Capitolo 3
Progettazione e realizzazione di circuiti
per la caratterizzazione di un microspecchio torsionale
Nel precedente capitolo abbiamo presentato il microspecchio torsionale a veneziana oggetto del nostro studio, i metodi di misura tramite i quali siamo interessati a caratterizzarlo e, infine, una particolare tecnica di pilotaggio che consente il superamento del limite imposto alle prestazioni del dispositivo dal fenomeno del pull-in statico.
In questo descriviamo, invece, la circuiteria che abbiamo progettato e realizzato al fine di pilotare opportunamente il microspecchio e misurarne, sulla base dei metodi presentati, alcuni parametri di interesse; nonché i risultati di tali test.
Le reti necessarie per effettuare tali misure sul dispositivo sono due:
un circuito di attuazione, posto in ingresso, che fornisce i segnali di pilotaggio dell’elettrodo sinistro: una tensione continua e una altenata.
un circuito di lettura che impone la tensione continua sull’elettrodo in uscita e rileva la corrente i2 su di esso.
Vediamoli di seguito in dettaglio.
3.1 Circuito per l’attuazione del microspecchio
3.1.1 Progettazione
La progettazione di un opportuno circuito rende, evidentemente, necessario che si fissino le specifiche che esso deve soddisfare. Per applicare il metodo di misura della seconda armonica, occorre portare lo specchio ad un certo angolo di rotazione, tramite una tensione continua (di ampiezza pari a varie decine di Volt); dopo di che lo si deve sollecitare con una tensione alternata di ampiezza piccola e frequenza pari a quella equivalente di risonanza (del secondo modo), cioè 68.2kHz. Di fatto si scandisce un intervallo frequenziale intorno alla fr supposta, così da individuarne il valore effettivo (che non coinciderà esattamente con quello ottenuto tramite la simulazione FEMLAB - v.cap.2) e misurare il fattore di qualità Qr.
Queste considerazioni ci permettono di individuare le specifiche per il circuito di attuazione, ossia:
• tensioni continue d’uscita ≤70V;
• tensioni alternate d’uscita con ampiezza dell’ordine di 1V;
• limite superiore di banda ≥100kHz;
• distorsione di seconda armonica bassa.
La progettazione del circuito ha previsto una sintesi teorica e una successiva analisi (con l’ausilio del software Pspice) che confermasse la correttezza delle scelte fatte. La rete utilizzata è rappresentata nella fig.3.1. Essa presenta un primo stadio che somma la tensione costante e quella alternata (rappresentate nella figura rispettivamente dai generatori Vin e VS); quest’ultime vanno in ingresso ad uno stadio di amplificazione
amplificatore, pertanto si aggiunge in cascata (all’interno dell’anello di reazione) un altro stadio, rappresentato da un BJT pnp (MJE340) montato in configurazione ad emettitore comune. Le alte tensioni d’uscita desiderate sono, quindi, fornite dal transistore, al quale non sono invece richieste elevate correnti: il carico, rappresentato dal microspecchio, è infatti di tipo capacitivo. L’amplificazione complessiva dei due stadi è pari a 10. L’anello di reazione è costituito dalle due resistenze R3 ed R4.
+=12V
V , V-=-12V e Vcc=75V, sono, rispettivamente, i generatori di alimentazione dell’operazionale e quello necessario alla polarizzazione del BJT. Dato l’elevato valore, la VCC sarà prelevata direttamente dalla tensione di rete, con opportuni stadi di trasformazione e raddrizzamento.
La tensione presa sul collettore del transistore, cioè sul nodo di uscita, Vu, è quella che viene applicata alla lastra riflettente.
