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Obiettivo dello studio e della ricerca è ridurre i margini del non conosciuto, e i dubbi sulla realtà. Paradossalmente questa operazione si può effettuare solo attraverso la moltiplicazione delle domande.

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Academic year: 2021

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CONCLUSIONE

Obiettivo dello studio e della ricerca è ridurre i margini del non conosciuto, e i dubbi sulla realtà. Paradossalmente questa operazione si può effettuare solo attraverso la moltiplicazione delle domande.

Alla fine del mio percorso universitario ripenso ad una delle prime lezioni di sociologia alle quali partecipai, quando a me e ai miei compagni fu detto che, se si voleva diventare buoni sociologi, occorreva rinunciare all’idea di andare alla ricerca di certezze, di conoscenze definitive.

Affermazione che suscitò un certo sconforto nella platea la quale, armata di curiosità e di desiderio di conoscenze esatte, si aspettava risposte nitide e definite.

La conoscenza è infatti un processo nel quale ogni livello di acquisizione di sapere raggiunto non si deve mai interpretare come definitivo, ma come parte di un processo mai concluso. Allo stesso tempo questo non deve far pensare ad una visione scettica sulle possibilità di far progredire il sapere, ma, al contrario, alla valorizzazione dei risultati conseguiti in ogni fase del percorso di conoscenza collocata all’interno di un processo di più ampia portata.

Si tratta in altre parole di un giudizio critico, ma non scettico, delle conoscenze che si acquisiscono nel percorso verso il sapere.

La “meraviglia” che caratterizza l’inizio di ogni processo conoscitivo la si trova rappresentata magistralmente nella fiaba dello zufolo e della cicala di Galileo, uno dei padri della scienza e non solo.

La storia narra le vicende di un uomo ”dotato da natura d’un

ingegno perspicacissimo e d’una curiosità straordinaria” che si dilettava

nell’ascoltare il canto degli uccelli ma, una volta compreso che il

medesimo soave suono poteva essere prodotto anche da altri esseri e

oggetti, come ad esempio lo zufolo suonato da un pastorello, decise di

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allontanarsi da casa in cerca di nuove esperienze di questo tipo. Dopo varie peregrinazioni e avendo molto ampliato le proprie conoscenze in base all’origine dei suoni, pensava di aver ormai acquisito tutto ciò che si poteva sapere in merito a tale argomento:

Ma quando ei si credeva non potere esser quasi possibile che vi fussero altre maniere di formar voci, […] trovossi più che mai rinvolto nell’ignoranza e nello stupore nel capitargli in mano una cicala.

I contenuti di questa fiaba sono molti, al punto di necessitare di un lavoro analogo al presente. Ciò che ci interessa evidenziare è il particolare contributo che ci ha offerto Galileo sul modo di concepire l’impresa scientifica e il cammino verso la conoscenza. Il protagonista ogni volta che comprende il funzionamento di un nuovo modo di produrre il suono crede di aver raggiunto la conoscenza definitiva, mentre in realtà ciò non si verifica mai.

Considerato tutto questo, intendo concludere il lavoro con alcune riflessioni e domande che non hanno trovato risposta in questo elaborato, ma che costituiscono materiale di studi per il futuro.

Le considerazioni riguardano sia il piano teorico sia quello empirico.

Abbiamo visto che il capitale sociale ha una natura fortemente relazionale, la sua conservazione e riproduzione sono legate alla capacità dei soggetti di poter mantenere o arricchire legami con altri individui che costituiscono parte integrante della rete. Da un punto di vista teorico, molti autori hanno visto nella teoria della scelta razionale e in quella dello scambio sociale paradigmi in grado di dare una buona spiegazione di tale situazione. In altre parole, la teoria della scelta razionale e dello scambio rappresentano punti di riferimento teorici per la comprensione dei meccanismi di scambio delle risorse all’interno della rete e soprattutto del mantenimento di tali relazioni.

Altro aspetto importante è il rapporto tra capitale sociale e reti

sociali. Abbiamo più volte osservato come il capitale sociale non è una

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caratteristica del soggetto, ma del contesto relazionale nel quale egli si trova inserito, sia esso inteso come l’insieme delle relazioni che egli ha con amici, parenti e conoscenti (approccio micro-relazioname), oppure della comunità nella quale si trova inserito (approccio macro- relazionale). Ad ogni modo, grande rilevanza viene attribuita alla struttura relazionale e alle sue proprietà nel veicolare le risorse sociali.

Alla luce dei diversi punti di confronto ancora aperti sul concetto di capitale sociale, dopo un periodo di tempo relativamente ampio dai suoi primi tentativi di formulazione e misurazione. Di recente è uscito un articolo intitolato Too Much Investment in Social Capital?

