• Non ci sono risultati.

2. PREVIDENZA COMPLEMENTARE E FONDI PENSIONE

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "2. PREVIDENZA COMPLEMENTARE E FONDI PENSIONE "

Copied!
16
0
0

Testo completo

(1)

2. PREVIDENZA COMPLEMENTARE E FONDI PENSIONE

2.1. La situazione ante-riforma Maroni

L’istituzione della previdenza complementare in Italia non può non essere vista all’interno di un disegno più generale di riforma dell’intero sistema pensionistico.

Tale riforma si è resa necessaria dato che il sistema pensionistico pubblico, basato sul regime retributivo (dove le pensioni sono calcolate in base all’ultima retribuzione) e a ripartizione (ossia con prestazioni finanziate con i contributi dei lavoratori attivi) stava accumulando squilibri via via crescenti a causa dei fenomeni dell’allungamento della vita media da una parte, e della riduzione del tasso di natalità dall’altra.

Una prima riforma si ebbe col Dlgs n. 503/1992 o legge Amato, che operò nelle seguenti tre direzioni:

− Innalzamento dell’età per la pensione di vecchiaia da 55 a 60 anni per le donne e da 60 a 65 anni per gli uomini;

− Elevazione del requisito minimo per la pensione di vecchiaia da 15 a 20 anni;

− Modifica della base pensionabile presa a riferimento per il calcolo delle prestazioni pensionistiche, passando dalla media degli ultimi 5 anni a 10 e all’intera vita lavorativa per chi al 1° Gennaio 1996 non avesse ancora iniziato a contribuire.

L’8 Agosto 1995 venne approvata la legge 335/95 di riforma del sistema pensionistico (legge Dini) secondo la quale le modalità di calcolo della pensione erano affidati ai seguenti sistemi:

− Sistema retributivo, per chi aveva al 31/12/1995 almeno 18 anni di contribuzione, secondo cui le pensioni si calcolavano sulla base delle ultime retribuzioni percepite al tempo del pensionamento, secondo la seguente formula:

i computo aliquote d

e ntribuzion anni di co

le pensionabi base

Pensione = × ×

Le aliquote di computo sono suddivise a scaglioni per le varie fasce di età pensionabile.

− Sistema contributivo, per coloro che iniziavano a lavorare dopo il 1° Gennaio 1996 e calcola le prestazioni sulla base dei contributi versati secondo il seguente calcolo di tipo assicurativo:

età ' all relativo ione

trasformaz di

te coefficien vo

contributi te

tan mon

Pensione = ×

(2)

− Sistema misto, valido per chi versava contributi da prima del 31/12/1995, ma da un periodo minore di 18 anni;

La legge Dini in pratica segna il passaggio dal sistema retributivo a ripartizione al sistema contributivo suddetto.

Tale disposizione, se da una parte possiede tutte le potenzialità per riportare in equilibrio il sistema previdenziale, dall’altra ha come logica conseguenza una drammatica riduzione della pensione pubblica; i calcoli qui si sprecano e non ci soffermeremo particolarmente su questo, tuttavia riportiamo, a titolo di esempio, la tabella 2.1:

Tabella 2.1

Dipendenti pubblici Dipendenti privati Lavoratori autonomi Tasso di sostituzione

(prima delle riforme) 0.86 0.71 0.68

Tasso di sostituzione

(dopo le riforme) 0.62 0.62 0.37

dove il tasso di sostituzione è semplicemente dato dal rapporto:

ario Ultimo sal

ne ima pensio Pr

Tali tassi sono riferiti inoltre a una contribuzione di 40 anni, quindi chi andasse in pensione con 30 o 35 anni di lavoro, si ritroverebbe in condizioni ancora peggiori.

Ecco che lo scopo di un qualsiasi sistema di previdenza complementare è senz’altro quello di costruire una rendita aggiuntiva destinata ad integrare la pensione pubblica in maniera da garantire un livello adeguato di reddito per l’età anziana.

Il disegno perseguito fin da questi primi interventi è noto: si vuole passare da un sistema previdenziale incentrato su un regime obbligatorio pubblico a uno basato su tre “pilastri”:

− la pensione pubblica (primo pilastro), rispondente ai contributi versati dai lavoratori;

− la pensione integrativa di categoria o aziendale (secondo pilastro), accumulata mediante adesione su base collettiva ai fondi pensione;

− la pensione integrativa individuale (terzo pilastro), lasciata alle scelte di risparmio previdenziale del singolo lavoratore (FIP, forme individuali pensionistiche, perlopiù polizze vita e risparmio gestito).

