui con la funzione di avverbio, sembra essere creato ad hoc, dato che nei dizionari bilingui e monolingui che ho consultato326 non è attestato ed è composto dal sostantivo Raum, che può significare tanto luogo come spazio327 e

da los, termine che può essere aggettivale o avverbiale e che indica una mancanza. Il termine va a indicare la dimensione “a-spaziale” dei monologhi del narratore,

326

Duden, 2001, Duden on line e Il nuovo dizionario Sansoni, 2001.

327

(24)

tanto che non ci sono rumori di sottofondo e non c’è un’acustica particolare, come invece viene indicato nelle didascalie relative ai dialoghi. Per la resa di questo termine in italiano ho vagliato diverse ipotesi, anche riflettendo sull’eventualità di proporre un termine inesistente, dato che inesistente pare essere l’originale; inoltre il vocabolo non deve necessariamente rispettare il criterio dell’udibilità, in quanto serve alla regia del radiodramma e non sarebbe comunque letto durante la sua trasmissione. Le ipotesi su cui mi sono concentrata sono state: senza spazio,

non-spazio, spazio assente, (in) nessun luogo, luogo / spazio indefinito. Ho tenuto

conto anche delle altre didascalie, nelle quali spesso non vengono precisati i luoghi in cui si svolgono i dialoghi, ma viene indicato soltanto se essi sono ambientati in un interno o all’aperto (innen o im Freien) con pochissime eccezioni (Bibliothek, Kneipe, Geräusche einer Kneipe e Klopfen an eine Zellentür). Ho deciso di non considerare l’accezione di luogo, dato che Raum sembra essere un termine più vago; secondo me l’autore intende lo spazio in generale: il narratore parla ma non sembra essere collocato in una dimensione spaziale, solo conseguentemente non si trova in nessun luogo; inoltre ho notato che non c’è l’articolo negativo kein, quindi non c’è una determinazione. È come se Eugen sia liberato dai vincoli dello spazio, spazio che non è indefinito, ma non c’è in assoluto. Ho proteso, quindi, per la traduzione senza spazio, quasi in parallelismo all’espressione, comune in italiano, senza tempo.

3.2.6. Termini generici

Finora mi sono concentrata su termini specifici, come toponimi, nomi propri e termini particolari come raumlos che ricorrono molte volte nel testo. In questo paragrafo mi concentrerò su termini più generici che compaiono nel radiodramma, che, se anche non sono di particolare importanza ai fini della comprensione del testo, mi hanno creato delle perplessità. Uno di questi è Dorf, che, se inserito in un

(25)

testo attuale o che si ambienta in un epoca contemporanea, tradurrei con paese. L’ambientazione temporale della vicenda, però, che nonostante sia ambigua è da riferirsi sicuramente a un passato piuttosto remoto, mi ha portato a decidere per

villaggio, non tanto per l’etimologia dei termini (villaggio è stato attestato nel

XIV secolo, paese un secolo prima)328, quanto perché villaggio ai giorni nostri non è molto utilizzato in relazione a civiltà “moderne”, come invece lo è paese. Villaggio ricorda un’organizzazione sociale in tempi remoti.

In secondo luogo ho rilevato un’ambivalenza di significati nel caso di Bruder: in alcuni casi questo termine è utilizzato per identificare i confratelli di Eugen e di altri conventi, in altri casi per identificare Milutin329, che non è prete e che Eugen considera suo fratello. Ho deciso di tradurre sempre il termine ho con fratello, poiché la parola si adatta bene a entrambi gli usi.

All’interno del radiodramma, un altro termine particolare è Fuβvolk, il quale non è soltanto dispregiativo per indicare la massa, la parte “bassa” del popolo, ma rimanda anche a una parte dell’esercito, in particolare la fanteria, formata appunto da soldati a piedi, come indica il termine tedesco. Nonostante il vocabolo non abbia un ruolo particolarmente importante nel radiodramma e non venga più ripetuto, ho cercato di (cfr.§2.2.7) non “banalizzare” il termine soprattutto perché la parola compare nel momento in cui il parroco esprime opinioni razziste nei confronti dei grusi330. Ho scelto di tradurre con marmaglia, che dà l’idea di una massa, anche se non militarizzata. Avevo preso in considerazione anche la soluzione sempliciotti, parola che può rimandare, molto vagamente,

328

Cfr. definizioni di paese e villaggio in A. NOCENTINI, L’ ti ologico, 2010.