0
R 3 6.8k
V1-12Vdc
C 21n
R 5100 R 21k
0
Q 1MJ E340
Vs 1Vac0Vdc
V+12Vdc
0 0
R 110k
R 7 100
R 610k
0
R 4 68k
0
Vin5Vdc
U 2
O P-27 3
2
74
6 1 + 8
-
V+V-
O U T O S1 O S2
0
R 81k
C 1 1u
0
Vc c75Vdc
Figura 3.1 Schema del circuito di attuazione del microspecchio
Un condensatore C1 (di 1 ), posto in ingresso, realizza il disaccoppiamento in continua del segnale alternato di pilotaggio. In uscita, invece, è stato introdotto un ramo composto da un condensatore
(C =1nF2 ) ed una resistenza (R8), per effettuare una compensazione polo-zero. Lo studio del del circuito privo di tale rame ha evidenziato, infatti, la necessità di accrescere il margine di fase al fine di garantire la stabilità del sistema.
Come detto in precedenza, per verificare che il circuito soddisfacesse alle specifiche richieste (almeno idealmente), si è effettuata una simulazione del suo comportamento tramite il software Pspice. Le figure 3.2 e 3.3 rappresentano i diagrammi di Bode, rispettivamente, dell’ampiezza e della fase della funzione di trasferimento della rete in funzione della frequenza. Da essi si evince che la specifica sulla banda è ampiamente soddisfatta; a poco più di 5MHz si ha un picco e poi la funzione scende rapidamente, ma ciò non ci riguarda visto che si tratta di frequenze già molto superiori a quelle per cui intendiamo pilotare il nostro dispositivo.
Si è anche constatato che l’andamento della tensione d’uscita Vu al variare di quella costante d’ingresso, ossia Vin, è lineare fino a V =6.2Vin (cui segue V = 62Vu ); per valori superiori della tensione d’ingresso, l’uscita non segue più la variazione, in quanto il transistore entra in saturazione.
Figura 3.2 Diagramma di Bode dell'ampiezza della funzione di
Figura 3.3 Diagramma di Bode della fase della funzione di trasferimento
3.1.2 Realizzazione
Progettato un circuito di attuazione che soddisfacesse le specifiche (come visto nel paragrafo precedente) si è proceduto alla realizzazione del medesimo.
Tramite opportuno software, nonché metodi fotolitografici noti, abbiamo prodotto il circuito stampato e assemblato i componenti. Il passaggio alla pratica ha – ovviamente - reso necessario risolvere altri problemi, quali quelli relativi alla generazione delle tensioni di alimentazione richieste. Esse si ricavano dalla tensione di rete (220V) attraverso alcune trasformazioni indicate nel seguente diagramma a blocchi:
Tensione di rete
(220V) Raddrizzatore Regolatore
Vcc
a ponte di diodi Trasformatore
[V+][V-]
Per ottenere V+ e V- si utilizza un normale trasformatore a due uscite con tensioni fornite di valore ±12V; per Vcc, invece, occorre un trasformatore per alte tensioni.
Nelle figure 3.4 e 3.5-3.6 sono riportati, rispettivamente, lo schema complessivo della basetta (PCB) realizzata e due fotografie della stessa ultimata.
3.1.3 Test di funzionamento
Realizzato il circuito, si è proceduto a testarne il funzionamento in condizione di pilotaggio tramite una tensione costante ed una sinusoiodale di ampiezza pari a 0.1V. Variando la frequenza del segnale alternato e visualizzando sullo schermo di un oscilloscopio la tensione d’uscita, si è potuta osservare una distorsione di quest’ultima a partire da frequenze dell’ordine dei 300kHz.
La ragione di tale fenomeno è da ricercarsi nell’amplificatore operazionale; ricordiamo infatti che, affinché il segnale in uscita ad un operazionale non risulti distorto, deve essere soddisfatta la relazione:
2π f V⋅ M′ ≤σ
in cui f è la frequenza del segnale alternato in uscita (coincidente con quella del segnale d’ingresso), V ′M l’ampiezza dl medesimo (uguale a quella della tensione d’ingresso moltiplicata per l’amplificazione data dall’operazionale) e σ lo slew-rate dell’amplificatore.