Gli ultimi 2 punti rappresentano in pratica il sistema di previdenza complementare, da

affiancare al primo pilastro, realisticamente sempre meno consistente.

(3)

2.2. La Riforma Maroni

In attuazione della legge 23 agosto 2004 n. 243 recante Norme in materia pensionistica e delega al Governo nel settore della previdenza pubblica, per il sostegno alla previdenza complementare e all’occupazione stabile e per il riordino degli enti di previdenza e assistenza obbligatoria, il governo ha adottato il dlgs n. 252 del 5 dicembre 2005 di Disciplina delle forme pensionistiche complementari (noto anche come riforma Maroni).

La successiva legge 27 dicembre 2006 n. 296 (la “famigerata” finanziaria 2007) ha anticipato l’entrata in vigore del decreto, inizialmente fissata al 1° Gennaio 2008.

Questa modifica legislativa può essere considerata una vera e propria seconda riforma della previdenza complementare, dopo quella degli anni ’90.

La riforma Maroni, in realtà, riguarda anche una serie di interventi sul primo pilastro come gli incentivi a continuare il lavoro (il famoso “superbonus”) o l’eliminazione dei divieti di cumulo tra reddito e pensione da lavoro; tuttavia noi ci concentreremo sulla parte che riguarda la previdenza complementare, su cui verte la nostra analisi.

Vediamone ora gli aspetti salienti.

2.2.1. I lavoratori interessati

Sono tutti i lavoratori dipendenti ed autonomi, esclusi però quelli delle amministrazioni pubbliche cui si applica ancora la disciplina previgente.

Naturalmente, la disciplina sul trattamento di fine rapporto (TFR) si applica solo ai lavoratori dipendenti; alle forme pensionistiche sia individuali che collettive comunque possono aderire anche coloro che non hanno reddito da lavoro.

2.2.2. Destinazione del TFR

Il Trattamento di Fine Rapporto (conosciuto anche come “liquidazione”), è la somma corrisposta dal datore di lavoro al lavoratore alla fine del rapporto di lavoro, vuoi per licenziamento vuoi per pensionamento o qualsiasi altra causa. E’ disciplinato dall’articolo 2120 CC.

Si parla spesso di “salario differito” poiché il TFR viene accantonato ogni anno dal datore di lavoro secondo una quota pari al 6,91% della retribuzione lorda (valore che scaturisce dal rapporto 1/13,5 a cui si toglie un contributo dello 0,50% destinato all’INPS).

Finanziariamente parlando, il TFR rappresenta un debito a medio/lungo termine per l’azienda,

ma va ricordato che anche in caso di fallimento, il lavoratore non perde la liquidazione, che è

(4)

garantita per legge dall’INPS; garanzia che invece non c’è se il TFR viene versato in una forma complementare.

Quello che va tenuto poi ben presente ai fini del nostro lavoro, è che il TFR viene rivalutato in capitalizzazione composta ogni 31/12 secondo la seguente formula:

(2.1) dove π sta per l’indice dei prezzi al consumo ISTAT per le famiglie di operai e impiegati, cioè l’inflazione. Se per esempio fosse stata registrata nell’anno un’inflazione del 2%, il TFR si rivaluta del 3%. Come si può facilmente constatare, è un rendimento indicizzato all’inflazione e pochissimi investimenti sul mercato finanziario hanno questa caratteristica (ad esempio i BTP-i, indicizzati però al tasso di inflazione dell’area Euro oppure il recentissimo titolo Infrastrutture). Come vedremo, nessuna forma di previdenza complementare garantisce una, seppur parziale, copertura dall’inflazione.

La rivalutazione è poi soggetta a una ritenuta fiscale dell’11%, che si applica anche alle forme pensionistiche complementari, un’aliquota agevolata rispetto a quella ordinaria del 12,5%.

A titolo di esempio riportiamo, per vari tassi ipotetici di inflazione, il tasso di rivalutazione percentuale del TFR:

Tabella 2.2

Inflazione Rivalutazione TFR nominale lorda

Rivalutazione TFR nominale netta

Rivalutazione TFR reale netta

0 1.5 1.3 1.3

1 2.3 2 1

2 3 2.7 0.7

3 3.8 3.3 0.3

4 4.5 4 0

5 5.3 4.7 -0.3

6 6 5.3 -0.7

7 6.8 6.0 -1.0

8 7.5 6.7 -1.3

9 8.3 7.3 -1.7

10 9.0 8.0 -2.0

Lo sviluppo del settore della previdenza complementare per i lavoratori dipendenti viene in buona parte affidato dalla riforma al conferimento del TFR a tutte le forme pensionistiche complementari, ivi comprese quelle individuali anche se, queste ultime, solo per effetto di scelta esplicita del lavoratore, superando così il limite previgente di destinazione alle sole forme di natura collettiva.