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In tale contributo si suggerisce di superare le problematiche teoriche e metodologiche inerenti a questo concetto attraverso la definizione di risorse di rete, anziché di capitale sociale.

Molti interrogativi sono tutt’ora presenti all’interno del dibattito sugli strumenti di misurazione i quali, come abbiamo visto, risentono della presenza di un panorama ricco di sfumature teoriche che hanno portato alla proliferazione dei criteri di misurazione e alla loro difficile comparazione.

All’interno di questa dimensione, ma inevitabilmente collegato con l’aspetto teorico, si colloca la possibilità in termini concettuali e metodologici di applicare il concetto di capitale sociale a specifici aspetti della realtà sociale. Molte delle indagini effettuate sono state dirette alla popolazione di un paese o ad una comunità, ma negli ultimi anni sono sempre più numerosi gli studi in merito a sottoinsiemi della stessa. In questo senso va la riflessione sull’utilità di un concetto di questo tipo nell’ambito dei servizi sociali.

E’ possibile ipotizzare che strumenti quali il position generator che, come abbiamo visto, permette soprattutto di individuare azioni di

1 Kadushin, C., Too Much Investment in Social Capital?, in «Social Networks», 26, 2004

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tipo strumentale, si traducano in valore aggiunto in termini di conoscenza per il servizio sociale?

Alla luce delle indagini fatte e delle prime ipotesi di ricerca in questo settore presenti in ambito anglosassone, sembra di poter rispondere affermativamente.

Sempre con riferimento al rapporto proficuo tra teoria e pratica, c’è da chiedersi se la specifica applicazione di questo concetto al servizio sociale permetta di spingere oltre i confini della conoscenza teorica e empirica in merito a tale concetto. Si pensi al significato di “carriera”

lavorativa e all’attenzione che questa ha ricevuto nel passato dagli studiosi del capitale sociale in quanto fortemente influenzabile dai livelli di capitale sociale. Per ogni concetto è possibile trovare il suo complementare. In letteratura è stato evidenziato l’esistenza di un lato oscuro del capitale sociale, vale a dire che come la sua presenza

contribuisce ad agevolare avanzamenti di carriera, la sua scarsità o la sua particolare conformazione può influenzare il permanere all’interno di una situazione di disagio. In questo senso può essere interessante studiare i meccanismi attraverso i quali la scarsità di risorse non permette l’avanzamento professionale o ancor di più conduce allo sviluppo di

“carriere” del lavoro saltuario e del vivere alla giornata.

Interessanti spunti di analisi emergono anche da applicazioni limitate come quella presentata in precedenza. Tutti gli strumenti di misurazione impiegati ci permettono di dire che le famiglie affidatarie dispongono di elevati livelli di capitale sociale. A partire da questo nuove indagini potrebbero essere realizzate per approfondire il ruolo che il capitale sociale svolge nel favorire scelte pro-sociali come l’affidamento familiare.

Alla luce di queste considerazioni teoriche e metodologiche ci si

chiede: quale futuro per una ricerca sul capitale sociale all’interno dei

servizi sociali?

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In questa specifica applicazione, così come più in generale, sembra auspicabile progredire nella integrazione tra teoria e pratica, e quindi anche nella individuazione di strumenti idonei a permettere questo sodalizio concettuale nella convinzione che importanti contributi in termini di conoscenza e chiarificazione teorica possono arrivare anche dalla ricerca nell’ambito del servizio sociale.

Sempre qualche anno fa, ad esempio, è stato pubblicato un articolo intitolato Social capital an useful concept for social work?

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In questo articolo ci si interroga sull’utilità di proseguire in questo senso e se ne evidenziano le possibilità in termini esplicativi, evidenziando come questo concetto possa rivelarsi utile per la progettazione delle politiche sociali e per la comprensione dei meccanismi sottostanti alla condizione di disagio, in questa direzione una maggiore integrazione tra i due grandi approcci teorici sembra auspicabile.

Oltre alle grandi domande riportate, forse può essere opportuno cercare di dare una risposta. E’ possibile, alla luce degli studi realizzati fino ad oggi, individuare uno strumento di misurazione del capitale sociale più adeguato di altri? Come abbiamo visto attraverso l’analisi di tre degli strumenti più frequentemente utilizzati, ognuno di essi è in grado di evidenziare aspetti diversi del medesimo concetto, l’utilità maggiore o minore di ognuno di essi in buona parte quindi risulta collegata con gli obiettivi della ricerca.

Habeant sua fata libelli

2 Healy, K., Hampshire, A., Social capital: a useful concept for social work, in

«Australian Social Work» Vol. 55, n. 3, 2002

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