Per l’OP27, da noi usato, si ha σ =1.7÷2.8V sµ ; inoltre si è considerata una tensione alternata di ampiezza di 0.1V. Supponendo per semplicità che tutta l’amplificazione sia dovuta all’operazionale (cosa non troppo lontana dal vero) e che, quindi, sia V =1VM , si ottiene:
MAX 300kHz
f .
Ground
V+reg
V-reg
+C17
1uF
+C16
1uF
+C15
10uF
+C14
10uF
10nFC13 10nFC12
100nFC11 100nFC10
IN COM
OUT LM317U5 IN
COM OUT LM317U4 V+
V-
J1
V-reg V+reg
Vsign
+ OP27AU1
MJE340Q1
1uFC1
Ground Ground
Vsign Vin
Ground
Ground 0.1uFC3
0.1uFC4 V+reg
V-reg
V-reg
1nFC2
Vout
Ground Vcc
Vin Ground
V-
AC V+ AC
DF06D3
V-
AC V+ AC
DF06D2
V-
AC V+ AC
DF06D1
Ground
V- V+
Vcc
Ground
C7 330uF
C6 330uF
C5 330uF 100R7
6.8kR3
68kR4
10kR6
100R5
10kR1 R21k
R81k
Figura 3.4 Schema complessivo del circuito realizzato per l’attuazione del microspecchio torsionale
Figura 3.5 Circuito per l'attuazione del microspecchio, realizzato presso i laboratori della Facoltà di Ingegneria dell'Università di Pisa
Figura 3.6 Dettaglio del circuito di attuazione
Le distorsioni sono dovute, dunque, al fatto che l’amplificatore operazionale a tale frequenza entra in slew-rate e di conseguenza non si comporta più in maniera lineare.
Tramite un sistema simile a quello presentato nel capitolo successivo a proposito delle misure sul dispositivo, abbiamo misurato la risposta in frequenza del circuito di attuazione. Si è cioè pilotato il circuito con una tensione continua e una alternata e si sono prelevate, con l’ausilio dell’amplificatore lock-in, le ampiezze del segnale d’uscita di prima e di seconda armonica. Tale misura è stata effettuata per dieci valori della tensione continua compresi tra 12V e 66V, a intervalli uguali, e facendo variare la frequenza. Si è potuto così osservare che il circuito si comporta linearmente fino a frequenze dell’ordine dei 300kHz, per l’appunto; inoltre, si rileva che la risposta in frequenza non muta significativamente al variare della tensione continua. Dalla misura delle ampiezze delle componenti in prima e seconda armonica in corrispondenza di f =300kHz si può calcolare la relativa distorsione di seconda armonica. Ne risulta un valore tipico pari a: D 300kHz2
( )
4.16×10-3.3.2 Sistema per la misura della seconda armonica: circuito e strumentazione
Per effettuare misure della seconda armonica, secondo il metodo spiegato nel precedente paragrafo, facciamo ricorso ad un sistema il cui schema a blocchi è illustrato in fig.3.7. Al centro c’è il dispositivo sottoposto a misurazione, ossia il nostro microspecchio. La lastra riflettente viene posta a massa, come il substrato; all’elettrodo sinistro si applicano una tensione continua e un segnale sinusoidale di frequenza pari alla metà di quella equivalente di risonanza (secondo quanto spiegato nel par.2.3), cioè:
( )
1 1 sin ;
2
req
V t E VM ω t
= + ⋅ (3.1)
mentre l’elettrodo destro si pone ad una tensione costante E2, la quale viene applicata sul terminale non invertente di un amplificatore operazionale:
( )
2 2.