π

×

+ 75 0 .

5

,

1

(5)

Il decreto conferma il principio della libertà e volontarietà dell’adesione alle forme pensionistiche complementari; un po’ meno libertarie e ingannevoli possono sembrare invece altre previsioni come vedremo.

Il decreto impone la scelta della destinazione del TFR maturando entro 6 mesi dall’assunzione (o entro il 30 giugno 2007 per chi era già assunto): con dichiarazione esplicita al datore di lavoro, il lavoratore potrà scegliere di destinare il suo TFR alla forma di previdenza complementare prescelta oppure di mantenerlo presso il datore di lavoro. In questo caso se l’azienda occupa almeno 50 dipendenti, il TFR maturando verrà trasferito dal datore di lavoro al “Fondo per l’erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei trattamenti di fine rapporto”, gestito dall’INPS che assicura comunque le stesse prestazioni previste dall’art.

2120 CC.

Una prima previsione, oggetto di critiche, è quella del c.d. “silenzio-assenso”, secondo la quale, in mancanza di una decisione esplicita del lavoratore entro i termini riportati, il TFR maturando sarà destinato dal datore di lavoro alla forma pensionistica collettiva individuata secondo i criteri fissati dal decreto: in pratica alla forma complementare individuata con accordo aziendale o a quella cui abbia aderito il maggior numero dei lavoratori o, in ultima istanza, alla forma complementare appositamente istituita presso l’INPS, denominata FONDINPS.

Un’altra previsione, oggetto di critiche ancora più aspre, è quella secondo la quale i lavoratori che hanno già scelto di aderire in forma tacita o espressa alla previdenza complementare, non possono più revocare tale scelta, anche nell’eventualità che si instauri un nuovo rapporto di lavoro: dunque, una volta conferito il TFR in un fondo pensione, non si può più tornare alle garanzie dell’art. 2120 cc.

2.2.3. Anticipazione, trasferimento e riscatto della posizione individuale In determinati casi, la legge consente in analogia col TFR, di poter usufruire di anticipazioni, calcolate sulla posizione individuale maturata fra versamenti effettuati e rendimenti ottenuti:

Tabella 2.3: cause, tempi e importi massimi delle anticipazioni del TFR conferito alla prev. comp.

Causale Quando è possibile richiedere l’anticipazione

Importo massimo anticipabile Spese sanitarie dovute a condizioni gravissime

di sé, il coniuge o i figli

In qualsiasi momento Fino al 75%

Acquisto e ristrutturazione della prima casa di abitazione

Dopo 8 anni Fino al 75%

Ulteriori esigenze dell’iscritto Dopo 8 anni Fino al 30%

(6)

Questa disciplina contiene un vantaggio rispetto alla disciplina delle anticipazioni del TFR prevista dall’art. 2120 c.c.: infatti il CC prevede che l’anticipazione per spese mediche non possa superare il 70% del capitale maturato e sono comunque necessari almeno 8 anni di servizio.

L’iscritto può poi trasferire la sua posizione individuale ad un’altra forma di previdenza complementare, ma solo nei seguenti casi:

− in caso di perdita dei requisiti di partecipazione (ad esempio per cambiamento dell’attività lavorativa), trasferendola alla forma di previdenza complementare prevista dalla nuova attività lavorativa;

− per scelta volontaria, ma non prima di 2 anni dall’iscrizione, a una qualsiasi altra forma individuale o collettiva.

E’ nulla qualsiasi clausola che applichi costi, comunque definiti, in grado di ostacolare la portabilità; tuttavia, il trasferimento del contributo del datore di lavoro è invece condizionato alle “modalità stabilite dai contratti o accordi collettivi, anche aziendali”.

Ciò significa che il contributo eventualmente dovuto dal datore di lavoro, non è liberamente portabile da una forma previdenziale all’altra e questo può in effetti costituire un serio ostacolo alla concorrenza e alla libertà di scelta del lavoratore.

A costo di essere noiosi, ripetiamo per l’ennesima volta che non si può tornare al regime dell’art. 2120 CC e ritrasferire il TFR in azienda o all’INPS (nei casi di aziende con più di 50 dipendenti), nel caso in cui le prestazioni del fondo pensione non soddisfino l’aderente.