329

«Ich spürte eine groβe Freude in meinem Herzen, ich liebte ihn schon, ohne ihn zu kennen, meinen Bruder Milutin», «Ich bat alle Brüder um ihren Segen, auch den nidrigsten unter ihnen, einen jungen Bauernburschen, der noch nicht Diakon war. Vielen boten sich an, mich zu begleiten, aber ich wollte allein sein auf dem Weg nach Beguna, ich wollte meinem Bruder Milutin allein begegnen: ich liebte ihn, ohne ihn zu kennen, liebte ihn sehr und dankte Gott an jedem Tag für die Gnade, die er mir erweisen wollte, indem er mir meinen Bruder Milutin zeigte», H. BÖLL, Mönch und Räuber in B. BALZER (a cura di), Heinrich Böll Werke, 1979 (?), p. 133 e pp. 133,134.

330

«Euch kann ich es ja sagen, Ihr werdet nicht gekränkt sein: sie sind schlapp, viele sind unternäht, sie vertragen die harte Arbeit nicht, und so kommen sie schnell unters Fuβvolk», H. BÖLL, Mönch und Räuber, in B. BALZER (a cura di), Heinrich Böll Werke, 1979 (?), pp.140, 141.

(26)

all’espressione soldato semplice, non equivalente a fanteria, ma che sottolinea il fatto della “bassezza” di entrambi i livelli. In realtà, però, l’ambivalenza del termine non è immediata e il significato di Fuβvolk all’interno del contesto è molto indebolito.

3.2.7. Sintassi: inversioni particolari

Il modello originario di Mönch und Räuber è a sua volta basato su una leggenda e in quanto tale, nonostante la sintassi del testo rispecchi, per gran parte di esso, l’uso comune del tedesco contemporaneo all’autore (e in realtà anche attuale), in questo testo più che in altri si trovano delle strutture inconsuete, per dare ritmo, ma soprattutto solennità al racconto. Un esempio si trova già all’inizio del testo, proprio quando Eugen prende la parola: «Alles zu berichten würde lange dauern, aber ein wenig muβ ich erzählen». Questa frase non rispecchia la struttura sintattica del tedesco quotidiano (che invece potrebbe essere: es würde lange

dauern, alles u berichten, aber ich uβ ein wenig er hlen): nonostante sia

pienamente comprensibile e immediato, il periodo ha un ritmo particolare che caratterizza la solennità delle parole di Eugen-narratore in tutto il testo. Ho cercato di dare alla parole di Eugen lo stesso “sapore” inconsueto e un po’ antico, senza però conferire alle frasi toni pesanti e strutture troppo forzate e ho tentato, al contempo, di salvaguardare l’efficacia del messaggio. In questo caso ho deciso di tradurre molto tempo ci vorrebbe per riferirle tutte, ma qualcosa la devo

raccontare. Un altro caso simile si trova poco più avanti, nel momento in cui

Eugen descrive la Baitha: «nur spärlich wächst dort Gras»331 che ho deciso di rendere: solo di tanto in tanto vi cresce erba.

Anche nelle battute dei personaggi ricorrono strutture di questo tipo; in una delle prime battute di Mulz, ad esempio, si legge: «Hart ist der Herbst in der Baitha und gering nur das Einkommen eines Räubers», in cui ognuna delle due proposizioni che formano il periodo comincia con un aggettivo. Questo tipo di

331

H. BÖLL, Mönch und Räuber, in B. BALZER (a cura di), Heinrich Böll Werke, 1979 (?), p. 126.

(27)

struttura ha una doppia valenza: una “estetica” e ritmica, l’altra contenutistica, dato che si tende a dare enfasi agli aggettivi hart e gering, che descrivono la situazione di Mulz. Una traduzione in italiano piuttosto fedele all’originale si presta bene, in questo caso, a ricreare entrambi i meccanismi elencati, perciò ho deciso di tradurre: duro è l’autunno alla Baitha e scarso il guadagno di un ladro.