V t =E (3.2)
Figura 3.7 Schema a blocchi del sistema per la misura della seconda armonica
Il segnale rilevato è la corrente su quest’ultimo elettrodo (quella che abbiamo in precedenza chiamato i2); essa si riversa sul terminale invertente del suddetto amplificatore operazionale, il quale funge da stadio transresistivo. Infatti, il segnale raccolto in corrente viene trasformato in tensione (in pratica moltiplicato per l’impedenza del transresistivo) ed inviato ad un successivo stadio di amplificazione, essendo esso di ampiezza piuttosto limitata. Tale stadio amplifica di circa 980, il blocco transresistivo introduce una resistenza di 100k , ne segue che
Generatore del segnale alternato di attuazione
Amplificazione
Dispositivo sotto test (Microspecchio)
Generatore della tensione
continua di attuazione
Preamplificazione
Amplificatore
lock-in Display
(modulo e fase)
Figura 3.8 Schema del circuito di prelievo del segnale d'uscita per la misura della seconda armonica
J1 Ground
Ground Ground
Ground
Ground
Ground Ground
Ground Ground
V-reg V-reg
V+reg V+reg
Voutb
V+reg
V-reg +
MAX427U1 0.1uFC2
V+reg
Ground
Ground 0.1uFC3
V-reg 10uFC4 10uFC5
470nFC1 +
OP37AU11
0.1uFC7
0.1uFC6 C8
0.1uF
0.1uFC9 +
OP37AU10
Vdc2
VssVdd +C17
1uF
+C16
1uF
+C15
10uF
+C14
10uF
10nFC13 10nFC12
100nFC11 100nFC10
IN COM
OUT LM317U5 IN
COM OUT LM317U4 Voutb
Vdc2
VssVdd
100kR2
10kR1
R2110k R22
10k
R25330 R26
330
Figura 3.9 Circuito di lettura del segnale di ingresso (e miscrospecchio fissato su una basettina mobile)
Nel paragrafo successivo è spiegata più in dettaglio la struttura del blocco transresistivo.
Nella fig.3.8 è schematizzata la rete per la lettura del segnale, mentre nella fig.3.9 è ritratto il circuito realizzato presso i laboratori della Facoltà di Ingegneria dell’Università di Pisa; in questa seconda è visibile anche il microspecchio, fissato su una basetta mobile.
In uscita allo stadio di amplificazione si ha, dunque, una tensione sinusoidale composta di due termini: uno alla frequenza del segnale alternato d’ingresso, cioè
2 ωreq
, ed uno a frequenza doppia, cioè quella di risonanza del sistema elettromeccanico ωreq. Non si ha componente continua in quanto la i2 ne è priva e, in ogni caso, un condensatore tra stadio transresistivo e stadio di amplificazione realizza il
Il segnale d’uscita viene, quindi, inviato ad un amplificatore lock-in, strumento di misura che è in grado di “agganciarsi” alla componente in seconda armonica. Precisamente, esso riceve su un terminale di riferimento il segnale alternato usato per pilotare il dispositivo (vale a dire la componente sinusoidale di V t1
( )
) e su un altro terminale d’ingresso la tensione d’uscita del sistema: esso rileva l’ampiezza della componente in seconda armonica di quest’ultima e il suo sfasamento rispetto al segnale di riferimento in prima armonica.Durante il processo di misura il circuito per la rilevazione del segnale di uscita e il dispositivo, collocati sulla medesima basetta, sono inseriti in un ambiente in cui viene fatto il vuoto, tramite una pompa turbomolecolare: si tratta della vacuum chamber.
E’ importante che la camera da vuoto e i cavi siano tutti schermati al fine di impedire la sovrapposizione, al segnale da misurare, di disturbi provenienti dall’esterno, quali possono essere quelli dovuti a campi elettrici parassiti.
D . U.
T.
Amplificatore lock-in Generatore di forme
d'onda
ref in
syn out
Alimentatore 1 -12V comune +12V
Alimentatore 2
comune V
V+ V- com out
in
E0
Vacuum chamber
D . U.
T.