Infine vi sono dei casi tassativi in cui può essere richiesto il riscatto, ossia la restituzione della posizione individuale maturata e sono quelli riassunti di seguito:

Tabella 2.4: causale e importi massimi per il riscatto del TFR conferito alla previdenza complementare

Causale Importi Stato di invalidità permanente che comporti inidoneità assoluta all’attività lavorativa 100%

Cessazione dell’attività lavorativa con stato di disoccupazione superiore ai 48 mesi 100%

Morte dell’iscritto prima che maturi il diritto alla prestazione pensionistica 100%

Perdita dei requisiti di partecipazione 100%

Cessazione dall’attività lavorativa con stato disoccupazione fra 12 e 24 mesi 50%

Procedure di mobilità, cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria 50%

Qui è di tutta evidenza la differenza col TFR, che può essere ritirato immediatamente e per

intero al momento della cessazione del rapporto di lavoro: nel caso di licenziamento si potrà

ritirare soltanto il 50% della liquidazione e non immediatamente ma dopo ben un anno di

disoccupazione continuativa.

(7)

Per poter ritirare invece la totalità della posizione maturata, bisogna addirittura essere stati disoccupati per ben 4 anni; a nostro parere questa è una norma fortemente lesiva dei diritti del lavoratore e rappresenta sicuramente un grosso freno per il decollo della previdenza complementare. Stranamente su una cosa così grave si è sorvolati in maniera abbastanza leggera.

2.2.4. Prestazioni al pensionamento

Una volta giunti alla maturazione del diritto alla pensione, vediamo adesso cosa prevede il decreto Maroni per l’erogazione della pensione aggiuntiva.

Innanzitutto il requisito minimo per poter avere la pensione aggiuntiva è dato da almeno 5 anni di iscrizione a una forma di previdenza complementare; ai fini del conteggio dell’anzianità di iscrizione necessaria per ottenere le prestazioni, sono considerati utili tutti i periodi di partecipazione alle forme pensionistiche complementari maturati dall’aderente senza che lo stesso abbia esercitato il riscatto.

E’ naturale che la prestazione previdenziale venga erogata sotto forma di rendita. La legge prevede infatti che almeno il 50% del capitale maturato venga erogato come rendita, sia essa una rendita vitalizia immediata o reversibile su un altro soggetto.

Di converso, il lavoratore ha diritto a richiedere fino al 50% del montante maturato in capitale; l’iscritto può scegliere di ricevere l’intera prestazione in capitale, se al momento del pensionamento, convertendo in rendita il 70% del montante finale l’importo della pensione complementare risulta inferiore alla metà dell’assegno sociale INPS (attualmente pari a Euro 381,72 mensili).

La prestazione, sia in capitale che in rendita, può essere ceduta, sequestrata e pignorata solo nei casi e nella misura previsti per la pensione obbligatoria.

2.2.5. Fiscalità

La disciplina fiscale della previdenza complementare distingue tra i tre momenti fondamentali della contribuzione, dei rendimenti e dell’erogazione delle prestazioni.

Lo schema è il c.d. ETT ovvero esenzione-tassazione-tassazione: vediamo meglio.

In fase di contribuzione, è previsto che i contributi versati dal lavoratore, ma, si badi bene,

escluso il TFR, a una forma di previdenza complementare, sono interamente deducibili dal

reddito ai fini IRPEF entro un limite massimo di 5164,67 euro all’anno. Il risparmio in

termini di minori imposte pagate si calcola facilmente moltiplicando l’entità di tali contributi

per l’aliquota marginale IRPEF.

(8)

Le quote TFR ovviamente, pur non essendo deducibili, non sono nemmeno tassate al momento del versamento alla forma pensionistica complementare.

I rendimenti, vale a dire gli incrementi positivi conseguiti a seguito della gestione finanziaria delle risorse, sono soggetti all’imposta sostitutiva dell’11%. Tale aliquota è più bassa rispetto a quella applicata sui rendimenti realizzati da altre forme di investimento, ma equivalente comunque a quella applicata sul TFR.

Infine, le prestazioni pensionistiche erogate in forma di capitale e rendita costituiscono reddito imponibile solo per la parte che non è già stata assoggettata a tassazione durante la fase di accumulo; la parte imponibile delle prestazioni pensionistiche in qualsiasi forma erogata è soggetta ad una ritenuta alla fonte a titolo di imposta (c.d. ritenuta secca che non comporta ulteriori applicazioni di imposte) nella misura del 15%, che si riduce di 0,30% per ogni anno di partecipazione successivo al 15°, fino a un limite minimo del 9%

(corrispondente a 35 anni di partecipazione).