È anche grazie a frasi come queste che il testo ha un alto grado di musicalità; queste strutture, sebbene non siano la maggioranza nel radiodramma, conferiscono alle battute un ritmo quasi canoro, come succede con la frase «die Armut hat es [mein Heimatdorf] aufgefressen, Wind und Schnee haben es zerstört», in cui la stessa struttura frasale è ripetuta due volte. In questo caso, l’italiano permette di mantenere un ritmo simile (la overtà l’ha divorato, il vento

e la neve l’hanno distrutto).

Come visto nell’esempio appena fatto, non è soltanto nei monologhi di Eugen che ricorrono queste inversioni e strutture insolite: Mulz, ad esempio, in una delle prime pagine dice: «Manchmal läuft einem so ein dicker Bauer über den Weg…»332

. In questa frase il soggetto è quasi a fine di frase, situazione piuttosto rara per il tedesco, almeno quello contemporaneo. La traduzione di frasi del genere in italiano non è particolarmente problematica, dato che la sintassi italiana ha regole meno rigide rispetto a quelle del tedesco, almeno per quanto riguarda la posizione dei vari componenti della frase. Di conseguenza la frase italiana non conserva, in questo caso, quell’elemento di “inconsuetudine” che invece si nota nell’originale (A volte ti ca ita di incontrare er strada un bell’agricoltore

ciccione). 3.3. Hausfriedensbruch 3.3.1. Termini giuridici 332 Ivi.

(28)

Il radiodramma Hausfriedensbruch è caratterizzato, come Wir waren Wimpo e

Mönch und Räuber, da un registro colloquiale non connotato dal punto di vista

sociale e pienamente comprensibile dall’ascoltatore medio. Tuttavia nel testo compaiono molte espressioni giuridiche, anche perché molti dei personaggi coinvolti si occupano di legge e giurisprudenza: Merkens è avvocato, sua moglie Maria appartiene a un’antica famiglia di legali per la quale lavorava lo stesso Merkens; Perz, infine, è sì prete, ma anche giurista. Il titolo stesso è costituito da un termine giuridico che identifica un reato, quello, appunto, della violazione di domicilio, espressione che ho usato come titolo della mia traduzione del radiodramma.

Alcune delle espressioni giuridiche che ricorrono nel testo non sono strettamente tecniche e sono quindi più facili da tradurre. Un esempio è sich

schuldig machen, espressione di cui si serve Merkens per illustrare ad Anna il

meccanismo del reato di violazione di domicilio333. L’espressione regge il genitivo e trova la sua perfetta corrispondenza nell’espressione italiana rendersi

colpevole di qualcosa (mi rendo colpevole di violazione di domicilio), che ho

adottato in traduzione.

Non tutti i termini di questo tipo, tuttavia, sono stati così facili da tradurre. Un esempio è il verbo verklagen, che ha i significati principali di querelare e citare in

giudizio; queste due espressioni, però, non si equivalgono: querela, è, infatti,

«[n]el diritto penale, [l’]atto con cui la persona offesa da un reato manifesta, nei casi espressamente previsti dalla legge, la volontà che il colpevole venga processato»334, mentre la citazione è «[l]’atto del citare o dell’esser citati; nel processo civile, l’atto con cui si propone la domanda giudiziale […]; nel processo penale, l’atto con cui l’autorità giudiziaria ordina a un soggetto di comparire nel tempo e nel luogo stabiliti»335. Considerato che nelle situazioni presentate in

Hausfriedensbruch non sussiste alcun ordine da parte dell’autorità giudiziaria e

333

«Wenn du’s dreimal hintereinander sagst, mache ich mich des Hausfriedensbruchs schuldig», H. BÖLL, Hausfriedensbruch in B. BALZER (a cura di), Heinrich Böll Werke,1979 (?), p. 498.

334

Cfr. definizione di querela in Vocabolario Treccani on line.

335

(29)

non si popone alcuna domanda giudiziale, ma si presuppone che la vittima del reato (Anna, il parroco, Kuckertz o Maria, a seconda dei casi) voglia che il colpevole sia punito per il gesto commesso, ho deciso di tradurre verklagen con

querelare. Una seconda ragione a favore di questa scelta riguarda l’etimologia dei

termini, che rimandano all’idea del lamento e del lamentarsi: verklagen, infatti, contiene il verbo klagen, che significa, appunto, lamentarsi e l’italiano querela è un prestito latino (querēla) a sua volta derivato dal verbo queri, cioè lamentarsi,

lagnarsi336.