Amplificatore lock-in Generatore di forme
d'onda
ref in
syn out
Alimentatore 1 -12V comune +12V
Alimentatore 2
comune V
V+ V- com out
in
E0
Vacuum chamber
Figura 3.10 Rappresentazione schematica dell’apparato di misura
Nella fig.3.10 è schematizzato l’apparato per la misura. In essa è rappresentata la camera da vuoto, al cui interno è collocata la basetta, il
generatore di forme d’onda che fornisce la tensione sinusoidale di pilotaggio, l’amplificatore lock-in, nonché altri due alimentatori che forniscono, rispettivamente, le tensioni ±12V di polarizzazione del circuito e la tensione continua E0 posta sull’elettrodo di uscita.
3.2.1 Lo stadio transresistivo
Il dimensionamento dello stadio transresistivo è particolarmente importante perché ad esso è legata la sensibilità e la larghezza di banda del sistema. L’amplificatore operazionale utilizzato è della classe MAXIM:
un MAX427 (versione con compensazione interna e minor guadagno del MAX437), scelto per la sua bassa corrente di rumore in ingresso. La resistenza di reazione è di 100k , valore scelto in modo da minimizzare l’effetto delle sorgenti di rumore dell’operazionale (e quindi massimizzare il rapporto segnale-rumore) e di mantenere bassa l’impedenza d’ingresso dello stadio, in modo da non caricare l’uscita del dispositivo elettromeccanico.
Vediamo, dunque, come si procede per effettuare il dimensionamento. Riferiamoci alla fig.3.11, nella quale IS e Zi sono, rispettivamente, la corrente (in pratica la nostra i2) e l’impedenza d’uscita del sistema meccanico.
L’impedenza Zi è data dal parallelo della capacità vista verso il secondo elettrodo, ossia C2, e quella d’ingresso dell’operazionale, che chiamiamo Cin. Nel complesso abbiamo:
2
i in
C =C +C (3.3)
e quindi:
Z = 1 (3.4)
Figura 3.11 Dimensionamento del transresistivo: circuito equivalente per il limite superiore di R
Applichiamo il teorema di Miller alla resistenza di reazione R
( M u
i
K V
=V = costante di Miller):
0
1
1 1 1 1
1
pa
in M VOL VOL
pa
j f
R R R f
Z K A A j f
f f
j f
+
= = = ⋅
+ + + +
+
(3.5)
nella quale AVOL indica il guadagno dell’operazionale ad anello aperto, fpa il suo polo ed f0 = +
(
1 AVOL)
⋅ fpa il prodotto guadagno-banda (PGB) dell’amplificatore. Effettuiamo ora una semplificazione considerando il fatto che il polo dell’operazionale si colloca a frequenze molto basse (1÷10Hz), mentre il PGB (soprattutto per il tipo di amplificatore da noi scelto) è molto elevato. Ciò ci permette di asserire che le frequenze di lavoro del nostro dispositivo si collocano nell’intervallo tra fpa ed f0 ed, in particolare, abbastanza lontane da quest’ultima; di conseguenzal’impedenza di ingresso nel range di frequenze in cui opera il sistema può essere espressa come segue:
1 0 in
VOL pa
R f f
Z R
A f f
≅ ⋅ = ⋅ ⋅
+ (3.6)
Sostituendo quest’ultima relazione nella (3.5) otteniamo una prima condizione per la resistenza di reazione:
0 1
0 1
1 2 1 2 R f
f f C
R f
f C f π
π
⋅ ⋅
⇒ ⋅
⋅
(3.7)
la quale rappresenta un vincolo sulla massima frequenza di lavoro utilizzabile (nonché il limite superiore per la R).