Molti articoli di giornale si sprecano su questo vantaggio fiscale che la previdenza complementare offrirebbe rispetto al TFR, in particolare riguardo al momento dell’erogazione della rendita e/o del capitale, dato che il TFR al momento della liquidazione viene tassato invece con le aliquote ordinarie IRPEF; ma di questo discuteremo lungamente più avanti.

2.2.6. Il contributo del datore di lavoro

E’ molto importante ricordare che si può aderire alle forme pensionistiche complementari anche mediante il solo conferimento del TFR futuro.

Tale adesione non comporta l’obbligo di versamento di altri contributi, né da parte del lavoratore né da parte del datore di lavoro.

L’aderente può tuttavia decidere di versare ulteriori contributi (che sono poi quelli che si possono dedurre fiscalmente), determinandone liberamente l’importo; in tal caso, se gli accordi o contratti collettivi lo prevedono, ha diritto al versamento dei contributi a carico del datore di lavoro.

Il datore di lavoro può comunque decidere, pur in assenza di accordi collettivi, di versare un contributo a proprio carico alla forma pensionistica complementare alla quale il lavoratore abbia aderito.

Come per il caso dei vantaggi fiscali, si è fatto molto leva anche sul contributo del datore di

lavoro come un argomento decisivo a favore della previdenza complementare e a sfavore del

TFR.

(9)

2.2.7. La COVIP

La COVIP , Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione, vigila e controlla le forme pensionistiche complementari ed è sottoposta alla vigilanza del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, pur godendo di un’ampia autonomia operativa nello svolgimento dei suoi compiti.

La COVIP opera a tutela degli iscritti alle forme di previdenza complementare, con lo scopo di perseguire la trasparenza, la correttezza dei comportamenti e la sana e prudente gestione delle forme pensionistiche complementari. A tal fine la Commissione dispone di ampi poteri di legislazione secondaria (cioè emette regolamenti), di regolazione e controllo, anche attraverso accertamenti ispettivi. In particolare, la COVIP autorizza le forme pensionistiche complementari all’esercizio dell’attività dopo aver verificato il rispetto delle condizioni previste dalla legge e dalle istruzioni generali fornite dalla stessa Commissione.

Le forme autorizzate sono iscritte nell’apposito “albo delle forme pensionistiche complementari” curato e gestito dalla stessa Commissione.

La COVIP definisce inoltre le regole volte a garantire la trasparenza delle forme pensionistiche complementari in modo che siano chiare e comprensibili per l’aderente: il funzionamento del fondo, la politica di investimento delle risorse, l’ammontare della posizione individuale, le spese per la gestione amministrativa e finanziaria, i diritti che possono essere esercitati dagli aderenti (trasferimento, riscatto, anticipazioni e prestazioni).

La COVIP vigila attraverso la verifica e l’analisi dei documenti, delle informazioni, dei bilanci e rendiconti annuali che le forme pensionistiche complementari sono tenute a trasmettere alla Commissione, nonché attraverso ispezioni effettuate presso le sedi delle stesse.

La COVIP, inoltre, pubblica e diffonde informazioni utili alla conoscenza della previdenza

complementare e ha il potere di formulare proposte di modifica legislativa in materia.

(10)

2.3. Le forme di previdenza complementare

Vediamo ora di analizzare più in dettaglio quali sono e come si classificano le forme pensionistiche complementari presenti nel panorama italiano, autorizzate e sottoposte alla vigilanza della COVIP.

2.3.1. I fondi pensione negoziali

I fondi pensione negoziali (detti anche “chiusi”), nascono da accordi o contratti collettivi anche aziendali che individuano l’area dei destinatari, cioè i soggetti che possono partecipare al fondo, vuoi per appartenenza alla stessa impresa, settore o territorio.

Un esempio sono il fondo Cometa, per i lavoratori del settore metalmeccanico, il fondo Byblos per i lavoratori del cartario e così via.

Il fondo è un soggetto giuridico autonomo dotato di organi: l’assemblea, formata dai rappresentanti degli iscritti, gli organi di amministrazione e controllo, costituiti per metà dai rappresentanti dei lavoratori e per metà dai rappresentanti dei datori di lavoro e il responsabile del fondo, che devono essere in possesso di precisi requisiti di onorabilità e professionalità.