Un altro termine, o meglio, una coppia di termini giuridici che compare nel testo è quella formata da Rechtspartner e Rechtsgegner, che ricorre più volte nel testo in diverse combinazioni; Merkens, che in quanto avvocato, si è trovato a rappresentare, in cause di divorzio, sia clienti che intendono divorziare, sia clienti che si oppongono, attribuisce questi vocaboli a Dio: «[U]nd man denkt an diesen Gott, der manchmal Rechtspartner ist, manchmal Rechtsgegner»337. Ho considerato, per la traduzione, i termini tecnici parte e controparte, dove per parte si intende «ciascuna delle persone (o gruppi di persone) che contendono in giudizio, o anche ciascuno dei soggetti del contratto»338, e per controparte «la parte avversaria»339. In realtà, però, i corrispettivi tedeschi di questi termini giuridici sono Partei e Gegenpartei, mentre Rechtsgegner e Rechtspartner non sono attestati nemmeno nel dizionario monolingue Duden. Ho ipotizzato che l’autore volesse mettere in risalto innanzitutto che Dio può essere suo Gegner, cioè avversario, quasi nemico (nel caso di clienti che vogliono il divorzio), oppure, in caso contrario, Partner, quasi un complice, determinando poi il campo d’azione specifico con il termine Recht(s). Ho quindi deciso di seguire il procedimento che penso abbia seguito Böll, traducendo Gegner e Partner con

avversario e complice. Ho scelto di non lasciare invariato partner in quanto il

336

Cfr. defizione di querela in A. NOCENTINI, L’eti ologico, 2010.

337

H. BÖLL, Hausfriedensbruch in B. BALZER (a cura di), Heinrich Böll Werke,1979 (?), p. 510.

338

Definizione di parte in Vocabolario Treccani on line.

339

(30)

vocabolo è sì usato in italiano, ma è un prestito dal tedesco340, quindi in questa lingua è sicuramente più comune. Nel caso, invece, in cui ci si riferisca al campo delle relazioni amorose, come in «Ich befasse mich auch mit Scheidungen, fast täglich bin ich konfrontiert mit dem vergifteten Sakrament derer, die mit ihrem Partner nicht mehr ein Fleisch sein wollen oder sein können»341, ho deciso di lasciare il termine tedesco, dato che in questa accezione il termine è comune nella lingua italiana.

Per quanto riguarda la traduzione del determinante comune ai due composti, ossia Recht(s), ho considerato come possibili traducenti gli aggettivi legale e

giuridico; ho proteso per il primo perché nel radiodramma ricorrono molti termini,

ad esempio Jurist e juristisch, che, come giuridico (e vocaboli affini) derivano dal latino ius, iuris (diritto)342. Ho voluto, quindi, differenziare, come accade in tedesco, i due gruppi lessicali.

Un ultimo esempio che voglio riportare è quello dell’espressione Ordnung

und Recht. Questa espressione corrisponde all’inglese Law and Order, formula

che dà anche il sottotitolo al saggio di Böll del 1972 Der tägliche Brot der

Bomben343. In italiano non c’è una forma fissa corrispettiva e anche in tedesco sembra essere, sebbene ormai usata, più un calco dall’inglese che una formula indigena: sul dizionario Duden on line, infatti, non compare l’espressione tedesca

Ordnung und Recht ma compare quella inglese, o meglio statunitense, Law and Order, riportata con la definizione: «Schlagwort, das die Bekämpfung von

Kriminalität, Rauschgiftsucht, Gewalt u. Ä. durch drastische Gesetze und harte polizeiliche Maßnahmen fordert»344. Il fatto che in queste espressioni il corrispettivo di Recht sia Law, ovvero legge, mi fa presupporre che il significato

340

Cfr. lemma partner in A. NOCENTINI, L’eti ologico, 2010, p. 834.

341

H. BÖLL, Hausfriedensbruch in B. BALZER (a cura di), Heinrich Böll Werke, 1979 (?), p. 504.

342

Cfr. lemma giùre in A. NOCENTINI, L’eti ologico, 2010, p. 508 e lemma Jury in FRIEDRICH KLUGE, Etymologisches Wörterbuch der deutschen Sprache, de Gruyter, Berlin – New York 1995, p. 414.

343

Cfr. H. BÖLL, Neue politische und literarische Schriften, Kiepnheuer & Witsch, Köln 1973, pp. 267-270.

344

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