Una seconda condizione per R si ottiene prendendo in analisi l’effetto dei generatori equivalenti di rumore in ingresso all’operazionale, rappresentati nella fig.3.12, cui siaggiunge il rumore dovuto alla stessa R. Il rapporto segnale-rumore dello stadio in esame ha la forma seguente:
1
2 2 2 2
In Vn 4
S S S
S B S B
S KT B
SNR N I R I R I
⋅ ⋅ ⋅ −
= = + ⋅ + ⋅ (3.8)
nella quale: B rappresenta la banda equivalente di rumore del sistema;
SVn ed SIn sono le densità spettrali di potenza dei generatori equivalenti di rumore in ingresso VBne IBn; K è la costante di Boltzman e T indica la temperatura assoluta.
Figura 3.12 Dimensionamento del transresistivo: presenza di sorgenti di rumore
Ci interessa che esso sia il massimo possibile, ma per ottenere ciò possiamo intervenire solo sul valore della resistenza R, quindi solo sul secondo e sul terzo termine. E’ da questa considerazione che si ricava la seconda condizione per il dimensionamento; si trascurano però - per semplicità - gli effetti del rumore introdotto dalla stessa R. Si ha dunque:
Vn ,
S
S B
R I
⋅ (3.9)
la quale rappresenta il vincolo sul valore minimo di R.
In relazione al primo termine nel secondo membro della (3.8), possiamo osservare che esso dipende dalla corrente equivalente di rumore in ingresso all’amplificatore, non invece dalla tensione di rumore:
ciò spiega il fatto che si sia scelto un operazionale caratterizzato da una bassa corrente di rumore d’ingresso.
Quanto detto finora si riferisce al dimensionamento della resistenza di reazione, ma la progettazione del blocco transresistivo non si conclude qui. Occorre, infatti, controllare che lo stadio così realizzato sia stabile. Per farlo, come noto, si va a considerare il βA del sistema, ossia il prodotto del guadagno della catena diretta del sistema reazionato e di quello della catena di reazione:
1
1 1
VOL
pa p
A A
f f
j j
f f β
β ≅ ⋅
+ + (3.10)
in cui
1
p 2
i
f β = π R C
⋅ ⋅ (3.11)
è il polo introdotto dalla capacità d’ingresso, espressa dalla (3.3).
In fig.3.13 sono riportati i diagrammi di Bode del modulo e della fase del guadagno d’anello βA, nei quali GM e ΦM indicano, rispettivamente, il margine di ampiezza e quello di fase.
Figura 3.13 Diagrammi di Bode del guadagno d'anello ββββA
In seguito alle condizioni imposte sulla resistenza di reazione R, la frequenza di polo f viene ad essere molto minore della frequenza di
polo, deteriorano il margine di fase, cosicché quanto più basso è il valore di fpβ , tanto minore è la conseguente nuova frequenza di transizione f ′T .
Sappiamo bene che, se il margine di fase è molto ridotto, il sistema tende facilmente a diventare instabile (è sufficiente un ulteriore polo a frequanza minore di f ′T dovuto ad una capacità parassita) e a generare oscillazioni indesiderate. Per accrescere il margine di fase ΦM introduciamo uno zero nel sistema, per mezzo di un condensatore CC introdotto sulla catena di reazione, in parallelo ad R (v.fig.3.14). Ciò determina un anticipo di fase e, quindi, il desiderato aumento di ΦM.
Figura 3.14 Introduzione di un condensatore di compensazione CC nella catena di reazione
In questa nuova condizione si ha:
(
1)
2
i
p p
i C i C
f f C
C C R C C
β π β
′ = = ⋅
+ ⋅ + (3.12)
come nuova frequenza di polo e
0
1 2 C f β = πC R
⋅ (3.13)
quale frequenza dello zero introdotto, nonché limite superiore di banda dell’amplificatore transresistivo. Il valore da dare al condensatore CC va scelto, quindi, opportunamente, in modo da avere un anticipo di fase accettabile ma anche una banda sufficiente agli scopi per cui deve essere impiegato il circuito. Nel nostro caso si è posto un CC di 20pF, valore che è risultato adeguato allo scopo.