E’ importante ricordare però che l’attività principale del fondo negoziale consiste nella raccolta delle adesioni e dei contributi nonché nella scelta delle politiche generali di investimento, ad esempio nel caso in cui il fondo voglia diversificarsi in più comparti costituendo un comparto più prudente, quindi prevalentemente obbligazionario e uno più aggressivo, azionario.

Ma la vera e propria attività di gestione finanziaria del fondo è poi delegata a soggetti specializzati: banche, SGR, assicurazioni, insomma i già noti protagonisti del mercato del risparmio gestito italiano, mentre le risorse gestite sono invece affidate a una banca depositaria, distinta dal gestore, secondo una regola già presente nel TUF e qui ripresa dal dlgs 252/2005.

A puro titolo di esempio: il fondo Byblos ha 2 comparti, bilanciato e garantito: il primo è affidato a tre gestori diversi, Pioneer Investment Management SGR, Eurizon Capital SGR e Unipol Compagnia Assicuratrice; il secondo, che garantisce il 2% annuo in un orizzonte di 5 anni, gestito unicamente da Unipol. La banca depositaria è il Monte dei Paschi di Siena.

A titolo informativo a fine 2006, i fondi negoziali autorizzati all’attività dalla COVIP erano

42 con un patrimonio gestito (in mln di euro) pari a 1.219.372.

(11)

2.3.2. I fondi aperti

I fondi pensione aperti sono istituiti direttamente da banche, SIM, SGR e compagnie di assicurazione e costituiscono un patrimonio separato e autonomo finalizzato esclusivamente all’erogazione delle prestazioni previdenziali.

E’ ovvio che in questo caso la gestione del fondo è svolta dall’organismo medesimo che l’ha costituito.

E’ importante sottolineare che l’adesione ai fondi aperti può avvenire sia su base collettiva che individuale: nel primo caso quando la fonte istitutiva della forma pensionistica complementare, invece di istituire un suo fondo negoziale, sceglie uno o più fondi aperti come strumento per la realizzazione dell’obiettivo previdenziale, nel secondo caso quando il lavoratore decide autonomamente di indirizzare la sua contribuzione al fondo prescelto.

Anche in questo caso comunque valgono regole simili per l’amministrazione e il controllo: la banca depositaria deve essere un soggetto esterno, il responsabile del fondo opera autonomamente dalla società che l’ha costituito e nell’esclusivo interesse degli aderenti e nel rispetto delle norme; esiste un organismo di sorveglianza di cui possono far parte anche i rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro quando l’adesione avviene su base collettiva.

A fine 2006, i fondi aperti autorizzati all’attività erano 84 con un patrimonio gestito (in mln di euro) pari a 440.486.

2.3.3. I piani individuali pensionistici

Sono forme pensionistiche individuali realizzate tramite sottoscrizione di contratti di assicurazione sulla vita con finalità previdenziali.

Le regole che disciplinano il rapporto con l’iscritto sono contenute, oltre che nella polizza assicurativa, in un apposito regolamento, redatto in base alle direttive della COVIP e dalla stessa autorizzato al fine di garantire all’aderente gli stessi diritti e prerogative delle altre forme pensionistiche complementari.

Così come stabilito per le altre forme pensionistiche, le risorse finanziarie accumulate

mediante tali contratti costituiscono patrimonio autonomo e separato. Analogamente ai fondi

pensione aperti, inoltre, è prevista la figura del responsabile della forma pensionistica che ha

il compito di verificare che la gestione avvenga nell’esclusivo interesse degli aderenti e nel

rispetto di norme, regolamenti e contratti. A fine 2006 le imprese con contratti PIP in

portafoglio sono 67; nel corso del 2006 sono state stipulate circa 137.000 nuove polizze con

un patrimonio gestito complessivamente di 959.867 mln di euro.

(12)

2.3.4. I fondi pensione preesistenti

I fondi pensione preesistenti sono forme pensionistiche complementari già istituite alla data del 15 novembre 1992 che presentano caratteristiche peculiari rispetto ai fondi istituiti successivamente (come ad esempio la possibilità di gestire direttamente le risorse senza ricorrere a intermediari specializzati).

Con il decreto n. 62 del 10 maggio 2007 sono state emanate le norme di adeguamento dei fondi preesistenti alla disciplina del d.lgs. 252/2005. L’adesione a questa tipologia di fondo avviene su base collettiva e l’ambito dei destinatari è individuato dagli accordi o contratti aziendali o interaziendali.

A fine 2006, i fondi pensione preesistenti erano pari a 448 con un patrimonio gestito

dell’ordine di 649.519 mln di euro.

(13)

2.4. Il contesto internazionale

Il ritardo nello sviluppo della previdenza complementare italiana emerge dal confronto con gli altri principali paesi.

L’indicatore di riferimento è il rapporto tra patrimonio dei fondi pensione e PIL e come si può chiaramente osservare quello italiano è tra i più bassi tra i paesi avanzati:

Figura 2.1: rapporto patrimonio dei fondi pensione / PIL (fonte: Commissione Europea, 2007)

L’attivo dei fondi pensione rappresenta solo il 3% del PIL, contro valori di oltre il 110% in Svizzera, del 100% negli USA e del 66% nel Regno Unito.

Va detto che l’arretratezza riguarda un po’ tutti i paesi dell’area continentale europea, come Francia, Germania e Spagna, soprattutto a causa dell’ampiezza dello stato sociale e in particolare della previdenza pubblica in questi paesi rispetto al mondo anglosassone. E’ ovvio che laddove il sistema di previdenza pubblica è più esteso, il volume di risorse destinate alla previdenza complementare è minore.

Detto ciò, è pero altrettanto chiaro che il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione

interessa non solo l’Italia, ma tutti i paesi OCSE e espone i tradizionali sistemi previdenziali

pubblici a ripartizione a squilibri finanziari di lungo periodo, né più né meno che in Italia.

(14)

Di conseguenza, in molti paesi UE ci sono state riforme pensionistiche, come riporta fedelmente il “Joint Report on Social Protection and Social Inclusion” per l’anno 2007 dalla Commissione Europea.

Nel 2006 i paesi UE più attivi su questo fronte sono stati il Regno Unito, Malta e il Portogallo: tutte riforme concentrate sull’elevamento dell’età pensionabile (nel Regno Unito si prevedono addirittura i 68 anni dal 2046, mentre in Danimarca e Germania i 67), sul passaggio a sistemi contributivi stretti, sugli incentivi a rimanere al lavoro (simili al

“superbonus”), ma anche volti ad assicurare un trattamento minimo, come nel caso dell’istituzione del fondo portoghese di “Solidarietà per gli anziani” per combattere la povertà nella fase di vecchiaia.

Comunque, anche a livello UE si ripropone il solito problema dell’abbassamento del tasso di sostituzione “pensione pubblica/salario” .

Figura 2.2: variazione prevista del tasso di sostituzione in rapporto alla variazione prevista della spesa sociale pensionistica (fonte: Commissione Europea, 2007)

Come si vede in figura 2.2, per la grande maggioranza dei paesi UE, pur prevedendo un

aumento della spesa pubblica previdenziale (sull’asse delle ordinate), il tasso di sostituzione

(in ascisse) si prevede in calo un po’ ovunque, fenomeno assai vistoso specialmente per Italia,

Francia e Germania.

(15)

Come afferma il rapporto, due sono state le strategie perseguite dalle riforme nei paesi UE, per poter contrastare questo declino: la prima è data dagli incentivi a lavorare di più, la seconda è data proprio dallo sviluppo della previdenza complementare.

Un primo dato che colpisce è senz’altro quello riguardante il tasso di copertura delle pensioni del “secondo pilastro” rispetto alla forza lavoro: l’Italia è infatti all’ultimo posto, con solo l’11,4% dei lavoratori che si stanno facendo una pensione privata, contro il 40% del Belgio, il 56% del Regno Unito, addirittura il 90% della Svezia. C’è da dire però che mancano i dati di molti paesi continentali come Francia e Spagna, che non dovrebbero allontanarsi molto dalla realtà italiana.

Inoltre, per calcolare i tassi di sostituzione teorici futuri visti sopra, alcuni paesi UE hanno ipotizzato che la contribuzione al secondo pilastro superi il 10% del salario (Danimarca, Svezia, Paesi Bassi) e altri addirittura il 20% (Regno Unito e Irlanda): dunque, in generale, l’aspettativa di molti paesi UE è che i tassi di contribuzione al secondo pilastro da parte dei lavoratori aumentino nei prossimi decenni in modo significativo.

Se dunque i paesi del mondo anglosassone e nordico, dove il mercato finanziario è notevolmente più sviluppato così come l’educazione finanziaria della popolazione, puntano decisamente al rafforzamento del secondo pilastro, l’Europa continentale vede ancora tassi di contribuzione al primo pilastro elevati (46,3% Belgio, 32,7% per l’Italia, 28,3% Spagna, 32,6% Portogallo, 20% Francia, 19,5% Germania).