3.2.2 Test effettuati sul dispositivo
Le misure sono svolte in maniera automatizzata facendo ricorso ad un’applicazione grafica su calcolatore, sviluppata in ambiente LABVIEW, e ad opportune interfacce – IEEE 488 (GPIB) – che controllano e pilotano la strumentazione. Un’interfaccia grafica permette all’operatore di impostare i paramentri delle misure richieste e visionarne i risultati.
Per mezzo del programma che gestisce l’apparato di misura, facciamo in modo che il generatore di forme d’onda fornisca una tensione alternata di pilotaggio, di una certa ampiezza e di frequenza variabile (con un passo legato al numero di campioni che si desidera prendere) all’interno di un certo intervallo. Esso è scelto in modo da collocarsi a cavallo di una frequenza pari alla metà di quella che ci aspettiamo essere la frequenza di risonanza, ossia il valore che abbiamo ottenuto mediante le simulazioni FEMLAB [1]. In particolare consideriamo la frequenza di risonanza del secondo modo, cioè 68.2KHz, come visto nel capitolo 2 di questa tesi. La tensione continua sulla porta d’uscita è mantenuta costante; quella sulla porta d’ingresso, invece, non viene mutata nell’arco del singolo ciclo di test (ossia mentre si effettua la scansione frequenziale), ma si modifica tra un ciclo e l’altro, in quanto la tensione costante di pilotaggio influenza la frequenza di risonanza del dispositivo.
Per ogni misura, l’interfaccia tra calcolatore e sistema raccoglie il segnale in uscita dall’amplificatore lock-in, il quale fornisce l’ampiezza e lo
di lettura. Sullo schermo del PC si può così vedere il grafico dello spettro del segnale in uscita, in un intorno della frequenza di risonanza.
Tramite un’operazione di fitting dei dati raccolti, realizzabile con opportuni programmi MATLAB, è possibile ricavare da tale risposta in frequenza alcuni parametri interessanti, cioè il valore reale della frequenza di risonanza ωr (che presumibilmente sarà vicino a quello trovato per mezzo della simulazione, ma non necessariamente identico) e quello del fattore di qualità Q. Da questi, a sua volta, è possibile risalire ai valori reali della costante elastica torsionale Kt e dello smorzamento meccanico bM, facendo ricorso alle espressioni viste nel paragrafo 2.3.
Quella ora descritta è la caratterizzazione che ci eravamo proposti di fare per il nostro dispositivo. Purtroppo nessuno degli 11 die (quindi 44 microspecchi a veneziana) testati ha consentito la rilevazione dei dati voluti, in quanto essi hanno manifestato un comportamento indesiderato.
Abbiamo posto in ingresso una tensione continua, come previsto dalla misura che si intendeva svolgere, e provato a prelevare il segnale sull’elettrodo di sinistra (cioè sulla porta d’ingresso): si è potuto così osservare che, facendo crescere la tensione applicata, il segnale rilevato aumentava di conseguenza solo fino a valori di 10÷15V, ossia non seguiva le variazioni dell’ingresso. Questo significa che il microspecchio, superati tali (modesti) valori della tensione costante di attuazione, ha iniziato a condurre attraverso l’ossido, cioè anzicché manifestare l’atteso comportamento capacitivo si è reso assimilabile ad una resistenza. Anche i dispositivi che in un primo momento parevano reggere e assecondare tensioni costanti di ingresso superiori a quelle su indicate, in una seconda escursione del segnale perdevano questa capacità: ciò lascia pensare che la sollecitazione provocasse danni all’ossido, peggiorando le sue proprietà isolanti.
E’ molto probabile che questa impossibilità di attuare opportunamente i microspecchi (che sono stati invece progettati per essere pilotati con tensioni anche dell’ordine dei 60÷80V) sia dovuta a un deterioramento dell’ossido di silicio durante la fase di saldatura.