Infine, un’ultima osservazione significativa riguarda il tipo di schemi (o piani) previsti nei vari paesi per la previdenza complementare; una distinzione fondamentale riguarda gli schemi a contribuzione definita da quelli a prestazione definita.

Nei piani a contribuzione definita, il livello dei contributi che i soggetti finanziatori (lavoratore e, eventualmente, datore di lavoro) si impegnano a versare è prefissato nei contratti costitutivi; questi sono poi investiti in attività reali e/o finanziarie e dunque la prestazione finale è aleatoria, dipendendo dai rendimenti generati dagli investimenti, oltre che dal livello di contribuzione.

Ebbene, in Italia tutti i piani di previdenza complementare analizzati in precedenza sono a contribuzione definita; al massimo ci sono fondi pensione che garantiscono un rendimento minimo, ma nessuno offre la benché minima garanzia di offrire una prestazione commisurata al suo livello salariale.

Nei piani a prestazione definita invece, la regola di calcolo della prestazione che sarà

corrisposta alla maturazione del diritto alla pensione è stabilita a priori, facendo riferimento a

(16)

parametri come il livello di salario percepito o il livello della pensione pubblica; sono generalmente offerti dalle aziende ai loro lavoratori.

Di conseguenza, l’ammontare dei contributi deve essere quantificato su base attuariale, con il rischio di variazioni del versamento previsto inizialmente; ecco che qui il rischio di non poter garantire il livello di prestazioni future ricade sul fondo e sul suo gestore finanziario.

Ebbene, dal rapporto della Commissione Europea emerge che Irlanda, Olanda, Regno Unito e Svezia prevedono questo tipo di schema di previdenza complementare come prevalente.

Gli schemi più semplici offrono una pensione fissa non agganciata al livello retributivo(fixed amount schemes). Gli schemi più comuni sono comunque quelli agganciati al salario, e fra questi il più diffuso è il final-salary scheme, in cui la pensione è commisurata al salario percepito nell’ultimo anno di impiego (o alla media degli ultimi 3 o 5 annidi lavoro).

Un tipico schema “final salary” del Regno Unito fornisce una pensione pari a un sessantesimo (1,67%) del salario finale per ogni anno di servizio fino a un massimo di 40 anni; la pensione massima, quindi, è 2/3 del salario finale

1

.

Non è differenza da poco per un lavoratore, che con questo tipo di schema sa in anticipo quanto riscuoterà dalla previdenza complementare, senza correre alcun tipo di rischio.

Ci sembra comunque di poter concludere che il problema dell’abbassamento del livello delle pensioni del primo pilastro sia un fenomeno di portata internazionale e che uno sviluppo della previdenza complementare sia senz’altro auspicabile, anche in Italia.

Tuttavia questo non impedisce comunque di compiere delle valutazioni su quella che è la convenienza per un lavoratore italiano ad aderire al sistema di previdenza complementare così com’è strutturato adesso, in particolare risulta delicatissimo il passaggio della rinuncia al TFR, anche sulla base di quelle che sono state le performance dell’industria del risparmio gestito in Italia. E di tutto questo ci occuperemo infatti nei capitoli successivi.

Riferimenti

Documenti correlati

Tale delega è stata in 8 casi estesa ad ogni linea di investimento prevista dal fondo; in 4 casi solo alla linea garantita; in 4 altri casi è stata data delega di parte della

La riforma della previdenza complementare cerca invece di consentire il mantenimento di un tenore di vita adeguato attraverso una serie di incentivi e istituti volti ad aumentare

La Banca Depositaria è la banca presso la quale sono depositate fisicamente le somme degli iscritti Oltre a custodire il patrimonio, essa controlla tutte le operazioni disposte

lavoratore, il 1Ú febbraio, ha optato per destinare il suo Tfr maturando al fondo di settore (consegnando al datore il modello Tfr 1 con allegato il modulo di adesione al fondo)

11 Pour finir le chapitre 9 propose deux types de scénarios d’intercompréhension orale qui bien sûr sont fondés d’une part sur nos expérimentations sur le terrain et d’autre

Il Soil Flushing è una tecnologia di trattamento in situ nella quale una soluzione acquosa è iniettata all’interno di un suolo contaminato. Essa può essere applicata

Και πόσα παιδιά δεν εκδηλώνουν, τουλάχιστον κάθε τόσο, λίγη επιθετικότητα; Και έπειτα, τι σηµαίνει είναι κανείς επιθετικός, τί είχε κάνει, αυτό