Ricordiamo, infatti, che i microspecchi sono contattati tramite sottilissimi fili
di alluminio, saldati da una parte ai ped del dispositivo e dall’altra alle piazzole di rame realizzate sulla basetta di appoggio. Nel nostro caso, il processo di microsaldatura è stato svolto presso i laboratori della Facoltà di Ingegneria dell’Università di Pisa ed è ipotizzabile che la strumentazione a disposizione non fosse adeguata ad un dispositivo delicato come, evidentemente, quello oggetto del nostro studio. E’ molto probabile che in ambiente industriale il processo possa essere realizzato senza incorrere in simili danni. Di conseguenza, una soluzione da prendere in considerazione in futuro, al fine di riprovare ad effettuare le misure in seconda armonica, è quella di richiedere all’azienda che ha fabbricato i componenti (vale a dire la STMicroelectronics) di realizzare essa stessa le microsaldature necessarie.
3.3 Misura tramite metodo ottico
Il funzionamento del dispositivo può essere verificato e osservato – come detto in precedenza - effettuando su di esso una misura ottica. Il metodo da noi adottato si basa sulla focalizzazione di un fascio laser sulla lastra riflettente e sulla misura diretta della deflessione del fascio riflesso, che varia a seconda dell’inclinazione dello specchio (a sua volta dovuta alla tensione di attuazione applicata)
Fissiamo il dispositivo ad un supporto verticale e lo colleghiamo al circuito di pilotaggio visto nel par.3.1. Un alimentatore di tensione continua fornisce lo stimolo necessario all’attuazione, mentre un multimetro raccoglie il segnale in uscita al circuito su citato, per verificare che la tensione tra l’elettrodo e la lastra risulti essere effettivamente quella imposta, moltiplicata per l’amplificazione. In pratica, quest’ultimo ci permette di osservare fino a che tensione il dispositivo è in grado di seguire le variazioni del segnale d’ingresso.
Il laser viene posizionato in modo da poter collimare il fascio sullo specchio desiderato (azione, questa, compiuta da un operatore, senza
Abbiamo testato alcuni dispositivi e generalmente essi hanno dimostrato, ovviamente, il problema già illustrato nel par.3.1.2, cioè non sono in grado di reggere tensioni elevate, in quanto si crea nell’ossido un percorso resistivo per la corrente. Uno di essi, però, sostenendo la crescita della tensione fino a 36V, ci ha permesso di osservare una buona deflessione del fascio ottico e di misurarne l’angolo. Si è preso come riferimento la posizione del fascio sullo schermo in assenza di attuazione dello specchio, si è poi aumentata gradualmente la tensione sull’elettrodo e si è misurato sulla scala graduata lo spostamento rispetto allo stato iniziale. Non è stato facile rilevare tali spostamenti, benché fossero alquanto evidenti, essendo l’immagine di luce riflessa poco precisa. Nota la distanza dello schermo dal dispositivo, si è calcolcato (per i cinque campioni presi) l’angolo di deflessione del fascio riflesso.
Nella fig.3.15 è rappresentato un grafico dei valori di tale angolo – che corrisponde quindi all’angolo di torsione del microspecchio -, in funzione delle tensioni continue di attuazione applicate; rispettivamente:
o con pallini rossi sono indicati i valori misurati con il metodo ottico (tensioni ed angoli ad essi relativi sono anche riepilogati nell finestra di commento);
o con una linea blu continua i valori simulati tramite software MATLAB.
Il confronto fra le due curve suggerisce che il microspecchio ruoti un po’ meno di quanto atteso per le tensioni applicate.
Possiamo nel complesso dire che, al di fuori del problema dell’ossido, probabilmente danneggiato nella fase di saldatura (come spiegato nel paragrafo precedente), il microspecchio risulta funzionare in modo abbastanza soddisfacente.
Figura 3.15 Andamento dell'angolo di torsione del microspecchio in funzione della tensione continua di attuazione, applicata all'elettrodo sinistro (valori misurati e valori simulati)